Dolore.
Era tutto ciò che potevo sentire. Non mi ero mai sentita
così fragile,
vulnerabile, ma ero lì, rannicchiata a terra, sporca e
umiliata.
Ogni
qual volta che mi muovevo una parte del mio corpo doleva, gli occhi
stavano a
stento aperti tanto erano gonfi e il mio respiro si faceva sempre
più affannoso;
quando inspiravo dal naso potevo sentire l’odore pungente del
sangue mischiato
a quello della polvere.
I
miei ricordi erano sempre più confusi, Michael, Tony,
l’ NCIS; sembrava tutto
così lontano.
Non
avevo nessuna certezza. Il tempo passava, ma non sapevo quanto in
realtà, le
giornate scorrevano, ma non riuscivo a contarle, potevo essere
lì da una
settimana o forse da un mese, non lo sapevo.
Informazioni
sull’ NCIS, era questo che volevano, ma io, mai e poi mai,
gliele avrei date.
Loro erano la mia famiglia, la mia casa e non li avrei certamente
traditi.
Anche
se Tony l’aveva fatto, mi aveva tradita, aveva colpito colui
che amavo alle
spalle.
Volevo
solo scacciare quei ricordi, volevo smettere di pensare. Volevo morire.
Ogni
parte del corpo mi doleva, non riuscivo a muovermi. Volevo solo
arrendermi e perire;
sì arrendermi, per la prima volta nella mia vita, nulla
ormai mi importava, la
mi esistenza sembrava
ormai vana.
Uno
scatto metallico richiamò la mia attenzione. Pensavo che
fossero quegli uomini
che volevano ancora tentare a estorcermi informazioni
sull’NCIS.
Non
era così.
Girandomi
a stento riuscii a scorgere la figura di un uomo, alzai di poco il capo
e capii
chi fosse.
Tony.
Colui
che mi aveva rovinato la vita ora mi stava salvando.
“Tony” riuscii a sussurare.
“Ziva!
Ho avuto così tanta paura di perderti” mi disse
prendendomi vicino a sé.
“Cosa
ci fai qui?” gli risposi duramente.
“Sono
qui per salvarti” mi disse lui.
“Fra
tutte le persone al mondo che potevano trovarmi, proprio tu?”
gli dissi con
disprezzo.
“Che
vuoi farci? Contenta di vedermi?” mi domandò con
il suo solito tono seccante.
“Non
saresti dovuto venire. ” alla fine gli dissi.
“Invece
si” continuò ad insistere.
“Pensavate
che fossi morta?” dissi.
“Sì”
rispose lui.
“Perché
sei venuto allora Tony?” chiesi.
“Perché
McGee non credeva che fossi morta” rispose con un sorrisetto
odioso sul volto.
“Tony
vuoi dirmi perché sei venuto?” gli dissi con un
tono alquanto seccato.
“Perché
non posso vivere senza di te” mi rispose lui dolcemente.
Dovevo
scappare da quella situazione. Dovevo uscirne, molto in fretta anche.
Così
dissi la prima cosa che mi passò per la testa:
“Ora morirai con me se non ce ne
andremo velocemente”.
Come
rovinare un’atmosfera piuttosto tenera. Sì ci ero
riuscita bene.
“Gibbs
e gli altri hanno ucciso gli uomini che ti tenevano prigioniera. Non
c’è più
nessuno qui, siamo al sicuro” mi rispose lui.
Lo
abbracciai. Non sapevo che altro fare, dopotutto mi aveva salvato. Per
un
attimo ero riuscita a lasciarmi tutto alle spalle, la morte di Revkin,
il tradimento di Tony e il male che provavo in ogni singola
parte del corpo.
Poi
tutto esplose, la rabbia,
l’umiliazione, il dolore lancinante.
Finalmente
arrivarono nel
seminterrato anche McGee e Gibbs.
Il
primo si
fiondò verso di me e mi abbracciò
dicendomi: “Sono così felice che tu sia viva
Ziva”.
Il
capo invece si avvicinò, mi
strinse a sé dandomi un bacio sulla fronte senza dire una
parola. Non ce n’era
bisogno.
Mi
medicarono e mi imbottirono di
antidolorifici. Non sentivo più nulla. Il dolore era
svanito, insieme alle mie
emozioni.
Dovevo
ancora capire che cosa
fosse per me Tony. Che cosa significava quel gesto, che cosa
significava quella
frase. Ancora mi rimbombava nella testa.
Cinque
ore dopo prendemmo finalmente il volo per Washington.
“Starai
a casa di DiNozzo per qualche giorno, non provare a
contraddirmi” mi disse
Gibbs.
Non
potevo farlo. Volevo solo scappare.
Il
giorno seguente mi ritrovai a sistemare le poche cose che avevo con me
a casa
di Tony sotto i suoi occhi attenti che scrutavano ogni mio movimento.
“Stasera
ti va di guardare vivi
e lascia morire? o
tu sei più tipo da Titanic?”
chiese Tony
scherzando.
Lo
ignorai. L’unica cosa che volevo in realtà era
dormire, non
ricordavo nemmeno da quanto tempo non lo facevo.
“Oh
e di cena cosa vuoi, del giapponese oppure preferisci
dell’italiano?” chiese ancora avvicinandosi a me.
“Come
ti pare DiNozzo” risposi frettolosamente.
“Ah e
comunque dormirai nel mio letto, starò io sul
divano” mi disse ancora
avvicinandosi sempre di più.
Io
avevo la schiena appoggiata al muro, lui si trovava proprio davanti a
me con il
braccio sinistro teso posato sulla parete di fianco al mio capo.
Con
la mano desta prese una ciocca di capelli con cui iniziò a
giocherellare. Mi
guardava, come nessuno prima aveva mai fatto.
Quegli
occhi.
Io mi
sentivo intrappolata, senza via di fuga, ma mi sentivo bene; sentivo il
suo
profumo e sentivo il suo respiro affannoso sul mio collo. Mi torturavo
il
labbro, ero nervosa.
Venne
in avanti ancora e mi baciò. Volevo scappare, ma qualcosa
non me lo permetteva.
Staccò
le labbra mi guardò un attimo e poi riprese, mi
mordicchiò l’orecchio, per poi
scendere verso il collo.
Io
ero insicura, non sapevo come reagire, così restai immobile
e assolutamente
schiava dell’uomo.
Mi
prese il volto tra le mani e mi baciò, questa volta lo fece
con ancora più
passione. Le lingue si intrecciavano e le mani si muovevano vogliose di
luoghi
proibiti.
Poi
mi sbottonò pian piano la mia camicia, bottone per bottone.
Aveva vinto. Ero
sua.
Mi
tolse ogni capo che avevo addosso. Ero vulnerabile forse, ma ora mi ero
spogliata di tutto. Vestiti, paure e maschere.
NUDA.
Spogliai
anche Tony. Così potevo sentire il calore della sua pelle
sulla mia, mi faceva
sentire protetta.
Mi
prese e mi portò sul letto; mi baciò con tutto
l’amore possibile, mentre con la
mano scendeva lentamente sul mio corpo dandomi piacere.
Inizialmente il suo tocco era leggero, poi si
fece più veloce ed insistente; il desiderio cresceva nei
nostri occhi. Ero
impaziente.
Mi
ero arresa ormai, ero schiava del suo corpo, schiava delle sue mani.
Successivamente,
con tutta la dolcezza che potesse usare mi penetrò,
così io inarcai la schiena,
ancora dolorante; senza staccarmi mi portai a cavalcioni sopra di lui.
Ora
toccava a me condurre il gioco.
Mi
ero sentita bene, dopo tanto tempo. Io e Tony avevamo fatto
l’amore e ora io mi
ero accoccolata sul suo petto sudato. I respiri affannati scandivano il
tempo
che ci sfuggiva.
Decisi
di alzarmi, DiNozzo ormai dormiva e io avevo bisogno di un
caffè.
Presi
una tazza e la riempii. Mi sentivo un po’ come Abby, adesso
capivo il suo continuo
bisogno di berlo.
La
mattina seguente mi svegliai a causa della luce che ormai penetrava
dalle
persiane e illuminava i nostri corpi ancora nudi rendendoli dorati.
Stavo
dannatamente bene ed ero felice, finalmente.
ANGOLINO
AUTRICE.
Avevo
questa one-shot nei documenti
da millenni e ora ho finalmente deciso di pubblicarla.
Come
ho scritto nella descrizione è
solo vagamente ispirata alla 7x01, c’è solo Ziva
rapita, Tony e McGee la
salvano e basta non vengono rinchiusi anche loro.
E
il dialogo tra Tony e Ziva è quello
della puntata (**)
Beh
che dire.. spero vi
piaccia. xx