Frances si chiama così perché sua mamma ama Dirty Dancing. Tutte le mamma amano Dirty Dancing (io lo amo, perdio) ma la sua lo amava così tanto da dare a sua figlia lo stesso nome della protagonista. Potrà sembrare una cosa folle, ma la madre della mia amica un po’ folle lo è sempre stata. Ascoltando i suoi racconti, seduta sul divano bianco di casa sua, mi ritrovo spesso a bramare fiori fra i capelli e vestiti hippie, e dieci secondi dopo a essere catapultata nell’era punk di Londra. E poi ti fa adorare Parigi, che conosce come le sue tasche, e i libri, e i film. Stai certo che quel libro a cui stai pensando lei l’ha letto, che quel film sconosciuto e meraviglioso che hai per caso trovato durante un attacco acuto di insonnia in un canale che non sapevi nemmeno esistesse nella tua televisione, lei l’ha visto.
Tutto questo per dire che Frances è come lei: una raffinata, intelligente, super-acculturata ragazza bionda. Ebbene sì, non tutte le bionde sono stupide ed insulse. E ve lo dico perché ero io quella che durante i compiti di filosofia dimenticava la parola chiave di tutto il discorso e la chiedeva lei, china sul foglio e nascosta dai lunghi capelli. Frances è una di quelle ragazze che vedi e dichiari da subito perfette. Per me, almeno, è stata perfetta fin dal primo giorno.
«Che c’è?», mi
chiede notando che la fisso da minuti.
«Stai
rileggendo Il Grande Gatsby. Non
era
il mio di libro preferito, quello?»
«Te l’ho
fatto scoprire io, se non sbaglio»
«Giusto. Continua
a parlare di proibizionismo?», la punzecchio.
«Oh,
smettila!», risponde irritata, tradendo però un
sorriso. «Ancora questa storia?»
«Non ti
lascerà mai in pace per quella storia»,
s’intromette Rain.
Il succo di
quella storia è che,
quando quel libro
l’avevamo studiato a scuola, Frances se ne era saltata fuori
con il
proibizionismo, dicendo che era sicuramente quello il punto centrale
della
narrazione, ricevendo, come di consueto, elogi dalla professoressa. Il
fatto è
che la storia d’amore fra Gatsby e Daisy è
l’argomento centrale del libro,
punto e basta. Poi tutto il resto è un bla bla bla di
sfondo.
«Mai»,
confermo dandole una pacchetta sulla gamba. «I tuoi capelli
sembrano più biondi
del solito»
«Dici?»
«Dico. Sembri
un angioletto». Sbatte le ciglia e assume
un’espressione angelica. Scoppio
a ridere. «Come mai, comunque, non
stai studiando cadaveri morti o cose del genere?». Non vi
suonava ovvio il
fatto che volesse diventare medico?
«Io non
studio cadaveri morti!», mi dice indignata.
«Quello che
è». Ho sempre odiato le scienze, non ci ho mai
capito un’acca. In più sono ipocondriaca.
Stadio terminale di ipocondria. Io salvare vite? Direi che sono
già troppo
impegnata a salvare me stessa dalla paranoia, l’ansia, la
mancanza d’equilibrio…
no, non fa per me.
«Siamo in
vacanza», risponde alzando le spalle.
Sono sconvolta.
«Mi stai dicendo che in valigia non hai nessun
tomo?»
«In realtà
conto di avercelo in valigia al ritorno, Tomo», ammicca.
Alzo gli
occhi al cielo. Che, tecnicamente, è sotto di me. Affianco a
me? Io sono dentro
al cielo, in quest’istante. O no? Sempre detto che gli aerei
sono macchine
infernali. Mi mandano in confusione. «La valigia di Frances,
a Natale nel
cinema della tua città»
«Natale
ovvero tre Settembre»
«Amen»
Rain ci
guarda. «Che cazzo state dicendo?»
«L’altezza
mi da la testa», dico mettendomi sugli occhi la mascherina
che mi hanno dato
nel kit di sopravvivenza alle infernali nove ore di volo che mi
aspettano. «Forse
dovrei dormire»
«Sia
ringraziato il cielo. Dormi», esclama Rain. Alzo un angolo
della mascherina e
le lancio un’occhiata che potrebbe uccidere. «Sei
insopportabile oggi, scusa»
«Sono in
ansia, in-ansia»
«Tu sei
sempre in-ansia»
«Capita»
«No, alle
persone normali non capita»
«A quelle
paranoiche sì»
«Okay»
«Okay»
«Fanno The
amazing spiderman», dice Fances, il
ritratto della calma, per nulla scalfita dai nostri battibecchi,
infilandosi le
cuffie nelle orecchie. «Dormite o tacete». Concisa
e autoritaria.
Mi muovo
sul sedile, in preda ad una strana eccitazione. Amo i supereroi quanto
la
pizza. E posso giurarvi che la amo alla follia. «La scena
della biblioteca è
fenomenale»
«Niente
spoiler», dice Rain.
«Tu hai il
mio dvd da tre mesi. Non l’hai ancora visto, in tre
mesi?»
«No, non l’ho
ancora visto. Ma lo sto per vedere, no?»
Mi manca l’aria.
«Hai tenuto in ostaggio il mio dvd per tre mesi!»
«Sta bene,
se ti può consolare»
«No, non mi
consola per niente. Rivoglio il mio dvd»
«Quando
torniamo a casa»
«Grazie»,
borbotto. Lei fa un gesto con la mano e mi zittisce.
Un paio d’ore
dopo, a film terminato, una hostess minuta ci porta il pranzo. Ha un
sorriso
gentile e mi rilasso un po’, anche grazie al cibo, nettare
degli dei, mio
grande amore, mia fonte di gioia. Il cibo rende le mie giornate
più felici, e
non c’è nient’altro da aggiungere.
Mangio il budino come se non avessi la
possibilità di mangiarlo mai più, sebbene non sia
per niente gustoso. Finito il
pranzo, appoggio la testa al sedile, inforco la mia mascherina e mi
addormento,
anche grazie alla pancia piena.
Sarà un
lungo, lunghissimo, terrificante, noioso viaggio. Ma dicono che ne
valga la
pena. Chi? I miei pensieri, che quando abbasso le palpebre mi mostrano
due
grossi occhi azzurri. E noi, quegli occhi, vogliamo trovarli, guardarli
e
perché no, farli sorridere. Siamo un trio simpatico, dopo
tutto.
Non mi
convince per niente, ma non mi convinceva neppure la versione che avevo
scritto
prima di questa, quindi mi arrendo alle mie non doti. Spero, comunque,
di
avervi strappato un sorriso anche questa volta.
Deb.