Per
facilitarvi, ricordatevi i cognomi perchè, da
quanto ho capito, ai ragazzi piace chiamarsi per i cognomi...
Tom Fletcher
Danny Jones
Dougie Poynter
Harry Judd
Son
facili! Tom è il figlio segreto della signora
in giallo, Danny è il fratello nascosto Indiana Jones;
Dougie ha un cognome
idiota come lui e Harry... vabbè, è il quarto ed
è quello che viene da sè dopo
il terzo.
Se cliccate sul titolo, troverete un link che vi porta diretti alla canzone dei Mc, appunto, che da il titolo al capitolo.
No
scopo di
lucro.
“Boh.”,
rispose semplicemente un altro capo, con i
capelli scarmigliati, venati di qualche ciocca chiara.
“Secondo
me è in giro.”, incluse l’ultimo dei tre
crani, con una strana pettinatura naturalmente spettinata e biondastra.
“E
si sarà perso.”
“Starà
chiamando ai nostri cellulari…”
“E
li troverà spenti.”
“E
si dispererà.”
“Perchè
senza di noi si perde anche per casa sua.”
“E
il navigatore satellitare che gli abbiamo
regalato?”
“Credo
che lo abbia perso.”
“Secondo
me sta ancora cercando parcheggio per il
suo cervello.”
“Come
si può non trovare parcheggio per un cervello
a forma di Mini Cooper?”
“Speriamo
abbia messo i sensori ai lati della
macchina, sennò la sbatterà ovunque.”
“Che
cosa hanno messo in questo caffè?”
“Il
caffè forse?”
“E’
troppo forte!”
“Demente,
è un espresso! E tu lo hai allungato con
l’acqua del the!”
“Espresso,
mi dispiace dirtelo ma fai schifo!
Voglio un the.”
“Passami
il burro.”
“Burro?
Cosa essere burro?”
“Dai
imbecille, passami il burro!”
Era
questa la scena che si trovò davanti agli occhi
Tom, appena tornato da una passeggiata lunga per il centro della
città.
“Cosa?!?!”,
esclamò, cogliendoli di sorpresa, “State
facendo colazione adesso? Alle tre del pomeriggio?”
Li
guardava con occhi spalancati, esterrefatto. I
suoi tre compagni di musica, di viaggio, di avventure idiote e di vita
se ne
stavano tranquilli intorno ad un tavolo rotondo, con le tazze alla
bocca o le
posate in mano. Pronti a fare colazione nella sala da pranzo
dell’hotel.
“Beh…”,
disse il tipo riccioluto, “Quando Dio mi ha
messo al mondo mi ha programmato per fare quel che cavolo mi
pare…”
“Mi
associo!”, aggiunsero gli altri due.
Tom
sbuffò, scosse la testa, prese una sedia e la
girò, sedendosi vicino a loro a cavalcioni.
“Dove
sei stato, Fletcher?”, gli chiese il
riccioluto, dandogli delle piccole gomitate, con le sopracciglia che
sbalzavano
maliziosamente in alto.
“Ti
sei perso, vero?”, insinuò lo spettinato,
imitando l’amico nei gesti.
“E
quando hai parcheggiato hai fregato contro la
macchina di un altro!”, si allineò il terzo del
gruppetto, facendo scoppiare a
ridere tutti gli altri.
Tranne
Tom, che non aveva capito niente di quello a
cui si stavano riferendo. Ma succedeva sempre così, quando
uno di loro rimaneva
fuori dalla discussione per un po’, e vi si ritrovava
successivamente in mezzo,
non capiva mai niente di dove gli altri erano andati a parare. Li
lasciò
perdere, tanto era impossibile capirli. E comunque, il più
delle volte era
impossibile parlare in gruppo. Ogni cosa faceva deviare la
conversazione verso
tutt’altri lidi.
“Sono
stato in giro.”, disse poi, alzando le
spalle.
“E
cosa hai fatto di bello?”, gli domandò Danny, il
riccioluto del gruppo.
Danny
Alan David Jones era l’altra voce e chitarra
dei McFly. Era incredibile quanto potesse trarre in inganno il suo
aspetto esteriore, comparato alla potenza graffiante della sua voce bassa da
rocker,
quando cantava.
“Ho
visto la città.”, disse Tom, “Ho
camminato un
bel po’.”
“Ecco
perchè sento puzza di suole di scarpe
bruciate.”, ironizzò Harry, il castano spettinato.
Harry
Mark Christopher Judd, semplicemente Harry,
ogni tanto usciva fuori con quelle battute tristi che bisognava
bastonarlo con
le bacchette della sua batteria per farlo rinsavire.
“Io
sento puzza di scoreggia… sei stato tu Danny,
vero?”, fece poi Dougie con voce nasale, essendosi tappato il
naso.
Douglas
Lee Poynter, il più piccolo del gruppo nel
senso di nascita, non sapeva mai se scegliere di essere fine come una
prostituta di Amsterdam, oppure garbato come sergente Hartman di Full Metal Jacket. Di solito,
però, data
la sua indole abbastanza pacifista, optava per il linguaggio
estremamente
delicato delle signorine in vetrina.
“Sapete in
cosa mi sono imbattuto?”, fece Tom, ristabilendo la calma,
dopo che Danny ebbe
risposto alla provocazione di Dougie con una serie di pedate sotto al
tavolo.
“In
cosa? Il proprietario della macchina che hai
sfasciato?”, gli disse Harry.
“E
dai!”, protestò Tom,
“Cos’è questa storia della
macchina! Ancora dobbiamo noleggiarla!”
Erano
arrivati in aereo, solo loro quattro, senza
staff, manager o tecnici appioppati al culo. Era come una piccola
vacanza che
si erano concessi, perché dopo la breve tappa italiana si
sarebbero spostati di
nuovo a nord, nei Paesi Bassi e poi ancora in Inghilterra, per
l’ultima data.
“Boh, non mi
ricordo nemmeno chi l’ha tirata fuori…”,
rispose Harry, stringendosi nelle
spalle.
“Dicevo…”,
disse Tom, ridendo rassegnato, “Mi sono
imbattuto in un locale per cui vale la pena tornarci tra trenta secondi
per
mangiare fish and chips!”
Gli
altri lo guardarono, mentre affondavano con
gusto le labbra dentro alle tazze di caffè o di the.
“Aspetta
un secondo, fammi capire.”, disse Danny,
assumendo un tono falsamente serio, “Siamo in Italia, giusto?
Sei voluto venire
tu con una settimana di anticipo sulla data del concerto che faremo
qua, o no?”
“Sì.”,
rispose Tom, con aria ingenua.
“E
cosa fanno di buono, in Italia?”, gli chiese
Danny.
Tom ci
pensò un attimo.
“Il
calcio!”, esclamò, annuendo per la correttezza
della sua risposta.
“Imbecille!”,
esclamò Danny, dandogli una manata
sulla testa da farlo sbalzare in avanti, “Fanno il cibo
buono! E tu vuoi
mangiare fish and chips!”
“Beh…”,
disse Tom, massaggiandosi la testa, “Se li
fanno buoni…”
E si
beccò un’altra pacca.
“Deficiente!
Io voglio mangiare italiano!”, gli
disse Danny, tornando sul suo caffè.
“Lo
so…”, disse Tom.
Ma
aveva un’ultima carta da giocare. Con faccia
disinteressata, appoggiò il mento sul bordo della spalliera
della sedia. Li
conosceva fin troppo bene i suoi tre pollastri.
“Ci
sono delle cameriere…”, avanzando la pulce
nell’orecchio.
“Ok,
chi ha voglia di fish and chips?”, esclamò
Dougie scalpitante, alzando la mano.
Seguivano
Tom con scarso interesse. Se non fosse
stato per quell’insinuazione sulle cameriere del posto, se ne
sarebbero
sbattuti altamente le scatole.
Erano
lì in vacanza? Ce li aveva portati lui per
riprendersi della settimana a luci rosse nel quartiere del Moulin
Rouge? E
allora che li lasciasse dormire in pace in hotel e si mangiasse tutti i
fish
and chips che voleva senza rompere le scatole!
Quello
che volevano fare era, in ordine di
importanza: dormire, mangiare.
Ah! E
anche accoppiarsi, se ci fosse stata
l’occasione. Quindi, quel locale poteva essere funzionale
solo alla conoscenza
di ragazze carine con cui provarci, dato che avevano fatto colazione
meno di
un’ora fa.
“Tom,
sono stanco.”, disse Harry, appoggiandosi al
muro di uno dei tanti alti palazzi che costeggiavano a destra e a
sinistra il
lungo viale che li conduceva verso il centro.
“Andiamo!
Hai fatto cento metri e ti senti
stanco!”, protestò vivamente Tom, “Sei
la discarica di una discarica!”
Harry
gli mostrò con una smorfia il dito medio e
poi tornò a camminare, prendendo il posto di Dougie come
ultima carrozza del treno.
“Quanto
manca…”, si lamentò Danny.
“Ecco,
basta svoltare qua.”, disse Tom, prendendo
la prima strada sulla sua destra.
Quando
furono tutti davanti al locale, Tom lasciò
loro riprendere fiato.
“Siete
diventati dei criceti.”, fece loro.
“Dei
cosa?”, esclamò Dougie, tastandosi il basso
ventre per il dolorino che sentiva alla milza.
“Dei
criceti!”, ripetè Tom, “Annaspate nella
vostra
ruota finchè non vi catapulta fuori!”
Danny
lo guardò con aria stranita.
“Che
esempio del cazzo, Fletcher…”, fece, afferrando
la maniglia dello Strictly English
senza nemmeno dargli un’occhiata.
“Sì,
ha ragione Jones.”, disse Harry, riferendosi a
Danny, “Oggi non sei capace di essere sarcastico.”
Gli
passò davanti, gli dette una pacca cinica sulla
spalla ed entrò, seguito da Dougie, strinto rassegnato tra
le sue spalle. Per
ultimo, Tom si posizionò al tavolo che era stato scelto dai
suoi tre amici, che
già stavano con gli occhi iperattivi alla ricerca delle
cameriere da lui
nominate.
“Cosa
prendete?”, chiese retoricamente Tom, guardandosi
il menù.
“Una
bionda e una mora.”, disse Harry, sempre il
più goloso.
“Ci
sarà una rossa?”, si
domandò Danny.
“Speriamo
di sì…”, sospirò Dougie.
“Intendevo,”,
si specificò Tom, “Che cosa prendete da mangiare!”
Erano
terribili quando si mettevano a fare
comunella.
Danny
gli sfilò rapidamente il menù di mano e,
fatti avvicinare gli altri due a sè, si misero a guardare
che cosa poteva
esserci di gradevole. Confabulando tra di loro, si isolarono per
dedicarsi alla
scelta.
Tom si
guardò intorno sconsolato e incrociò lo
sguardo della quarantenne dietro alla macchinetta del caffè
che, vedendolo,
richiamò dalla cucina un nome a lui conosciuto.
Bene!
esclamò dentro di sé Tom. O li riconosceva, o era
veramente scema.
Dopo
qualche attimo, infatti, vide Joanna
avvicinarsi. Portava tra le mani una cesta, apparentemente pesante,
piena di
pacchi e pacchetti di cibo. Quando lei lo vide, gli sorrise
compiaciuta.
Approfittando del momento, Tom dette una pedata al mucchio di piedi vicino al suo.
“Ecco
la cameriera…”, disse Tom, guardando
soddisfatto i suoi amici.
Danny
abbassò il menù e tre paia di occhi si
puntarono su di lei.
La
ragazza ricambiò i loro sguardi, osservandoli
mentre camminava con il cesto tra le mani.
Poterono
notare ogni cambiamento della sua espressione:
da gentilmente sorridente, a interrogativamente strana, per poi finire
sul
consapevolmente inaudito.
Oh
sì… fece
Tom con se stesso, con grande soddisfazione.
Ma se
ne pentì in quello stesso istante.
Joanna
inciampò in avanti, forse sui suoi stessi
piedi, e finì a pancia a terra, mentre il contenuto del suo
cesto si sparse sul
pavimento, in un baccano infernale che fece ammutolire tutti i clienti
del
locale.
“Oh
cavolo!”, esclamò, mentre
i clienti nelle sue vicinanze si
precipitarono da Joanna per soccorrerla.
La
ragazza si rialzò, ferita nell’orgoglio
più che
nel corpo.
“Sto bene!
Sto bene!”, prese a dire, allontanando con garbo
tutte le mani che la
volevano aiutare.
La
quarantenne bionda accorse verso di lei e la
prese sotto la sua ala protettiva, chiamando un’altra
cameriera a ripristinare
la situazione del pavimento. Nel mentre che si allontanava, Joanna
lanciò un
occhio verso Tom, e verso poi il suo tavolo.
“Jo!”,
la chiamò Arianna, “C’è un
tavolo!”
“Arrivo
subito!”, esclamò, scendendo dalle spalle
del fratello, su cui era salita per prendere un barattolo di pesche
sciroppate
poste in altissimo, su uno dei ripiano della cucina.
“Sei
ingrassata vero?”, si azzardò a dirle Michele,
mentre la riponeva a terra.
Lei
gli rispose con un pizzicotto sull’avambraccio,
ma c’era poco spazio per la ciccia morbida e suo fratello non
sentì niente.
“E
tu hai troppi muscoli!”, lo rimproverò lei,
“Sei
buono solo a placcare gli avversari!”
Fece
la linguaccia più lunga che potè e
uscì dalla
cucina, prendendo tra le mani la cesta di barattoli che doveva portare
in
magazzino.
“Faccio
io!”, le fece Michele.
“E
dai!”, esclamò lei, allontanando la cesta dalle
sue manone, “Ce la faccio! E poi devo andare in sala, tu devi
tenerti pronto
per le ordinazioni!”
Uscì
dalla cucina spingendo contro le due porte
molleggiate. Suo fratello era un omone di zucchero, lo aveva sempre
pensato e
sempre lo avrebbe fatto. Non era poi così tanto grosso, era
semplicemente un
po’ più alto della media… e un
po’ più forte. Era stato lui a convincere
Arianna ad assumerla, qualche mese prima, poco dopo essersi tolta dalla
casa in
cui era nata e vissuta… Accantonò subito
qualsiasi pensiero connesso a quei
giorni, così come faceva ogni volta che le veniva da posarci
la mente.
Miki,
che oltre al suo lavoro aveva anche una
passione sportiva abbastanza fuori dal comune per un italiano,
l’aveva accolta
a braccia e a tasche aperte. Perché i patti erano stati
chiari: se voleva
abitare da lui, le spese erano da condividere.
E lei
era stata contenta di questo. Di certo non
voleva che vitto e alloggio fossero gratis e, piuttosto che andare a
vivere con
degli sconosciuti oppure tornare dai genitori, aveva depositato le sue
valige
nella camera libera.
Appena
mise piede nell’appartamento storse il naso:
era visibilissima ancora la presenza femminile che aveva arredato
quella
stanza, così come tutta la casa. Avrebbe voluto
rivoluzionare tutto, ma sapeva
che Miki non sarebbe stato molto d’accordo con le sue
decisioni. Non
tanto perché non gli piacessero i suoi
gusti in fatto di arredamento… così aveva
lasciato tutto come aveva trovato,
accontentandosi di allontanare dalla stanza in cui dormiva qualche
‘scomoda’
fotografia.
Lei
vent’anni, Miki venticinque. Non erano proprio
uguali, a guardarli bene non sembravano nemmeno tanto fratelli. Miki
era moro,
portava i capelli lisci a mezza lunghezza fermati sulla testa da un
cerchietto
nero. Era uno sportivo nato... ed un cuoco diventato. Lei, Joanna, era
bionda e
mossa, goffa e non sapeva cucinare. Non ne era proprio capace, a meno
che non
si trattasse di uova sbattute in padella o di cibi precotti in forno.
Quando
cucinava lei, c’era da stare pronti con il telefono per
chiamare i pompieri.
Fare
la cameriera non era l’aspirazione massima
della sua vita, questo lo sapeva benissimo. Ma aveva bisogno di
lavorare,
voleva mettere da parte qualcosa per un futuro ancora nebbioso davanti
a sé. Non
molti italiani frequentavano quel locale, forse spaventati dal nome
scritto
sull’insegna. O forse impauriti dal tipo di cucina che veniva
offerta. Jo la
adorava, ma non era facile spiegarla ai pastasciuttai e ai pizzettari
italiani.
Era una che andava a nozze con le schifezze di ogni genere!
E poi
si trovava meglio con gli stranieri che con i
suoi connazionali: almeno erano gentili, davano sempre ottime mance e
non la
trattavano come la serva di turno.
Con
una certa goffaggine, cercò di non sembrare
molto affaticata nel trasporto eccezionale che stava effettuando.
Mentre
camminava, notò una testa ossigenata che riconobbe subito.
Qualche
attimo dopo, il ragazzo inglese si voltò e
la vide, le sorrise. Lei ricambiò, sperando che nella testa
di lui non passasse
la frase: ma guarda quella, non sa
nemmeno reggere tre chili di peso! Si era già
pentita di non aver lasciato fare
a Miki.
Lanciò
di nuovo un’occhiata all’inglese. Si doveva
chiamare Tom, se non ricordava male. Aveva anche detto, quella stessa
mattina,
che avrebbe portato dei suoi amici e, a quanto pareva dalle teste
nascoste
dietro al menù, era stato di parola.
Bene,
era contenta, più mance!
Si
voltò di nuovo verso di loro, non appena vide il
menù abbassarsi e tre facce spuntare al di là. Li
osservò in un lampo e
sorrise, come faceva a tutti i clienti, anche se la voglia di farlo era
schiacciata sotto cumuli di brutte sensazioni.
Ci fu
qualcosa però che le si incastrò tra le
pieghe della sua materia grigia.
Qualcosa
che aveva visto sulla faccia di uno dei
tre.
Al che
il suo sorriso si trasformò velocemente in
una espressione interrogativa.
Quella
bocca l’aveva già
vista…
Ed
anche i capelli strani del tipo accanto a lui,
candeggiati come quelli di Tom, spettinati, sistemati malamente sulla
faccia e
sulle orecchie…
Li
aveva già visti…
Li
aveva già visti tutti e quattro…
Erano
appesi alla porta
della sua camera da letto!
I
piedi si incrociarono tra loro e la sua faccia,
che da interrogativa si era trasformata in terrorizzata, si
trovò spiaccicata
contro il pavimento. La cesta si riversò a terra, spargendo
i barattoli e le
scatole ovunque.
Merdamerdamerdamerdamerdamerdamerda
“Signorina!
Sta bene?”, le chiese subito uno dei
clienti, accorso da lei in suo aiuto.
Andava
tutto bene!
A
parte il fatto che aveva perso i denti sulle
piastrelle bianche e nere.
E che
a tre metri da lei c’erano i McFly, di cui
per l’appunto aveva già incontrato un componente
quella stessa mattina, facendo
una figura pessima...
La
consapevolezza di non aver riconosciuto Tom Fletcher
e di avergli parlato come se fosse stato uno sconosciuto la faceva
ancora
tremare il pensiero.
Non
che fosse una fan sfegatatissima: al confronto
delle loro seguaci inglesi, lei passava per una che, senza pretese di
sorta, si
ascoltava le loro canzoni e basta. Però le piacevano
moltissimo: li aveva
conosciuti durante un piccolo viaggio a Londra, li aveva visti in tv e,
una
volta tornata a casa, aveva cliccato il loro nome su internet e si era
lentamente appassionata alla loro musica.
Si era
fatto spedire un loro poster tramite
internet, era arrivato pochissimi giorni prima… Era andato a
decorare la porta
della sua camera, così come diversi altri poster dei suoi
gruppi preferiti,
attaccati ovunque. In fondo, anche se aveva venti anni ed era un
po’ troppo
vecchia per i poster, erano state le pareti bianche, squallide e
monotone, a
convincerla ad abbellirle con volti famosi.
Le
coincidenze della vita…
Si
alzò, rifiutando le mani che le porgevano,
umiliata dalla sua stessa goffaggine. Da lei accorse subito Arianna che
la
sostenne, notando il suo equilibrio precario.
“Tutto
a posto?”, le domandò, preoccupata.
“Sì…
sì, credo di sì…”, rispose,
ancora frastornata.
“Maria!
Vieni a pulire!”, esclamò Arianna,
chiamando l’altra cameriera a riassettare il danno.
Prontamente,
la ragazza si affrettò, mentre le due
si allontanavano.
Jo
lanciò un’altra occhiata ai McFly.
Se la
ridevano di brutto…
Oh mio
dio!
Arianna
la portò in cucina e la fece sedere su uno
dei ripiani liberi.
“Che
cosa è successo?”, domandò Miki,
intento a
girare in un pentolino del latte in fase di cottura.
“E’
caduta…”, disse Arianna, quasi con
rassegnazione.
“Dio,
Jo!”, esclamò Miki, “Hai bisogno di
ripetizioni anche per camminare?”
Non
gli rispose, non aveva voglia di parlare a
nessuno, solo nascondersi al più presto, piuttosto che
uscire di nuovo in sala
e far fronte alla sua brutta figura.
Era
paonazza, totalmente rossa, muta.
“Hey…”,
le fece Arianna, vedendola stravolta.
Allora
anche Miki, alzando gli occhi dal pentolino
del latte, si accorse dello stato semi catatonico della sorella.
“Jo…”,
fece, lasciando il suo lavoro, “Che ti è
successo?”
Lei lo
guardò con occhi sbarrati.
“Parla,
cavolo!”, esclamò, innervosendosi.
“Miki…
fuori ci sono i McFly…”, disse lei, fuggendo
lo sguardo altrove, imbarazzata.
“I
chi?”, fece lui, dopo qualche attimo di
smarrimento.
“I
McFly, Miki! Quelli di Little Joanna,
quelli che ho appeso alla porta due giorni fa!”, gli
spiegò lei.
Lui la
guardò un attimo. Poi i suoi occhi
diventarono grandi e colmi di stupore.
“Ecco
perché quel ragazzo di stamattina mi sembrava
di averlo già visto!”, esclamò, dandosi
una pacca sulla testa, “E’ quel cretino
con il mento lungo!”
“Si
chiama Tom…”, gli ricordò Joanna,
guardandolo
male.
“Sì,
sì, Tom come ti pare…”, le rispose.
Poi
assunse la sua tipica faccia pensierosa e
Joanna potette vedere che ogni attimo che passava questa diventava
sempre più
sorpresa.
“Aspetta
un attimo! Fammi capire.”, fece dopo
qualche secondo, “Quello è venuto oggi a mangiare
qua… tu non lo hai
riconosciuto… e ora che si è portato dietro tutta
la sua combriccola di
strimpellatori… ti è preso un
accidente!!!”
Scoppiò
in una risata così fragorosa che dovette
appoggiarsi alla cucina per non cadere in terra. Come gli succedeva
ogni volta
che era attaccato da ridarella acuta, gli occhi presero a lacrimare
copiosamente e, non appena riusciva a calmarsi, lo sguardo incattivito
della
sorella lo faceva piombare di nuovo nell’abisso
dell’ilarità.
“Che
fratello imbecille che ho…”, mormorò
Joanna.
Nel
frattempo Arianna si era affacciata alla
finestrella della cucina.
“Sì,
sono proprio loro!”, esclamò, esterrefatta,
portandosi una mano al petto, “Vado subito a sentire cosa
vogliono!”
E, con
le gambe in spalla, sparì dalla cucina,
lasciando Joanna con la voglia latente di prendere il coltello
più vicino a lei
e mettersi a punzecchiare il fratello dove gli faceva più
male.
“Sei…
sei una scema, Jo!”, fece Miki, asciugandosi
le lacrime, “Sei andata a sbattere per terra proprio davanti
a loro!”
“Non
davanti davanti…”, si spiegò lei,
sprofondando
ancora nella vergogna.
La
goffaggine la colpiva sempre nei momenti meno
opportuni. Come quando era scivolata, durante un giorno di neve, su una
pozzanghera ghiacciata. Solo che, prima di toccare terra, aveva
gesticolato per
almeno una decina di secondi, sgambettando allegramente in cerca di un
appiglio, attirando l’attenzione dei passanti che, quando il
suo fondoschiena
si fu spalmato a terra, invece di aiutarla si misero a sghignazzare
alle sue
spalle.
O come
quando, impensierita, si era trovata in
mezzo ad un folto gruppo di turisti indignati, accorgendosi che stava
calpestando un’opera d’arte in gessi colorati fatta
da un’artista di strada.
Oppure
come quando era inciampata in un grande
magazzino, cadendo dentro alla grande cesta delle offerte ‘tutto a tre euro’…
ed un ragazzo aveva ironizzato: “Di lei ne
voglio due!”, mentre stava cercando di tirarsi fuori
dall’ammasso di vestiti
scontati.
“Sei
troppo scema.”, gli fece Miki, una volta
ristabilita la sua serietà, “Scommetto che ti sei
messa a guardarli con due
occhi spalancati… poi ovviamente le gambe sono partite per i
fatti loro…”
E
scoppiò di nuovo a ridere.
“Deficiente!
Ti sentiranno tutti!”, lo rimproverò
Jo, dandogli un calcio su una gamba.
“Tanto
sono inglesi, non capiscono una mazza!”,
rincarò lui, riprendendo il posto dietro ai fornelli, dove
il latte aveva
iniziato a bollire, facendo bolle e spargendo il suo forte odore per la
cucina,
“Ecco! Mi hanno anche fatto impazzire il latte!”
La
porta a molle si mosse e Arianna entrò dentro la
cucina, guardandola e sghignazzando.
“Che
c’è…”, fece Jo, sconsolata.
“Oltre
che ad essere rimasta letteralmente impressa
sul pavimento…”, annunciò Arianna,
“Hai colpito molto anche quei quattro,
vogliono che prendi tu il loro ordine.”
Jo si
nascose la faccia nelle mani.
“Ci
sarà fine alla mia disgrazia quotidiana?”,
borbottò poi.
“Andiamo!
Vai a terminare la tua figura di merda.”,
la esortò Miki, sventolando un cucchiaio di legno.
Jo
guardò Arianna con due occhi tristi e pieni di
rammarico, come per dirle che non poteva farle questo. La donna, invece
di
sostenerla, poggiò una mano sulla porta a molle e la spinse,
accennando con la
testa che doveva fare il suo lavoro.
A
testa bassa, si frugò nelle tasche del piccolo
grembiule verde annodato in bassa vita e prese il block notes, insieme
alla
fedele penna accompagnatrice.
Sospirò
mestamente e si avvicinò a loro.
Stavano
ridendo allegramente, sicuramente la prendevano
in giro…
CowgirlSara: Ovvio, è il primo capitolo non si può giudicare, ma incrocio le dita e spero che non cambierai idea su di me con questa storia! Ancora siamo all'introduzione di tutti i personaggi, mi sono serviti diversi capitoli per farlo, non volevo spiattellare tutto nel giro di poche pagine... diciamo che li introduco poco per volta in ogni capitolo. Mi dispiace che non abbiano fatto presa su di te... cavolo! XDDD Sappi che ufficialmente sei bannata dalla mia macchina e che le ferrovie dello stato si sono alleate dalla mia parte. Quindi RASSEGNATI! XDDD
Zizzy94: lo sapevo che qualcuna in ascolto c'era, lo sapevo!! XD vabbè che sono sconosciuti in Italia, ma qualcuna ci oltre a me loro fan che frequenta il sito ci deve pure essere! Beh, grazie per i complimenti sul mio modo di scrivere, ne sono molto contenta! Anche io sarei nella più completa e miserabile ignoranza se non fosse stato per una mia amica, che me li ha fatti conoscere! Ora sono completamente drogata! Come per te, loro per me non sono proprio il mio stile, ma ci si avvicinano molto! E li apprezzo anche molto (moltissimo) di più dei Tokio Hotel, su cui ho scritto valanghe di storie, come puoi vedere dal mio profilo. Sono più spontanei, li adoro. Sul serio! Alla prossima! E falla leggere anche alla tua amica, dimmi cosa ne pensa! XD Ciao!!
Ciribiricoccola: Eheheh, Joanna non è proprio una trottolina amorosa dudu dada da... se mi vuoi picchiare per questo fallo ora... per adesso sembra quasi quella che non ho voluto che fosse! Capirai cosa intendo! Grazie per la recensione e anche per la stupenda chiacchierata di ieri sera su msn, l'ho apprezzata molto e mi scuso per non averti rigranziato prima! Ci sentiamo presto pazza!
Picchia: Mentos Man XDDD è propio un soprannome da Tom! Povero piciulo, col mentone ed anche la zeppola alla Bill... Ma è tanto carino! Beh, che fosse il mio stile e che fosse riconoscibile a chilometri di distanza... è il minimo che potessi dire... cioè, ma hai presente chi sono? Sono RubyChubb, mica Frizzina Belvedere. -Fine modalità Silvia che se la tira- Non ti ho ancora chiesto un parere sulla loro musica, lo farò appena ci troviamo su msn, anche se so che sicuramente non sarà un parere positivo, dato la metallare che sei XD Deficienti? Ma li hai visti poi i video che ho linkato nel primo capitolo?!? E non è nulla!
_Princess_: da buona Harryana quale so che tu sei, sappi che in questa storia Harry avrà la rilevante parte dello stronzo. E te lo avevo anche già detto! XD Secondo me ce l'ha la faccia dello stronzo... poi non lo so, ancora non li ho capiti questi ragazzi! Figurati, non me ne importa per la cortezza della recensione, basta che ci sia! E come MS giustiziera, ti chiedo: come la risolvi la caciarata che è appena scoppiata? Tu sai di cosa parlo (ed anche la Saruccia).... >.< tengo la mia spadona della giustizia infoderata, sai quanto potrei parlare! Beh, appena ti becco su msn facciamo uno scambio di opinioni moschetteriane. Ci sentiamo!!!