Fanfic su artisti musicali > Sleeping with Sirens
Segui la storia  |       
Autore: perrysplugs    08/09/2013    4 recensioni
[Pierce The Veil, Sleeping With Sirens]«Sto per entrare, devo stare calmo, salire su quel maledetto palco e cantare. Nessuno se la prenderà con me e saremo tutti felici.» si ripetè Kellin. Stava per sfiorare un attacco di panico e lo sapeva, l’idea di scappare si insinuò nella sua mente un paio di volte, ma non poteva, era scappato per troppo tempo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Altri due mesi dopo

«Due cornetti grandi al cioccolato grazie.» ordinò Vic Fuentes. Dopo che l’inesperto ragazzino del bar glieli ebbe consegnati si diresse a grandi passi all’albergo dove alloggiavano. In genere durante il Warped le band usufruivano dei bus forniti dagli sponsor ma lui e Kellin avevano preferito prendere una camera per stare un po’ in pace e beh, divertirsi fra loro due. Ultimamente le cose erano davvero perfette tra loro, ma non sembrava così per tutti. Alle poche esibizioni del Warped Tour a cui si era imbucato – perché i Pierce The Veil non vi avevano partecipato per impegni precedenti, ancora non se lo perdonavano – Kellin non aveva dato il meglio di sé, anzi a dirla tutta aveva davvero fatto pietà, ma pochi ragazzi se ne erano accorti. Sperava che questo non avrebbe fatto perdere fan agli Sleeping With Sirens ma sapeva che sarebbe successo. Nessuno aveva avuto il coraggio di dirlo al cantante, tranne Justin, ma sempre in modo indiretto. Era davvero preoccupato per questo fatto, ma non solo: Kells sentiva Katelynne sempre più raramente, e quando questo succedeva sentiva lei sbraitare dal telefono e lui trattenersi dal fare lo stesso. Non tornava quasi mai a casa tra uno show e l’altro e gli amici cominciavano a notarlo, e anche Copeland. Kellin gli diceva che la sentiva piangere dal telefono, le mancava il padre. Era una situazione davvero spiacevole, Kellin sembrava a suo agio solo quando erano da soli, neanche con la band stava davvero bene. Non riusciva a capire come comportarsi, sentiva i dubbi crescere. Inevitabilmente il suo Kells avvertiva uno stress maggiore, perché aveva più persone a cui pensare ed era più fragile. Ci sono certi momenti in cui Vic si svegliava presto e lo guardava per un paio di minuti prima di alzarsi e scendere, proprio come quella mattina, e si sorprendeva ogni volta a credere che fosse fatto di porcellana. Quando gli stringeva troppo la mano o quando facevano l’amore più violentemente del solito aveva paura di spezzarlo, trovarlo in mille pezzi. Aveva paura.
Lui stressava Kellin e Kellin lo metteva in ansia. Era una relazione senza via di uscita, ossessiva, ma magnifica, si amavano, ma era quella la cosa giusta?
 
Arrivò all’hotel, salì fino alla loro stanza, aprì la porta e lo trovo ancora avvolto nelle lenzuola leggere dell’albergo. Era davvero bellissimo, in pace per una volta. Si spogliò e gli mise la busta con i cornetti sotto al naso per svegliarlo. Subito aprì gli occhi acquosi e inspirò a pieni polmoni il profumo di pasticceria. Si mise seduto con un po’ di fatica e si avvicinò a Vic come per baciarlo, ma due millimetri prima del volto del messicano si abbassò e prese il suo cornetto.
«Te l’ho fatta Fuentes.» disse a metà tra il masticare e il ridere vedendo l’altro con gli altri già chiusi.
«Come?» chiese un po’ confuso Vic prima di iniziare a ridere fragorosamente. Continuò: «Ah si? Me la paghi questa.» e gli si buttò letteralmente prima di fargli il solletico sulla pancia, sapeva quanto lo detestava. Risero tanto quella mattinata dove non avevano concerti: mangiando riempirono il letto di briciole, perciò le tolsero e le appallottolarono sotto il letto. Dopo uscirono mano nella mano, baciandosi romanticamente non appena arrivarono in un parco fuori città. Quando si stancarono di quella solitudine guidarono fin quando la benzina glielo permise, pranzarono in un ristorante etnico nei paraggi, dall’etnia sconosciuta anche dopo il pasto, ma a loro stava bene così, nessuno dei due aveva bisogno di pensare se non all’altro. Fu proprio una bella mattinata, solo che verso il tardo pomeriggi Kellin doveva riunirsi con gli Sleeping With Sirens, chissà perché; erano troppo distratti per prestare attenzione a queste cose. Già, distratti, è un’altra cosa che Vic notava sempre più spesso, erano perennemente distratti, consumati dai propri pensieri verso l’altro. Si allontanarono dal ristorante saltellando e camminando in modo buffo perché così diceva loro la testa e si misero di nuovo in viaggio.
«Vic , ti amo.» le parole di Kellin riempirono l’auto.
«Lo so, ti amo anche io. Non c’è bisogno di ripeterlo.» fu la risposta.
«No, tu non capisci. Io ti amo come non ho mai amato nessuno, come se la mia intera vita fosse destinata a giungere fino a questo momento. Come se solo adesso io fossi una persona completa. E quando provi qualcosa di così immenso per una persona devi farglielo sapere, per sempre.»
«Kells, non ce ne è bisogno, davvero.» disse Fuentes mentre accostava e lo baciava delicatamente. Lo amava anche lui, ma sentirsi dire quelle cose era ogni volta un colpo, il suo cuore si scioglieva e i suoi occhi si bagnavano. Ripartirono una serie di baci dopo, uno dei due con il cuore più leggero e l’altro più pesante.
 
 
Quando arrivarono all’albergo si sistemarono sul letto ormai senza lenzuola, Vic seduto e Kellin disteso con la testa poggiata sulle sue gambe. Le loro mani si cercavano anche nei gesti più semplici, come giocare con i capelli l’uno dell’altro o accarezzarsi sotto i vestiti mentre parlavano del più e del meno, dei concerti, delle nuove canzoni, chi appena scritte chi ancora da scrivere, della famiglia, dei propri sentimenti. Quando però si arrivò a questi ultimi argomenti Kells scoppiò a piangere: all’inizio le lacrime scesero silenziose sul suo viso, neanche si notarono, incolore su bianco latte, ma poi queste gli impedirono di respirare bene creando come un nodo alla gola. Vic lo notò e si preoccupò non poso, gli asciugò le lacrime e gli prese qualcosa da bere, ma questo sembrava non bastare. La voce impastata di Kellin che cercava di spiegargli che era solo uno sfogo del momento lo tranquillizzò mentre correva su e giù per la stanza in sovrappensiero.
Non poteva lasciare che questo accadesse.
 
Passata la crisi abbracciò il suo piccolo Kells in maniera, così credeva, dolce e protettiva, fino a quando non suonò la sveglia, perciò si alzarono contro voglia, il giovane si preparò e prima che scendesse in reception si salutarono amorevolmente.
Vic era più preoccupato e deciso che mai, non sapeva quando sarebbe stato, forse quella sera stessa, gli serviva solo un ultimo consiglio, perciò prese e il telefono e compose il numero, sperando rispondesse. Dopo un numero interminabile di squilli disse «Ce l’hai fatta! Sono Vic.» e una voce allegra che presto si sarebbe spenta lo travolte.
 
 
«Kellin, ehi!» lo salutò Vic dopo esserlo andato a prendere cercando di sovrastare il rumore del proprio cuore che batteva all’impazzata.
«Amore!» fu la reazione dell’altro che gli corse incontro.
«No aspetta, dobbiamo parlare. Gli altri se ne stanno andando?» chiese il messicano allontanandosi da lui.
«Cosa c’è? E’ successo qualcosa di grave?»
«No, ma dobbiamo parlare, ed è meglio se lo facciamo da soli.», e detto questo lo prese per mano guidandolo poco lontano da lì, ma riparato da sguardi indiscreti, perciò continuò: «Kells, siamo una coppia fantastica noi, molto affiatati vero?»
«Beh, si insomma, stiamo davvero bene insieme, anzi soprattutto quando stiamo insieme.» rispose Quinn.
«Ecco, hai centrato il punto, noi non stiamo bene con gli altri, e a dirla tutta noi non stiamo bene nemmeno tra di noi, tu credi che sia così, perché non hai mai provato un altro tipo di relazione in cui stavi meglio, ma così non possiamo andare avanti.»
«Ah, perché tu si? Hai provato una relazione migliore della nostra? Stavi con qualcuno che ti faceva sentire meglio?»
«Beh, in realtà si Kellin, ma non è che ci stavo, io mi ci sto sentendo anche adesso. Sto bene con lui, non ci facciamo pressioni e mi scarico dalla tensione che accumulo con te.» rispose Vic.
Le lacrime ripresero a scorrere copiose sul viso del più giovane, esattamente come quel pomeriggio. Non riusciva a crederci, cosa aveva sbagliato? In che cosa non era stato abbastanza? Ed è proprio quello che gli chiese: «Perché?»
«Evidente piccolo Kells – e si interruppe per accarezzargli una guancia – ero io quello da cui stare alla larga.»
«Non toccarmi. Avevi detto di amarmi. VIC HAI DETTO CHE MI AMI POCHE ORE FA! NON TI FAI SCHIFO?»
«Non mi perdonerai mai, lo so, ma avevo bisogno di stare bene, e Jaime ci riesce.»
«AH, E’ JAIME. Mi FIDAVO DI LUI. FANCULO TU E QUELL’ALTRO SCHIFOSO, PER FAVORE NON FATEVI PIU’ VEDERE.» rispose Kellin piangendo e urlando. Non riusciva più a contenere le emozioni, non ne era mai stato capace. Forse è questo che lo rende un artista, anche se certi momenti si vedeva più come un bambino indifeso.
«Kellin … » fu tutto ciò che riuscì a balbettare Victor. Si sentiva in colpa come non mai. Era un errore? Non lo sapeva. Nel frattempo però l’altro se ne era andato, via, correndo, e lui non poteva far altro che guardarlo in lontananza, sperando di vederlo stare meglio. Non sapeva più niente.
Solo come una pagina al vento. La loro storia non sarebbe andata dimenticata. Vero?


non odiatemi, non merito di essere odiata. Sono una persona sensibile, se proprio dovete farlo, odiatemi in silenzio.
non mi trattengo a scrivere molto qui sotto perché peggiorerei solo la situazione. mi scuso. sparisco.
- Vì ♡
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Sleeping with Sirens / Vai alla pagina dell'autore: perrysplugs