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Autore: remsaverem    15/03/2008    7 recensioni
Un pericoloso s.i. torna dal passato di Gideon e rapisce Reid.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jason Gideon, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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[FAN FICTION SCRITTA DA GLENDA E REM]

[FAN FICTION SCRITTA DA GLENDA E REM]




Accaddero molte cose.
Hotch si inginocchiò, portandosi una mano alla spalla.
Gideon abbassò lentamente l’arma che ancora teneva stretta in una mano.
Morgan si precipitò giù dagli scalini dell’edificio, correndo a soccorrere Hotch, seguito da Prentiss.
Mentre Prentiss prestava le prime cure a Hotch, che peraltro non era ferito se non solo di striscio, Morgan si volse verso l’ ex capo dell’unità speciale di cui faceva parte.
Aprì le braccia, con i palmi rivolti all’insù, per mostrargli che non era affatto armato e contemporaneamente stese un braccio verso Gideon, invitandolo a consegnargli l’arma “ora puoi darla a me” sussurrò con voce ferma.
Gideon però sembrava non vederlo nemmeno, intento a fissare con un’espressione tra l’orripilato e lo stupito le due figure inginocchiate dietro di lui, ammesso che li vedesse davvero.
“Gideon” scandì nuovamente l’uomo facendo attenzione a calibrare bene il tono e l’intenzione delle sue parole. Voleva catturare la sua attenzione, non spaventarlo.
Nella sua mano, l’arma tremava e anche il suo corpo era scosso da brevi sussulti.
“Gideon sono io, sono Morgan” incalzò abbassando la voce “non è successo niente, Hotch non è ferito. Non gli hai fatto del male. Non potresti. Lo so”.
Gideon però ancora non accennava a rispondere o a dar segni che avesse capito quello che gli stava dicendo.
Era una situazione delicata. Pur essendo tarda notte c’era ancora qualcuno nell’edificio. Avrebbero sentito lo sparo e, di lì a poco, sarebbero sopraggiunti altri agenti e le cose sarebbero potute peggiorare, a meno che Gideon non avesse messo giù subito l’arma.
Ma non era affatto semplice trattare con qualcuno che avesse appena subito uno shock, come gli aveva spiegato Gideon stesso, un giorno lontano, durante qualcuna delle loro traversate in aereo, per recarsi in un punto sconosciuto del paese e dare la caccia a qualche efferato serial killer.
A quel tempo ammirava Gideon, per lui era il massimo a cui un profiler potesse aspirare.
Ed era così coraggioso.
Dopo i fatti di Boston le cose erano cambiate un po’. Morgan si era accorto che anche il maestro che lui venerava tanto poteva avere dei punti deboli, qualcosa che non doveva essere toccato. E questo l’aveva inquietato, possibile che anche Gideon, il grande Gideon potesse subire un simile contraccolpo?
E se Gideon non riusciva a sopportarlo, come avrebbe fatto lui, con ancora tanta strada da fare?
Morgan credeva nelle proprie capacità, ma sarebbe riuscito a trionfare là dove anche profiler ben più esperti, come Gideon avevano drammaticamente gettato la spugna?
E poi Gideon era ritornato, più forte e fragile di prima.
E, con una nuova forza, rinnovato vigore, che mai Morgan avrebbe sospettato, si era rimesso a dare la caccia ai demoni altrui.
Le cose erano tornate ad andare bene. Per un certo periodo.
Insieme avevano affrontato il caso di Elle, il rapimento di Reid e poi…e poi…Frank era tornato, sconvolgendo il mondo che il più anziano profiler aveva faticosamente ricostruito. Mandandolo in pezzi. E adesso…adesso…
Sembrava che i drammi per Gideon non fossero affatto finiti o che non potessero avere mai fine, per la natura stessa del loro lavoro, o per qualcosa di più profondo che Morgan ancora non riusciva ad afferrare.
Nel frattempo Prentiss aveva aiutato Hotch a rialzarsi e i due sostavano poco distanti da Morgan.
“Troveremo Reid, vedrai Gideon..”sentì sussurrare da Hotch alle sue spalle.
“Ha ragione, noi non possiamo”esitò Prentiss “…perderlo…”.
“Lascia chi ti aiutiamo” mormorò Morgan avvicinandosi lentamente, mentre Gideon sembrava fissare il pavimento, completamente assorto”…così come tu hai aiutato noi, in passato”.
“L’hai sempre detto anche tu no?”continuò Hotch “siamo una squadra, siamo una famiglia”.
“Proprio così” gli fece eco Morgan, la mano a sfiorare la pistola che penzolava abbandonata al fianco di Gideon “anche Reid lo direbbe”.
Fu forse quel nome a risvegliare finalmente qualcosa in lui? Quel nome pronunciato in quel modo, da Morgan?
Gideon rialzò di scatto la testa e fu al volta di Morgan di sussultare, scorgendo una luce nuova negli occhi del collega.
“Va bene” esclamò Gideon lasciandosi prendere l’arma da Morgan “torniamo dentro”.




Andrà tutto bene.

Questo gli aveva detto Gideon. Le sue parole erano sempre le stesse, ogni volta, anche dopo tutto quel tempo. Il tono della sua voce, il suo sguardo, il suo modo un po’ dimesso di sorridere, ripetevano sempre quel concetto: “Andrà tutto bene, ci sono io, fidati di me e tutto finirà bene”.

E Reid voleva crederci, voleva crederci davvero...ma il suo corpo non diceva la stessa cosa, e non voleva lottare, non voleva opporre resistenza...

Dovevano essere passate molte ore...forse giorni...

L’SI gli aveva portato del pane, e lo aveva obbligato a mangiare nonostante sentisse lo stomaco chiuso e lo stesso deglutire fosse diventato doloroso. Aveva le labbra spaccate per la febbre, e le fitte che gli attraversavano il corpo sempre più spesso gli impedivano anche di provare ad addormentarsi...a cadere in quel lento dormiveglia che nei primi tempi aveva attenuato la sua consapevolezza per qualche breve ora.

Sì, lui desiderava resistere, desiderava credere in Gideon, ma ogni nervo, ogni muscolo chiedeva il contrario, e sembrava implorare che tutto questo finisse.

Sentì i passi avvicinarsi: ormai riusciva a distinguere ogni minimo suono, persino il movimento di un topo lungo il muro, o il fruscio lieve del vento.

L’SI aprì la porta.

“Buongiorno, Spencer”

La voce rimbombò nella testa di Reid e gli fece male.

“Sai da quanto tempo sei qui...?”

Il ragazzo mosse debolmente il capo, a fare segno di no: nel gesto i lunghi capelli gli ricaddero sugli occhi. Erano pesanti, annodati e umidi di sudore. Anche il loro lieve solletico sulla pelle era diventato una forma di sofferenza.

“Ma che strano...! Un ragazzo con un cervello come il tuo! Pensavo avresti tenuto il conto...”

Reid non rispose: quella voce sembrava esplodere nelle sue tempie. Pregò che non si arrabbiasse, che non si mettesse a gridare.

“Sono passati quasi quattro giorni. Gideon non si sta impegnando abbastanza. Forse avrebbe bisogno di qualche piccolo incentivo...”

Reid vide la piccola luce del cellulare lampeggiare in un punto imprecisato del suo campo visivo.

No, no, no. Non una telefonata come quella. Non poteva sopportarlo. Non avrebbe sopportato che lo facesse di nuovo: che lo usasse in quel modo per fargli del male. Per fare del male a Gideon.

“Ti prego...” mormorò a fatica.

“Cos’hai detto, Spencer? Non ho sentito bene!”

La voce fu come un sibilo tagliente nel suo orecchio: aveva avvicinato la testa alla sua, lo aveva fatto apposta: sapeva che i suoni forti gli provocavano dolore, e infliggere dolore lo divertiva. Lo faceva sentire potente.

“Ti prego...” ripeté Reid “...parla con me...”

L’uomo rimase in silenzio. Giusto qualche secondo. Poi si avvicinò e - così gli parve di percepire - sedette accanto a lui.

“Va bene“ acconsentì “...mi piace parlare con te”

La luce del display scomparve. Aveva rimesso il telefono in tasca.

“Allora, Spencer...quando è stato che Gideon ha capito che avevi bisogno di lui?”

Reid richiamò a sé tutte le proprie forze: doveva tenerlo impegnato in quella conversazione, era importante. Parlare di Gideon, forse era il modo di tenerlo lontano da Gideon. Aveva notato che non si tratteneva mai troppo con lui, come se lo stare lì, passato un certo lasso di tempo, divenisse in qualche modo fastidioso e lo prendesse un’urgenza di andarsene. Doveva riuscire ad occupare quel tempo.

“...credo...” mormorò “...credo dopo pochi minuti che lo conoscevo...” ricordare fu come permettere ad un piccolo calore di inondare il suo petto “lui non parlava molto. Gaurdava soltanto. Tutti. Tutti noi. Capiva sempre di quali parole avevamo bisogno. E sapeva sempre dirle nel momento giusto...”

Una pausa.

“E tu...perché hai bisogno di Gideon?”

Era stata una mossa azzardata, lo sapeva. Ma l’unica possibile. L’unica che avesse un senso. Chiuse gli occhi, ed aspettò che l’uomo lo afferrasse e lo costringesse a girarsi supino, la nuca contro il pavimento: con uno schiaffo lo colpì in viso.

“FACCIO IO LE DOMANDE!”

Reid deglutì, ingoiando saliva e sangue.

A-aspetta...” accennò dolcemente “f-facciamo un gioco...tu mi chiedi quello che vuoi...e poi io lo chiedo a te...N-non..non importa che tu sia sincero. Tu...puoi anche non dirmi la verità...” ebbe un piccolo colpo di tosse “io invece...ti dirò sempre la verità...e se mento...o se non rispondo...tu mi punirai...V-va bene?”

L’SI tacque. Fu un silenzio piuttosto lungo.

“E’ divertente, Spencer...” ammise alla fine “mi piace...”

Reid emise un breve sospiro sollevato.

“Perché ho bisogno di Gideon, hai chiesto? Beh, è molto semplice. Voglio parlare con lui, così come faccio con te. Voglio che mi racconti un po’ di cose. Voglio che si dedichi solo a me”

L’idea che quell’uomo volesse fare a Jason ciò che stava facendo a lui lo fece trasalire, ma subito la sua mente cercò di razionalizzare: non era quello - o non solo - il suo scopo, o avrebbe preso Gideon fin da subito, senza bisogno di quel doloroso intermezzo.

“E quale sarebbe la prima cosa che gli chiederesti...?”

Nah, nah, nah...Tocca a me, adesso, Spencer. Sentiamo: qual’è l’evento che ha fatto più soffrire Gideon, da quando lavori con lui?”

Domanda intelligente. E crudele. Rispondere significava rivelare un punto debole del suo collega, e probabilmente era proprio questo che l’SI voleva. Ma doveva sacrificare qualcosa per ottenerne un’altra in cambio: Gideon avrebbe fatto così.

Frank” ammise “E’ stato...quando é tornato Frank. Ha ucciso una sua amica e...e una persona che lui aveva salvato...”

“Bene. Bene. E Gideon...”

“E’...il mio turno, ora...” osò Reid.

Una piccola, sommessa risata.

“E’ vero. Dunque, ripetimi la tua domanda” scandì in modo minaccioso “vediamo se mi piace”

“Quale sarebbe la prima cosa che gli chiederesti...?”

Un movimento. Poi un colpo violento sul ginocchio. Reid ritrasse le gambe vero il petto, gemendo.

“HAI SBAGLIATO I VERBI, RAGAZZINO!”

Lui ansimò, sforzandosi di resistere al dolore.

“Quale sarà la prima cosa che gli chiederai, appena lui sarà qui...”

“Bravo” si rilassò l‘SI, compiaciuto “Bravo, capisci le cose al volo” e gli fece una sinistra carezza sulla testa “Vediamo...che cosa gli chiederò? Gli chiederò perché ho voglia di uccidere. E se non risponderà la cosa giusta, gli farò tutto quello che ho fatto a te...”

La sua mano continuava a carezzargli metodicamente i capelli “Hai capito, piccolo? Tutto, tutto quello che ho fatto a te” avvicinò la testa alla sua e sussurrò al suo orecchio “Ed ora la mia domanda: Gideon si sentirà in colpa se ti uccido? Pensaci bene, Spencer: se tu muori soffrirà più o meno che per Frank?”

Reid sentì un brivido passargli lungo la schiena. Quell’uomo era completamente pazzo: era forse geloso di Frank, per il fatto che lui lo avesse indicato come l’uomo che aveva fatto più male a Gideon? E cosa doveva rispondere? Se avesse detto di sì, lo avrebbe ucciso davvero? E se avesse risposto di no? Che avrebbe fatto?

N-non esiste unità di misura per il dolore. Soffrirebbe. Ma non succederà, perché lui mi troverà, giusto? Tu lo sai che mi troverà: il tuo piano era perfetto...non puoi esserti sbagliato”

La mano dell’SI si fermò per un attimo sulla sua testa. Reid la sentì fredda e pesante, contro la fronte che scottava. Inaspettatamente, gli scostò i capelli dal viso e glieli sistemò con delicatezza dietro l’orecchio: un gesto di cura, che si fa verso qualcuno che si ama, non verso un ostaggio sconosciuto.

“Certo. Ti troverà. E parlerà con me”

Un’idea balenò nella testa di Reid. Forse era follia, forse era la febbre che gli toglieva lucidità. Ma quella mano tra i capelli doveva pur voler dire qualcosa.

“Ti piace fare soffrire le tue vittime?”

No, non le vittime. Spencer. Lui lo chiamava Spencer. Come se avesse confidenza con lui, come se lo conoscesse da sempre.

“Ti piace farmi soffrire...?”

Silenzio.

Poi un mezzo lamento, incomprensibile.

“No” sussurrò “E’ colpa tua. Tutta colpa tua. Tu sei crudele”

“Io...? Perché? Io cosa...”

Ci fu un grido isterico, e un oggetto contundente si abbatté di nuovo sulle gambe di Reid. Stavolta urlò forte. No, non era per Gideon che lo faceva. Gideon non poteva sentire! Lui...lui si accaniva sulle vittime, ma senza trarne alcun piacere. Perché? Perché?

T-tu mi odi?” si fece forza, mordendosi il labbro con i denti “...Ti ho fatto del male?”

Di nuovo quel grido, più simile al rantolo di un animale che ad una voce umana.

“Si, mi hai fatto del male! MI HAI FATTO DEL MALE! TU NON DOVEVI...TU...TU NON AVEVI DIRITTO...! IO IO IO MI SONO SENTITO IN COLPA!!! HAI CAPITO? IN COLPA! E NON AVEVO COLPA, NO NO NO!!!”

Urlava come un pazzo: Reid lo sentì alzarsi e battere pugni a destra e a manca mente si muoveva freneticamente intorno alla stanza.

“TU, TU NON HAI AVUTO IL CORAGGIO DI SOFFRIRE! IMPARERAI A SAPER SOFFRIRE! IMPARERAI, ORA!”

Calò su di lui con una furia improvvisa, lo strattonò, lo sollevò per il bavero della camicia e lo sbatté al muro, il volto a pochi centimetri dal suo: così vicino che ne percepiva il fiato, il battito del cuore, i tremiti.

“Ed ora la mia domanda, ragazzo”

Di colpo si era calmato, il suo respiro era tornato regolare

“Gideon ha una famiglia? C’è qualcuno che Gideon ama molto, e che mai e poi mai vorrebbe perdere?”

Reid rimase in silenzio. Quella non era una risposta che era disposto a dare.

“Allora? E’ il tuo turno!“

“Non lo so...”

Un colpo violento alla bocca dello stomaco lo fece di nuovo piegare su se stesso e accasciarsi a terra.

“STAI MENTENDO! Tu...tu lo sai sicuramente! Chi credi di prendere in giro?”

Aveva ragione. Lui lo sapeva. Ma non era stato Gideon a dirglelo. Sapeva di suo figlio perché era capitato che lo scoprisse, proprio come era capitato che Gideon sapesse di sua madre, per via indiretta, senza che gliene parlasse lui. Non si erano mai detti niente, né di un fatto né dell’altro. Segreti che custodivano reciprocamente, su cui non bisognava soffermarsi. Segreti che facevano male.

“Sì...” ammise “sto mentendo. Non posso dirtelo” cercò lo sguardo dell’SI, e incontrò il solito, liquido buio...ma era sicuro che si stavano fissando, occhi negli occhi “non voglio dirtelo”

“NON VUOI DIRMELO?” esplose l’uomo, ruggendo con tutta la sua voce “NON PUOI DECIDERE COSA VUOI O NON VUOI, CAPITO? LA TUA VITA E’ NELLE MIE MANI! STA A ME DECIDERE! DEVI, DEVI AVERE PAURA DI ME!”

I-io...” un tremito gli percorse la voce “io ho paura di te...M-ma...ma non posso dirtelo...p-perché g-gli voglio bene...”

L’uomo non rispose. Lo afferrò per le braccia, lo sbatté bocconi contro il pavimento e gli afferrò i polsi, su cui erano ormai incisi i profondi segni dei lacci di plastica che lo legavano.

“Facciamo un altro gioco” annunciò “vediamo quanto resisterai”

Estrasse un coltello, afferrò la mano di Reid e piantò la lama nel mezzo del suo palmo.

Reid sentì il dolore attraversargli tutto il braccio e gli mancò il respiro. Le lacrime cominciarono a scendere copiosamente dai suoi occhi.

“TI PREGO!” supplicò “TI PREGO...!”

Non riusciva a dire altro. Il dolore era insopportabile. Il sangue caldo scivolava abbondante tra le sue dita fino a scendere sulla sua schiena.

“Ti ripeto la domanda...” fece l’SI, glaciale “C’è qualcuno che Gideon ama molto?...Oh, eccetto te, naturalmente, Spencer...perché di te dovrà fare a meno, se non fai il bravo...”

Reid singhiozzò forte, ma non rispose.

“Allora? Non vuoi dirmelo?”

“NO, NO, NO...AHHH!”

Il coltello era sceso più in profondità nella sua carne, aprendo un profondo squarcio lungo tutto il palmo della mano.

“NON HO SENTITO!”

“Ti prego...” Reid si sentiva mancare le forze “ti dirò...c-cosa mi ha detto Gideon...quando avevo gli incubi...ti dirò...cosa è successo q-quando...hanno sparato a Elle...T-ti...ti prego!”

L’uomo estrasse la lama e gettò il coltello di lato. Si chinò su di lui e lo afferrò per i capelli, sollevandogli la testa da terra.

“Continueremo più tardi” sibilò.

  
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