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Autore: Leopoldo    10/09/2013    1 recensioni
Due vite più differenti e distanti sono difficili da immaginare.
Un soldato dello US Army che ha lasciato la sua città natale senza tornare per anni ed una giovane supplente di Letteratura possono intrecciare i loro destini e rimanere legati l’uno all’altro?
-Au, Quick centric, accenni possibili di altre coppie-
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck, Nuovo personaggio, Quinn Fabray | Coppie: Puck/Quinn
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8. Il mio ringraziamento. Parte 2.

 

La cena non sta andando male, di più.

Checché ne dica Rachel, Finn sa. O, perlomeno, sospetta qualcosa.

 

È distratto, svagato, silenzioso e, rispetto ai suoi standard, ha mangiato pochissimo. Ha rivolto la parola a Kurt sì e no due volte, evita il suo sguardo ed è difficile persino per i signori Berry far finta di non rendersi conto di quanto gli pesi essere in questa casa.

 

A differenza del compagno, però, Hiram Berry non è di certo famoso per la sua sottigliezza o per la sua capacità di passare sopra a certe cose.

Soprattutto se ha un attimo esagerato con il vino, se suo marito LeRoy è troppo impegnato a chiacchierare per tenerlo al guinzaglio e non ha ancora digerito, nonostante siano passati anni, la fuga voluta di sua figlia e di Finn a Las Vegas per sposarsi prima della fine del liceo.

“La nostra compagnia non ti aggrada, Finn?”

 

“Papà!” “Hiram!” lo richiamano insieme Rachel ed il compagno, gettandogli un’occhiataccia.  

 

“Come?” borbotta invece Finn, intento a giocherellare con i resti del suo budino al caramello mezzo mangiucchiato. “Dice a me?”

 

“Sì, come parlavo con te le altre dieci volte in cui ti ho rivolto una domanda e come risposta sono riuscito ad ottenere al massimo un’alzata di spalla” commenta pungente l’uomo, ignorando i richiami a mezza voce di Rachel e LeRoy che gli sta tirando la manica del maglioncino.

 

“Non l’ho fatto di proposito” mugugna Finn con un tono talmente apatico da avere come unico effetto quello di innervosire l’uomo ancora di più. “Chiedo scusa a tutti se non sono stato molto di compagnia questa sera, ma ho altre cose per la testa”

 

Detto questo, si alza dalla sedia, borbotta un poco convinto “Con permesso” e lascia la sala da pranzo per dirigersi verso le scale, quasi certamente con l’intento di rifugiarsi nella vecchia camera dove dormiva quando era al liceo.

 

Passano gli anni, eppure certe cose non cambiano davvero mai. Kurt getta un’occhiata a Rachel, la quale ricambia con uno sguardo preoccupato e scuote appena il capo.

Esattamente come quando era un adolescente in preda alle sue turbe giovanili, Finn, messo di fronte a situazioni di forte stress che non sa come affrontare o che sa già saranno dolorose da accettare, fugge.

 

“Spero che tu sia soddisfatto di te stesso, ora” gracchia LeRoy, strappando dalla portata del marito il bicchiere con un gesto tanto rabbioso quanto eloquente.

 

“Non era mia intenzione” mormora dispiaciuto Hiram, sistemandosi nervosamente gli occhiali prima di rivolgersi a Burt e Carole. “Insomma, volevo solo … uhm … credo sia stato il vino”

 

“Volevi solo cosa, testone?” sbuffa LeRoy, nonostante Rachel tenti timidamente di dissuaderlo dall’insistere vista l’aria afflitta dell’altro genitore. “Lo stavi provando deliberatamente. Come pensavi avrebbe reagito?”

 

“Credo che …” annaspa l’uomo, tamponandosi la fronte sudata con il suo fazzoletto da taschino “… sì, andrò a sciacquarmi il viso. Scusate”

 

Kurt non può non sentirsi in colpa mentre lo vede caracollare verso il bagno degli ospiti, perché è chiaro come il Sole che il motivo per cui Finn sia stato strano tutto il giorno sia –seppur indirettamente- lui.

 

E non dev’essere l’unico a pensarlo visto il clima pesante che si respira in sala da pranzo. Rachel è chiaramente combattuta dal desiderio di andare a vedere come sta Finn e dalla quasi certezza che, se per caso lo facesse, finirebbero con il litigare; Carole ha le guance rosse per l’imbarazzo –dovuto a cosa, poi, nessuno lo sa- e non ha fiatato nemmeno quando Hiram si è rivolto direttamente a lei; Burt … beh, Burt sta fissando suo figlio con insistenza dal momento esatto in cui Finn si è alzato per andare al piano di sopra.

 

“Chiedo scusa a nome di mio marito” interviene LeRoy dopo qualche istante di pesante silenzio. “Lo farà anche lui non appena tornerà di qua, ne sono certo, ma preferisco sempre mettere le mani avanti”

 

“Non c’è alcun problema” tenta di sorridere Carole, riuscendo a fare poco più che una smorfia.

 

“Il suo problema è che non regge il vino” aggiunge l’uomo afroamericano, ignorando la sua risposta. “Mi ricordo, ad esempio, che durante il Natale del ’95 ha fatto una scenata di fronte ai nostri amici perché era convinto che Rachel, alla tenera età di un solo anno, volesse già più bene a me che a lui”

 

Stavolta Carole ride davvero, imitata presto da Rachel.

 

“Oh, sì” sorride LeRoy, comportandosi da attore consumato qual è. In pochi avrebbero saputo risolvere una situazione del genere cambiando così rapidamente discorso. “E ne ho altri di aneddoti simili. L’alcol tira sempre il lato peggiore di quel testone. O il migliore, quando devo poi intrattenere gli amici”

 

Kurt però non ha il tempo di concentrarsi sul nuovo argomento di conversazione visto che, con un brusco cenno del capo, suo padre gli ha fatto capire in modo piuttosto eloquente di seguirlo lontano da orecchie indiscrete.

 

“Vado a prendere un’altra fetta di torta alla banana con le noci” si giustifica il professore di francese alzandosi ed appoggiando il tovagliolo sul tavolo. “Carole, questa volta ti sei davvero superata. Qualcuno di vuoi vuole altro dolce?”

 

Non ricevendo altro se non un coro di risposte negative, Kurt si dirige rapidamente in cucina, dove il padre lo sta già aspettando, le braccia incrociate al petto e un’espressione severa –molto più del solito- dipinta sul volto.

 

“Capisci, ora?” borbotta a voce bassa non appena il figlio richiude la porta alle sue spalle. “Capisci per quale motivo non posso permettermi il lusso di riaccogliere Noah Puckerman come se niente fosse?”

 

“Perché per una volta un bambinone che non cresce mai non mangia da solo metà cena del Ringraziamento?” risponde questi, piccato più del dovuto, già infastidito dalla piega della serata senza bisogno che Burt decida di contribuire con una ramanzina.

 

“Kurt, non essere ingiusto”

 

“Sì, hai ragione, scusami” sospira Kurt, rendendosi conto di aver effettivamente esagerato.

Afferra un bicchiere dalla credenza e lo riempie con un po’ d’acqua di rubinetto, sperando che qualche sorso fresco lo aiuti a calmarsi e schiarirsi le idee.

“È che …” riprende, rivolgendosi al padre che ha atteso pazientemente “… questa faccenda è … sconvolgente. Mi sta facendo riflettere su cose che davo per scontate e me le sta facendo rivalutare una ad una”

 

Burt annuisce gravemente ma non dice nulla, limitandosi ad osservare il figlio per qualche secondo.

“Speravo che sarebbe successo, sai?”

 

“Uhm?” mormora Kurt, preso in contropiede dall’improvvisa affermazione del padre e dal suo tono apparentemente tranquillo.

 

“Che Puck tornasse per sistemare il casino che lasciato quando se ne è andato. Tante persone sono ancora ferme a quel funerale ed a quello che ha significato, molte più di quante si possa immaginare”

 

“Cosa vuoi dire?” chiede Kurt, anche se una parte di lui sa bene il significato di quelle parole.

 

“Lo sai bene cosa voglio dire” mormora Burt, serio, dimostrando ancora una volta di conoscerlo troppo bene per poter essere preso in giro.

 

Se le persone avessero superato quello che è successo, il ritorno di Noah Puckerman non sarebbe avvenuto così, nell’ombra ed in segreto, e di certo non avrebbe scatenato reazioni così estreme. Sarebbe stata una festa, non un elemento in grado di spaccare famiglie solide come la loro. Per non parlare degli Evans, di Deborah, della signora Puckerman …

“Allora non capisco una cosa” fa Kurt, dando sfogo ad una domanda che gli ronza in testa da tanto e che non è riuscito ancora a fare a suo padre.

“Perché gli hai chiuso la porta dell’officina e di questa casa in faccia?”

 

“Non ero pronto. E nemmeno lui lo era, altrimenti non avremmo discusso come se ogni cosa fosse successa da appena qualche giorno” gli risponde un tentennante Burt, portandosi nervosamente una mano sul capo per sistemare il cappellino che, visto il giorno di festa, non porta. “Come hai visto poco fa, in molti di noi non lo sono ancora”

 

Suo padre è un grande uomo, Kurt lo sa bene, anche e soprattutto perché, come in questo caso, non nasconde i propri errori ed i propri limiti. È arrabbiato con Noah, o almeno lo era, e sa che la loro discussione avrebbe potuto avere conseguenze devastanti. Ne è pentito, si vede da un miglio di distanza.

“Nemmeno io, ad occhio e croce” ammette Kurt, smorzando la tensione con un sorriso.

 

“Ah no? Per questo l’hai cercato, l’hai perdonato e l’hai accolto in casa tua?” lo coglie in contropiede per la seconda volta Burt, avvicinandosi per appoggiargli una mano sulla spalla come fa sempre quando ha bisogno di avere l’attenzione totale di qualcuno.

“Saper perdonare le persone è un dono raro, Kurt, un dono che tu hai preso decisamente da tua madre”

 

“Non aveva nulla per cui chiedere scusa” spiega con estrema semplicità, ricambiando il sorriso che il padre fa alle sue parole. “Ho solo provato a mettermi nei suoi panni per qualche minuto, tutto qui”

 

“E pensi che sia poco?” scuote il capo Burt, incredulo. “Figliolo … sei diventato un uomo migliore di quanto avessi mai osato sperare. Migliore di me, questo è sicuro, e pure di tuo fratello. Dannazione, non sai che voglia avrei di andare giù e riportarlo a tavola tirandogli l’orecchio”

 

“Vuoi che vada a parlare con Finn?” chiede Kurt dopo aver deglutito il nodo che gli si è formato in gola per la commozione dovuta alle belle parole del suo adorato padre.

“Da quando sei così criptico?”

 

“Voglio che tu faccia ciò che ritieni giusto, visto e considerato che, se qualcuno di noi può fare qualcosa per aiutare Puck, beh … quello sei tu”

 

Detto questo, Burt gli picchia la sua manona sulla spalla e si dirige verso la credenza, prendendo un piatto su cui poi metterà la fetta di torta di cui ha parlato Kurt per svignarsela in cucina.

 

Il giovane professore non impiega troppo tempo a capire cosa sia necessario fare.

“Credo che sia giusto che vada a parlargli”

 

“Magari dopo cena, uh?” gli sorride Burt, porgendogli il piatto con sopra la torta di Carole. “Non vorrei dare ai signori Berry altri motivi per essere scontenti di questa cena”

 

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La cena è andata molto bene, decisamente al di sopra delle sue aspettative.

Chris ha fatto il Chris, intrattenendo tutti con i suoi aneddoti dei viaggi dall’altro capo del mondo nei momenti in cui nessun altro sapeva cosa dire, Sebastian si è fatto passare il muso presto, rendendosi conto di essere abbastanza inopportuno, e Brittany … beh, nonostante un primo momento di imbarazzo, la ragazza con cui si è presentata Santana –ovviamente senza avvertire che ci sarebbe stato un ospite in più, ma questo è il meno della faccenda– si è dimostrata particolarmente affabile, abbastanza divertente, se pur in alcune occasioni abbastanza incomprensibile sue uscite strampalate, e incredibilmente a suo agio con Beth.

 

La piccola, dopo circa venti minuti in cucina, si era infatti stufata e, mentre Quinn e i fratelli scemotti erano alle prese con un tacchino particolarmente ostico, si era messa a giocare proprio con Brittany.

Non le sono sfuggiti i sorrisi e gli sguardi di Santana rivolti alla sua ‘fidanzata’, sguardi che parlando di qualsiasi essere umano potrebbero essere definiti innamorati, ma della sua migliore amica ...

 

 

Migliore amica che, a dispetto di ogni legge dell’Universo, ora le sta dando una mano a lavare i piatti. Dal modo in cui lo sta facendo, però, è evidente come sia la prima volta che ci prova in tutta la sua vita.

 

“Non sei capace, San” l’apostrofa Quinn, passando la spugna sulle posate sporche con la velocità ed l’efficacia dell’esperienza. 

 

Santana rimette il piatto che sta ‘lavando’ da almeno dieci minuti nel lavello, appoggiando il sedere sul ripiano della cucina con l’aria abbattuta.

“Ok, a casa uso la lavastoviglie. Mi hai beccata, sceriffo Fabray”

 

“Non fare la vittima, sai benissimo che non ti perdonerò così facilmente” la riprende senza spostare lo sguardo dalle mani e da ciò che sta lavando.

 

“Oh, andiamo-”


“State insieme da luglio!” sbotta, lasciando cadere le posate dentro il lavello con un gesto secco. “Luglio, maledizione” riprende, abbassando il tono di voce per non attirare troppo l’attenzione delle persone nell’altra stanza. “E siamo a Dicembre quasi. Ti sembra normale? Hai tenuto nascosto a me … a me, cazzo, la tua migliore amica … la tua prima relazione seria? … sei ingiustificabile” sibila, seriamente ferita, costringendola ad abbassare lo sguardo per il modo in cui la sta guardando.

 

“Mi dispiace” mormora Santana, colpevole. “È che … avevo paura”

 

“Di cosa? Di me?” chiede Quinn, perplessa, inarcando ancora il suo famoso sopracciglio.

 

“Certo che no. Di quello che stavo provando” si morde il labbro Santana, chiaramente in difficoltà. E la sua migliore amica la conosce abbastanza bene per sapere che, quando è così, l’amica sta parlando dei suoi sentimenti. “Brittany è … diversa, non so come spiegartelo. È come se fossimo la parte buona e la parte cattiva di una stessa persona. Ci … ci completiamo” conclude, sorridente, prima di spalancare gli occhi quando vede il sorriso ebete dipinto sul volto di Quinn che, molto probabilmente, è identico al suo. “E ommioddio non posso credere a quello che ho appena detto”

 

In un secondo le braccia di Quinn la stringono, forte, e, dopo una breve esitazione dovuta alla famosa allergia di Santana ai contatti fisici che non degenerano in qualcosa di sessuale, la latina ricambia l’abbraccio. Non le importa molto del fatto che le mani dell’amica siano bagnate e quasi certamente le stiano bagnando anche il vestito, è troppo contenta per non fregarsene.

 

“Sei innamorata” le sussurra Quinn, sfiorandole il collo con la punta del naso in un eccesso di euforia. “È meraviglioso, San. Sono molto felice per te”

 

“Anche io, credo” ridacchia Santana, allontanandosi poco dopo. Va bene tutto, ma c’è un limite al contatto fisico. “Mi stai perdonando?”

 

“Certo che no” ghigna Quinn, tornando alle posate. “Non pensare sia così facile. Però, se mi raccontassi qualcosa di più …”

 

Santana sospira, rassegnata, preparandosi mentalmente a sopportare il lato più invadente della personalità dell’amica. “Non è stato un colpo di fulmine o altro, se è questo che vuoi sapere. Ci siamo conosciute in discoteca e l’ho portata a casa”

 

“Molto fine”

 

“Cosa ti aspettavi? Un carrozza fatta di zucche?” alza le spalle Santana, perplessa. “La differenza tra Brittany e le altre con cui sono stata è che non mi ha dato fastidio svegliarmici vicino. E … uhm, non riesco proprio ad annoiarmi quando sono con lei” ammette, ringraziando la carnagione olivastra che nasconde il rossore che si sta diffondendo sulle guance.

 

“Qualcuno potrebbe dire che stai diventando quasi sentimentale” scherza Quinn, stuzzicandola. Ormai le è quasi passato tutto, nonostante in questi mesi si sia chiesta spesso cosa avesse l’amica di sempre, arrivando perfino a preoccuparsi ed a domandarsi se non le fosse accaduto qualcosa di grave.

 

“Forse” sorride Santana, optando per stare alla scherzo.

 

“L’unica cosa che mi brucia è il fatto che tu sia stata così strana per tutti questi mesi. Pensavi davvero che non sarei stata contenta per te?”

 

“No … cioè, in parte sì, ma non solo. È la prima volta che mi sto ponendo … certe domande. Insomma … lo sai, no? avrò il coraggio di fare sul serio se le cose dovessero continuare così? Riuscirò a presentarla ai miei senza morire d’infarto? Quella roba lì”

 

“Alla tenera età di venticinque anni stai sperimentando cosa vuol dire diventare una persona adulta. Sono f-ouch!” esclama indignata, massaggiandosi la spalla appena colpita da un pugno a tradimento. “Sei scema?”

 

“Te lo sei meritato” ghigna trionfalmente Santana. “A proposito di essere adulti. Senti, Seb ha trovato un locale qui vicino in cui andare a ballare e volevo portarci Brittany. Non ti dispiace se andiamo, vero?”

 

“Certo che no” annuisce Quinn senza nascondere una certa sorpresa, dovuta in parte al repentino cambiamento di discorso e in parte all’idea dell’amica. “Però se fate tardi-”

 

“Abbiamo prenotato in un motel qui vicino” la interrompe l’amica di sempre, intuendo la sua preoccupazione. “Sai, no, Sebastian rimorchierà sicuramente e …” balbetta, abbassando lo sguardo vista l’improvvisa difficoltà “… beh, ecco, io-”

 

“Sì, capisco, non c’è bisogno di arrossire” interviene in suo soccorso Quinn, facendole l’occhiolino. È ridicolmente piacevole vedere Santana per la prima volta imbarazzarsi sull’argomento sesso.  

 

“Bene” mormora lei, lisciandosi nervosamente le mani sulla maglietta per scacciare la tensione. “Torneremo qui domattina abbastanza presto, così posso passare più tempo che posso con la mia figlioccia”

 

“Sai già che la troverai in piedi ad aspettarti”

 

“Allora … è tutto a posto? Noi siamo a posto?” chiede Santana in tono abbastanza preoccupato, indicando prima sé stessa e poi l’amica con un gesto della mano.

 

“Tutto sistemato, tranquilla” ridacchia Quinn, faticando e non poco per trattenersi dall’abbracciarla ancora. L’unica cosa che la trattiene è il non sapere come potrebbe reagire l’amica ad un eccesso di affetto. “Però la prossima volta non tenermi così in pensiero”

 

“Promesso. Vado a prepararmi”

 

Quinn non può non sorridere osservando la sua migliore amica così raggiante. Se è tutto merito di Brittany, come sembra, quella ragazza è stata artefice di un vero miracolo.

 

Con la mente sgombra ed un’aura di insistente felicità ad accerchiarla, la giovane professoressa impiega pochi minuti per finire di lavare ed asciugare gli ultimi piatti e altri utensili usati durante la grande cena.

 

Una volta sistemato ogni cosa al proprio posto, Quinn si toglie il grembiulino bianco da massaia che tanto poco sopporta e si dirige verso il piccolo soggiorno del suo appartamento.

Lo spettacolo che si trova di fronte, però, è molto diverso da quello che ha lasciato.

Beth, infatti, è seduta a tavola, la faccina tenuta sollevata dalle braccia che mostra un’espressione estremamente insoddisfatta.

 

“Perché hai il broncio, tesoro?” le chiede Quinn, inarcando un sopracciglio per la perplessità. Le dona anche una carezza sul capo ma la bambina si limita ad imbronciarsi di più, quasi sia arrabbiata con lei.

 

“Vorrebbe andare a ballare con Brittany e Santana” le viene in soccorso Chris, anch’egli seduto al tavolo anziché sul divano come suo solito. “Solo che poi ha scoperto che anche Seb sarebbe andato con loro. Questo è il risultato” conclude, indicando Beth.

 

“Non vuoi restare qui con mamma e papà?” tenta Quinn, abbastanza sicura di poter sistemare la faccenda in poco tempo. “Possiamo ballare qui, se vuoi” sorride, anche per la faccia schifata che ha fatto Chris un secondo dopo la sua proposta.

 

“Ma io volevo ballare con zia San e BrittBritt” bofonchia la bambina, quasi sull’orlo delle lacrime, guardando la sua mamma con gli occhioni sgranati per tentare di ottenere il suo aiuto.

 

“Domani mattina balleremo per ore intere, va bene piccola BeBe?”

 

Quinn si volta in direzione delle camere, incuriosita dalla voce e dal nomignolo. La prima cosa che vede sono due gambe lunghissime, toniche e snelle.

Appartengono a Brittany, la ragazza di Santana, che la giovane professoressa non esiterebbe a definire ‘tirata da corsa’. Indossa un vestito blu scuro con le maniche lunghe che le arriva fino a metà coscia, un paio di scarponcini abbinati con il tacco ed è decisamente più truccata di prima.

 

Istintivamente, mentre la ragazza si avvicina al tavolo per parlare con Beth, torna a voltarsi verso Chris per vedere cosa stia facendo. Con sua somma sorpresa, nonostante la bellezza scintillante che ha di fronte, lo trova intento ad armeggiare con il suo costosissimo tablet, cosa che le fa istantaneamente inarcare le sopracciglia.

 

“Te lo prometto” fa Brittany, allungando un mignolo verso Beth che, piuttosto soddisfatta, lo stringe immediatamente.

 

“Ok, BrittBritt”

 

“Grande!” trilla Brittany, genuinamente soddisfatta. “Vieni di là con me per aiutare Santana a sistemarsi i capelli?”

 

“Sì!” trilla anche la bambina, imitandone il tono entusiasta.

 

“Tu hai idea di cosa è appena successo?” chiede Quinn, non appena le due biondine sono sparite dai radar. In tutta onestà è abbastanza infastidita, anche se non saprebbe dire se lo sia per la confidenza con cui Brittany tratta sua figlia o per il fatto che sia riuscita in un minuto a farle passare il broncio.

 

“Non mi angustierei troppo” alza le spalle Chris, senza staccare gli occhi dal tablet. “Vanno così d’accordo perché hanno più o meno la stessa età mentale”

 

“Chris!” esclama Quinn, sinceramente stizzita. Come si permette di parlare così di una persona? Della compagna di una loro amica d’infanzia, poi.

 

“Oh, andiamo, lo pensi anche tu”

 

“Beh, ecco, veramente …” balbetta, trovandosi in difficoltà visto che Chris ha ragione e l’unico motivo per cui non l’ha ancora fatto notare ad alta voce è la ferma volontà di non fare un torto a Santana “… ok, forse è un po’ infantile, ma è una persona simpatica e gentile”

 

Chris annuisce e non dice niente, limitandosi a sfoggiare il sorrisetto tronfio che fa sempre quando sa di avere ragione.

 

“Sebastian?” gli chiede Quinn, più per cambiare discorso che per reale interesse. Si aspettava di vederselo apparire davanti a lamentarsi non appena ha terminato di lavare i piatti, invece non è ancora arrivato. Strano.

 

“Già andato. Credo fosse in astinenza da alcol. O da sesso. O entrambe le cose”

 

“Dovresti parlargli” mormora la professoressa, sedendosi dove prima c’era Beth, esattamente di fianco al padre di sua figlia.

 

“Sai bene che non lo farò” sospira Chris in tono lamentoso, riponendo con cura il tablet nella custodia. “Lo conosci, no? Sarebbe inutile, forse addirittura dannoso. Va bene così”

 

Il rapporto tra i due fratelli Smythe è davvero difficile da comprendere. Sono legati a doppio filo, anche se non lo danno a vedere, e si vogliono davvero bene, anche se fanno di tutto per dimostrare il contrario. Eppure praticano questa filosofia, il vivi e lascia vivere, che Quinn trova sempre faticosa da accettare.

 

Non che il rapporto con la sua di sorella sia migliore, è vero, però …

 

“C’è una cosa di cui dovrei parlarti” le fa Chris, riscuotendola dalle sue profonde riflessioni sulla propria situazione famigliare. “Pensavo di passare le feste di Natale con Beth, se per te non è un problema”

 

Quinn aggrotta le sopracciglia, sperando di aver capito male.

“Senza di me?” chiede, confusa, appoggiando una mano sul petto quasi a volersi indicare.

 

“Con te, ovviamente. Volevo portarla a Disneyland”

 

“Non sono convinta” ammette senza troppi giri di parole, come fa sempre quando si parla di Beth. “Orlando è lontano”

 

“Veramente pensavo più a Parigi” la corregge Chris, sfoggiando il suo odioso sorrisetto. Se l’era preparata in anticipo per farle prendere un colpo, questo è certo.

 

“P-parigi?” balbetta infatti Quinn, totalmente spiazzata dalla proposta. In più, e questo Chris lo sa perfettamente visto che è stato proprio lui a portarcela l’unica volta in cui ha viaggiato oltre oceano, una miriade di ricordi la travolge come un fiume in piena.

Loro due, diciannove e diciassette anni, nella loro prima vacanza insieme, quattro giorni indimenticabili a Parigi.

 

È piuttosto sicura di essere arrossita, ma Chris fa finta di niente.

“Sai come la penso su queste cose. Prima inizia a viaggiare, meglio è. In più, sbrigata la faccenda Disneyland in un paio di giorni, possiamo visitare la città”

 

“N-non so cosa dire”

 

“Ovviamente Santana ha già detto che ci sarà e che si porterà dietro la sua ragazza nuova fiammante. E le ho già viste imboscarsi nel bagno dell’aereo. Due volte. In una tratta di un’ora e mezza. Quindi vedi tu se è il caso di lasciarmi solo con loro o no”

 

Quinn sente il viso andare letteralmente a fuoco come poche altre volte le è capitato. E la cosa la spaventa abbastanza, soprattutto perché non riesce davvero a capire cosa voglia Chris da lei.

Essere un bravo genitore o qualcosa in più? E se volesse riprendere le cose da dove le avevano lasciate anni fa?

 

Per sua fortuna, i passi veloci di Beth che corre verso il soggiorno le corrono in aiuto. Si alza dal tavolo e le va incontro, cercando di fare finta di non provare ancora qualcosa per quell’uomo.

Come le aveva detto Santana, ma questa è un’altra storia.

 

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Fa ancora qualche passo nel ripostiglio, cercando di evitare di inciampare negli scatoloni che ha portato in precedenza.

 

Si volta, leggermente ansante, rivolgendosi alla donna decisamente corpulenta che sta sulla soglia della porta e ne osserva ogni mossa con un gran sorriso.

“Li appoggio qui?”

 

“Lì va benissimo, grazie” gli fa in tono mieloso, unendo le mani in una sorta di preghiera di ringraziamento. “Caro ragazzo, chissà cosa avremmo fatto se non fossi arrivato tu”

 

“Sono venuto per aiutare, signora Rose” boccheggia lasciando cadere a terra gli enormi contenitori per alimenti, ormai puliti e pronti ad essere imballati.

Si passa il dorso della mano sulla fronte, decisamente sudata, lasciandosi poi andare ad un sospiro di sollievo per lo sforzo appena compiuto.

 

“Che caro ragazzo” ripete la donnona, facendogli segno di tornare nella parte principale del rifugio per senzatetto di Lima.

 

Aveva detto a Kurt che sarebbe rimasto a casa, è vero, ma, una volta arrivato il momento di mangiare e dopo aver scoperto che l’unico ristorante della città aperto e disponibile al take-away fosse quello cinese, Puck non se l’è più sentita di rimanere da solo per il Ringraziamento.

 

Ecco perché ora si trova qui, in una grande sala da pranzo ormai deserta, leggermente affaticato per il facchinaggio e l’aver servito per ore la cena ai bisognosi, molto soddisfatto di sé stesso.

 

Si guarda intorno, infilando le mani nelle tasche dei jeans.

“Questo posto è cambiato. È molto diverso da come lo ricordavo io” spiega alla signora Rose, una delle responsabili del servizio offerto ai poveri.

 

“Devi essere mancato da molto tempo” le fa la donna. “Il rifugio è stato ampliato e ristrutturato ormai quattro anni fa”

 

“Sì, in effetti manco da molto” le sorride Noah, continuando a camminare tra i tavoli. “Una volta se ne occupava una vecchietta piuttosto scorbutica, bassa, con i capelli cotonati e gli occhiali. Aveva anche un bastone da passeggio, se non sbaglio”

 

“Oh, la signora Milligan. Purtroppo se ne è andata diversi anni fa. Con le sue ultime volontà ha lasciato l’intera eredità al rifugio ed ha imposto che fosse allargato per accogliere più persone possibili. Era un donna incredibile”

 

Incredibile a dire poco. Era molto più arzilla e giovanile di quanto sembrasse, tirava certi colpi ai polpacci con quel dannato bastone che, al solo pensiero, Noah potrebbe giurare di sentire ancora male.

 

Quando la situazione in casa era insopportabile ed i litigi con sua madre inevitabili, era qui che si rifugiava per un pasto caldo ed un letto. Prima che gli Hummel lo accogliessero definitivamente in casa loro, ovvio.

 

“Un altro pezzo del mio passato che se ne va” mormora addolorato, mordendosi il labbro.

 

“Hai detto qualcosa?”

 

“No, nulla” sorride alla signora Rose, ringraziando la sorte per averlo fatto parlare a voce così bassa. “Se non c’è altro da fare, io a questo punto andrei a casa”

 

“Oh sì sì sì, hai fatto anche troppo” lo rassicura la donna, salutando con una mano una delle altre responsabili del centro prima di fare strada verso l’uscita. “Anche io, a dire la verità, sto aspettando che mia figlia mi passi a prendere per andare a casa”

 

Puck è quasi tentato dal chiederle come mai non abbia passato il giorno del Ringraziamento con sua figlia, poi si ricorda che non è educato e, soprattutto, non sono fatti suoi, quindi rinuncia.

È che c’è qualcosa in questa donna che lo invoglia ad aprirsi, a raccontarle tutto. Forse perché sembra terribilmente materna o forse perché è così gentile.

 

La sberla dovuta all’aria fredda che lo colpisce non appena mette piede fuori dal rifugio lo costringe a stringersi nel vecchio giubbotto di pelle, ricordo diventato ormai reliquia di quello che è stato al tempo del liceo.

 

Un dubbio atroce lo assale all’improvviso: dove ha parcheggiato la macchina?

 

“Mamma, qui!”

 

Si volta lentamente, totalmente immerso nel tentativo di ricordarsi dove cavolo l’abbia messa, incuriosito dalla voce che, se l’udito non lo inganna, gli è quasi familiare.

 

La ragazza a cui appartiene, in effetti, l’ha già vista da qualche parte e, a giudicare dal modo in cui spalanca gli occhi non appena lo vede, anche lei sta pensando più o meno alla stessa cosa.

C’è solo un problema: Noah non ha la minima idea di chi sia e di come si chiami.

 

“P-puck?!”

 

E lei invece sì.

“Cavolo” borbotta a denti, domandandosi come si faccia ad avere una memoria così pessima. “Oh, ciao” saluta con finto entusiasmo.

 

“Marley, conosci questo ragazzo?” interviene la signora Rose, salvandogli la vita. Marley, la ragazza dell’amico di Kurt! Ecco chi è!

 

Il tempo di realizzare chi sia e subito gli viene naturale incurvare le sopracciglia in un’espressione di fastidio. Lei è la tizia che lo fissava alla festa di Halloween.

 

“Cosa ci fai qui?” boccheggia la ragazza, riprendendo però a parlare prima che Noah possa replicare. “Ho assolutamente bisogno di dirti una cosa”

 

“Io nel frattempo vado a sedermi in macchina” fa la signora Rose, indicando la monovolume parcheggiata dall’altro lato della strada. “Le gambe mi stanno uccidendo”

 

“Il fatto che ci incontriamo sempre non può essere un segno del destino” sussurra Marley, fissandolo intensamente non appena la madre è lontana.

 

“Ok, chiariamo subito questa cosa” sospira Puck, sicuro di aver capito dove lei voglia andare a parare e distendendo le braccia per frapporre le mani tra sé e Marley. “Non so quale malsana idea ti stia passando per la testa, ma ti posso assicurare che non ti sto pedinando”

 

“Pedinando?” farfuglia la ragazza, sbattendo ripetutamente le palpebre. “No, cosa hai capito? Non intendevo in quel senso” cerca di rassicurarlo, agitando le mani nervosamente. “Io … senti, c’è una persona che devi assolutamente incontrare. È un tuo parente, uno che non conosci”

 

“Parente del tipo … zio alla lontana o roba del genere?” chiede con una smorfia di disgusto, visto che la sua mente non riesce a pensare ad altro che a suo padre. “Perché nel caso non mi interessa proprio nulla”

 

“No, nulla del genere. Lui sa che tu esisti, ma tu invece no” tenta di spiegargli, iniziando a frugare nella borsetta. “Gli ho parlato di te dopo l’incontro in albergo e mi ha detto che vorrebbe incontrarti, però ha paura della tua reazione” aggiunge, allungandogli un pezzetto di carta.

 

C’è un numero di telefono e, poco sotto, un nome. Rabbrividisce leggendo le prime due lettere, J ed A. Fortunatamente, non si tratta di suo padre James.

“Jacob” legge, visceralmente sollevato. “Chi è?”

 

“Non spetta a me dirlo, purtroppo” mormora in tono abbattuto, quasi le dispiaccia per lui. “Chiamalo, lui ti dirà tutto”

 

Detto questo, gira i tacchi e se ne va, senza nemmeno salutare. Si volta solo quando raggiunge la portiera del lato guidatore della macchina, per un secondo, prima di salire e mettere in moto.

 

Jacob … non ha mai conosciuto una persona con un nome del genere, non a Lima almeno. Ce n’era uno a Fort Benning, forse? E chi se lo ricorda? E cos’è questa storia del non te lo posso dire?

 

Noah sbuffa ed infila il biglietto in tasca, lisciandosi un sopracciglio con la mano libera. C’è un problema decisamente più impellente da risolvere: la macchina.

 

Ci impiega solo altri cinque minuti prima di ricordarsi che no, lui la macchina non ce l’ha visto che Kurt si è portato dietro la sua e quella di Debs è a casa per non far insospettire i vicini.

 

Con una memoria del genere quel Jacob potrebbe essere chiunque, tanto non se ne ricorderebbe comunque.

 

-- Glee -- Home -- Glee -- Home -- Glee -- Home -- Glee -- Home -- Glee -- Home -- Glee -- Home -- Glee -- Home -- Glee -- Home -- Glee -- Home -- Glee -- Home –

 

Per tutto il resto della serata, Kurt non ha fatto altre che pensare a come riuscire a parlare con Finn riguardo quello che è successo.

Avrebbe potuto entrare in camera sua e chiudere la porta a chiave, minacciandolo di non aprire finché il fratellastro non si fosse deciso a starlo ad ascoltare; avrebbe potuto punzecchiarlo fino a farlo reagire in modo da non farlo scappare; avrebbe potuto chiedere a Rachel di restare a dargli una mano.

 

Insomma, ci sarebbero stati tanti modi più o meno efficaci per permettergli di parlare con Finn, eppure ha deciso di usare l’unico che abbia mai funzionato davvero.

 

 

Ha atteso pazientemente che i Berry tornassero a casa –con Rachel al seguito, piuttosto furiosa con Finn per il suo comportamento- e che Burt e Carole si mettessero a letto, ma finalmente ora si trova davanti alla camera del suo fratellastro con un vassoio in mano.

 

Non bussa nemmeno, anche perché poco prima di andare via Rachel ci ha provato ed ha ottenuto come risposta un amorevole “Vattene via”, motivo tra l’altro della sua arrabbiatura –che impiegherà un bel po’ ad andarsene, tra parentesi.

Afferra semplicemente la maniglia, usando il fianco per mantenere il vassoio dritto ed evitare di ribaltarlo, ed entra, scoprendo con sua enorme meraviglia che la porta non è chiusa a chiave.

 

L’immagine che gli si palesa davanti è abbastanza grottesca: Finn è sdraiato sul letto che usava quando era al liceo, gli spuntano le caviglie dal bordo del letto –è diventato ancora più alto, cosa che sembra davvero difficile da credere visto quanto fosse enorme già da adolescente- e sta leggendo una specie di libro rilegato in pelle illuminato dalla debole luce di una abat-jour.

“Cos-” sobbalza con qualche secondo di ritardo, notando il fratellastro sulla soglia. “Oh, Kurt, sei tu” mormora abbassando il tono di voce e nascondendo immediatamente il libro alla sua vista.

 

“Disturbo?”

 

“No, no” lo rassicura, facendogli segno di venire avanti. “Non riuscivo a prendere sonno e così … beh, ingannavo il tempo”

 

“Latte caldo e biscotti aiuterebbero?” gli sorride Kurt, appoggiando il vassoio sul comodino e notando con soddisfazione come l’espressione di Finn si rassereni all’istante alla vista dei due bicchieri colmi e del piattino ripieno di delizie al cioccolato.

 

Quando i loro genitori si erano conosciuti ed avevano deciso di sposarsi dopo solo un anno di relazione, questi due erano poco più che conoscenti.

Così, anche per aiutarlo a superare l’imbarazzo, Kurt aveva inventato questo espediente, combinando la passione di Finn per i dolci con la sua tendenza a parlare –spesso a straparlare- durante i pasti, quasi il cibo lo aiutasse –e lo aiuti ancora- a sbloccarsi.

 

“Quante volte abbiamo mangiato sta roba in piena notte per stare ore a parlare?” chiede Finn dopo aver spazzolato da solo almeno la metà dei biscotti e quasi tutto il suo latte, mentre Kurt ha preso la sedia della scrivania e si è sistemato comodamente vicino al bordo del letto in paziente attesa.

 

“Non so, ho smesso di contarle una volta arrivati a cento” sorride Hummel, sempre in tono conciliante, facendosi violenza sul suo lato estremamente ordinato per ignorare l’enorme quantità di briciole che si stanno sparpagliando sul letto.

 

“Rachel?”

 

“A casa dai suoi” risponde Kurt, alzando un sopracciglio nel vedere un biscotto intero sparire in un unico boccone. Scuote appena il capo, obbligandosi a rimanere concentrato. “Conoscendola non ti parlerà per almeno due giorni”

 

“Le passerà” scrolla le spalle Finn, mascherando il suo dispiacere dietro una finta noncuranza. “Passa tutto, prima o poi” aggiunge, duro, fissando il suo sguardo dritto nelle iridi azzurre di Kurt.

 

Anche se non ce n’è affatto bisogno, questo non fa altro che alimentare la certezza del professore circa le cause della svagatezza mostrata dal fratellastro sin dal primo momento in cui è arrivato con Rachel.

 

Kurt annuisce, accavallando le gambe ed appoggiando le mani, intrecciate l’una con l’altra, sul ginocchio.

“Posso chiederti come fai-“

 

“A sapere che Puck è tornato e vive con te?” lo interrompe Finn. “Mamma. Lo so praticamente dal giorno in cui si è trasferito nel tuo appartamento”

 

“Sei arrabbiato?”

 

“Non lo so” ammette lui, lasciando trasparire dal suo tono una certe confusione. “All’inizio sì, lo ero, ma poi … poi mi sono messo a pensare a … a tante cose, tutto quello che è successo in questi anni”

 

Kurt aspetta per qualche istante che continui la frase ma, vedendolo rimanere in silenzio a fissare il muro davanti a lui, decide di dargli una leggere spintarella verbale.

“E?”

 

Finn si volta verso di lui, prima di rispondergli, e lo sorprende mostrando sul suo viso un sorriso sincero.

“Vorrei spaccargli il naso, così siamo pari, e insieme vorrei dargli il cinque ed andare berci una birra insieme perché mi manca. È un-“

 

“Casino, lo so” completa Kurt per lui, cercando di fargli capire che la situazione è la stessa per tutti.

 

“Lui ti ha … insomma, parlato di me o-o di Rachel?” gli chiede Finn, tentennante.

 

E Kurt è davvero dispiaciuto di dovergli rispondere sinceramente, perché ci rimarrà sicuramente male, ma al tempo stesso è contento di sentire questa domanda, pronunciato con questo tono incerto, perché vuol dire che nonostante tutto ci tiene ancora a Noah.

“No. È ancora in una fase di negazione della vostra esistenza”

 

“Come abbiamo fatto lui con noi per tutto questo tempo, no?”

 

“Più o meno” annuisce Kurt, piuttosto sorpreso dall’ennesima ammissione di Finn. Se questa discussione, per qualche strano motivo, fosse avvenuta diversi mesi fa, quasi sicuramente per Puck si sarebbero stati solo odio ed insulti, nemmeno troppo velati, non comprensione.

 

“Hai già parlato con Rachel?”

 

“Ha detto che ci avrebbe pensato su. Immagino si riferisse a come comportarsi nei confronti di Noah”

 

“Con me non ha parlato” borbotta Finn, facendo ruotare al fratellastro gli occhi al cielo. Sembra offeso da questa cosa, anche se Kurt è certo che sappia bene il perché la sua fidanzata, una persona che lo conosce bene come le sue tasche, abbia preferito aspettare.

 

“Sapeva che avresti reagito così” commenta infatti in tono leggermente piccato, chiedendosi se e quando Finn riuscirà mai ad abbandonare certi comportamenti infantili.

 

“E nemmeno tu me ne hai parlato” lo ignora Finn, indicandolo. Se prima solamente sembrava offeso, ora lo è di certo. “Credete che io sia ancora un bambino? Ho ventisette anni, Kurt, sono un uomo adulto che è in grado di gestire cose come … come questa”

 

“Solo i bambini devono ricordare ad alta voce quanti anni hanno per darsi un tono” lo gela, schioccando addirittura la lingua dopo aver finito di parlare.

 

Finn apre la bocca e la richiude un paio di volte, non riuscendo a trovare nulla da ribattere ad un colpo del genere.

 

Dall’altro lato della barricata, Kurt è tutto fuorché dispiaciuto per ciò che ha detto. Per quanto bene gli possa volere, e gliene vuole tantissimo, negare che Finn Hudson sia una persona fondamentalmente infantile è impossibile ed il fatto che sia Finn stesso a farlo lo infastidisce ancora di più.

 

Eppure seguire il consiglio di suo padre, per quanto criptico egli sia stato, non è stata di certo una perdita di tempo. Ha scoperto che il suo fratellastro ha davvero pensato a Puck e, cosa assolutamente non scontata, gli è ancora profondamente legato.

 

Sta per alzarsi per andare in camera sua, convinto che ormai non ci sia rimasto alcunché da fare qui, quando la voce di Finn rompe il silenzio.

“Ogni volta che torno in questa casa e in questa camera, io …” mormora, allungando la mano oltre il bordo del letto, dalla parte opposta rispetto a dove si trova Kurt, e sollevando il libro che stava sfogliando poco fa “… vedi questi album?” aggiunge, indicando anche la pila appoggiata sulla scrivania che Kurt non aveva notato quando era andato a prendere la sedia.

“Li ha fatti mia madre. Sai cosa c’è dentro?”

 

“Credo di sì”

 

Ma a Finn non basta questa risposta, quindi decide di mostrargli una pagina a caso del book che ha in mano. Ed una foto la ricopre interamente. Ci sono lui, Sam e Puck, addosso le divise da football del McKinley, intenti a festeggiare il primo ed unico titolo nazionale che il loro vecchio liceo abbia mai conquistato.

“Siamo noi. Ci siete anche voi, eh …” mormora, quasi dispiaciuto, sfogliando le pagine fino a trovare un’istantanea di un’uscita di gruppo in cui compaiono anche Kurt, Mercedes, Rachel e una tipa rimorchiata da Puck al momento “… ma noi tre … noi tre siamo in tutti gli album, dal primo all’ultimo”

 

Kurt non sa cosa dire, colpito ed al tempo stesso commosso di fronte ad una delle poche volte in cui il suo fratellastro ha deciso di aprirsi totalmente con lui.

Ancora più di prima, alle parole di suo padre sulle persone che non hanno ancora superato la morte di Sam si aggiunge l’ennesima dimostrazione del fatto che questa ferita non si è ancora rimarginata. 

 

“Non doveva andare così, non doveva finire in questo modo. Tu non hai idea di quante volte … di quanto io ancora desideri tornare indietro e … essere là con loro” geme Finn, sicuramente turbato, forse addirittura in lacrime –la luce è troppo fioca per permettergli di avere un’immagine precisa del volto del fratellastro.

 

“Come potevi? Sei stato congedato per l’incidente con il fucile, anche se avessi voluto non ce l’avresti potuta fare” ricorda Kurt, senza alcuna malizia, credendo addirittura di capire cosa provochi tanto dolore in lui.

 

Però Finn ha una reazione strana, quasi sia stato colto alla sprovvista o, addirittura, come se abbia detto troppo, quasi si sia lasciato scappare un dettaglio che avrebbe dovuto rimanere nascosto.

“I-io … sì, hai ragione” concorda fin troppo frettolosamente, richiudendo all’istante l’album di foto e lasciandolo cadere a terra con un sonoro tonfo.

 

Sembra diventato improvvisamente nervoso e maldestro, tanto che Kurt, vedendolo trafficare ed abbattere senza un motivo gran parte degli oggetti che lo circondano nel tentativo di recuperare le cose che gli stanno cadendo, è costretto a chiedergli: “Tutto bene?”

 

“Sto cominciando a sentire la pesantezza della giornata, tutto qui” mormora Finn con un tono palesemente finto.

 

Kurt sospira ma non controbatte, perplesso dall’improvviso mutamento nell’atteggiamento del fratellastro al punto tale da non accorgersi del motivo per cui questo cambiamento sia avvenuto, nonostante sia abbastanza palese.

 

Si alza in piedi, raccogliendo al volo il vassoio prima che uno dei gomiti di Finn lo colpisca facendo rovesciare il suo contenuto sulla moquette della camera.

“Parlerai con Rachel quando tornerete a New York? Riguardo Puck, intendo” chiede, cercando di ottenere una rassicurazione sul fatto che l’intera conversazione non sia stata vana.

 

“Sicuramente” risponde Finn, riuscendo ad essere abbastanza convincente. “Buonanotte, Kurt”

 

“Buonanotte”

 

Mentre si avvia lentamente verso le scale per portare il vassoio in cucina tentando di fare meno rumore possibile, una strana euforia si diffonde nel suo corpo.

E se Puck non avesse ragione? E se per una volta le cose fossero più facili di quanto avesse previsto non più tardi di qualche ora fa?

Sperare, in fondo, non costa nulla.

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore.

 

Era dal 26 di Giugno che non toccavo questa storia.

Poi, la scorsa settimana, una volta tornato dalle vacanze, me la sono riletta tutta, mi sono riguardato gli appunti che ho preso per i personaggi e mi sono detto: no, adesso la riprendo.

Ed eccoci qui.

 

Non troverò scuse per questo ritardo, forse avevo solo bisogno di un po’ di tempo.

 

Che dire? Di cose in questo capitolo ne sono successe. Finalmente il mistero di Marley è svelato. Se non avete ancora capito, vi posso dire che Jacob compare tra i nuovi personaggi della quarta stagione, solo che spesso lo chiamano usando un soprannome :)

 

Ah, in questo AU Rachel e Finn sono andati a Las Vegas per sposarsi più o meno nello stesso periodo in cui hanno organizzato il matrimonio nella serie. Se ne parlerà più avanti, ma visto che ne ho accennato all’inizio di questo capitolo mi sembrava giusto spiegarlo.

Non c’è molto altro a dire il vero.

 

Visto che non so quanto in fretta riuscirò ad aggiornare –spero molto presto visto quanto poco ci abbia messo a riscrivere da capo questo capitolo-, vi lascio una piccola anteprima di quel che succederà nel prossimo capitolo. È in corsivo, ma solo per differenziarlo dal resto delle note.

 

 

“Cosa dovevate fare? Una corsetta?”

 

“S-sì per … insomma, smaltire i due giorni di cibi esageratamente grassi e … non ridere, però, mi fai sembrare stupida”

 

“No, no, per carità. È che … fatico ad immaginarmi Kurt in tuta. Odiava le ore di educazione fisica”

 

“Lo posso capire. Io ero una cheerleader e odiavo correre. Preferivo di gran lunga provare le coreografie”

 

“Eri una cheerleader? Davvero?”

 

“Dovrei sentirmi lusingata dal tuo commento sorpreso? Perché non stai giudicando la mia forma fisica” “Oh Santo Cielo, lo stai facendo!”

 

“Non mi permetterei mai”

 

 

 

Ringrazio chiunque continuerà a leggere questa storia nonostante tutto. Un abbraccio a tutti voi e grazie per essere arrivati sin qui! :)

Pace.

 

 

Nota a margine, piuttosto importante ma che non riguarda la storia.

 

Concludo prendendomi qualche rigo per parlare di Cory Monteith, visto che in questo capitolo compare Finn. 

Non ero un fan, non lo seguivo sui social network e, ovviamente, non lo conoscevo.

Quando muore un ragazzo di trent’anni in un questo modo, però, è sempre una tragedia e bisogna in ogni caso prendersi un secondo per riflettere. Non importa che lavoro faccia, quanto sia famoso o quanto gli ci sia affezionati.

Non mi permetterai mai di fare inutili paternali, di scrivere frasi stucchevoli per commemorarlo o altro. L’unica cosa che mi sento di dire è in realtà un augurio. Che nonostante il dolore e la tristezza che lo hanno portato ad assumere droghe ed abusarne, ci sia stato, in un momento qualsiasi della sua vita, un attimo in cui sia riuscito a dire: ehi, sono davvero felice. 

  
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