«I miei genitori mi butteranno fuori di casa», mi lagno, sentendo la faccia contrarsi in una smorfia.
«Devo
ricordarti che fra due mesi andrai all’università
e che di conseguenza avrai
comunque già cambiato casa?»,
mi dice Frances.
«E
Paese, non scordiamoci che cambierà – cambieremo
– anche Paese», aggiunge Rain.
Sbuffò.
«Ho appena speso tutti i soldi che avevo risparmiato in un
anno per questo
stupido volo. A Londra mi ciberò di erba rubata da Hyde Park
e acqua del Tamigi»
«Tutti
prodotti di ottima qualità inglese, mi sembra, o
sbaglio?», ridacchia Rain.
Sorrido,
non riuscendo a trattenermi. «Sono una persona
morta».
«Ma
tu», comincia Frances puntandomi addosso i suoi occhi azzurri
«dove diavolo eri
quando Dio distribuiva lo spirito d’avventura?»
«A
lavarsi i denti, probabilmente», risponde Rain.
Alzo
gli occhi al cielo. «Vi odio. E ho paura che questo
stupidissimo aereo
precipiti da un momento all’altro».
Paranoica?
Sì. Petulante? Anche. L’ansia fa parte di Deborah,
ne è la padrona, la domina. Le
ansie di Deborah hanno l’ansia.
Deborah
sono io e in questo momento sento che sto per avere un attacco di
panico, uno
di quelli che mi succhiano via tutto il respiro, e che
morirò presto. Nessuno mi
potrà salvare da qui su. Morirò su questo scomodo
sedile di seconda classe,
guardando i tuoni fuori dal finestrino e pensando che almeno non mi
sono
sfracellata al suolo. Potranno ancora portarmi i fiori al cimitero e
tutto il
resto.
«Non
hai sentito una parola di quello che ho detto», constata Rain
dopo un po’.
«Mh».
Ops.
«Lo
sapevo. Chi è che odia chi?», dice incrociando le
braccia al petto.
«Sembri
una bambina di due anni».
«Sembri
una vecchia di cento anni», ribatte lei.
«Quest’aereo
non si schianterà e hai solo un attacco di panico, non stai
morendo d’infarto. Stai
calma, Deb. E tu Rain, per favore, ti supplico, smettila di
infierire», dice
Frances prima con un tono dolce e poi con uno implorante.
«Okay»,
diciamo in coro io e Rain. Mi volto verso di lei che mi fa una
linguaccia, e io
le sorrido. I battibecchi come questo sono all’ordine del
giorno, tra me e lei.
Dopotutto siamo migliori amiche.
«Quindi»,
ricomincio, e le vedo irrigidirsi, preparandosi ad un’altra
raffica di frasi
fatte per alleviare il mio panico «dato che siete sicure che
non precipiteremo
e che non avrò un infarto fulminante, dato che siete
così sicure che a Los
Angeles ci
arriveremo vive, intatte,
soprattutto (l’idea del veicolo che
si
schianta al suolo e me stessa divisa in mille pezzettini come Voldemort
nell’ultima
scena di Harry Potter e i doni della morte parte II non riesce ad
abbandonarmi
la mente) mi ripetete come, di preciso, riusciremo a scovare
Jared, Shannon
e Tomo?»
In
un secondo si sciolgono e cominciano a sorridermi. Due sorrisi
così malvagi da
farmi accapponare la pelle. Quei sorrisi urlano “ma per chi
ci hai preso, due
deficienti?”. Gli stessi sorrisi di quando, per la prima
volta, mi avevano esposto
il loro piano. Non è che avessi avuto molta scelta, il
giorno in cui si erano
presentate a casa mia sostenendo che loro sapevano che avrei
sicuramente detto
di sì e che quindi i soldi del biglietto li avevano
anticipati loro; ricordo di
averle guardate confusa chiedendo di che biglietto stessero parlando,
immaginandomi l’adrenalina prodotta da un nuovo concerto o la
meraviglia
davanti a un quadro che non avevo ancora visto, ma no, ovviamente non
era così.
Lo compresi quando Frances mi sventolò sotto il naso un
cartoncino lungo e
spesso: biglietto aereo last minute per la città degli
angeli. Devo
proprio specificare il fatto che ci
mancava poco ad un rovinoso svenimento?
Ora,
con la tempesta che infuria fuori dal finestrino alle mie spalle,
l’ansia
annidata nello stomaco e le unghie ormai divorate, guardo Rain
gonfiarsi
soddisfatta. «Google sa tutto», dice
«anche l’indirizzo esatto del The Hive»
È
solo una malsana idea che mi è spuntata in testa dopo aver
visto Artifact
insieme a due amiche. Non so ancora bene che cosa ne uscirà,
ma sono sicura che
non sarà nulla di intelligente. Io vi avvertiti. Deb.