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Autore: Lau2888    09/09/2013    2 recensioni
ora vi racconterò una storia... una storia che ha come protagonisti dei semplici ragazzi che ancora una volta sono chiamati a combattere.
questa volta però non sarà facile, perchè questa volta dovranno affrontare un nemico invisibile e invincivile.
un nemico conosciuto con tanti nomi e forme diverse, ma che per semplicità lo chiameremo odio.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buona sera lettori di efp^^. Ebbene sì, sono ancora viva e intenzionata a finire la storia.
Posso solo scusarmi per la mia assenza prolungata e dare tutta la colpa alla mia laurea.
Sorvolando sui miei problemi vi lascio alla storia e vi auguro buona lettura.
 
Nel capitolo precedente: Kari, Davis e Ken hanno trovato il laboratorio degli orrori di datamon e lì scoperto che fine avevano fatto i loro compagni prescelti.
Nel frattempo sulla terra il curioso trio formato da Matt, Mimi e Mark riceve una alquanto fuori dal comune missione da Izzy.
 
Passo 14) la fine del percorso di due amanti: una luce che brilla per un’ultima volta.
 
Una luce…
Una luce dai caldi colori d’orati mi sta chiamando.
La mia essenza si risveglia ancora una volta.
Sorrido, ma è un’espressione triste. La prima volta che il mio sonno millenario è stato interrotto ti ho incontrato e in quel momento anche la mia millenaria solitudine ha avuto fine, ma adesso…
Sospiro stancamente. No, non voglio svegliarmi, perché so che non ti avrei più al mio fianco.
Tento di riassopirmi, ma quella luce non demorde e si fa sempre più insistente. Perché non mi lascia in pace? Non vede come sono inutile ora? Non vede che il mio simbolo… il mio sole è spento e senza vita?
Cerco di ignorarla, ma non me lo lascia fare. Come una bambina capricciosa adesso sta urlando…
Può una luce urlare? A quanto pare sì. Non so come ma lo sta facendo.
Urla e urla ancora, finché non rialzo lo sguardo verso il mondo degli umani… quel mondo che tu amavi tanto da dare la tua vita per lui, ma che alla fine ti ha tradito e deluso più e più volte.
Scuoto la mia intangibile essenza, credo di aver sbagliato quel giorno a lasciarti usare appieno per due volte il mio potere, ho sbagliato e la prova ce l’ho davanti: tu non ci sei più, io sono inutile e due mondi sono vicini alla loro distruzione…
Tutto. Tutto quello che abbiamo fatto, tutto quello che abbiamo sacrificato e tutto quello che abbiamo sofferto, è stato alla fine solo uno spreco di tempo ed energie. Perché allora dovrei ancora lottare?
Sospiro e porto il mio sguardo lontano. Tu che faresti Tai? Andresti avanti?
Sogghigno. Scommetto di si… scommetto che non solo affronteresti il mondo con la sfacciataggine che ti distingueva, ma che daresti anche un sonoro scappellotto a me per essermi arreso.
Rido leggermente. Sarebbe il colmo, il Coraggio che si tira indietro, dovrei essere io a spronare gli altri e non viceversa.
Ah, quella luce è tornata, sembra che non si voglia proprio dare per vinta, infondo da lei non mi aspetto niente di meno.
Lei, la mia sorellina, la Speranza. Lei che mi sta pregando di aiutarla a salvare non il suo prescelto, ma qualcuno per lui prezioso.
Lei che chiama a gran voce me e Amore, le uniche due digipietre senza prescelto, perché le potessimo donare l’energia che le serve per fare un ultimo miracolo.
Credo che ci raggiungerai presto Speranza e tu lo sai bene. Sarai presto qui con gli altri stemmi perduti, avvolta in un sonno senza sogni, in una lunga attesa solitaria di un nuovo prescelto che possa degnamente impugnare il tuo potere.
Lo sai, ma non t’importa.
Il tuo prescelto lo sa ma non gli importa. Sarà il vostro ultimo atto di vita, il vostro ultimo atto di fede e il vostro ultimo atto d’amore…
Sorrido, ed è un sincero gesto di comprensione. Ho deciso, vi aiuterò con tutto quello che ho e poi insieme attenderemo un domani migliore.
 
 
Probabilmente se in quel momento il prescelto dell’amicizia avesse rivolto il suo sguardo verso i due medaglioni, che indossava ben nascosti sotto una dolcevita nera, avrebbe avuto l’occasione di veder brillare per l’ultima volta il sole del coraggio.
Un ultimo bagliore arancione prima di lasciarsi di nuovo cullare da un allettante sonno eterno.
Un ultimo sacrificio fatto in nome di ciò che il suo prescelto riteneva prezioso.
E chissà, magari anche un ultimo gesto che avrebbe potuto riportare la bilancia in favore degli eroi digitali.
 
 
Digiword – monte spirale.
 
Una luce si muove a intermittenza, illuminando a tratti quella che era stata, fino a poche ore prima, la parete di una stanza perfettamente integra.
È un chiarore debole e mal funzionate, però è una delle poche cose che riescono ancora a dimostrare l’esistenza stessa di quel luogo.
Sotto di lei, appoggiata malamente al freddo muro crepato, giace immobile la figura di una giovane donna dai capelli castani. Tra le sue braccia, protetta e custodita, dorme esausta una piccola creatura che appare come un cagnolino rosa con delle enormi orecchie e un vistoso collarino d’orato.
Il silenzio avvolge il loro sonno, interrotto solo ogni tanto da qualche macchinario che ancora tenta invano di riprendere la funzione per cui era stato creato.
Del laboratorio che quel pomeriggio avevano trovato solo una metà è ancora riconoscibile, mentre l’altra sono solo cumuli di macerie ormai inservibili.
I fili al neon che delimitavano il pavimento sono ora fuori uso, lasciando quindi i visitatori camminare alla cieca in questo luogo a loro sconosciuto.
I computer e i macchinari che si trovavano nella zona centrale sono stati fatti a pezzi, disseminandone i componenti lungo quello che rimane della preesistente pavimentazione.
Alcune pareti sono crepate e quelle più vicine all’epicentro dell’attacco presentano segni neri di bruciature.
Le uniche cose che sono rimaste ferme nel loro luogo originale senza prendere nemmeno una crepa sono quegli involucri di metallo e vetro che rappresentavano il vero orrore di quel posto, questo almeno per quanto riguarda quelli più esterni, per quelli centrali è tutto un altro discorso.
Un’ombra si muove barcollando tra quei resti, avvicinandosi sempre di più al corpo ancora privo di sensi della prescelta.
Accelera i suoi passi quando i suoi occhi non riescono a vedere nessun movimento provenire dalla ragazza.
Accelera, quasi corre, ignorando i vetri e i ferri che nel suo cammino rischiano di ferirlo.
-Kari?!- Appoggia di peso una mano contro il muro, mentre l’altra incontra il viso della ragazza, alla ricerca di quel calore che lo rassicuri.
- Kari! Mi senti?-Le scosta i capelli con delicatezza, sono fradici, ma a parte questo non vede nulla di sbagliato in lei.- uff… per fortuna stai bene- Le si inginocchia accanto, tirando un sospiro di sollievo nel saperla viva e illesa, nonostante quello che pochi attimi prima era accaduto.
Si rialza, passando, con un gesto che trasuda nervosismo e stanchezza, una mano nei folti e ribelli capelli del colore del mogano.
Appoggia il peso del corpo sulle gambe, ora che quella preoccupazione che gli divideva l’anima è diminuita, può chiaramente sentire gli effetti di quell’esplosione che lo aveva fatto finire lontano da dove erano i suoi compagni. – e per fortuna che non eravamo noi i bersagli di quel botto- sussurra a se stesso, mentre con la mente studia i vari tagli e contusioni che evidenti si mostrano su gambe e braccia.
Alza gli occhi, scansionando velocemente quel poco che può vedere di quel grande laboratorio, alla ricerca di un movimento che gli dia un indizio per scegliere la sua prossima mossa.
Si morde il labbro inferiore indeciso. Da un lato vorrebbe cercare Ken e magari capire che fine a fatto Piemon, ma dall’altro non riesce ad allontanarsi da Kari, soprattutto nel saperla indifesa e incosciente.
-Davis!- un mal improvvisato mucchio di ferri e calcinacci crolla velocemente portandosi dietro un eco non gradito e un po’ di polvere – Davis! Che bello…- una vocina squillante si fa strada attraverso quel piccolo caos, riuscendo perfino per pochi secondi a lasciare senza parole l’ex calciatore – che bello stai bene!- e da quella polvere una palla blu chiaro e bianca, munita di piccole zampine, rimbalza con energia verso il suo prescelto.
Il ragazzo sorride e, anche se con un po’ di fatica, si inginocchia per prendere al volo il suo amico – demiveemon…- lo accarezza con vigore, nascondendo dietro un’espressione sfrontata la sua preoccupazione - … dove eri finito?- alla fine quando pochi attimi prima si era svegliato completamente solo, aveva temuto il peggio – come cavolo faccio a tornare a casa se tu non ci sei??- ride, continuando a sfregare il suo pugno sulla testolina dell’essere digitale, ma dentro di se è sollevato nel vederlo ancora al suo fianco –eh? Me lo dici? Come scendo da questa dannata montagna??-lo prende in giro, ma le sue stesse azioni lo tradiscono, lo sta stringendo a se così forte che il piccoletto non ha nemmeno l’aria per rispondere a quel fiume in piena del suo prescelto.
-Davis!- una voce rauca arrivò alle spalle del ragazzo facendolo sussultare e allentare la presa sul suo digimon - smettila di urlare- scocciato per il pessimo risveglio, in ansia come non mai e afflitto da un martellante mal di testa l’ex imperatore assottiglia gli occhi sulla figura, a volte troppo fastidiosa, del suo compagno di viaggio. Compagno che ovviamente non colse l’avvertimento.
- Ken! Mi hai trovato!- gli si avvicinò velocemente, evitando di abbracciarlo solo perché lo vedeva reggersi a malapena in piedi – sei tutto intero?- il suo tono di voce si abbassò, mal celando la sua ansia nel vedere il suo migliore amico appoggiare tutto il suo peso a quello che restava di una colonna di marmo.
Il prescelto scostò con la mano libera i lunghi capelli dal volto, constatando con ribrezzo che erano ricoperti di cemento e di una sostanza liquida che sperava vivamente fosse acqua.
Sospirò frustato, cercando di dimenticare il dolore alla gamba destra che non gli permetteva quasi di camminare – sto bene- tagliò corto, non avevano molto tempo e muoversi ora era la loro principale necessità – Kari?- si guardò attorno, un po’ per cercare la sua compagna e un po’ per cercare il malvagio clown che, al momento, erano le due cose che avevano la priorità più alta rispetto alla sua probabile gamba rotta.
Davis sorrise tristemente e indicò la figura inconscia della ragazza a pochi metri da loro –che facciamo adesso?- una domanda appena sussurrata trattenendo il timore della risposta.
-ce ne andiamo subito- il volto del ragazzo dai capelli corvini si oscurò nella serietà della sua scelta – prendi Kari, non abbiamo tempo di aspettare che si svegli- si staccò dalla colonna, tenendo gli occhi bassi, sperando che la prescelta della luce lo avrebbe perdonato per un simile atto.
- ma… ma…- gli occhi mogano del suo interlocutore si sgranarono all’inverosimile - … e di loro…- indicò con la mano quelle capsule, no, quelle prigioni di vetro, dove erano contenuti i corpi che tanto avevano cercato -… che mi dici? Non vorrai abbandonarli qui, vero?- sapeva già la risposta, ma in cuor suo non voleva accettarla, non dopo tutto quello che avevano passato per arrivare fino a lì.
Ken sospirò pesantemente, cercando di ingoiare quella sensazione di tradimento mista a sconfitta che lo tentava di fare marcia indietro – Davis…- alzò gli occhi per vedere quelli delusi del compagno, sospirò ancora, perché gli rendeva le cose ancora più difficili? – non possiamo fare nulla- il suo tono sembrava chiedere la fine di quella conversazione, chiedendosi per quanto tempo ancora il suo amico volesse continuare a mentire a se stesso.
-non è vero!- i suoi occhi mogano si chiusero quasi a non voler vedere la realtà che lo circondava – possiamo salvarli… possiamo salvarci tutti!- una realtà che era veramente troppo difficile da accettare.
-Davis!- con uno scatto l’ex imperatore colmò la distanza che lo separava dal ragazzo vicino a una crisi di nervi – non c’è nessuno da salvare – gli mise le mani sulle spalle tentando di tenere la sua attenzione su di lui – sono solo corpi senza vita – voltò per pochi secondi lo sguardo, lasciandolo cadere su alcune di quelle prigioni che si erano spezzate nell’esplosione di poco prima – tutti… sono tutti morti – sentiva dentro di se un dolore salire alla vista di alcuni cadaveri riversi e rotti sul quel freddo pavimento o dentro quelle teche ora non più funzionanti – penso… che lo fossero sempre stati…- deglutì cercando di calmarsi, almeno uno di loro doveva rimanere lucido – credo che li tenesse così solo per far funzionare i digivice - non era una certezza, solo una supposizione nata dalle poche parole che aveva pronunciato il pazzo clown.
Davis abbassò lo sguardo, sconsolato e sconfitto. Non disse una sola parola, solo un lieve cenno con il capo per far capire all’amico che era ancora lì con lui. Si voltò e si diresse verso Kari, pronto a fare l’unica cosa che in quel momento aveva ancora il potere di controllare.
Ken poteva dirgli tutto quello che voleva, ma in quel momento nulla avrebbe cancellato la convinzione che quel giorno avevano perso. Piemon stava conducendo la battaglia e loro erano fuori gioco e senza speranza, ora letteralmente.
 
 
 
 
Delicata, come una goccia d’acqua, una mano gentile di un’anima invisibile accarezzò, con un tocco leggero, la guancia della ragazza che serena riposava distesa su di un pavimento spoglio.
Un lieve torpore che durò solo pochi attimi, ma che fu sufficiente per richiamare dal suo sonno quella giovane guerriera.
Una luce leggera e protettiva nacque dal suo petto, avvolgendola nei suoi caldi toni rosati. Era la luce del suo simbolo di prescelta, una luce che anch’essa cercava di spingere la sua coscienza in quel luogo.
I suoi occhi si aprirono lentamente e con fatica, come se fossero rimasti in letargo per un lungo tempo. Sbatté le palpebre più e più volte, nel tentativo vano di mettere a fuoco l’ambiente che la circondava. Vano perché tutto quello che poteva vedere era a malapena se stessa.
Confusa allungò la mano cercando di toccare quella misteriosa nebbia che aveva coperto ogni cosa… ogni cosa tranne lei.
Era strana, osservò, ma al contempo famigliare.
Era calda e accogliente, quasi volesse avvolgerla in un abbraccio.
Era d’orata, per la maggior parte, con allegre sfumature rosse e arancioni che si amalgamavano perfettamente tra di loro.
Sorrise. Non capiva perché, ma per la prima volta da anni si sentiva a casa.
Socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quel bel tepore che riusciva a scaldarle il cuore, facendola sentire al sicuro, amata e protetta.
 
Rimase lì, seduta in quella nebbia d’orata, senza porsi domande o dubbi.
Rimase lì a crogiolarsi in quel calore senza sentire il desiderio di andarsene.
Rimase lì per un tempo indefinito, finché una voce portata dal vento appena sussurrò il suo nome.
 
-Kari- solo una parola, pronunciata con la leggerezza di una goccia di pioggia che s’infrange nel mare. Una parola che, in quel luogo avvolto nella più assoluta quiete, appariva come un urlo assordante.
-che…?- la prescelta spalancò gli occhi, bruscamente risvegliata da quelle belle sensazioni – chi c’è?- si alzò in piedi, mettendosi in posizione di difesa. Lei non era debole e, ora che le tenebre non stavano più succhiando il potere della sua pietra, poteva prendere a calci chiunque minacciasse ciò che era per lei prezioso.
 
Una flebile brezza si mosse dentro quelle nubi dai colori del sole, quasi a voler rispondere alla sua domanda.
Dapprima era solo un alito appena percepibile ma in pochi secondi mutò in una forte raffica il cui nucleo era un piccolo uragano che prese forma davanti a lei.
Chiuse gli occhi, solo per un attimo, attendendo che quel vento stranamente tiepido si fermasse, chissà, forse quando gli avrebbe riaperti avrebbe scoperto il vero aspetto di quel posto.
 
-Kari- ancora una volta quella voce la chiamava. Aveva un tono dolce e morbido, eppure allo stesso tempo triste. – Kari… apri gli occhi… guardami- questa volta non era un sussurro nel vento. No, questa volta era reale ed era davanti a lei.
Più per istinto che per una vera e propria risposta a quella supplica, la prescelta si mosse velocemente, quella voce era così dannatamente familiare da farle male solo a sentirla.
-oh dio!- intorno a lei quel mondo era ancora avvolto in una coltre d’orata, ma in quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri – sei… sei vivo…- davanti a lei c’era la figura corporea e tangibile dell’unico ragazzo che abbia mai amato e per cui aveva smontato mezzo mondo per cercarlo – Tk!-
Corse. Fregandosene se quello era un sogno, una crudele illusione o una verità che tanto desiderava.
Corse. Erano solo pochi metri, ma per lei in quel momento erano sembrati chilometri che solo per farle dispetto non finivano più.
Corse. Sorridendo come una bambina davanti al suo gioco preferito, era cresciuta così in fretta in questi mesi che il solo rivederlo le aveva restituito un pezzo della sua anima e della sua innocenza.
Lui allargò le braccia accogliendola in un abbraccio che avrebbe soffocato chiunque tranne loro, perché per loro quel contatto era fondamentale come l’aria se non di più.
-non ci credo…- rideva Kari, sentendosi per la prima volta in tanto tempo leggera e felice -… sei qui… non sia quanto ti ho cercato…- si accoccolò nel suo petto, memorizzando dentro di lei la sensazione di sicurezza che solo quel contatto le poteva regalare - … tutti dicevano che non c’erano più speranze… - rise trovando questo stesso fatto impossibile visto la digipietra che il destino aveva riservato al suo ragazzo -… ma io sapevo che ti avrei ritrovato-.
Alzò lo sguardo specchiandosi in due pezzi di cielo –si…- rispose Tk sorridendo – mi hai trovato- eppure, nonostante quel sorriso c’era una profonda tristezza nella sua voce.
 
Trascorsero veloci i minuti per i due amanti, nascosti in quel un sogno che per loro si era finalmente realizzato… ma come in ogni sogno prima o poi tutto deve finire.
Tk sospirò rassegnato, era una bella favola quella che stavano vivendo, ma sfortunatamente era solo quello e niente di più e una voce dentro di lui non faceva altro che ricordarglielo.
-Kari…- mise le mani sulle spalle della sua amata, staccandola mal volentieri leggermente da se -… ora devi ascoltarmi…- si morse il labbro, desiderando tanto di non dover nemmeno iniziare quel discorso -… abbiamo poco tempo!-
La prescelta spalancò gli occhi, sbiancando lievemente davanti a quelle parole che non lasciavano presagire nulla di buono – ma che dici Tk?- sorrise, usando tutte le sue forze per cercare di ignorare i sentimenti di tristezza che erano chiaramente dipinti sul volto del suo ragazzo –ora che ci siamo ritrovati, non ci separeranno più…- scostò lo sguardo lontano da quelle iridi del colore del cielo che tanto ha imparato ad amare -… tornerà tutto come prima, ne sono certa…-. 
Tk scosse il capo socchiudendo gli occhi quasi in segno di scusa –no Kari… questo…- si morse il labbro inferiore sapendo bene quanto dolore avrebbe portato quella conversazione alla ragazza – questo non è reale… -
-cosa?- Kari spalancò gli occhi, mentre il suo sorriso, seppur ora palesemente falso, non vacillò – Tk, cosa stai dicendo? Certo che è reale… noi siamo qui… siamo insieme finalmente- eppure nonostante lei credesse in quelle parole, la frase uscì come una preghiera appena udibile.
- Kari…- il volto di lei venne preso delicatamente dalle mani del ragazzo che amava – ora devi concentrarti… - le baciò con dolcezza la fronte come avrebbe fatto una mamma per consolare la sua bambina spaventata – ti ricordi del laboratorio? Ti ricordi di essere venuta a cercarmi lì con Davis e Ken? Ti ricordi quello che hai trovato?- le sue parole erano cariche di una profonda tristezza, quelli sarebbero stati i loro ultimi attimi insieme ed erano condannati a passarli con dolorosi ricordi.
I caldi occhi marroni della prescelta divennero vacui e appannati, anche se lei cercava con tutte le sue forze di rimanere ancorata a quel presente dove Tk la teneva stretta tra le sue braccia, non poteva nascondersi dai frammenti che nella sua mente riemergevano incontrollati.
-ti ricordi?- insistette ancora il prescelto della speranza. Si odiava per questo, ma doveva farlo. Lei doveva capire, solo così sarebbe potuta andare avanti e vivere ancora una volta.
 
Ti ricordi?
Un luogo…
 
Fredde e innaturali luci bluastre…
La terra scambiata per pavimenti in metallo…
Una stanza gelida impregnata dell’odore dei farmaci…
Capsule di vetro… fili ovunque e … e dentro …
Ti ricordi vero?
 
 
Dentro solo morte…
 
Lei annuì, stringendosi con più forza al petto del ragazzo in cerca di calore e conforto – avevamo trovato una buona traccia… e siamo andati al Monte Spirale…- un vecchio incubo che ne conteneva uno nuovo e ancora più orribile del precedente – …datamon… datamon era lì… e l’abbiamo seguito…- rammarico e tristezza erano leggibili nella sua voce, forse alla fine non avrebbe voluto farlo -… fino al suo …- i suoi occhi si spalancano in un’espressione di orrore -… oddio il laboratorio… gli esperimenti…- la sua presa si fa più forte, come più forte è il desiderio di piangere -… i nostri amici erano lì… trattati come cavie…- la rabbia per quella vista rode il suo animo, facendo desiderare alla luce la vendetta -… e noi… ed io non potevo fare nulla.- e infine anche lo sconforto dell’impotenza.
Lui annuì comprensivo, continuando ad accarezzarle dolcemente il capo – si… e poi? Cosa è successo?-
 
Una risata crudele si faceva beffe di loro e dei loro sacrifici…
L’immagine slanciata di un clown che con movimenti eleganti li sovrastava…
La rabbia… tanta rabbia nata da vecchi ricordi…
 
Che cosa è successo?
 
                                                                   Il desiderio di combattere imbottigliato insieme al loro stesso orgoglio…
                                                            L’odio era l’unica emozione che poteva essere letta negli occhi di quei giovani guerrieri…
 
Volevate combattere?
 
Si… solo la sua morte sarebbe stata un giusto pagamento…
 
                                                                L’impotenza si unì alla rabbia e all’odio… distruggendo infine anche le loro ultime speranze…
 
Perché non avete combattuto?
 
                                                            Le risate del demone dal volto dipinto dominavano il silenzio mortale di quel luogo…
Quel luogo troppo piccolo per combattere…
Quel luogo pieno di vite che potevano forse ancore essere salvate…
                                                           Quel luogo dove l’unica via di uscita era bloccata da un nemico che avrebbe dovuto essere imprigionato per sempre…
 
La nebbia che fino a quel momento li aveva avvolti cominciò a diventare lentamente sempre più trasparente, lasciando che quei caldi e familiari toni d’orati perdessero luce e forza. Era uno spettacolo unico contornato però da un sapore malinconico, in fondo sembrava quasi che la vita stessa venisse con una calma inesorabile risucchiata da quel luogo.
Tk alzò lo sguardo osservando tristemente il fenomeno, ringraziando il cielo che Kari non se ne fosse accorta. Troppo poco era il tempo che avevano e l’ultima cosa che voleva era sprecarlo cercando di impedire a lei di lottare contro qualcosa che non si poteva evitare.
-si è liberato…- un sussurro appena pronunciato richiamò bruscamente il prescelto dai suoi pensieri – lui… si è liberato…- una voce carica di rabbia e disgusto che nemmeno cercava di nascondere – come è possibile, Tk?- due occhi oscurati da emozioni negative fissavano ora con forza quelli celesti del giovane – com’è possibile che Lui sia uscito dalla prigione di Magnangemon?- non un’accusa verso il ragazzo o il suo digimon, ma solo l’istintiva ricerca di una ragione a tutto il dolore che la stava colpendo – perché Piemon è vivo e libero mentre loro no?- il prescelto della speranza socchiuse gli occhi davanti alle parole della sua amata. Più volte si era posto la stessa domanda, tormentandosi per la morte dei loro amici. Più volte si era chiesto se tutto questo si sarebbe potuto evitare, se cambiando una qualunque azione le cose si sarebbero rimesse a posto e loro sarebbero stati tutti insieme e felici come lo erano anni addietro.
Tk sospirò, forse era per questo che aveva iniziato a scrivere il suo diario: vivere nei bei ricordi e al contempo cercare di capire che cosa aveva mandato tutto in malora e forse magari un giorno rimediare facendolo comprendere anche al resto del mondo.
Sbuffò, ecco un altro sogno che s’infrangeva, non solo non avrebbe mai finito di scrivere le loro avventure, ma non le avrebbe mai nemmeno pubblicate.
-Kari…- ancora la voce gentile e carica d’affetto del ragazzo fece fermare i tremiti di rabbia repressa dal corpo della sua amata -… non so dirti come sia successo o perché…- il loro abbraccio era diventato un cullarsi a vicenda cercando di darsi reciproca forza e sostegno -… so che ti mancano, esattamente come mancano a me o agli altri, nessuno di noi è stato più lo stesso da quando se ne sono andati…- mai il ragazzo potrà dimenticare il triste giorno in cui lì aveva seppelliti tutti, dandogli il suo ultimo addio, sapendo che non li avrebbe più avuti al suo fianco -…ma tesoro, ti prego, non perdere la speranza, continua a combattere e vedrai che tutto alla fine si sistemerà…- sorrideva dolcemente mentre prendeva con delicatezza il volto della ragazza tra le mani - .. io sarò sempre accanto a te… sempre- tristezza nella sua voce mentre le raccontava una mezza verità che alla fine avrebbe causato un’altra crepa nel suo cuore.
- ma Tk, abbiamo perso…- man mano che i ricordi emergevano dalle retrovie della sua mente il suo dolore aumentava – in quel dannato laboratorio, volevamo combatterlo ma abbiamo perso… - tutte quelle vite dipendevano da lei e lei nemmeno era riuscita a far attivare il suo digivice -… lui non faceva altro che ridere davanti alla nostra impotenza…- rabbia al pensiero che erano arrivati fino a lì con tanti sacrifici e alla fine erano stati messi con le spalle al muro -… bloccandoci la strada …- l’unica uscita era sbarrata dal corpo stesso del loro avversario, dandogli solo una possibilità: arretrare verso il centro - … e minacciando di colpire a caso una qualunque di quelle vasche- stringeva i pugni desiderando che avesse potuto aver in quel momento il potere di eliminare definitivamente quel ghigno crudele che si dipingeva beffardo sul volto del digimon pagliaccio.
Tk annui silenzioso, poteva sentire il suo dolore adesso esattamente come in quegli attimi disperati. L’unica consolazione che gli rimaneva era che almeno era riuscito a fare qualcosa.
-ricordi poi cos’altro è accaduto?- un sussurro dolce che nascondeva il suo desiderio di piangere che lentamente cominciava a farsi sentire.
Kari aggrottò la fronte dubbiosa. Cos’era un sogno, cos’era la realtà? Ormai da anni c’erano momenti in cui non era in grado di distinguerli – una luce… credo… una luce d’orata-.
 
 
Disperato, il corpo della prescelta arretrava cercando una qualunque via di fuga…
Si muoveva da solo, traballante e incerto, senza sapere dove andare, solo seguendo un flebile istinto….
              Dove erano i suoi amici? Dove era il suo digimon?doveva cercarli, ma non riusciva ad abbandonare gli occhi crudeli e derisori del clown che le stavano divorando l’anima…
Erano solo topi in trappola…
Erano solo dei bambini spaventati e impotenti…
Era solo tutto troppo grande per loro …
 
È per questo che hai chiuso gli occhi?
 
                                                                 La speranza era perduta… anche se da quanto tempo aveva rinunciato ad essa non sapeva dirlo…
 
È per questo che ti sei accasciata al suolo senza combattere?
 
                                                                                      Un sorriso su un volto rigato dalle lacrime, gli avrebbe rivisti… avrebbe rivisto coloro che amava e che gli erano stati portati via così slealmente…
 
Chi chiamavi?
 
Sora… il cuore del gruppo…
Codi… una gentile e giovane anima…
Yolei… una geniale amica inestimabile…
 
Stavi piangendo? Per chi?
 
                                                                                Tai… un leader coraggioso che aveva ispirato la nuova generazione di prescelti…
 
e… e per te… l’amore della mia vita…
 
 
 
 
mi hai chiamato?
Sì, per tanto tempo…
E alla fine…
 
Anche se il tempo è limitato…
 
Sono/sei arrivato da te/me
 
La luce inondava quelle fredde pareti di metallo e pietra.
Tre ragazzi spaventati cercavano una soluzione per salvare chi per loro era prezioso.
Un digimon malvagio pregustava la sua vittoria.
E poi tutto si interruppe.
Quella luce assunse i colori d’orati del sole, scacciando le tenebre con i suoi riflessi rossi e arancioni.
Un enorme boato partì dal fondo della stanza.
Un colpo preciso, nato dalla pura speranza di un giovane uomo.
Un tributo d’amore e di coraggio che evitando accuratamente i tre giovani prescelti colpì in pieno il crudele clown.
Un corpo digitale si dissolse, mentre per i tre eroi tutto si oscurava.
La speranza di salvare i prescelti imprigionati era morta insieme a loro, ma la speranza di salvare il futuro era ancora più viva che mai.
 
 
 
I corpi dei due amanti erano ancora uniti in uno stretto e disperato abbraccio che non avrebbero mai voluto spezzare. Gli occhi di entrambi erano chiusi, nessuno dei due voleva aprirli, perché quel semplice gesto avrebbe significato affrontare la realtà che presto li avrebbe colpiti.
-Kari…- Tk si odiava in quel momento, con che coraggio stava di nuovo per spezzare il cuore della sua amata? Con che coraggio le stava di nuovo per dire addio, dandola in pasto a un mondo che la odiava? – Kari ora devi ascoltarmi, il tempo a mia disposizione sta per finire- con che coraggio ora doveva guardare i suoi occhi castani pieni di speranza e amore, per poi portarle via tutto?
-Tk?- le parole della prescelta erano solo un sussurro, certo, aveva ricordato quello che era successo, ma questo non voleva dire che aveva anche accettato le conseguenze di quel gesto.
- amore mio, mi dispiace…- la sua voce aveva iniziato a perdere forza o forse era solo lui che stava esaurendo le energie rimastegli – quella luce… quella luce che aveva invaso il laboratorio veniva dalla mia digipietra e...-
-lo so…- lo interruppe lei cercando di mascherare la sua espressione spaventata dietro un falso e tirato sorriso - … ho riconosciuto il tuo potere… ci hai salvati!- era infantile, lei lo sapeva, ma come poteva lasciarlo continuare, quando in cuor suo conosceva la realtà.
-si, ma per farlo la mia digipietra si è…- si morse il labbro cercando le parole giuste, anche se non sapeva se erano per salutarla o per ritardare quel momento - … estinta…- sussurrò quell’ultima parola forse nella speranza che lei non l’avesse sentita – e con lei…- alzò lo sguardo per vedere il mondo attorno a loro perdere forma e colore, sbiadendo velocemente davanti ai suoi occhi -… si è estinta anche la mia vita.- niente come quella frase avrebbe potuto fare più male a entrambi.
Si dovevano lasciare e sarebbe stato per sempre.
Non avrebbero più avuto seconde possibilità, non ci sarebbe più stato un domani.
Tutto era perso. Tutti i loro sogni. Tutti i castelli di sabbia che si erano fatti pensando al loro domani. Tutto era stato assorbito da quell’unica frase.
La ricerca, le lotte, le continue corse contro il tempo… alla fine tutto si era rilevato vano. Alla fine tutto era svanito nel vento.
-no…- due occhi spalancati lo fissavano increduli –no…- il volto della sua amata era impallidito, erano bastate quelle poche parole per privarla di tutta la luce che aveva in corpo –non è vero…- scuoteva la testa freneticamente, tanto che alcune lunghe ciocche castane s’insediarono fastidiose lungo il suo bel viso – non… non è vero- come un mantra le uniche parole che ora conosceva erano di pura negazione, alla fine nonostante tutta la sua forza d’animo non poteva perdere anche lui.
- mi dispiace…- sussurrò Tk, mentre, beffardo il mondo attorno a loro cominciava a sbiadire sempre più velocemente. Presto, pensò il ragazzo, tutto sarebbe finito – mi dispiace… tanto Kari, non sai che farei per poter rimanere con te e i ragazzi…- le accarezzò dolcemente una guancia, era calda e delicata, avrebbe portato con sé quella sensazione per sempre.
-perdonami Tk…- la prescelta nemmeno di accorse di quello che accadeva attorno a loro, tutto quello che per lei era importante era ora fra le sue braccia, tenuto stretto per paura di non vederlo più -… perdonami per non averti salvato… per non essere arrivata in tempo… - lei piangeva, ma non le importava, perché di nuovo il destino era contro di lei, sottraendole di nuovo qualcuno d’importante -… per non esserti stata vicino quando ti hanno catturato… perdonami per …-
L’abbraccio tra i due si fece più forte, alla fine, anche se cresciuti nel corpo, erano ancora dei ragazzi spaventati che null’altro chiedevano dalla vita se non di rimanere con le persone che amavano.
-shhh… va tutto bene…- Tk la cullava delicatamente, cercando di calmare quei singhiozzi che li laceravano l’anima -… non hai nulla di cui scusarti, non hai fatto nulla di sbagliato…non è stata colpa tua…- la vide scuotere la testa furiosamente, troppo le era capitato nella sua giovane vita per superare da sola anche questo -… non c’era niente che voi potevate fare… eravamo condannati da tempo…- prigionieri nei loro stessi corpi senza la reale possibilità di andarsene – anzi… direi che ci avete salvato… ora possiamo essere liberi- una libertà amara per cui entrambi avrebbero sofferto.
Una lacrima solcò il viso del giovane prescelto, sentiva il suo corpo indebolirsi, ormai il suo tempo era finito. Il suo tanto sofferto viaggio era arrivato al termine.
Guardò le sue mani diventare piano piano trasparenti, anche se stranamente ancora poteva sentirle come quando era… beh era vivo –Kari...- la stanchezza lo stava invadendo facendogli solo desiderare di chiudere gli occhi – so che sarà difficile, ma devi andare avanti…- il mondo attorno a loro era ora solo una sfocatura mal fatta e priva di colori. Il potere delle tre pietre era esaurito – devi portare a termine quello che abbiamo iniziato, devi combattere, anche se adesso ti sembra impossibile…- staccò da se quel corpo che tanto amava, almeno per un’ultima volta la voleva guardare negli occhi, imprimendo nella sua mente ogni singolo dettaglio della donna che aveva rubato il suo cuore – vai avanti… combatti per la tua libertà, conquistala, torna ad amare e ad essere di nuovo felice…-
-no…- lei piangeva, a ogni parola pronunciata ciò che seguiva era solo l’ennesima negazione dall’anima di una bambina spaventata e sola – no…- scuoteva la testa, abbassava gli occhi scappando da quello sguardo triste, sincero e pieno d’amore che aveva davanti –no!- come poteva accettare quello che le stava chiedendo? Come poteva andare avanti quando dalla vita le avevano tolto tutto quello che amava? Come poteva ancora combattere quando la speranza era perduta per sempre?
-Kari…- il sogno stava per finire, pochi secondi e poi lei si sarebbe risvegliata -… non è un addio…- chiuse gli occhi e le baciò la fronte – ci rivedremo un giorno, te lo prometto-. Dentro di se sorrise, giurando a se stesso che se mai avesse avuto un'altra possibilità avrebbe chiesto a questa splendida donna di sposarlo non appena si sarebbero rincontrati. Giurò di aver sentito la sua pietra sbuffare, alla fine la sua speranza era davvero incrollabile.
Kari non ebbe mai il tempo di ribattere perché quelle furono le ultime parole che il destino concesse ai due amanti, la prossima cosa che lei sapeva era di essere in volo nei cieli di digiword stretta tra le braccia dei suoi due migliori amici.
 
 
Digiword – Monte spirale.
 
-AAHHHG!- un urlo di pura rabbia sfondò il silenzio della stanza padronale del castello –maledetti!- il corpo del crudele digimon clown apparve in uno sfarfallio di dati cercando la protezione di quelle fredde mura di pietra decorate con arazzi dai toni cremisi.
Solo la furia degli ultimi avvenimenti lo teneva ancora in piedi, perché altrimenti il suo spirito sarebbe stato come le sue vesti ora a brandelli e bruciacchiate.
Con uno sguardo di puro odio fissò, quasi a volerlo cancellare dal mondo, l’unico solitario digivice che era riuscito a sottrarre tempo addietro al bambino prescelto della speranza. Digivice che ora stava lentamente svanendo dalla sua collezione, trasformandosi in polvere digitale.
-insopportabile moccioso…- sibilò a denti stretti, perdendo per una volta tutta la sua eleganza e compostezza - … questa è la seconda e ultima volta che interferisci…- curioso come lo stesso bambino che aveva causato la sua fine nella battaglia sul monte spirale era riuscito a sconfiggerlo nuovamente quasi cancellando la sua esistenza -…ma… pagherai anche questa…- sorrise malignamente, alla fine avrebbe vinto lui, lo sapeva -… anzi me la pagherete tutti… con tanto d’interessi.- rise sommessamente pregustando l’ormai fine del suo geniale piano, presto il mondo come lo conoscevano gli umani sarebbe stato solo un flebile ricordo.
-Datamon!- richiamò a gran voce il digimon androide al suo cospetto. Digimon che tra l’altro era vivo solo grazie al suo intervento, dato che lo aveva preso al volo prima che la luce della speranza lo friggesse… cosa che aveva quasi fatto finire arrosto lui, ma questo era un dettaglio.
Beh, almeno adesso datamon aveva un doppio debito con lui e lo avrebbe servito fedelmente a vita… Oddio, non che tenesse davvero a quell’essere mezzo vetro e mezza macchina, anzi se in futuro si facesse ammazzare ben venga. Solo che al momento trovare un sostituto sarebbe stato non solo fastidioso, ma anche molto difficile, considerando il fatto che tutti i geni sembrassero essere dalla parte dei prescelti. Ah! Non c’era più nessuno che apprezzasse una sana apocalisse alla vecchia maniera.
- eccomi, mio signore. Avete urlat… cioè chiamato?- il fedele e mezzo bruciacchiato digimon uscì dalle ombre della stanza, dove si era nascosto per lo per evitare di essere travolto dalla furia del suo padrone. Sospirò, chiedendosi perché i prescelti facessero sempre incazzare Piemon quando c’era lui in giro. Non so, non potevano aspettare che fosse al sicuro nei suoi bei laboratori blindati dotati di serrature e allarmi multipli?
Totalmente ignorando le sofferenze del suo servitore, il crudele clown fissava ostinatamente i digivice rimasti in suo possesso, immaginando la sua vendetta compiersi ai danni di tutti coloro che di quel particolare oggetto ne erano investiti -è ora…- sussurrò quasi divertito, certo, le ultime visite che aveva ricevuto gli avevano scombinato un po’ i piani: smascherandolo, danneggiando la sua proprietà e restringendogli i tempi del suo perfetto progetto, ma ormai non si poteva più rimediare. Il tempo di giocare nell’ombra era finito.
Datamon spalancò gli occhi sorpreso – mio signore? Ne siete sicuro? Non è forse troppo rischioso agire adesso?-.
Il padrone del castello si girò lentamente verso il suo servo abbandonando così la contemplazione della sua parete dei trofei – al contrario, dobbiamo agire subito prima che si organizzino- in fondo ora i prescelti avrebbero presto conosciuto chi era il loro nemico e di certo non avrebbero atteso a lungo per un contrattacco – prepara il mio esercito…- respirò pesantemente assaporando quello che sarebbe presto accaduto - … è il momento di mettere in scena l’atto finale del mio piano -.
Datamon annuì inchinandosi, finalmente anche lui avrebbe avuto la sua vendetta – prima la terra o i prescelti a digiword?- alzò lo sguardo per scorgere uno dei tanti schermi dei digivice appesi alla parete. Uno dei tanti che contrariamente alla volontà del suo prescelto stava tradendo il suo stesso ruolo.
Una breve risata fu per alcuni secondi l’unica vera risposta dal suo padrone – entrambi, naturalmente- e quel crudele sghignazzo riprese, più lungo e più forte, rimbombando nel silenzio della stanza padronale.
Il clown rideva… rideva perché in quel momento davanti ai suoi occhi diversi puntini luminosi apparivano in movimento su quegli schermi ormai fuori dal controllo del loro originario destinato, regalando al servo e al padrone una precisa panoramica dell’ubicazione dei prescelti nei due mondi.
Lui aveva già vinto… da tempo aveva già vinto e loro nemmeno l’avevano mai sospettato.
 
 
Terra – città di Odaiba.
 
Una lieve brezza calda, caratteristica tipica dei primi pomeriggi autunnali, avvolgeva con calma una delle zone più grandi della città giapponese e, incredibilmente, anche una delle più solitarie.
In un giardino che ora si stava tingendo delle prime sfumature rosse e arancioni due occhi azzurri osservavano indecisi da diversi minuti il piccolo appezzamento di terra che avevano davanti.
Il ragazzo dai lunghi capelli biondi torturava, cercando di nascondere la sua frustrazione, il povero manico di legno che teneva tra le mani, chiedendosi ogni tre secondi per quale diavolo di motivo riusciva a farsi sempre coinvolgere in situazioni impossibili che ormai avevano superato anche il limite del legale.
-lassù qualcuno mi odia- sussurrò a se stesso, pensando a come quello che stava per fare, gli ricordava stranamente quegli assurdi film horror che tanto piacevano al suo migliore amico ed ex leader della squadra – scommetto che è la tua vendetta per averti alla fine soffiato il ruolo di capo- disse impuntando uno sguardo irritato sulla foto del giovane ragazzo che aveva davanti –vero Tai?- oh, ma avrebbe messo in conto anche questa e gliele avrebbe fatte scontare tutte quando, una volta ritornati in vita, gli avrebbe risbattuto quel cavolo di ruolo in faccia.
- si può sapere con chi diavolo stai brontolando?- una voce maschile lo fece sobbalzare, ricordandogli inevitabilmente come non fosse solo in quella così allegra missione – allora?- la suddetta voce insistette, cercando a malapena di celare una leggera nota di divertimento – Matt, non mi dire che ti sei ammattito del tutto e adesso te la prendi anche con i morti?- beh, alla fine non capita tutti i giorni di dover salvare il mondo passando prima per un cimitero.
Matt sussultò leggermente, cercando di nascondere il fatto che lui in quel momento stava davvero mandando diverse maledizioni alla tomba del suo amico – Mark, fammi il piacere di non dire assurdità – si girò velocemente verso il ragazzo puntandogli contro il badile che teneva in mano nel vano tentativo di apparire minaccioso – questa è una cosa seria, senza contare che è pieno giorno e abbiamo poco tempo – sospirò, pensando alle milioni di conseguenze che sarebbero avvenute se davvero lo avrebbero arrestato per aver profanato un paio di tombe. Diciamo solo che ogni scenario era peggiore di quello precedente.
Improvvisamente un passo marziale fece scricchiolare la bianca ghiaia che ricopriva i vari sentieri che si districavano nel grande cimitero. I due ragazzi si zittirono all’istante, pronti a ricevere l’ennesima sfuriata della giornata.
-che state facendo lì impalati?- mani sui fianchi, broncio visibile e capelli castani raccolti in una coda di cavallo, la digiprescelta dalla sincerità aveva fatto la sua comparsa – prendete i badili, affondateli nel terreno e scavate!- un tono beffardo, che tentava di trasmettere una falsa dose di sicurezza e indifferenza – su forza che non abbiamo tutto il giorno!- girò così velocemente su se stessa che i due ragazzi non ebbero nemmeno il tempo di ribattere – terrò lontano scocciatori e affini, ma voi datevi una mossa!- con passo veloce si allontanò il più possibile da quel piccolo angolo di mondo che con tanta cura avevano creato e custodito in quegli ultimi tempi. Tutto, avrebbe potuto sopportare, tranne il vedere il sonno di due suoi cari amici che veniva disturbato, anche se erano loro a farlo.
Anche se era fatto per un fine superiore.
Anche se questo avrebbe contribuito a restituirglieli.
Scosse la testa cercando di eliminare ogni pensiero, soprattutto quelli grafici. No, non riusciva nemmeno ad accettare di immaginarlo, figuriamoci se poteva starsene lì a vederlo.
Per questo, anche se in realtà aveva già pagato il custode per impedire a chiunque l’accesso a quell’area, se ne stava andando cercando di mettere più spazio possibile tra lei e quel gesto tanto disperato quanto pieno di speranza.
-Mimi…- Matt sussurrò il nome della prescelta, scuotendo lentamente la testa in un segno non negativo ma di reciproca comprensione.
Spostò lo sguardo, osservando tristemente davanti a se, tentando di combattere il desiderio di correre dietro alla ragazza per confortarla. Sospirò, alla fine le loro maschere non erano poi così diverse e incredibilmente avevano entrambe gli stessi difetti e le stesse crepe.
La capiva. Capiva il suo dolore, perché in fondo era lo stesso che provava lui.
Vedeva il suo tentativo di nascondersi dietro a parole grosse e ad atteggiamenti sfacciati.
Sentiva la tensione e l’angoscia che la sua voce trasmetteva.
Percepiva la paura e l’insicurezza che trasudavano in ogni suo gesto.
Tutti messaggi difficili da riconoscere, ma che a lui arrivavano forti e chiari. Forse, perché alla fine erano le stesse increspature che avevano col tempo invaso la sua maschera e che tentava disperatamente di celare al mondo esterno.
Una mano si appoggiò sulla sua spalla costringendolo così ad allontanare il suo sguardo dalla ragazza in fuga –senti Matt…- la voce di Mark aveva perso tutto il sarcasmo e il divertimento che fino a pochi attimi prima la caratterizzava. Dopo tutto il tempo passato insieme, anche se era ancora un estraneo al mondo digitale, poteva benissimo percepire le paure che aleggiavano tra i due prescelti – pensi di riuscirci? Non credo sia un bello spettacolo da vedere- il pensiero del ragazzo andava in quel momento alla tomba della madre che si trovava nel vecchio cimitero della città, chiedendosi se lui avrebbe mai avuto la forza di disturbare il suo sonno, anche se questo avrebbe significato salvare il mondo.
Scosse la testa e guardò verso la direzione presa da quella bella ma rumorosa ragazza. No, decisamente non l’avrebbe fatto. Sarebbe scappato anche lui tentando di ignorare quello che avrebbe rappresentato un gesto inaccettabile.
-non ti preoccupare…- sussurrò Matt, rifiutandosi di abbandonare con lo sguardo quell’erba così verde e viva che ricopriva quella porzione di terreno incriminato – non dobbiamo estrarre le bare o scoperchiarle, abbiamo incastonato i digivice nella parte superiore dei coperchi…- un sospiro di sollievo fu pronunciato alle spalle del biondo, perché per quanto spavaldo e coraggioso, il ragazzo moro, non saltava dalla gioia all’idea di scoprire cosa succedeva al corpo umano dopo anni la sotto – quindi…- continuò il prescelto ignorandolo completamente – dobbiamo rimuovere la terra solo per arrivare a prenderli… non ci metteremo nemmeno molto… spero- commentò mentre si soffermava ancora una volta a guardare la foto del suo migliore amico, forse nella speranza di trovare un’altra soluzione –e poi…- alzò lo sguardo verso l’altro ragazzo e sorrise tristemente – io sono il leader ed è mio compito fare questo-.
Così con un gesto freddo che non credeva di poter fare, conficcò la pala nel terreno, concentrandosi solo nella zona in cui doveva esserci il digivice. Tutto quello che doveva fare era non alzare gli occhi e guardare la foto sulla lapide, poi tutto sarebbe andato bene.
I minuti trascorsero veloci e in silenzio, solo il cinguettare di alcuni uccelli interrompeva il fruscio del metallo contro la terra.
Ogni gesto e ogni movimento erano lenti e calcolati, tutto doveva essere fatto con il massimo rispetto e la massima cura.
Gli occhi erano bassi e la teste chine. Era la cosa giusta da fare, questo lo sapevano bene, ma non significava che ne andassero fieri.
Mark era concentrato sulla tomba della giovane Sora, attento a non toccare le belle piante di rose che avvolgevano con fare protettivo la lapide bianca.
Matt si muoveva sopra quella di Tai, cercando di danneggiare il meno possibile le piante di girasoli che la sorella aveva piantato solo l’anno prima, anche se sfortunatamente un paio avrebbe dovuto sacrificarli.
L’unica consolazione che aveva era che servivano solo quei due digivice, così almeno Yolie e Cody non sarebbero stati disturbati… una magra consolazione.
Scosse la testa cercando di concentrarsi sull’obiettivo di quella macabra missione: il recupero dei digivice originali, tutti quelli che avevano a disposizione, anche se sarebbe più corretto dire tutti quelli che erano rimasti.
Izzy era stato chiaro, per quanto uno sproloquio delirante contornato da termini tecnici possa essere considerato come tale: per portare a termine la sua invenzione e sperare di farla funzionare in un futuro molto prossimo servivano i loro digivice, i digivice dei primi prescelti ad essere andati a digiword.
Matt sbuffò, trovandosi a maledire la volta in cui, anni addietro a quel famoso campo estivo, ebbe la brillante idea di prendere in mano un oggetto avvolto in una luce mistica che era appena caduto dal cielo. Sembrava così carino, così innocente… che ne sapeva lui che apriva un enorme passaggio che li avrebbe portati in un altro mondo…
Sbuffò ancora, spostando con un gesto secco una ciocca dei lunghi capelli dal viso. Era inutile pensarci ora, non con il poco tempo a loro disposizione.
Un rumore sordo attirò la sua attenzione, riportandolo alla realtà delle sue azioni.
-Mark…- un sentimento di sollievo invase il suo animo, almeno adesso sarebbero potuti andare via di lì - … credo che abbiamo trovato quello che cercavamo…- si chinò, inserendo la mano al centro del buco appena fatto – chiudiamo tutto e andiamocene…- l’altro ragazzo imitò i suoi gesti, desiderando davvero di tornare alla sua vita normale.
Dopo pochi minuti le figure di due ragazzi stavano camminando velocemente verso l’uscita più vicina, lasciando come unici segni del loro passaggio un po’ di terra smossa e alcuni girasoli abbandonati.
Il loro obiettivo era stato portato a termine e anche se non fieri di quello che avevano fatto, stringevano gelosamente due piccoli computerini bianchi con lo schermo spento, che in quel momento rappresentavano per loro l’ultima fonte di speranza.
 
 
Digiword – Monte Spirale
 
Un paio d’ore e i generatori del castello erano di nuovo attivi e funzionati, anche se non all’originario cento per cento.
Un nuovo laboratorio è stato preparato solo con l’essenziale, ricoprendo il solo scopo di sostituire alcune funzioni di quello precedente.
Una stanza senza finestre, costruita solo con la fredda pietra, al cui centro padroneggiava l’unico vero pezzo di arredamento esistente… sempre se così si possa definire una grossa macchina dall’aspetto vagamente simile a un ragno.
Diversi cavi partivano dalla stessa collegandola sia ai computer che ai maggiori generatori ancora pienamente funzionanti.
Attorno ad essa un digimon androide si muoveva freneticamente, ignorando la stanchezza e i danni, solo per esaudire l’ordine impartitagli dal suo padrone. In fretta faceva gli ultimi controlli, provvedendo contemporaneamente a collegare tutti i digivice sopravvissuti alla macchina.
Certo, pensò l’essere digitale, anni addietro non erano stati necessari per permettere a Piemon di attraversare un capo all’altro della terra indisturbato, ma adesso la situazione era totalmente diversa. Perché adesso non doveva trasportare un solo digimon ma migliaia.
Sorrise, in fondo era stato fortunato, anche se più della metà dei digivice era andata in polvere, a causa della morte di quei corpi umani che tanto faticosamente avevano collezionato, quelli che rimanevano erano sufficienti per aprire almeno cinque varchi per continente.
Sogghignò crudelmente. Oggi era il giorno in cui avrebbe avuto la sua rivincita sui prescelti, che tanto avevano condannato il suo lavoro.
Sempre attaccati ai loro ideali puri.
Sempre convinti che il bene vincerà sul male.
Sempre convinti che alla fine accadrà un miracolo e tutto si sistemerà.
Che ingenui…
Attaccò l’ultimo digivice in suo possesso e accese la macchina. Tutto era pronto.
-lord Piemon?- spinse uno dei pulsanti nel suo braccio e aprì la comunicazione con il suo oscuro padrone, al momento impegnato a disporre del suo esercito –ho finito… attendo solo un suo segnale-.
Una risata sommessa, quasi trattenuta a stento, si fece eco dal ricevitore del digimon dati – apri i portali… è tempo di dire ai due mondi della nostra esistenza…- è perché no, pensò tra se, andare anche a restituire un paio di favori ai cari bambini prescelti.
 
 
Digiword – settore dei laghi.
 
Joe fissava la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi con aria crucciata e preoccupata.
Fino a pochi attimi prima era bloccato in preda all’ansia nel corridoio davanti alla camera del suo amico sperando di rivederlo ancora con la sua piena sanità mentale, mentre ora fissava il suddetto genio chiedendosi se forse depresso era meglio.
Cioè lui era lì accucciato davanti alla sua porta pregando ogni dio che conosceva di non far crollare definitamente Izzy dopo la scoperta della morte di Willis, quando la porta si spalanca e la fonte delle sue preoccupazioni esce fuori corredo come speady-gonzales verso il laboratorio.
Non una parola. Non una spiegazione… nemmeno un fottuto sguardo lasciato di sfuggita verso di lui. Niente.
E dopo che fa? Comincia a straparlare al telefono, con una persona, che al quel punto sperava fosse Matt, per chiedergli, e questo ha davvero dell’assurdo, di andare a profanare un cimitero. In pieno giorno per giunta!
Ma sì, tanto loro non erano minimamente dei ricercati in fuga per crimini che non hanno commesso, potevano permettersi questo e altro…
Si portò una mano al viso sistemandosi gli occhiali, sperando, forse, che con quel gesto la situazione sarebbe tornata alla normalità. Guardò gogamon alla sua destra e tentomon alla sua sinistra. No, decisamente dai loro sguardi allucinati deduceva che nulla era cambiato.
Riportò l’attenzione davanti a se ritrovandosi a fissare uno stranamente eccitato genio che stava cercando di collegare i loro due digivice a quell’infernale macchina che li stava facendo dannare da mesi.
Ah! Aveva per caso già accennato al fatto che il suddetto genio gli aveva anche sottratto il digivice?
Joe sospirò, trovandosi a sperare ardentemente di non subire attacchi da parte dei nemici finché non riavrebbe avuto indietro il suo piccolo computerino bianco. Altrimenti sarebbe stata dura, molto dura, uscirne fuori vivo.
Scosse la testa cercando di non pensare subito in negativo, in fondo non possono essere davvero così sfortunati… vero?
Un rumore lo risvegliò dai suoi pensieri, probabilmente provocato da qualcosa di metallico che nell’evidente fretta del genio era caduto rovinosamente a terra. Non era nulla di grave, ma era sufficiente a riattirare lo sguardo di Joe al centro della stanza, dove la loro unica speranza di una vita libera sorgeva ingombrante e sovrana.
Aggrottò la fronte perplesso. Era solo una sua impressione o la sfera di energia posta in cima alla struttura era ora leggermente diversa?
Sospirò ancora una volta, riflettendo se era il caso o meno di intromettersi e fare qualche domanda a Izzy, anche se aveva quasi la certezza che non lo avrebbe nemmeno considerato.
-ehm… Izzy?- il ragazzo dai capelli blu avanzò lentamente, sentendosi improvvisamente molto a disagio, come se entrasse in un’area che non gli apparteneva – ecco… non vorrei disturbarti…- decise di usare un tono materno con parole semplici – ma… cosa stai facendo?- si piegò leggermente in avanti nel tentativo di raggiungere al meglio l’amico seduto sul freddo pavimento in metallo, circondato da una marea di cavi e pezzi di cui ignorava l’utilizzo.
Il ragazzo più piccolo si bloccò sul posto, interrompendo il suo lavoro di collegamento e configurazione della macchina –Joe- pronunciò il nome dell’amico come se riconoscesse solo in quel momento la sua presenza.
Passarono qualche secondo immersi in un imbarazzante e scostante silenzio, questo prima che Izzy sorridesse illuminandosi improvvisamente come un albero di natale – ha trovato la soluzione!- si alzò in piedi, quasi facendo perdere l’equilibrio dell’altro con quel gesto – Willis… aveva capito cosa c’era di sbagliato …- per un attimo, per un piccolo e quasi invisibile frangente, tutto il suo entusiasmo venne oscurato dal triste ricordo della perdita del compagno -… e … e ha usato quell’ultimo messaggio per dirmelo – il senso di colpa per non essere riuscito a fare nulla per salvarlo era ancora presente, come un’ombra che per sempre avrebbe avvolto gli occhi porpora del giovane prescelto – ora possiamo davvero riavere le nostre vite…- ma non avrebbe permesso a quel pesante fardello di bloccarlo in un angolo a deprimersi, non adesso che la loro utopia era finalmente a portata di mano -… ora possiamo riavere i nostri amici- non si sarebbe fermato, non questa volta.
Inoltre doveva trovare il modo di convincere Joe che stava bene e che sarebbe andato tutto per il verso giusto. L’ultima cosa che voleva era far preoccupare l’amico più del dovuto, non dopo tutto quello che aveva fatto per lui in questi ultimi anni.
Sorrise. Gliene era tremendamente grato e forse un giorno glielo avrebbe anche detto.
-possiamo sistemare ogni cosa…- no, non si sarebbe fatto vincere dalla paura – Joe, abbiamo una seconda occasione!- sorrise sinceramente come non lo faceva da anni, tutto sarebbe tornato a posto, avrebbero salvato tutti, anche Willis e poi avrebbe attribuito a lui il merito della buona riuscita del loro sogno… dopo avergli fracassato il computer in testa per essere morto, s’intende!
Joe sbatté più e più volte le palpebre, cercando di seguire l’improvviso fiume d’informazioni ed emozioni che gli veniva versato addosso dall’amico.
Registrava quelle parole che da mesi sperava di sentire e mentre che lo faceva si sforzava di non illudersi troppo, perché altrimenti sarebbe stato troppo difficile rialzarsi se avessero fallito.
Avrebbe voluto parlare, chiedere al genio spiegazioni e avere così anche solo una piccola conferma che potesse dare forza alle sue speranze, ma non ne ebbe il tempo poiché un peso non poco considerevole si attaccò al suo braccio e lui si trovò trascinato da un lato all’altro di quel percorso a ostacoli che l’amico chiamava laboratorio.
Se Izzy non fosse stato davanti alla scoperta del secolo, forse avrebbe letto la confusione e la paura sul volto di Joe, ma in quel momento tutti i suoi neuroni erano incentrati sulle infinite possibilità che l’attivazione della macchina avrebbe portato. Doveva solo aspettare il ritorno di Matt e Mimi per i restanti digivice e poi avrebbe dato il via allo spettacolo, perché sì, nella sua mente non c’erano dubbi che avrebbe funzionato.
Quello che ora doveva fare era solo farlo vedere anche a Joe –l’idea di usare il digivice per potersi muovere nel tempo, non era sbagliata…- sorrise Izzy al pensiero degli innumerevoli viaggi che avevano fatto attraverso i due mondi proprio grazie ai particolari poteri di quei piccoli oggetti -… il mio errore era stato quello di usarne solo uno, dando per scontato che funzionasse come per le digiporte…- si diede un leggero colpetto in testa con il palmo della mano scherzando sulla sua stessa ingenuità -… ma alla fine tutto quello che produceva era un piccolo e instabile portale da cui sarebbe passato a malapena uno spillo…- un risultato inutile che aveva scoraggiato il genio e fatto incazzare Matt - … ed ecco che, quando avevo perso le speranze, Willis trova la soluzione!- si ferma all’improvviso dal suo girovagare senza meta, indicando teatralmente con la mano la sfera di cristalli che era nata sopra la macchina – collegare il maggior numero di digivice originali tra loro, rendendoli stabili con un programma di sua invenzione- Izzy guardò fiero il risultato: ora il passaggio era più grande e già più controllabile… e questo solo con due digivice.
Joe seguì il genio senza possibilità di reagire, chiedendosi da quando il suo amico avesse una tale capacità polmonare da fare un simile lungo discorso senza mai riprendere fiato.
Si rimise con un gesto della mano, ora di nuovo libera, a posto gli occhiali, che nella foga del trascinamento gli erano quasi caduti dal naso.
Guardò davanti a se, per accorgersi che Izzy era ritornato al lavoro e che lui era in piedi come un idiota in mezzo alla stanza da un tempo imprecisato. Anche se confuso da tutto sorrise, forse alla fine non era poi un sogno così irrealistico come avevano pensato. Ora non era più solo un progetto per tenere in vita i loro spiriti, evitando così che si spezzassero sotto il peso del loro ruolo. No, era vero e finalmente intangibile.
Chiuse gli occhi richiamando alla memoria la figura del padre.
Presto avrebbe avuto un'altra occasione.
Presto sarebbe stato si nuovo solo un adolescente con una spiccata passione per i libri voluminosi.
Presto avrebbe potuto riprendere in mano quegli studi che ormai da anni aveva abbandonato, realizzando così il suo sogno di seguire le orme del genitore rendendolo così orgoglioso.
Presto avrebbe potuto avere una vita normale da dividere con le sue persone più importanti.
Con un peso in meno sulle spalle si voltò e lasciò l’amico al suo lavoro, non sapendo che il destino è spesso dispettoso, soprattutto quando vuole giocare con le vite degli uomini.
 
 
Terra – Giappone.
Una tazza s’infranse al contatto col suolo, spargendo sulla moquette verde scuro quello che rimaneva del suo contenuto.
La scrivania in legno tremava facendo cadere dalla sua liscia superficie i resti d’innumerevoli progetti lasciti sparsi dal proprietario di quell’ufficio.
La vetrinetta in ferro e vetro minacciava pericolosamente di crollare, con il rischio così di danneggiare e lasciare incustodito il prezioso contenuto.
Le pareti tremavano, tentando si sobbarcarsi il peso dell’intera struttura militare che in quel momento era sfidato da una forza esterna che nessun uomo da solo poteva sperare di affrontare.
Il vecchio generale rimase stranamente calmo in mezzo a tutto quel caos che stava invadendo la sua base. I suoi istinti di guerra presero possesso della sua mente e del suo cuore, facendogli capire subito che quello non era un terremoto nato da una causa naturale, bensì creato da un essere malvagio che alla fine si era dimostrato per quello che era veramente tradendoli tutti.
Uno dei soldati più giovani in quell’istante entrò frenetico nel suo ufficio, quasi sfondando la porta nella sua foga. Era spaventato, lo vedeva chiaramente. Troppo giovane e troppo inesperto per mantenere il sangue freddo davanti a una minaccia di morte.
Il generale chiuse gli occhi, ignorando la voce del giovane che farneticava su portali ed eserciti di mostri. Sapeva che sarebbe successo, che quell’accordo con il clown si sarebbe concluso con un tradimento. Quello che non sapeva era quando sarebbe successo e chi tra i due lo avrebbe fatto.
Sbuffò sentendosi un pivello alle prime armi. Era stato forse troppo fiducioso nelle sue capacità e a giudicare dalla reazione del suo sottoposto aveva giudicato male le reali potenzialità di Piemon.
Scosse la testa, decidendo che non era ancora tutto perduto. Aveva ancora la sua polizza di sicurezza e non aveva motivo di esitare a usarla.
Aprì il cassetto della sua scrivania ed estrasse la scatola nera che solo poco tempo prima aveva segretamente nascosto. Di sicuro con quella non poteva certo abbattere un esercito, ma non era quello il suo obiettivo.
Sbloccò i codici con gesti decisi, continuando a ignorare il caos attorno a lui. Prese con mano salda ed esperta l’impugnatura dell’arma portandola davanti ai suoi occhi per rimirarne la bellezza.
Certo, avrebbe voluto farne creare delle repliche per darle ai suoi soldati, ma era impossibile farlo, almeno senza i digivice.
Dall’unico che aveva conservato o meglio dalla fusione dei suoi pezzi era nata un’arma bianca con sfumature azzurre a cui aveva dato la forma di una pistola.
Strinse la presa, fiero di se stesso. La vera opera d’arte erano i proiettili, creati dall’energia residua di quel digivice e da un potente virus con cui avrebbe cancellato all’istante anche il digimon più micidiale.
Sorrise, caricando l’arma e infilandola nella fondina dei suoi pantaloni. Il momento che tanto aveva atteso era giunto, avrebbe cancellato quel ghigno derisorio dal volto del clown una volta per tutte.
 
 
Terra – Odaiba.
 
Mimi era appoggiata all’enorme cancello di ferro nero che indicava l’entrata del cimitero della sua città natale. Tenendo gli occhi fissi su un cielo azzurro e limpido, attendeva con impazienza e timore il ritorno dei due ragazzi dalla loro missione.
Era la prima volta dalla morte di Sora che si era rifiutata di portare a termine un compito come prescelta, eppure non riusciva a sentirsi in colpa per questo.
Aveva sbagliato molte volte in passato arrivando addirittura a rinnegare se stessa, ma da quando aveva perso la sua migliore amica, il suo unico obiettivo nella vita era diventato quello di redimersi, affinché quando si sarebbero rincontrate, avrebbe potuto sostenere fieramente il suo sguardo.
Aveva portato a termine molti incarichi e c'è da dire che non tutti erano nei limiti della legalità, ma lo aveva fatto a testa alta, sapendo bene che era non solo per la loro sopravvivenza come prescelti ma anche per la salvaguardia di due mondi… eppure…
Eppure nonostante tutto non riusciva nemmeno a concepire il pensiero di toccare anche solo leggermente le tombe dei suoi amici…
anche se lo avrebbero fatto con cura e rispetto…
anche se fosse una scelta necessaria….
Anche se non avrebbero quasi nemmeno toccato la bara…
Sospirò riportando la sua concentrazione sul cielo libero da nubi. Sapeva che Sora non sarebbe mai stata arrabbiata con lei per averla disturbata, ma cavolo non era una cosa per cui era pronta.
Scosse la testa cercando di cancellare questi pensieri, non le avrebbero portato altro che paranoia e lei non se lo poteva permettere.
Un vento freddo le colpì il viso, facendola leggermente rabbrividire. Si strinse le spalle chiedendosi che fine avesse fatto il bel tiepido sole che l’aveva cullata fino a quel momento.
Si bloccò, quando davanti ai suoi occhi il candido azzurro del cielo si trasformò in pochi secondi in un grigio sporco privo di vita e calore.
Il vento aumento di potenza scompigliando i suoi capelli che ora danzavano con esso –oh mio dio…- riuscì a sussurrare a se stessa nel momento in cui apparve qualcosa che ormai sperava di vedere solo nei suoi incubi -… non è possibile-
Nel cielo della città dove era cresciuta, apparve un enorme portale e in pochi secondi si scatenò l’inferno.
 
Continua…
 
 
Ok, spero che il capitolo vi sia piaciuto^^.
Allooooora vi rompo solo per darvi due messaggi:
  • la storia sta per concludersi, prevedo un altro chappy con l’epilogo (al massimo se è lungo due chappy + epilogo)
  • altra cosetta… sono entrata nel fantastico mondo del lavoro, quindi il mio tempo per scrivere è (come avrete notato dalla mia lunga assenza) più limitato. Tutto quello che posso assicurare e che finirò questa storia, nella sempre ovvia speranza di non metterci di nuovo mesi ad aggiornare.
 
Grazie a tutti per aver letto
Lau2888
 
 
 
 
  
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