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Autore: Fanelia    11/09/2013    4 recensioni
Questa storia parte dalla fine del manga/anime che dir si voglia e sviluppa una what if, anche su alcune informazioni lette in rete sul Final Story. E' una what if in cui uno dei protagonisti soffre di amnesia a causa di un incidente e solo grazie al ritorno nella sua vita del suo grande amore, ricomincerà a riappropriarsi di frammenti del proprio passato.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XVI
 
Lontano dagli occhi ma vicino al cuore

 
- Colonna sonora: Stay di Elisa
 
Fu così che Terence sistemò il proprio bagaglio e tornò da Candy.
Annie era con lei quando entrò nella stanza.
Avevano parlato a lungo, Candy le aveva raccontato di ciò che aveva ricordato e della morte di Anthony.
“ Stasera partirà.”
“Sì, lo so, mi spiace.”
“Così non ricorderò più nulla.” continuò lei cercando di distogliere l’attenzione da ciò che realmente le premeva.
“Sei sicura che sia questo a preoccuparti?”
“Cosa vuoi dire?”
“Lo sai.”
“Io …”
“Gli hai chiesto di chiamarti?”
“E perché dovrei? Se avesse voluto farlo, me lo avrebbe chiesto.”
“Tu credi?”
“Comunque New York è lontana, troppo lontana. Lui è famoso, le donne  gli si buttano ai piedi, cosa vuoi che gli importi di chiamare una sciocca ragazzina di Chicago.”
“Sei davvero sciocca! Ma non voglio insistere. Fossi in te farei qualcosa, rischi di pentirti del tuo silenzio.”
“Cosa potrei dirgli Annie?” si sfogò con l’amica, le lacrime che premevano per uscire finalmente le percorrevano liberamente le guancie.
“Quello che provi” provò a suggerirle. Si stupì di essere proprio lei a darle un tale consiglio, lei che non era stata in grado di confessare ad Archie i propri sentimenti e gli era rimasta vicina in silenzio per troppo tempo. Ma proprio perché lei stessa aveva rischiato di perdere l’uomo che amava, voleva spronare la sua amica a fare diversamente.
“Oh Annie, perché è così difficile?”
“Non è difficile Candy, devi solo seguire il tuo cuore.”
“Dici? E, comunque, lo sai che lui ama un’altra. Perché dovrei rendermi ridicola?”
“Oh Candy, secondo me non ha nessun’altra. E poi, perché ti renderesti ridicola? Cosa c’è di ridicolo nell’amare? Sai, la vecchia Candy non si sarebbe posta tutte queste domande ...”
“Ma non sono la vecchia Candy. “ le aveva risposto quando qualcuno bussò alla porta interrompendole.
Così Terence la trovò con gli occhi gonfi e ne dedusse che dovesse aver pianto e non poté non chiedersi se ne fosse lui la causa.
 “Mi spiace che tu abbia discusso con Albert.”
“Ah, non preoccuparti, è tutto chiarito.”
“Sono contento di saperlo.”
Il silenzio cadde nuovamente fra loro.
Era ormai pomeriggio tardo, presto sarebbe stata servita la cena.
“Ceni in camera?” le chiese lui.
“Credo di sì.”
“Posso passare a salutarti?”
“Assolutamente.”
“Ci vediamo dopo allora?!” le domandò nuovamente lui, prima di lasciare definitivamente quella stanza, infatti, da poco, era arrivato il dottor Price per visitare nuovamente Candy.
 
Lo aggiornarono, raccontandogli tutto ciò che Candy aveva ricordato e quanto accaduto durante quel breve lasso di tempo.
Il dottore si rivelò sorpreso: la sua paziente sembrava cominciare a ricordare e quel giovane ragazzo ne era la causa scatenante. Avrebbe dovuto immaginarselo, Albert lo aveva messo al corrente di tutto  ciò che era successo fra i due giovani, anni addietro, e di quanto Candy fosse stata ancora perdutamente innamorata di lui, fino a prima dell’incidente, nel quale aveva perso la memoria.
 
Quando il dottor Price lasciò Villa Andrew, la cena venne servita.
Avevano deciso di anticipare il pasto, per poter consentire ai loro ospiti di giungere alla stazione per tempo.
L’atmosfera attorno al tavolo era davvero bizzarra.
Albert sembrava pensieroso, Karen dispiaciuta, Terence assente, Annie preoccupata mentre Archie era l’unico a sembrare soddisfatto. Soddisfatto, certo, di lì a breve si sarebbe liberato di quell’attore da strapazzo. Nonostante avesse constatato che i sentimenti del giovane per la cugina fossero forti e sinceri, non riusciva a farselo piacere. Non gli era mai andato a genio e, difficilmente, lo avrebbe accettato. Inoltre, la speranza che con la lontananza Candy potesse dimenticarlo, solleticava la sua fantasia.
Terence era così assorto nei propri pensieri che toccò appena il cibo che gli venne servito.
Albert si propose di accompagnarli in stazione, nonostante Terence avesse insistito per prendere un taxi.
Terminata la cena, Terence si recò da Candy per salutarla ma, proprio mentre si accingeva a bussare alla sua porta, il Signor Miles lo bloccò.
“La signorina ha chiesto di non essere disturbata.”
“Ma mi ha chiesto lei di passare a salutarla.”
“Mi spiace Signor Graham, io eseguo solo gli ordini e mi ha chiesto di non lasciare passare nessuno, nemmeno lei.”
“Candy! Apri la porta per favore!” gridò lui a pieni polmoni. Non si sarebbe certo fatto intimorire dal maggiordomo.
“Signor Graham per favore …”
“Me ne andrò quando sarà lei a dirmelo!” le parole di Terence giunsero chiare e forti nella stanza di Candy. Lei avrebbe voluto rivederlo, salutarlo ma non poteva vederlo andare via. Non sarebbe stata in grado di lasciarlo andare. Aveva paura che una volta tornato a New York avrebbe rivisto la donna che tanto amava, dimenticandosi di lei. Del resto, come poteva pretendere di combattere contro una rivale di cui non sapeva nulla, se non quanto forte dovesse essere l’amore di Terence per lei, se era riuscito a sopravvivere all’incessante ed inesorabile passare del tempo.
E così, aveva deciso che preferiva non salutarlo. Sperava che si sarebbe arreso all’evidenza ma doveva immaginare che non avrebbe demorso facilmente.
“Che succede?” chiese Albert che doveva essere  appena sopraggiunto.
“Candy non vuole essere disturbata.”
“Sì, lo so. Mi ha informato il Signor Miles.”
“E quindi non posso salutarla?” gli chiese incredulo.
“ Se vuoi aprire la porta puoi farlo, non è chiusa a chiave.”
“ Vado a prendere la mia valigia.” rispose Terence irritato. Non aveva certo intenzione di violare la sua decisione. La rispettava e avrebbe rispettato anche quel suo insensato gesto.
Se avesse saputo che non l’avrebbe rivista l’avrebbe stretta a sé, avrebbe inspirato il suo profumo, l’avrebbe baciata per ricordarlo quando a New York …
Si sentiva confuso. Poco prima aveva detto ad Albert che, se fosse stato necessario, l’avrebbe lasciata andare e invece il suo cuore lo spingeva ad agire diversamente. In realtà, sapeva benissimo che, nel profondo del suo animo, non avrebbe mai potuto lasciarla andare. Avrebbe dovuto lottare per lei e attendere che ricordasse. Era certo che, una volta ricordatasi di lui, avrebbe potuto dirle che l’amava ancora e avrebbe potuto finalmente sperare di cominciare una vita insieme.
Mentre raggiungeva la propria stanza, un vortice di sensazioni contrastanti si impadronì del cuore e della mente di Terence. Non poteva certo finire così, non doveva.
 
Solo quando Terence se ne andò, Candy trovò il coraggio di aprire la porta della propria stanza.

Albert era ancora lì fuori, sarebbe voluto entrare per chiederle se si sentisse sicura della propria scelta ma lei lo aveva preceduto sbucando all’improvviso, in maniera fugace, dalla porta della propria stanza, dalla quale lo ringraziò prima di richiudere velocemente la porta, senza lasciargli il tempo di aggiungere nulla.
Aveva preferito non farsi vedere perché non voleva che Albert notasse le lacrime che le rigavano il volto.
Terence se ne era andato arrabbiato, frustrato e deluso.
In qualche modo, aveva l’impressione che si stesse ripetendo quella stessa separazione di tanti anni fa. Lei che prendeva una decisione per entrambi e, lui che la subiva.
Mentre stava per salire in auto, rivolse un ultimo sguardo verso la sua finestra e la vide mentre li osservava di nascosto.
Chiese ad Albert di pazientare un momento, con la scusa di aver dimenticato qualcosa di importante in camera. Fandonie. Non se ne sarebbe andato senza rivederla! Al diavolo i buoni intenti, perché doveva dimenticarla? Perché doveva allontanarla? Il suo amore per lei era sopravvissuto allo scorrere del tempo, cosa erano quei chilometri che li separavano in confronto?
Corse al piano di sopra, aprì la porta della camera di Candy, la raggiunse vicino alla finestra.
La fissò per un istante che parve infinito mentre, con gli occhi pieni di lacrime, lei cercava di fuggire quello sguardo che riusciva a farla sentire colpevole e, forse, lo era. Perché aveva deciso di comportarsi come una stupida? Perché lo voleva fare partire lasciandogli pensare che di lui non le importasse nulla? E poi, non era nemmeno riuscita nel suo intento, era evidente che lui non avesse creduto a quella sciocca farsa e che non fosse entrato prima da quella porta solo perché la rispettava.
“Scusami!” gli disse lei.
In quel momento qualcosa si impadronì di Terence.
Allungò le braccia verso di lei, le cinse la vita, l’avvicinò a sé e la strinse forte. Inspirò il suo profumo. Fu tentato di baciarla ma represse quell’impellente desiderio viscerale e così, le sue labbra le sfiorarono la fronte.
La lasciò tremante e chiedersi cosa ci fosse fra di loro, mentre lui correva verso l’auto.
 
Candy rimase immobile, per dei lunghi minuti, a fissare l’immagine di Terence che spariva nell’auto, mentre un fiume in piena veniva riversato dai propri occhi. Era stata una sciocca a non permettergli di entrare nella sua camera e, se non fosse stato per la sua impulsività, in quel momento avrebbe rimpianto quella decisione. Era felice che lui non le avesse dato retta, felice che lui fosse stato più sincero e meno stupido di lei, contenta che a rischio di venire ferito, lui avesse giocato a carte scoperte. Non le aveva detto nulla, certo, ma quel suo abbraccio così forte, così carico, così pieno di … di non sapeva nemmeno lei cosa, valeva più di tutti i versi che lui avrebbe potuto recitare. Si ripromise che lo avrebbe rivisto, a costo di chiedere ad Albert di poter andare a New York. E se lui glielo avesse proibito beh, lei sarebbe scappata di casa.
“Perchè no?” si ritrovò a chiedere e sé stessa, mentre rideva.
 
Terence avrebbe voluto fermarsi a spiegarle, parlarle, ma poi quel gesto, quell’abbraccio, era valso più di mille parole.
Con il cuore in gola, gli occhi umidi e la vista appannata aveva raggiunto l’auto di Albert.
Non si sentiva meglio, per niente. Ma almeno aveva avuto la certezza che, solo per paura di soffrire, lei aveva preso la decisione di non salutarlo.
 
Né Albert né Karen indagarono su quanto accaduto.
Il viaggio in auto si svolse in silenzio, ciascuno assorto nei propri pensieri.
 
Arrivati in stazione Terence salutò Albert e raggiunse la propria cabina per lasciargli il tempo di salutare Karen.
“Mi spiace che la tua vacanza sia già terminata.” le disse Albert.
“Anche a me, e molto.”
“Posso chiamarti?”
“Mi farebbe molto piacere.”
“Se avessi modo di passare per Chicago … sì, lo so, ti sarà molto difficile …”
“Ma spero che tu abbia modo di passare per New York.” suggerì lei.
“Assolutamente. Ma non credo così spesso come vorrei.”
“Aspetterò.” rispose lei.
Per la prima volta da quando l’aveva incontrata, si stava rendendo conto che avrebbe sentito la sua mancanza. Quanto avrebbe voluto vivere a New York per poter vivere quel qualcosa che stava nascendo tra di loro, eppure lui era  alla guida di un’azienda e non poteva certo decidere all’improvviso di spostarne la sede operativa per un capriccio, per una donna poi, anche se …
Stava per salire sul treno, quando lui la bloccò.
“Karen!”
Lei si girò a guardarlo ma lui l’attirò a sé per abbracciarla.
La giovane si sentì inebriata da quella strana sensazione che stava provando. Il suo cuore stava decisamente tornando a battere per un uomo. Possibile che, in così poco tempo, si fosse innamorata?
“Buon viaggio. Spero di vederti presto.”  disse lui quando tutto ciò che avrebbe voluto chiederle era di aspettarlo. Voleva chiederle di pazientare, dirle che avrebbe trovato una qualche soluzione ma poi, dovette fare i conti con la razionalità. I chilometri che separavano New York da Chicago erano molti e, soprattutto, il lavoro di entrambi non avrebbe certo concesso loro di vedersi con tanta facilità.
La guardò salire sul treno senza staccarle mai gli occhi di dosso e osservò in silenzio, il treno allontanarsi lentamente, per poi sparire all’orizzonte.
Karen si sistemò nella propria cabina e guardò la figura di Albert attraverso il finestrino, sparire lentamente.
Avrebbe tanto voluto che il tempo si fermasse ma non era possibile. Aspettò un po’ prima di bussare alla porta di Terence. Immaginava che anche lui non fosse dell’umore di intrattenere una conversazione e, se lo conosceva abbastanza, era certa che, come lei, preferisse stare da solo.
Le vacanze erano finite, lei si stava allontanando da Albert e non sapeva quando lo avrebbe rivisto e, al loro arrivo a New York con molta probabilità si sarebbero dovuti difendere dai Griffiths. Sapeva benissimo che la presenza di Kathrine in teatro non avrebbe influito solo su Terence ma anche su di lei. Era certa che Kathrine le avrebbe fatto pagare i diversi affronti che aveva osato farle.
Si decise infine e bussò alla porta del collega.
“Vieni pure.” rispose Terence sicuro che fosse Karen.
“Ti disturbo?” chiese lei aprendo la porta.
“Non ti preoccupare. Anche tu non riesci a dormire?”
“Pur niente. Pensavo …”
“Ai Griffiths vero?”
“Eh sì. Sai, dopo questa bella vacanza, tornare a New York e sapere di dover avere a che fare con Kathrine e suo padre … la cosa che mi infastidisce è sapere che avremo ben poca voce in capitolo. Cosa faremo?”
“ Non lo so, Karen. Ciò che so per certo è che non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa da quelli e non ho intenzione di diventare il burattino di Kathrine. Dovrò pensare a come arginare il problema senza danneggiare il resto della compagnia.”
“Io credo fermamente che le audizioni saranno un inferno. Tu no? Metterei la mano sul fuoco che farà di tutto per non farmi avere la parte principale.”
“Dubiti di Robert?”
“Assolutamente no. Ma mi sembra di avere intuito che ha le mani legate.”
“Sì, forse, ma credo che piuttosto che lasciare decidere loro, cercherà altri sovvenzionatori o sospenderà lo spettacolo.”
“Sì, forse hai ragione.”
Karen guardò Terence e lo vide assentarsi. Era un po’ preoccupata per lui. Certo, non erano confidenti o amici stretti ma, passando tutto quel tempo insieme, avevano imparato a conoscersi meglio e lei aveva imparato a leggere nei suoi silenzi.
“Vedrai che starà bene. So che ti è dispiaciuto lasciarla e mi spiace che tu non abbia avuto modo di salutarla.”
“Se non fosse stato per Kathrine saremmo ancora a Chicago!” le rispose lui e Karen comprese appieno ciò che quelle parole volevano stare  a significare.
 “Albert mi ha promesso che verrà presto a New York.” disse lei, sperando che intuisse che probabilmente, a breve, l’avrebbe rivista.
“Non ne avevo dubbi Signorina Klays!” le rispose lui ridendo.
Karen gli stava simpatica. Era gentile a preoccuparsi per lui, nonostante sapesse che  correva il rischio di ricevere una delle sue risposte fulminanti.
“Ora è meglio che vada a dormire. Ci vediamo domani.”
“Ok, buona notte.”
“Terence?”
Lui la guardò.
“Cerca di riposare.”
“Grazie.” le rispose lui, poi la guardò uscire dalla sua cabina, mentre la porta le si richiudeva alle spalle.
Cercò invano di riposare, ogni qual volta riusciva ad assopirsi, qualche incubo interrompeva il suo sonno.
Con un pugno colpì la parete della cabina, era arrabbiato, così arrabbiato che avrebbe potuto strozzare i Griffiths con le proprie mani.
Se ripensava a Candy e allo shock che aveva subito ricordando di Anthony, a come l’aveva vista tremare indifesa e spaventata, non poteva che infuriarsi con sé stesso per averla lasciata da sola. Sì, certo, era consapevole che non fosse sola ma lui non era presente, non era con lei.
L’aveva lasciata a chiedersi cosa ci fosse fra di loro. Non le aveva chiesto se poteva chiamarla, non l’aveva invitata ad andare a trovarlo, quando era ben consapevole che lei lo desiderasse quanto lui.
Era stato un sciocco impulsivo. Per fortuna, non si era arreso all’idea di non poterla salutare ed era corso nella sua stanza per abbracciarla. Poteva sentire ancora il battito del suo cuore, il suo caldo abbraccio, il suo delicato profumo e il tremore che l’aveva pervasa quando lui l’aveva stretta a sé.
Avrebbe trovato una scusa per chiamarla e sapere come stava. Lo avrebbe fatto non appena arrivato a New York.
 
Quel viaggio di ritorno verso casa gli parve lungo e interminabile. Una volta giunti a New York, le loro strade si separarono: si sarebbero rivisti l’indomani in teatro.
Terence aveva fretta di rincasare. Aveva molte cose da sistemare ma, in primis, voleva chiamare Albert e sapere come si sentiva Candy.
Trovò la signora Peters ad accoglierlo e, dopo due brevi scambi di battute, si recò nella propria stanza per posare i propri bagagli.
Poi corse al telefono che teneva nel proprio studio e digitò il numero di villa Andrew.
Riconobbe subito la voce di Cornwell all’altro capo del ricevitore.
“Proprio lui!” pensò Terence.
“Che vuoi Graham! Te ne sei andato da meno di ventiquattro ore e già mi tocca sentire la tua voce?”
“Cornwell smettila di comportarti come un idiota. Non ho chiamato per te. Vorrei parlare con Candy.”
“E se non te la passassi?”
“Richiamerei mille volte. Prima o poi risponderebbe qualchedun altro.”
“Vado a vedere se è sveglia.”
Archie, alquanto irritato, si incamminò verso la stanza di Candy. Non era certo che fosse un bene che si parlassero ma conosceva Terence a sufficienza da sapere che non avrebbe certo demorso.
Pensò  inoltre che, se Annie fosse venuta a conoscenza del suo sciocco tentativo di intromettersi, questa volta l’avrebbe pagata cara.
“Candy, sono Archie. C’è qualcuno al telefono per te.”
“Chi è?” chiese lei aprendo la porta con le guance in fiamme.
“L’attore.” rispose lui seccato ed annoiato. Gli urtava i  nervi vedere la reazione di Candy ogni qualvolta lo nominassero.
“Grazie!” disse baciandolo sulla guancia e correndo via, poi realizzò che non sapeva da quale telefono avesse risposto Archie.
“Ufficio?” chiese lei gridando.
“Sì!” le rispose lui.
Candy correva per casa in camicia da notte, avvolta nella vestaglia. Non le importava che potesse vederla qualcuno, voleva solo risentire la sua voce, lo desiderava così disperatamente.
“Pronto!” disse alzando il ricevitore.
“Candice, come stai?”
“Meglio, grazie!”
“ Sono felice di saperlo.”
“Com’è andato il viaggio?”
“Tranquillo.” rispose lui e lei ridacchiò.
“Se ridi vuol dire che devi sentirti davvero meglio.” chiese lui.
“Sì, davvero, non preoccuparti. E’ stato un shock ricordare di Anthony ma sono circondata da persone che si preoccupano per me e mi vogliono bene e quindi …”
“Scusami, sono dovuto partire per forza.” trovò il coraggio di dirle lui.
“Albert mi ha detto di Kathrine. Spero che non ti crei troppi problemi.”
“Non ti preoccupare, so come tenerla a bada.”
“Lo spero davvero. disse lei seriamente preoccupata. Quella Kathrine era una persona orribile e lei ne aveva avuto la riprova. Sapeva che non si sarebbe fermata davanti a nulla pur di ottenere ciò che voleva. Ma ciò che voleva Kathrine era ciò che anche lei intimamente desiderava e non aveva intenzione di rinunciare a lui, nonostante la distanza che li separava.
“Tu promettimi di non preoccuparti per me.”
“Ci proverò.”  rispose lei.
“Candy, hai carta e penna?” chiese lui.
Lei rimase sorpresa da questa sua richiesta, che doveva farci?
“Sì, ma che devo scrivere?”
Terence rise.
“Perché ridi?”
“ Ti lascio il mio numero, qualora avessi bisogno. Sai che sono spesso in teatro ma, la mattina, fino all’ora di pranzo, mi trovi. Poi, dopo lo spettacolo. E se non mi trovi, lascia pure un messaggio alla signora Peters, ti richiamerò appena possibile. Non farmi preoccupare, ok?”
“Va bene!” rispose lei, poi scrisse, con mano tremante a causa dell’emozione, il numero che lui le dettò.
Finalmente! Aveva il suo numero, poteva chiamarlo. Era contenta e, quando posò il ricevitore, e si guardò nell’enorme specchio che si trovava nello studio di Albert, si rese conto del sorriso che aveva dipinto in viso. Era ridicola. Rise di sé stessa e delle proprie guance bordeaux.
Tornò nella propria camera sorridente. Certo, era triste a causa di quel ricordo che il suo cuore le aveva restituito, ma se era sincera con sé stessa, era felice di aver ricordato Anthony. Le era sempre pesato particolarmente il non riuscire a ricordarsi di lui, del ragazzino che aveva amato quando giovanissima. Ora si sentiva meglio, per quanto la forza del sentimento che aveva provato per lui e il dolore per la sua morte l’avessero colpita per una seconda volta. Quando aveva risposto al telefono, aveva indossato il proprio migliore sorriso e aveva accantonato la tristezza. Sapeva che Terence aveva i suoi problemi da risolvere e non voleva che si preoccupasse per lei o che si sentisse in colpa per non esserle stato vicino.



NDA: Grazie a tuttissime per le letture! La FF sta volando verso le 1500 letture in poco più di 4 mesi, stento a crederci!
Ragazze, attendo curiosa le vostre opinioni! Su, fate sentire la vostra voce! Vi ringrazio e perdonatemi l'ennesimo cambio di nick, cercherò di trovare pace, promesso!
   
 
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