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Autore: _Frency_    11/09/2013    3 recensioni
In una giornata come tante le vite dei Tokio Hotel vengono stravolte da una notizia inaspettata: li aspetta il duetto con una cantante semi-sconosciuta per incidere la colonna sonora di un film recentemente uscito nelle sale cinematografiche. La cantante in questione è Kerli, ragazza dalla personalità stravagante e decisamente folle. A che cosa porterà questa forzata -e improbabile- collaborazione? I nostri idoli si destreggeranno tra posizioni da prima donna usurpate, vestiti di frusciante tulle, serate all'insegna del divertimento più sfacciato e una scadenza: marzo. Cinque mesi, centocinquanta giorni che a seconda dei casi appariranno infinitamente lunghi o terribilmente brevi. Il successo più assoluto sarà la ricompensa... ma se non dovessero farcela?
Dal testo:
[...] I suoi amici e suo fratello sapevano benissimo da cosa era provocato tutto quell’ astio: un’altra cantante – donna, per giunta! – che si intrometteva nel suo territorio, nella sua band. Una ragazza che non poteva fare a meno di vedere come una possibile minaccia, un pericolo. [...]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricami sul Cuore.'
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Capitolo 8: Cought Out In The Rain.
 
Dedicato alla mia amata pioggia,
 che ogni volta 
è preziosa fonte di ispirazione.
 

 
Piove.

Niente di strano: in quel mese dell’anno era inevitabile, ma la cosa non poteva che infastidire la ragazza, che giocherellava nervosamente con una ciocca dei lunghi capelli biondi mentre aspettava stancamente che il ritmico battere dell’acqua cessasse. Lo sguardo era perso nel vuoto della finestra davanti a sé, bloccata nella piccola saletta adiacente allo studio di registrazione. Ormai, da un mese a quella parte passava la maggior parte delle sue giornate chiusa lì dentro: un po’ per lavoro, e un po’ perché la compagnia dei ragazzi risultava sempre più difficile da rifiutare. Anche se Tom era l’irrecuperabile cascamorto di sempre, che però aveva sfoggiato più di una volta un lato di sé estremamente maturo, quasi sofferto e vissuto, per quanto paradossale potesse sembrare. Anche se Georg non poteva fare a meno di scimmiottarla ogni volta che si mostrava fin troppo altezzosa e superficiale, nonostante poi si facesse perdonare con un sorriso silenzioso. Anche se Gustav spesso si limitava a squadrarla silenzioso, da dietro le lenti spesse degli immancabili occhiali, e dopo magari intavolavano un discorso sui Metallica che – a parere degli altri tre – poteva protrarsi per ore. E si sentiva a suo agio, anche se Bill la seguiva con quello sguardo ambrato in ogni suo movimento, cercando di dissimulare al meglio il suo interesse nel caso lei lo scoprisse a osservarla. Poi accennava un sorrisetto smaliziato e scaltro, e lei sembrava non capire più nulla per svariati minuti. Ecco cosa accadeva, ecco quali erano gli effetti collaterali di avere troppo a che fare con un tipo lunatico come lui. Non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva mai quale sarebbe stata la sua mossa successiva. Era come giocare costantemente con il fuoco, ad occhi socchiusi e danzando al ritmo sfrenato del proprio cuore. Ed era così coinvolgente, che non aveva neanche iniziato a sentire le dita dolere quando le fiamme si erano avvicinate pericolosamente.

Stai attenta bambina: giocando con il fuoco ci si scotta.

Era quasi piacevole, però, quella lieve sofferenza a cui andava incontro, che l’avvolgeva come una calda coperta e le toglieva il fiato.

Proprio come te.

E lei, spericolata marionetta sorretta e trasportata dai fili sottili di cui era prigioniera, non aveva intenzione di resistere a quelle fiamme roventi, che inclementi l’avrebbero bruciata.

Piove.

Ormai, la ragazza si era rassegnata al ticchettio incessante che risuonava tutto intorno, riempiendo il silenzioso vuoto della stanza. Provò l’irrefrenabile voglia di correre fuori, gettarsi a braccia aperte sotto la pioggia, lasciare che l’acqua le scivolasse addosso e portasse via con sé quella sensazione. Voleva che l’acqua lenisse la scottante delusione di quel bacio mancato, che lavasse via dalla sua pelle nivea il soffio caldo delle labbra di lui, del burattinaio che tirava i fili e la lasciava accasciata al suolo senza vita.

Caldo.

E, all’improvviso, aveva caldo. Erano quasi a fine novembre e aveva caldo. Sentiva come un fuoco rovente bruciarle la pelle, accecandole lo sguardo e facendole nuovamente provare, sempre più violentemente, l’irrazionale voglia di lanciarsi fuori da quella stanza, fino al portone d’ingresso e poi giù in strada, in quello spiazzo al limite della strada trafficata che l’avrebbe portata via.

E perché no?

Dopotutto, quel briciolo di razionalità in suo possesso era andato a farsi benedire già da parecchio tempo, e niente avrebbe potuto porsi come un limite tra lei e i suoi folli desideri. Senza curarsi del fatto che avesse solo un leggero maglioncino a coprirle le spalle e la vita sottile, si avviò a passo spedito fuori dalla saletta.
L’aria era fredda e pungente, e le solleticava la pelle provocandole un lieve tremito. Un buon profumo di pioggia, intenso e penetrante, aleggiava nell’aria, portato dal vento sibilante che le scompigliava i capelli e la faceva sorridere soddisfatta. E la pioggia continuava a scendere, bagnandole la chioma dorata e la pelle candida e la stoffa leggera dei vestiti, che presto si ritrovò appiccicati addosso come una seconda pelle estremamente umidiccia e pesante. L’unico rumore sembrava quello provocato dalle goccioline d’acqua che si infrangevano al suolo in piccoli schizzi. Eppure sapeva bene che quello in lontananza era il rombo dei tuoni, fragoroso e imponente come la cappa grigia che copriva il cielo plumbeo. Sollevò lentamente il viso verso il cielo livido sopra di lei: nessuno sprazzo di luce filtrava da quel pesante manto di nuvole. Ma andava bene così: paradossalmente, un qualsiasi barlume di luce avrebbe rovinato il grigiore circostante, che sembrava essersi impossessato di ogni cosa. Dall’asfalto lurido e fradicio, dalle macchine che sfrecciavano veloci lasciandosi indietro scie luminose, all’umore dei passanti che cercavano di ripararsi dalla pioggia battente. E lei era lì, macchia bianca in mezzo a tutto quel nero, solitario raggio di sole o fredda goccia di temporale, non aveva importanza.

Sollevò le braccia verso il cielo, sorridendo beata e facendo un lento giro su sé stessa, come una ballerina inesperta alle prese con i primi passi. Sussultò, sentendo un tocco incerto sulla propria spalla. Voltandosi, il suo cuore mancò un battito.

È questo, dunque, l’effetto che mi fai?

Bill era lì, in piedi dietro di lei, con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto femmineo. E sembrava stranamente tranquillo, come se la pioggia non avesse preso a infradiciargli i capelli corvini, liberandoli dalla loro ordinata pettinatura e lasciandoli cadere in un groviglio ribelle ai lati del suo viso. Come se non stesse palesemente rabbrividendo al contatto con il vento freddo e l’aria pungente. Come se fosse stranamente felice di essere lì con lei. Incrociando gli occhi caldi del ragazzo, Kerli si rese conto di cosa realmente ci fosse di meraviglioso in lui. Lui era quel bagliore chiaro che rischiarava il suo cuore desolato e malinconico come il paesaggio circostante. Lui, che con la sua voce arrochita dal freddo e dall’emozione, le chiedeva semplicemente il perché di tutto quello. Lui, che con tenerezza le scostava una ciocca umida di capelli dal volto inspiegabilmente e improvvisamente serio. Lui, che sembrava capirla come nessun altro e le era vicino. Vicino in un modo che non avrebbe mai saputo spiegare, ma che lei avvertiva essere tale.

All’improvviso lei gli appariva così ingenua, così fragile e indifesa. Così invisibile sotto la pioggia fresca, così maledettamente lontana e irraggiungibile. Era come se durante quel mese loro non si fossero mai conosciuti e tanto meno parlati, perché la ragazza felice sotto il temporale non era la stessa che aveva quasi baciato nel locale il giorno precedente. Quest’ultima era orgogliosa e testarda, forte e combattiva, spigliata e carismatica proprio come una parte di lui. Quella invece che gli stava di fronte era esattamente l’altra metà di sé stesso, perfettamente identica al suo lato insicuro e introverso, timido e remissivo. Quella ragazza era spaccata in due, proprio come lui. Era come guardarsi allo specchio e vedersi riflesso in quegli occhi plumbei come il cielo che gli sovrastava, carico di pioggia proprio come i suoi occhi lo erano di tiepide lacrime. Le rigavano il viso, confondendosi con le minuscole perle d’acqua, e fino a qualche istante prima non si ne era nemmeno resto conto che la ragazza piangesse.

Lei sentiva sul volto la calda sensazione delle lacrime – ne avvertiva il sapore salato anche sulle labbra – che si mischiavano alla pioggerella, rendendole la vista ancora più offuscata di quanto già non fosse. E i suoi occhi non erano caldi solo per quel pianto silenzioso, ma anche per lo sguardo ammaliante di lui che non l’aveva abbandonata neanche un istante da quando si era voltata nella sua direzione.
Non capiva perché piangeva. Non capiva neanche perché il sorriso non avesse ancora abbandonato le sue belle labbra. Non capiva perché fossero ancora fermi sotto il temporale che non accennava affatto a cessare. E, soprattutto, non capiva perché non trovasse spiacevole quella situazione, solo strana.

Le tese una mano, che lei cinse nella propria senza smettere di alimentare quel contatto visivo. La trasse con delicatezza a sé, lasciando che lei nascondesse il volto nell’incavo della sua spalla. Ed erano vicini. Con un gesto fluido e delicato, le cinse le spalle con un braccio, e sempre tenendola stretta a sé la riaccompagnò dentro agli studi di registrazione.

Tom, preoccupato della loro assenza si era liberato alla bell’e meglio della tracolla della chitarra e si era precipitato nel piccolo atrio, dove dopo pochi secondi aveva visto aprirsi la porta e le figure fradice d’acqua dei due ragazzi avevano fatto capolino. Il chitarrista, sbalordito, ci mise un po’ prima di rendersi conto che quei due erano veramente inzuppati d’acqua come cuccioli arruffati, e in attimo fu addosso al fratello, sommergendolo di attenzioni.

-Ma si può sapere cosa diavolo ci facevate là fuori?! Diluvia!- esclamò concitato, mentre, attirati dalla confusione, anche Georg e Gustav li raggiungevano.

Li fissarono con tanto d’occhi, ma per fortuna evitarono commenti. Intanto, però, né Bill né Kerli sembravano dell’idea di rispondere alla domanda posta dal chitarrista.

-Allora?- li incalzò quest’ultimo, incrociando le braccia al petto e scrutandoli con espressione indagatoria.

-Non capiresti- la voce atona di Kerli lo sorprese non poco, e le rivolse un’occhiataccia tra l’offeso e lo sbalordito.

Quello che fece in seguito Bill lasciò senza parole tutti, la ragazza compresa, che si lasciò trascinare dalla mano fredda del moro posata fermamente sul suo polso. La condusse proprio nella stanza dove si trovava fino a qualche minuto prima la ragazza. Bill chiuse con un movimento secco la porta alle loro spalle, e sospirò sollevato solo quando il rassicurante scricchiolio della chiave che girava nella porta risuonò nella stanza.

La ragazza gli scoccò uno sguardo interrogativo, piegando leggermente il capo da un lato.

-Hai detto che loro non avrebbero potuto capire- disse lui, in risposta a quegli occhi indagatori.

-Io, però, voglio capire- aggiunse, continuando a fronteggiarla.

-Non c’è assolutamente niente da capire: sono andata là fuori per lo stesso motivo per cui l’hai fatto tu- fece lei, serafica come suo solito.

-Ah sì, e perché l’avrei fatto?- sbottò lui, scettico, mentre incrociava le braccia in un modo che lo faceva rassomigliare quanto mai a Tom.

-Perché volevi sentire. Perché sei come me- sussurrò semplicemente lei, con gli occhi plumbei che non perdevano mai i suoi ambrati.

Una serie di colpi sordi contro il legno della porta interruppe la loro conversazione, facendoli voltare entrambi in direzione del rumore.

-Accidenti a te, Bill Kaulitz! Apri questa fottutissima porta!- la voce di David risuonava alterata nelle orecchie del cantante, che come un automa fece girare la chiave nella serratura.

La figura di David gli stava difronte, con un espressione di pura rabbia dipinta sul volto. Aveva le mani serrate a pugno, e le braccia tesse lungo i fianchi. Gli occhi, ridotti a due fessure che se avessero potuto avrebbero incenerito il moro con un solo sguardo, era animati da un lampo fremente.

-Fuori. Tutti e due- sibilò.

I due uscirono, sempre facendosi seguire da una scia di gocce d’acqua. Entrambi si erano fermati davanti alla saletta, indecisi sul da farsi, con gli occhi degli altri tre ragazzi fissi su di loro.

-Penso che il suo manager vorrà parlarle, dopo essere venuto a conoscenza di questo spiacevole episodio. Le consiglio di andare a casa e asciugarsi, prima che le venga un malanno- la voce di David risuonava impassibile, priva di qualsiasi nota che le conferisse un’intonazione particolare.

-Certamente- Kerli sorrideva, mentre con il consueto sorriso sulle labbra si avviava verso l’ingresso, raccattando velocemente il cappotto e il cappello di calda lana. Quando la sua figura minuta scomparve all’esterno, David ripuntò tutta la sua attenzione su Bill. E sembrava molto meno calmo e altero di qualche istante prima.

-Dobbiamo parlare, lo sai vero?- domandò, squadrandolo da capo a piedi.

-Perché hai appena fatto la stronzata più grande che si potesse immaginare- aggiunse poi, mentre Tom scuoteva la testa rassegnato. Uno starnuto di Bill fu una conferma più che buona per le parole del manager.

-Vai a casa, fatti un bagno caldo e cerca di riprenderti. Passo a farvi visita questa sera, a casa vostra- concluse David, rassegnato.



Mezz’ora dopo Bill era a mollo nella sua vasca, ricolma d’acqua bollente e schiuma profumata. Aveva chiuso gli occhi, godendosi la sensazione dell’acqua che lambiva la sua pelle ancora fredda, e cercando di non pensare a niente.

Come se fosse anche solo lontanamente possibile.

Certo, forse David aveva ragione: seguire Kerli sotto la pioggia battente non era stata una grande idea. Perché era vestito troppo leggero, e il freddo sembrava essergli entrato fin dentro alle ossa. Perché era fragile, e il suo sistema immunitario non lo avrebbe protetto a sufficienza. Anzi. Già sentiva uno spiacevole fastidio impossessarsi delle sue membra intirizzite. Ma quello che più preoccupava tutti era la voce del ragazzo: se la perdeva adesso, per colpa di una simile stupidaggine, nessuno glielo avrebbe perdonato. Se non Kerli. Ma lei non faceva testo, perché era colpa sua se si era lasciato trascinare là fuori. Eppure, non aveva rimorsi per quello che aveva fatto.

Perché volevi sentire. Perché sei come me.

Le parole di Kerli continuavano a vorticare nella sua testa, e gli riusciva quanto mai difficile scacciarle.

Cosa vuoi dire?

Non aveva fatto in tempo a chiederglielo, e ora il dubbio lo corrodeva. Cosa intendeva veramente la ragazza? Che cosa voleva sentire?
Socchiuse nuovamente gli occhi, passandosi una mano tra i capelli con fare stanco. Si lasciò scivolare un po’ più giù, in modo che l’acqua gli lambisse anche buona parte del collo, sfiorandogli il viso con piccoli schizzi tiepidi.

L’unica cosa che sentiva al momento era uno struggente senso di colpa verso suo fratello e i suoi amici, che contrastava fortemente con l’indifferenza e l’assenza di rimorso verso ciò che aveva fatto. Se avesse potuto, sarebbe nuovamente corso sotto la pioggia assieme a Kerli, e allo stesso tempo però avrebbe cercato di fermare sé stesso, per non dover rendere conto allo sguardo accusatorio di Tom.

Che fa male.

Si ritrovò a pensare con una certa amarezza. E come sempre, lui si ritrovava diviso a metà, senza sapere cosa fare. Se non restare a crogiolarsi ancora nel confortante calore dell’acqua.
 


David aveva mantenuto la sua promessa e verso sera, poco prima di cena, si era presentato a casa dei gemelli. Sembrava aver represso quella rabbia cieca nei confronti del suo pupillo, ma continuava a rimproverarlo per quanto aveva combinato.

-Bill, lo sai che non è niente di personale, però… Insomma, se tu perdi la voce proprio adesso cosa dovremmo fare noi?- domandò retorico il
manager.

Il cantante era rimasto in silenzio, con lo sguardo basso e senza dare a vedere se stesse o meno prestando attenzione. Quando finalmente il manager se ne era andato, augurandogli di non essersi ammalato seriamente, lui e suo fratello erano rimasti silenziosi, seduti l’uno difronte all’altro in salotto.

-Bill?- lo chiamò con voce ferma Tom.

Il gemello alzò lo sguardo sconsolato su di lui, come se si aspettasse un rimprovero.

-Umm?- mugugnò il cantante, con incertezza.

-Io adesso non ti faccio una lavata di capo di quelle che ti ricorderesti per tutta la vita, ma tu mi prometti che, prima o poi, mi spieghi il motivo di questa cazzata. Intesi?-

Bill sgranò gli occhi, piacevolmente sorpreso dalle parole del gemello. Non si era certo aspettato un simile accordo, ma per l’ennesima volta sorrise con gratitudine al suo chitarrista.

Grazie, Tomi. 












My Space:

Care ragazze, eccomi qui! **

Premetto che sono molto soddisfatta della prima parte del capitolo, ma un po' meno della seconda. Voi cosa ne pensate?
Ho certcato di dare spazio ai sentimenti di Kerli, al suo sentirsi proprio come una marionetta i cui fili sono nelle mani di Bill. Quest'ultimo, invece, si ritrova a fare i conti con le proprie scelte, e come sempre è combatuto: da una parte vorrebbe seguire Kerli e la sua folle indole, e dall'altra però non vuole dare eccessive preoccupazioni a Tom, Georg e Gustav.

Secondo voi, qualche parte di sè dovrebbe seguire?

Direi che non c'è molto da aggiungere, se non che questo capitolo porterà a nuove svolte nella nostra storie. Ribadisco che i capitolo li scrivo man mano, e la trama cambia e si evolve a seconda dell'ispirazione giornaliera, perciò non riesco a farvi anticipazioni consistenti.


Ma basta con le chiacchiere! Passiamo ai ringraziamenti.

Grazie a  
Heilig__ , auroramyth  e  _Vesper_   per aver recensito il precedente capitolo della storia. Grazie a tutte le ragazze che preferiscono, seguono, ricordano o semplicemente leggono. Siete fantastiche, dico davvero! ^^

Alla prossima,

Frency.


 
   
 
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