Capitolo Quattro: il Custode
dei Cancelli
La
vedetta sentì la gola attorcigliarsi quando avvistarono la
sagoma della dimora
del Custode.
Un’enorme
piattaforma reggeva un castello le cui pareti erano formate da
meccanismi
dall’aria estremamente complessa, e le cui torrette
sbuffavano fumo a
intervalli precisi. Ogni cosa nel castello era regolata in modo da
perpetrare
il moto della Fortezza: non vi era porta, finestra o parete che non
fosse
ricoperta da ingranaggi in movimento; il castello era un unico muscolo
pulsante.
Quattro
enormi pinne si allungavano e si muovevano pigre come quelle delle
testuggini
marine, orientando la direzione della Fortezza.
«Obiettivo
avvistato» avvisò con un urlo. «Siete
pronti?»
Dalla
scialuppa, sei teste risposero con un cenno affermativo.
«In
bocca al lupo, capitano» augurò il marinaio.
«Vice» aggiunse, chinando la testa
con umiltà. «Tornate vittoriosi.»
Lovino,
Antonio e i quattro mozzi armeggiarono con le corde per calare la
scialuppa; i
razzi rombarono potenti, facendo librare l’imbarcazione verso
la Fortezza.
«Chiediamo
il permesso di atterrare» gridò un mozzo,
sporgendosi dal parapetto ma senza
uscire dall’atmosfera artificiale. «Non veniamo con
intenzioni bellicose.»
Lo
spazio rimase silenzioso e fermo attorno a loro.
«Dite
che non mi hanno sentito?» balbettò, impaurito da
quella stasi innaturale.
«Torniamo»
decise Antonio. «Adesso.»
Lovino
avrebbe voluto fermarlo, ma l’espressione livida del capitano
lo ammutolì. Se Antonio
aveva motivo di temere quel castello fluttuante, lo avrebbero seguito
nella sua
ritirata.
Il
marinaio addetto si piazzò nella postazione di controllo per
girare la
scialuppa, ma fu interrotto dal grido terrorizzato di un suo collega.
«Che
diavolo è quello?»
Lovino
si sporse dalla barca, e il sangue gli si raggelò nelle vene.
Un
uomo, circondato da una sfera di atmosfera artificiale, avanzava verso
di loro
con la spietatezza di un lupo siberiano. Il pesante cappotto e la
sciarpa
volteggiavano intorno a lui come drappi funebri, e le mani guantate
erano
strattonate all’indietro dalla pesante mazza ferrata che
reggevano.
«I
comandi non rispondono, capitano!» sberciò il
marinaio, preda del panico.
Antonio
impugnò l’ascia e Lovino congiunse le mani per
richiamare Roma, mentre il
gigante d’uomo divorava lo spazio con la sua corsa animalesca.
La
scialuppa quasi si rovesciò quando il Custode
atterrò al suo interno con un
pesante balzo; Antonio si parò davanti a Lovino e
intercettò il primo colpo di
mazza ferrata con la sua ascia.
Uno
strano ghigno si dipinse negli occhi dell’uomo, semi nascosti
dalla sciarpa.
«Antonio
Fernandez Carriedo» lo riconobbe il gigante. Fece pressione
sull’arma,
costringendo il capitano a piegarsi sulle ginocchia. «La Mano
Destra del
Diavolo. E dite venire in pace?»
Un
marinaio estrasse il pugnale dallo stivale e tentò di
colpire il Custode. Il
gigante risolse la questione con due movimenti di polso: la mazza
ferrata
precipitò sulla testa del mozzo, facendola esplodere come un
melograno maturo,
per poi tornare a bloccare l’ascia del capitano. Lo stomaco
di Antonio si
rivoltò quando il sangue misto a materia cerebrale del suo
sottoposto gli colò
sul viso dagli spuntoni dell’arma dell’uomo.
«Non
mi sembrate pacifici» notò il gigante.
«Non
muovetevi!» comandò Antonio, bloccando i suoi
uomini pronti ad aiutarlo: non
avrebbero fatto che suicidarsi contro quella mazza ferrata implacabile.
Roma
si sollevò dalle spalle di Lovino e si lanciò
contro il Custode con un ringhio.
L’uomo evitò la fiera spostandosi di lato di un
passo, e abbatté la sua arma anche
su di lei. Roma si dissolse sotto l’impatto con la mazza
ferrata, e si riformò
di fianco al suo padrone.
«Sei
un mago?» si sorprese con calma il gigante, avvicinandosi al
ragazzo.
Lovino
poggiò una mano sul collo di Roma, pronto a incitarlo
all’attacco, ma uno scudo
migliore del lupo si parò davanti a lui: la figura del
capitano si stagliò
davanti ai suoi occhi, l’ascia spianata contro il Custode.
Il
gigante non si fece scoraggiare da quell’imprevisto:
roteò la mazza,
costringendo il capitano a pararla con l’ascia, e lo
colpì crudelmente alla
caviglia con il pesante stivale. Il rumore dell’osso spezzato
schioccò tremendo
all’interno dell’atmosfera artificiale, e Antonio
cadde a terra con un grido di
dolore, aggrappato alla sua arma.
«Prima
ordinate ai vostri uomini di stare fermi e poi mi attaccate»
lo biasimò l’uomo,
dall’alto della sua statura imponente. La reazione del
capitano lo colse di
sprovvista: il manico dell’ascia si allungò
improvvisamente, e la lama si
espanse fino a tagliargli la sciarpa e la guancia. L’uomo si
abbassò un secondo
prima che quell’arma potesse dividergli la testa a
metà.
«Non
voglio che i miei uomini muoiano inutilmente»
decretò Antonio, un velo di
lacrime nell’angolo degli occhi per la caviglia spezzata.
«Ma anche io ho delle
cose che voglio proteggere.»
La
mazza ferrata dell’uomo svettò nel cielo, e gli
astri circostanti gettarono una
luce macabra sulle chiazze scure incrostate su quell’arma.
«Dunque
sarete disposto a morire, per difenderle.»
L’uomo
caricò il braccio all’indietro; Antonio si
preparò a parare il colpo con
l’ascia; Lovino si gettò in avanti, cercando
inutilmente di frenare quella
degenerazione di eventi.
Il
tempo sembrò cristallizzarsi in quell’unico
istante in cui il gigante si fermò
come se lo avessero ibernato, e inclinò il capo di lato per
ascoltare un
sussurro udibile solo a lui.
L’uomo
depose la mazza sulla propria spalla e proclamò, rivolto a
Lovino:
«Pare
che tu sia prezioso. Sei autorizzato a scendere nella Fortezza Errante.
Ma tu
solamente.»
Lo
sgomento atrofizzò l’anima dei marinai, e
lasciò Lovino completamente attonito.
Con chi aveva parlato il gigante, per cambiare idea in modo
così repentino?
«Vuoi
scendere?» lo incalzò l’uomo.
Lovino
si riscosse con un tremito. Era terrorizzato dalla forza spaventosa di
quell’uomo, e non osava pensare cosa sarebbe stato capace di
fare una volta
raggiunto il suo castello. Ma era l’unico modo per liberare
l’Hellsing, e per
avvicinarsi di un passo alla liberazione del fratello.
Antonio
non gli permise di scendere dalla barca da solo: lo afferrò
in vita con un
braccio e lo strattonò violentemente contro di sé.
«Che
accidenti fai?» si ribellò Lovino, prima che il
capitano contrattasse:
«Questo
ragazzo è prezioso anche per noi. Non possiamo lasciarlo
andare da solo.
Capisco che tu non voglia intrusi nel tuo castello, ma dovrai accettare
perlomeno la mia presenza, se vuoi che lui ti segua.»
Gli
occhi del gigante lo fissarono dall’alto, con una sicurezza
venata di
disprezzo.
«Come
preferite. Vi avrei sconfitto mentre eravate al pieno delle forze.
Dubito che
possiate infastidirmi, ora che siete azzoppato.»
«Capitano…»
cercarono di dissuaderlo i suoi uomini, ma Antonio fu irremovibile:
«Aspettateci
sull’Aereonave. Torneremo sicuramente. Entrambi.»
E
i quattro marinai non poterono fare altro che osservare impotenti,
mentre
Lovino si autopromuoveva a stampella di Antonio e insieme seguivano il
gigante
nella sua tana.
***
Feliciano
osservò annoiato il disegno sulla lavagna di fronte a lui.
I
vertici di due triangoli stesi in orizzontale si toccavano al centro di
una
forma a cristallo, il tutto inscritto in un cerchio. Era il simbolo
della
Confederazione Siderale, e un buon Asse doveva conoscerne
l’esatta simbologia.
«Cosa
rappresenta questo triangolo?» lo interrogò
Ludwig, puntando il dito sulla
figura di sinistra.
«Sono
le Tre Spade» recitò Feliciano e procedette a
elencare: «Il Mago dell’Ovest, il
Samurai e il Guardiano. L’altro triangolo, invece,
rappresenta i Tre Scudi: il
Custode dei Cancelli, il Figlio del Cielo e l’Asse»
indicò il punto in cui le
due figure si congiungevano al centro del cristallo e
terminò: «In questo punto
i due triangoli si incontrano poiché il Guardiano e
l’Asse sono indivisibili
all’interno del Palazzo di Quarzo.»
«Molto
bene» si complimentò Ludwig. «E ti
ricordi la provenienza di queste persone?»
«Il
Mago dell’Ovest protegge la Compagnia di Britannia, il
Samurai difende il
Sistema Asean assieme al Figlio del Cielo, e il Custode dei Cancelli
vaga per
la Confederazione sulla sua Fortezza Errante»
salmodiò flemmatico Feliciano.
«E
i sei punti in cui i triangoli e i vertici del cristallo toccano il
cerchio?»
«Rappresentano
le sei Fortezze. Tre prigioni, un tribunale e due avamposti di
polizia.»
Il
volto di Feliciano cambiò bruscamente espressione quando
Ludwig pose la domanda
finale:
«Quali
sono le forze non presenti in questo schema?»
Anche
suo fratello era tra i ripudiati da una gerarchia che non aveva
pietà per i
diversi. Feliciano pettinò all’indietro la frangia
ramata e mormorò, il ricordo
del gemello conficcato come una spina nel cuore:
«Sono
i Tre Sparvieri. La Mano Destra del Diavolo, il Marauder e
l’Hellsing. La Mano
Destra del Diavolo è ancora in circolazione, il Marauder
è scomparso
misteriosamente e l’Hellsing è rinchiuso nella
Prigione Caina…» l’Asse si
fermò, sbigottito dall’espressione di Ludwig: non
aveva mosso un muscolo ma
all’improvviso tutto, in lui, era diventato
l’emblema della sofferenza.
«Ludwig?»
lo chiamò Feliciano, e il Guardiano si
riappropriò in un secondo della sua
compostezza.
«Non
è nulla» cercò di sorvolare, ma
Feliciano non gli permise di fuggire:
«Conoscevi
l’Hellsing?»
Ludwig
si asserragliò in un mutismo cupo. Feliciano si
sentì quasi ferito dal riserbo
del giovane e protestò:
«Sai
che non lo dirò a nessuno. Abbiamo stretto un patto: uscire
da qui insieme. E
sai che non lo tradirò. Però tu conosci i miei
motivi, ma io non conosco i
tuoi. Non è giusto.»
Gli
occhi azzurri si posarono su di lui e Feliciano vi lesse tutta la
spietata
bellezza delle lande gelide in cui era cresciuto il giovane.
«Non
lo dico perché non mi fido di te. Ma è qualcosa
che… brucia, ancora» Ludwig
aggrottò le sopracciglia e ammise in un ruggito stanco:
«Gli devo la vita. Gli
devo tutto. E non l’ho mai ricambiato.»
«È
tuo fratello?»
Prima
delle parole lo raggiunse il tocco gentile della mano
dell’Asse, che si adagiò
delicata sul suo bicipite. Ludwig fissò quelle dita,
così piccole in confronto
al suo braccio. Un tempo, quella mano era stata la sua, e il braccio
quello
dell’Hellsing. Si chiedeva se anche allo sterminatore di
demoni quelle dita
fossero sembrate così minuscole e fragili.
«Era
tutto quello che avevo» rispose Ludwig, con una tetra
malinconia ad
appesantirgli la voce.
Feliciano
abbassò gli occhi, troppo vergognoso per pronunciare
quell’invito fissando il
volto del suo Guardiano.
«Puoi
abbracciarmi, se vuoi.»
La
pendola scandì qualche rintocco prima che Ludwig spezzasse
quella stasi
avvolgendo con le braccia muscolose il corpo minuto di Feliciano. Non
era un
fisico adatto a sostenere un intero Universo: quella schiena esile si
sarebbe
spezzata, e le spalle strette sarebbero state polverizzate dal peso
della
Confederazione.
L’affermazione
dell’Asse scivolò sulla divisa e lo
accarezzò sulla guancia con la dolcezza di
una carezza materna.
«Non
sei solo, Ludwig.»
Il
Guardiano cinse più forte quel fisico di giunco, e le
vaporose maniche
dell’Asse calarono sulla sua schiena quando il giovane
alzò le braccia per
ricambiare la stretta. Lo tenne avvinto a sé nel ricordargli
la loro promessa:
«Nemmeno
tu sei solo.»
E
le braccia sottili dell’Asse si strinsero con più
forza attorno al suo dorso.
***
Antonio
era seduto su una poltrona ricavata dall’incastro di
complessi marchingegni, e
Lovino stava appollaiato sul bracciolo, le braccia che circondavano il
capo di
Antonio. Quello stupido si era fatto azzoppare, quindi era suo compito
proteggerlo.
Lanciò
un’occhiata in tralice al gigante in piedi in fondo alla sala
dalle pareti
meccaniche piene di stantuffi, pompe e ingranaggi in movimento.
Il
cappotto che indossava scendeva dritto e pesante fino a scoprire gli
stivali
rinforzati di metallo, e i guanti sembravano ricavati da pelle di drago
tanto
il loro tessuto era spesso. L’unico dettaglio leggero del suo
abbigliamento era
la sciarpa color crema, su cui spiccavano i grandi occhi violacei
dell’omone.
Le ciglia che contornavano quelle iridi distaccate erano color paglia
delle
steppe, come la corta chioma dell’uomo. Non aveva abbandonato
la mazza ferrata,
che pendeva leziosa dalla sua spalla, con il sangue del loro compagno
che pian
piano si raggrumava sulla sua superficie.
«Qual
è il tuo nome, ragazzo?» domandò il
gigante, con la placidità di chi sa di
essere obbedito.
«Lovino»
rispose l’interpellato, con voce ferma.
«Il
tuo nome completo» esigette l’uomo.
Antonio
sentì le mani del giovane fremere per uno scatto nervoso nel
pronunciare il suo
odiato cognome.
«Lovino
Vargas.»
Le
sopracciglia del gigante si alzarono appena, esprimendo una moderata
meraviglia.
«Vargas
è il nome della famiglia Vaticana che offre i suoi
primogeniti al Palazzo di
Quarzo» recitò l’uomo. «Come
mai un Vaticano fa parte della ciurma di Carriedo?»
«Non
sono più un Vaticano» eruppe Lovino, e
sollevò i capelli mostrando la nuca al
gigante. La ferita si era rimarginata, ma la cicatrice a forma di croce
era
ancora ben visibile sul suo collo. «I miei poteri erano
immorali, e dovevo
restituire la mia metà di anima a mio fratello. Per questo
mi hanno gettato su
un pianeta desertico a morire.»
«Non
sapevo che il ragazzo destinato a diventare Asse avesse un
fratello.»
«Non
siete il primo a dirmelo.»
Il
gigante appoggiò la mazza ferrata al muro, abbastanza vicino
da poterla
recuperare semplicemente stendendo il braccio, e seguitò:
«Perché
siete venuti qui?»
«Abbiamo
bisogno del vostro aiuto per arrivare alla Prigione Caina. Solo per
arrivare.
Il resto spetta a noi» affermò Antonio,
trattenendo a stento un gemito per la
caviglia sconquassata.
Gli
occhi dell’uomo rimasero freddi come gli inverni del pianeta
Siberia mentre li
interrogava:
«Avete
intenzione di risvegliare lo Sparviero vostro compare?»
«Esattamente»
avvalorò Antonio.
«A
quale scopo?»
«È
necessario per infrangere le barriere del Palazzo di Quarzo e liberare
mio
fratello» s’infervorò Lovino.
«Avete
intenzione di attaccare il Vaticano e lo ammettete con tanta
leggerezza?»
«Non
ci servirebbero a molto le menzogne, contro di voi»
sogghignò amaro Antonio.
Ivan
annuì, tuffando il viso nella sciarpa.
«Cosa
ne pensi?» chiese, rivolto apparentemente al nulla.
Due
grosse ruote dentate emisero un rantolo metallico, permettendo a una
porta
nascosta di aprirsi.
Antonio
sentì Lovino trasalire per lo stupore, e la cosa non lo
sorprese: perfino lui
aveva sentito il sangue gridare per la sorpresa, alla vista del nuovo
arrivato.
La
nascita nella parte orientale della Confederazione aveva modellato i
suoi occhi
scuri nella particolare forma a mandorla delle popolazioni del Sistema
Asean,
allo stesso modo in cui anche il fisico e i lineamenti del viso
ricalcavano
l’ideale asiatico. Una lunga coda di capelli mogano scendeva
sinuosa sulla
tunica orientale dalle tinte infuocate, stretta in vita da una fascia
dorata e
completata da un paio di larghi pantaloni bianchi.
Ma
non furono tutti quei dettagli esotici a far sussultare i due pirati:
entrambi
riconobbero il medaglione di rubino a forma di drago che pendeva dal
collo del
giovane.
«Yao
Wang, il Figlio del Cielo!» esclamò Lovino.
«Cosa ci fate qui?»
«È
una storia lunga quanto la vostra. E temo che dovrà
aspettare» l’orientale
nascose i polsi nelle ampie maniche della tunica e si rivolse al
gigante: «È
come ti ho detto, Ivan: noi siamo il terremoto che scuoterà
la Confederazione.»
«Siete
stato voi a fermarlo, prima?» indagò Antonio.
L’orientale
chinò il capo in un assenso, portando i suoi occhi dal
taglio obliquo su di
lui.
«Perché?
Non potevate lasciare che ci ammazzasse, come ha fatto con il nostro
collega?»
il ricordo dell’esplosione della testa del suo sottoposto gli
incendiò le
parole sulla lingua, che si conficcarono come dardi di fuoco nel petto
del
Figlio del Cielo.
«Sono
spiacente per la vostra perdita» si rammaricò Yao.
«Ma è il nostro modo di
difenderci, per quanto brutale. Anche voi avete ucciso numerose persone
sul
vostro cammino, ed eravate disposto ad attaccare Ivan, se avesse
cercato di
rubarvi quel ragazzo.»
Antonio
conosceva la dura legge del più forte, così a
fondo che non poté replicare. E
nel suo silenzio si inserì Ivan:
«La
Confederazione sta andando incontro alla sua distruzione. Il Figlio del
Cielo è
stato detronizzato, gli Sparvieri sono prossimi al risveglio, e nella
famiglia
Vargas sono nati dei gemelli.»
«Come
potete sapere che gli Sparvieri sono prossimi al risveglio?»
«Come
sapevate che sono un Vaticano?» domandarono in sincrono
Antonio e Lovino.
Yao
rispose ai loro quesiti con eleganza e tranquillità:
«Se
anche voi non risvegliaste l’Hellsing, il Mago
dell’Ovest cercherà il Marauder,
prima o poi. L’ho visto nella sua aura, durante
l’ultimo incontro ufficiale. E
non sapevo che voi foste un Vaticano: ho semplicemente avvertito
l’energia Yang
particolarmente forte dentro di voi.»
«Yang?»
gli fece eco Lovino.
«
La forza dell’opposto» Yao optò per una
spiegazione più elementare: «In questo
mondo esistono varie forze: la luce, la gentilezza, il fuoco e
così via. Ognuna
di queste cose ha il suo contrario e, senza di esso, nulla esisterebbe.
Non si
può conoscere il caldo se prima non si sperimenta il
freddo.»
«In
altre parole, io sono qualcosa di malvagio.»
L’orientale
gli si accostò lentamente, in modo che le sue parole
potessero raggiungerlo
meglio:
«Voi
avete semplicemente il potere del contrario. E non sottovalutatelo,
è una
risorsa enorme. Se ben sfruttato, potreste annullare i poteri dei
vostri nemici
attaccandoli con il loro opposto. Se un nemico vi attaccasse con il
fuoco,
potreste subito opporvi l’acqua e così
via.»
Il
corpo di Lovino si irrigidì per la sorpresa, e la replica si
trascinò a fatica
sulla sua lingua intorpidita:
«Mi
hanno sempre detto che il mio potere era
l’ombra…»
«Questo
unicamente perché il vostro gemello ha ereditato i poteri di
luce, e voi, per
riflesso, avete ereditato l’opposto. Ma in realtà,
il vostro potenziale è molto
più vasto, così come lo è quello del
vostro gemello. E vi rivelerò un altro
segreto: nella massima ombra, esiste sempre una punta di luce
così come nella
massima luce sopravvive uno spicchio d’ombra.»
Lasciò
il ragazzo a squagliarsi in quella rivelazione sconvolgente e
raccontò, rivolto
al capitano:
«Vi
è anche un altro motivo per cui riteniamo che la
Confederazione sia prossima
allo sfacelo. Sono nato sotto la benedizione dell’astro del
Fuoco. E un
regnante sotto questo segno compare solo quando è necessario
bruciare il mondo
e farne partire uno nuovo dalle ceneri.»
«E
voi basate le vostre azioni su auspici e predizioni?» li
screditò Antonio.
Gli
occhi dell’orientale si assottigliarono in una calma che
affondava le sue
radici nella spietatezza, e non nella seraficità mostrata
fino a quel momento
dal giovane.
«È
bastata una superstizione perché un padre abbandonasse un
figlio, una diceria
per imprigionare l’Hellsing e una maledizione per scagliarmi
lontano dal mio
trono» Yao ricostruì velocemente la sua facciata
aristocratica e terminò: «Se
preferite una motivazione più razionale, posso fornirvela:
il marcio che la
Confederazione si è sforzata di nascondere la sta corrodendo
nelle fondamenta. È
questione di tempo prima che tracolli. Per cui, è meglio
rinnovarla con le
nostre stesse mani prima che si corrompa del tutto.»
Il
gigante si portò alle spalle di Yao e tuonò:
«Vi
accompagneremo alla Prigione Caina. Partiremo domani mattina. Potete
tornare
dal vostro equipaggio.»
I
due pirati restarono mineralizzati
dall’incredulità, e non si mossero
finché
Ivan non ripeté il suo invito.
Lovino
si appostò di nuovo al fianco di Antonio per aiutarlo a
camminare con la sua
caviglia fracassata, e uscirono prima che quel gigante capriccioso
cambiasse di
nuovo opinione.
«Perché
ti sei messo in mezzo?» lo incalzò Lovino, quando
furono soli.
«Potevi
morire. È normale» limitò Antonio.
«Perché
hai insistito per venire fin qui?» il giovane gli
pizzicò il fianco, come
sostituto della testata che non poteva dargli per pietà dal
suo claudicare.
«Non
volevo lasciarti da solo.»
«Ma
perché?»
Le
dita del capitano lo solleticarono sotto il mento, e Antonio ammise:
«Perché
continuo a sperare di riuscire a distrarti dalla tua unica meta,
Lovino. Non
voglio distoglierti totalmente. Ma una deviazione momentanea sarebbe
gradita.»
Le
guance del ragazzo diventarono rosse, ma il suo tono di voce fu
scarlatto:
«E
ti saresti quasi fatto ammazzare per…»
«Per
proteggerti. Ti sembra un motivo così deprecabile?»
Lovino
capì di aver perso vedendo l’espressione deliziata
del capitano e cambiò
argomento, rimbrottando:
«Il
Figlio del Cielo ha detto che anche in me…
c’è un po’ di luce.»
«Onestamente,
Lovino… credo che tu sia l’unico a non aver visto
la luce dentro di te.»
«Come
fai a dirlo?»
Antonio
lasciò che fossero i fatti a parlare: raggiunsero la porta,
e un boato di
esclamazioni gioiose li investì.
«Guardali»
lo incitò il capitano. «Credi che sarebbero
così contenti di rivederti, se non
avessero scorto qualcosa di buono in te?»
«Sono
contenti perché ci sei tu con me…»
«Lovino»
si impose Antonio. «Cerca di fidarti delle persone, qualche
volta.»
La
scialuppa si accostò al bordo della Fortezza Errante, e i
mozzi aiutarono
Lovino a caricare il capitano ferito a bordo.
Il
ragazzo si sedette di fianco al capitano e lo fissò di
sottecchi, mentre i
marinai cominciavano le manovre per risalire sull’Aereonave.
Fidarsi
degli altri. Erano anni che non lo faceva.
Forse,
una persona pronta a rischiare la vita per proteggerlo meritava
un’opportunità.
Anche se trovava tremendamente irritante che il primo individuo a
meritarsi la
possibilità di ottenere la sua fiducia fosse quel
capitano.
***
Yao
si alzò sulle punte dei piedi e Ivan fletté
lievemente le ginocchia per
permettergli di controllare le condizioni della sua sciarpa.
«È
solo un taglietto. Si può ricucire facilmente»
decretò, stendendo la striscia
di tessuto sul letto con la cura con cui avrebbe fatto adagiare un
malato. Fu
così che la frecciata di Ivan lo colpì alle
spalle:
«Loro
si occuperanno di far crollare il Vaticano. Sarai davvero pronto a
uccidere
Kiku, quando verrà il momento?»
«Hai
promesso di aiutarmi» minimizzò Yao,
concentrandosi con fin troppa convinzione
sullo sfregio della sciarpa.
Il
corpo dell’uomo calò con delicatezza sul suo,
piegato sul materasso a valutare
i danni della stoffa, e la domanda successiva di Ivan gli
pugnalò direttamente
l’orecchio:
«Sei
ancora affezionato a Kiku, nonostante tutto quello che ti ha
fatto?»
Lo
schiaffo fu tremendamente veloce e centrò la sua guancia con
tanta forza da
fargli voltare la faccia.
«Non
pronunciare il suo nome davanti a me» impose Yao, con il tono
che usava per
farsi obbedire nel Tempio del Cielo. Tuttavia, Ivan non era uno dei
suoi
servitori di allora: lo scaraventò senza troppa gentilezza
sul letto, e lo
bloccò sul materasso premendogli una mano di acciaio sulla
spalla.
«Se
provi ancora dei sentimenti, devi reprimerli prima di trovarti di
fronte a lui,
o esiterai nel momento meno opportuno, e tutti i nostri sforzi saranno
vani»
gli ricordò brutale, accentuando la presa fino a che non
divenne dolorosa. «Se
vuoi rovesciare la Confederazione, è l’unica
via.»
Anche
se la sua forza fisica era inutile contro Ivan, come un gatto che cerca
di
vincere contro un orso, Yao conficcò le unghie nella giacca
spessa del
compagno, e sbottò:
«Non
mi sottovalutare! Ho vissuto molti più anni di te, so su
quali regole gira
questo Universo malato! Solo…»
l’orientale prese fiato per gettare contro
l’uomo la sua invettiva: «Ho visto crescere quel
ragazzo dal giorno in cui è
venuto al mondo. Per cui non ho intenzione di ucciderlo come farei con
un estraneo.»
Yao
tolse le dita dal polso dell’uomo e concluse, voltando la
testa:
«Il
risultato non cambia, è questo
l’importante.»
La
mano di Ivan smise di inchiodarlo al materasso, e la voce stessa
dell’uomo
suonò indistintamente più delicata
nell’avvertirlo:
«Io
non ricordo come sia uccidere provando dei sentimenti. Ma immagino che
sia come
attraversare l’Inferno mille volte.»
Yao
non aveva intenzione di protrarre quella discussione, lo comprese nel
momento
in cui le iridi dell’orientale dirottarono sulla sua gota
gonfia, visibile
nonostante il collo alto del cappotto.
«Non
farmi arrabbiare di nuovo. Non mi piace schiaffeggiarti» lo
redarguì Yao.
La
mano affusolata del cinese salì cauta a slacciare la
cerniera del cappotto,
quel tanto che bastava per vedere la bocca di Ivan emergere dai bordi
rialzati
del colletto.
A
volte, Ivan era sorprendentemente facile da prevedere, come un bambino
troppo
cresciuto e troppo viziato. Anche allora, non indugiò
ulteriormente per
congiungere le labbra a quelle dell’orientale disteso sotto
di lui. La lingua
di Yao era calda, al contrario della sua, e il corpo
dell’Asean rabbrividì
sotto le sue dita gelide, spogliate dei guanti.
«Sei
ancora freddo…» soffiò Yao nella sua
bocca.
Non
si ribellò quando il petto artico dell’uomo si
appoggiò sul suo; allargò le
braccia e lo strinse a sé finché parte del suo
calore non trasmigrò sulla pelle
del compagno.
Ivan
poggiò una guancia sullo sterno bollente
dell’orientale, una mano appoggiata al
suo petto e gli occhi chiusi come un bambino per gustare interamente il
tepore
dell’amante.
Erano
passati tanti anni dalla prima volta in cui aveva visto il Figlio del
Cielo. E,
ancora più degli anni, mille avvenimenti avevano diviso quel
lontano passato
dal presente.
Accarezzò
la pelle morbida di Yao, respirando il suo profumo esotico.
Quando
lo aveva visto la prima volta, era rimasto stregato dal Figlio del
Cielo. E non
avrebbe mai immaginato che gli eventi lo avrebbero portato a
precipitare nella
sua Fortezza.
Ed eccoci qui con il quarto capitolo XD
Solo una precisazione: “ASEAN” è l’acronimo di Association of South East Asian Nations. Ah, a cosa non servono le lezioni di storia delle relazioni internazionali XD
Il prossimo capitolo sarà interamente incentrato su Ivan, e dal sesto riprenderà la spedizione a Caina<3
E, beh, sto gongolando non poco per la RoChu poiché, assieme alla Spamano, è la mia OTP XD
Tralasciando la tristezza di una scrittrice che fangirla le sue stesse creazioni, vi saluto e vi do appuntamento alla prossima settimana<3
A presto!
RedBanner a opera di Claudia ^^
Le immagini utilizzate nei banner non mi appartengono; tuttavia, avendole prese dai miei archivi, non ricordo gli autori ç_ç Se qualcuno dovesse riconoscere la fonte di qualche immagine, me lo faccia sapere e provvederò a metterei credits<3