Dov’era.
Dov’era...
DOV’ERA?
~
Eccolo, il mio brillante
piano. Bruciato in partenza per abbandono.
Matteo non si trovava,
semplicemente. C’era un che di ironico nel pensare che mi avesse discretamente
sbattuto in faccia la sua presenza distaccata per tutta la serata, della serie ehi,ticontrollocomunquesai,
ed ad un tratto fosse sparito.
Come se ad un certo punto fossi
stata promossa di grado. Come fossi davvero Una Di
Loro.
Curioso che avessi smesso
di sentirmi tale nel momento in cui non fossi più
riuscita a localizzarlo.
Attraversavo il piano
principale a falcate che via via perdevano decisione
ed ampiezza. Giravo a vuoto, con i piedi, con la mente; il rollìo
di una nave in preda alle correnti avverse, con al timone un marinaio
inesperto. Me ne resi conto ritrovandomi per la terza volta davanti allo stesso
tavolo di vip, e per la quarta alla deriva dello stesso pensiero di cui non
ricordavo né l’inizio né il contenuto.
L’incanto che credevo non
ci fosse mai stato, stava svanendo come una patina nebbiosa. Un Incanto al
Contrario, oltretutto: chiunque altro al mio posto avrebbe preferito la realtà
di fama, luci abbaglianti e raccomandati.
Tante Cenerentole felici
della zucca frantumata e degli zoccoli di legno.
Erano stati i Tokio Hotel la mia carrozza, le
mie scarpine di cristallo, e la fine dell’Incanto consisteva nel riconoscere, a
poco a poco, i volti delle celebrità presenti. La loro nitidezza, l’associarli
nella mia mente a giornali, televisione e pop-corn da grande schermo era una
novità; significava accettare di essere dove in
condizioni normali non sarei giunta.
Era fastidioso.
Ero spaventata.
La caviglia sinistra vibrò
instabile nella calzatura, affaticata. Mi aspettava un altro giro cieco in
senso orario della sala.
~
- Lainey!
I boccoli anticiparono il
mio movimento secco, nell’alzare la testa.
- Snoop.
Mio malgrado, abbozzai un
sorriso fiacco. Dovevo avere più o meno lo sguardo di chi ha appena rubato un tester di rossetto al centro commerciale.
- Che
ci fai qui rannicchiata?
Alla sesta perlustrazione,
la sopracitata caviglia aveva deciso che poteva
bastare così, e mi ero fermata, ma non intendevo accomodarmi sensatamente in
una poltroncina libera. Avevo la sgradevole sensazione che qualcuno si sarebbe
accorto di me, di certo non l’unica persona che inconsciamente avrei voluto mi
recuperasse. L’unica a cui avrei offerto la
possibilità di rimediare.
Ma se quella persona non
fosse venuta a cercarmi... Avrei preferito non saperlo.
E poi non volevo essere
trovata.
Ero stanca di essere
trovata.
Volevo trovare io.
Così, avevo approfittato
della prima rientranza illuminata nella parete ovest, dove tutto giungeva ovattato, per accucciarmi, riflettere ed
organizzarmi.
Ma alla fine, ero stata
passivamente trovata perfino lì.
- Non hai l’aria di
divertirti un granché. – Sotto il mio sguardo incredulo, fece forza sugli
addominali e mi si afflosciò accanto. Le treccine
rigide aderirono al muro. - E poi, dai, solo tre
balli, mi deludi! Mica ti meritano solo quei tedeschi
qui -
- ...Deduco di essere stata
osservata – Da qualche parte, nel serbatoio delle mie smorfie, era rimasta
energia per un sorriso ammiccante. Snoop ricambiò,
poi distolse lo sguardo.
Mi sentivo vagamente
meglio: la sua presenza sfacciata era il chiudersi di un Cerchio. Lui era stata l’Inizio: se me ne fossi andata senza vederlo un’ultima
volta, avrei avuto qualcos’altro su cui rimuginare.
Mi risollevai traendo spinta dalla sua nodosa mano tesa, e con la coda
dell’occhio, finalmente, localizzai Matteo ad una ventina di metri.
Fu la caviglia contrariata
a prendere l’iniziativa, avanzando.
- Grazie, Snoop.
Lui plasmò un sorriso
sghembo ed un cenno del capo.
Cerchio Chiuso.
~
Due metri.
Scivolai oltre sei cantanti
quasi senza toccarli, con un’agilità dettata dalla stanchezza.
Cinque metri.
Matteo era di spalle, ma
immobile. L’avrei raggiunto.
Otto metri.
Attraversai il centro della
pista, investita a meteora da un faro psichedelico bianco.
L’avrei raggiunto.
Undici metri.
Qualcuno mi afferrò il
polso con delicatezza.
Guadagnai un altro metro prima di essere trattenuta a viva forza
e costretta
a voltarmi.
Non l’avrei raggiunto.
~
Le sue dita scottavano
intorno al mio polso, ma non osavo abbassare lo
sguardo per controllare se l’ustione fosse visibile. Pensai che ore prima avevo
compiuto io quel gesto nei suoi confronti, col semplice intento di spostarci
dalla calca. Mi chiesi se avesse provato la stessa cosa.
Poi non mi chiesi più
nulla.
C’era un campo di forza in
mezzo a noi, lo sentivo. Creava resistenza ed
attrazione insieme, e non ero in grado di muovermi, persa in una curva di quei
lineamenti di cera, persa in occhi scuri che avevano vissuto esperienze
amplificate, ma nessuno si era accorto di niente, a nessuno importava
niente.
Car alarm won't let you back to sleep
You're kept awake dreaming someone else's dream
Coffee is cold, but it'll get you through
Compromise, that's nothing new to you
Let's see colours that have never been seen
Let's go to places no one else has been
Ero stata trovata di nuovo.
It's hot as hell, honey, in
this room
Sure hope the weather will break soon
The air is heavy, heavy as a truck
Need the rain to wash away our bad luck
Si avvicinò di appena un
passo silenzioso, le dita ancora chiuse appena sopra la mia mano, quasi avessi potuto sfuggirgli un’altra volta.
Ignoravo che musica
andasse, chi ci circondasse, perfino dove fossi.
Rilassai impercettibilmente
i muscoli sentendolo più vicino, e non colsi il momento esatto in cui immerse
il viso nei miei capelli, tanto s’era mosso lentamente. Il suo profumo mi
alterava.
Mi limitai ad appoggiare il
mento sulla sua spalla. Non ce ne sarebbe stato bisogno – avevo
la testa talmente leggera - ma s’incastrò perfettamente, come fosse sempre
stata lì, come dovesse restarci.
Non c’era una regola.
C’era? Io non la conoscevo.
Bill Kaulitz
non ballava in pubblico.
Per chissà quanto tempo, si
limitò a spostare il peso da un lato del corpo all’altro, un moto indefinito
che lo distinguesse dall’immobilità.
Mi ci volle parecchio per
comprenderlo, un istante per adeguarmi al suo ondeggiare; quanto alla voglia di
staccarmi, quella non si fece sentire mai. Dovevo avere gli arti intorpiditi, e
gli occhi socchiusi dolevano per le luci accecanti.
Ma il mio polso era stato
liberato, ed i polpastrelli di Bill avevano preso a scivolare leggeri lungo
l’avambraccio, un brivido lieve ma inesorabile seguiva il precedente, e poi un altro ancora. Ritirò di qualche centimetro la testa dai
miei boccoli, ma non bastò a far scomparire la sensazione di un istante del suo
naso freddo sotto il lobo destro.
Non conoscevo la regola.
E andava bene così.
Electrical Storm ...
Electrical Storm.
Quattro e quarantaquattro
a.m.
~
“Dov’eri
sparita? Credevo non avrei più rivisto l’interno di questa limousine!”
“Potrei rigirarti la
domanda, Matteo.”
“Non attacca, ti ho cercato
per tutta la sera.”
“E
chi ci crede. Sapevi esattamente dov’ero seduta... Non sono io ad essermi
volatilizzata con una centralinista posticcia travestita da showgirl
dopo circa –”
“D’accordo, tregua, con le
parole ci sai fare troppo bene. Piuttosto, una cosa...”
“Illuminami.”
“per contratto con
l’emittente avresti dovuto posare con un numero minimo di vip, e invece non appari
in manco uno scatto.”
“Non mi dire. Siamo nei
guai?”
“No, ho
scattato delle foto per te. Puoi sempre dire di aver realizzato tu il
servizio, e -”
“Queste foto sono pessime.”
“Grazie.”
“E...
E non sono vere. Non le ho realizzate io, non le ho sentite.”
“Non sei nella posizione di
lamentarti. D’accordo, lasciamo perdere...
...Divertita?”
(...)
“Allora?”
“Io...” Tic. Tic. Tic.
Scorro le istantanee digitali.
Una bionda sorridente che
non ricordo d’aver mai incrociato.
Una band esordiente che
dicevano avesse le carte giuste per sfondare; ne avevo
un ricordo sfocato.
Snoop dall’espressione annoiata,
uno sguardo che non mi avrebbe mai rivolto. Una foto di gruppo.
Poi, una panoramica della
pista. Espressioni esagitate, trucco sciolto, pose plastiche da esibizionisti. E in un angolo meno illuminato...
Due
sagome scure.
Una, femminile, curvilinea. L’altra, alta e slanciata.
strette in una staticità stridente con l’insieme.
“Tieni questa”
sussurro senza fiato. “Descrive la mia serata”
“Non mi hai detto se ti sei
divertita”
Divertirsi.
Ti Divertirai! Regolamento dell’evento.
Letto ventun giorni prima.
Divertente, vero? Georg
Listing, sei ore prima.
Non hai l’aria di
divertirti un granché. Snoop Dogg,
mezz’ora prima.
Ed il profumo
indescrivibile di Bill kaulitz, leader dei Tokio Hotel, nelle narici.
“Mh.”
Mugolai.
E mi addormentai di
schianto.
~
Sono rimasta senza
parole, quasi boccheggio...
Il capitolo è stato un
parto. Ma lo amo dalla prima all’ultima
parola, e spero sia lo stesso per voi, vista la vergognosa attesa.
L’epilogo tra pochi
giorni. Stavolta per davvero, perché è già scritto.^^
E siccome comincio già
a sentirmi triste, comincio con un bacio ed un ringraziamento preliminare a chiunque abbia
attraversato queste 12(+1) pagine web.
Muny_4Ever, quel particolare
delle feste delle medie mi è tristemente impresso. Sapevo di essere capita.
Grazie del sostegno.
_Princess_: sono orgogliosa a
mia volta di apparire insieme a te nella sua
classifica, la stimo molto. Ti ringrazio di questa recensione e sono felice che
la mia storia ti piaccia (o ti sia piaciuta, dipende dai punti di vista e
dall’epilogo).
Ruka88, al solito mi
circondi di punti esclamativi. Spero sia valsa la pena! Un bacione.
Lucilla_bella, Volevo ringraziarti
di cuore per la vicinanza. A volte la tastiera ha questo potere. Non sono due
mani, degli occhi, ma si può emozionare, e ti ho sentita
vicina. E’ passata. Grazie delle numerose recensioni.
Lady Vibeke... non ti rimborso il cuscino, né la tastiera, ma sappi
che il tuo essere (s)venuta m’ha fatto spisciare. Io... Boh. Al prossimo
verbale di riunione di condominio. Grazie. Grazie e basta. Un bacio.
...Sempre vostra.
Sara