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Autore: Subutai Khan    11/09/2013    1 recensioni
Questa è l'idea più malata che mi sia mai venuta in testa, e chi mi segue conosce lo standard. Sì, è peggio di quella. E di quella. E pure di quell'altra.
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Shinichi Ono sta tornando a casa dopo una dura giornata scolastica. Per strada, in quel momento sgombra di altre forme di vita bipedi, incoccia contro un ragazzo che non ha mai visto prima.
Stringetevi per bene, saranno capriole.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Genma Saotome, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Shan-pu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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21 febbraio 2012.
Non so cosa pensare.
Ranma è qui da ormai tre giorni, tre giorni e mezzo a fare i pignoli. Da quel momento in camera mia ci siamo relazionati direttamente molto, molto poco.
Turbamenti a profusione, da entrambe le parti. Forse non avrei dovuto dirgli di quel mio leggero... problema ormonale. O forse, al contrario, ho fatto più che bene ed è servito a mettere una giusta dose di distanza.
Non che voglia sul serio evitarlo, dico solo che... oh insomma, è complicato da morire. Glielo leggevo benissimo in faccia che il mio solo sorridergli gli provocava scompensi di ogni genere, e stavo cercando di non far trasparire più del dovuto. Era davvero un sorriso di genuino apprezzamento per quelle parole gentili rivolte a Kasumi. Quindi figurati cosa avrei potuto scatenare in lui se avessi azzardato sottintendere qualcosa, sconcio o meno che fosse.
Da parte mia mi era praticamente impossibile, e lo è tuttora, non rivedere in lui il mio Ranma. A parte pochi particolari sono fisicamente la stessa identica persona. Però la barbetta gli sta bene, conferisce al pacco quel non so che di sexy che...
Taci Akane. Certi pensieri è meglio evitarli.
Fisicamente sono uguali, ok. Ma anche un moccioso dell’asilo capirebbe che il tutto è ben più contorto. Innanzitutto per lui, che poveretto non avrà fatto altro che rivivere quel pomeriggio da incubo. Ho idea da subito, sin da quando ha poggiato gli occhi su Rei che, inevitabilmente, gli avrà riportato alla mente la sua Akane.
Certo, sto dando per scontato che quel che vale per me e per il mio Ranma valga allo stesso modo nel suo caso. È automatico. Magari sto correndo un po’ troppo, ma è sempre meglio dare per assodato il peggio. Mal che vada ci si è fatti degli scrupoli inutili ma non si è rischiato di spezzare nessun cuore. E comunque mi sembrava abbastanza evidente, da come ha parlato di lei -anche se si è limitato a poche parole- e da come sembrava che io fossi fatta di porcellana, quasi avesse paura di toccarmi perché temeva potessi andare in mille pezzi.
Quel ragazzo è pesantemente traumatizzato e non vedo come possa essere altrimenti, considerato quel che ha vissuto. Penso che, seppure con tempi e numeri diversi, possa rivaleggiare con la Shan-Pu di questo mondo che va bene, ha visto morire più persone ma in un lasso di tempo molto più lungo. E soprattutto non se n’è assurdamente accollata la responsabilità. Aveva la disperazione più nera negli occhi quando ha detto “Io... ti ho uccisa”. Non mi meraviglierebbe scoprire che quello stupido crede davvero di essere colpevole. So che non è così, Kasumi ha provveduto a ragguagliarmi ed è a dir poco lampante che non c’entra praticamente nulla.
È innocente.
Non del tutto, però. Ha una torto, non grande in proporzione all’evento ma ce l’ha: come al solito si fa carico di tutto e di tutti, come se da lui dipendesse la salvezza dell’intera umanità. Non riesce proprio a togliersi dalla testa che non sempre si è in grado di mettere al sicuro capra e cavoli. Capita che, nonostante i più nobili propositi, qualcosa lo si perda.
Il più delle volte Ranma Saotome è un cavaliere in armatura dalla bravura sopraffina. Per questo, nelle rare occasioni in cui gli va male, il fallimento pesa come un macigno. Specie se porta a simili conseguenze.
Senza di me e senza Ukyo. Le nostre storie sono immagino identiche fino al momento del duello, che per mia fortuna è stato scongiurato dal tempismo perfetto della stessa Ukyo. Incredibile come l’assenza di una sola persona possa influenzare fino a questo punto l’esistenza di tutta questa gente. La mia, la sua, quella di tutti i parenti, quella della mia migliore amica.
Grazie a quell’esperienza io e Ranma ci siamo avvicinati come non mai, abbiamo gettato la maschera riuscendo finalmente a dirci in faccia cosa proviamo l’uno per l’altra, abbiamo persino... approfondito carnalmente. A lui tutto questo è stato negato per una piccola, sfortunata coincidenza. Piccola, sfortunata coincidenza che gli ha devastato la vita.
Getto un sasso nello stagno. Sono nella stessa posizione di Akira quella famosa mattina di più di tre anni fa, quando abbiamo fatto la gitarella da Happosai giusto per perdere un po’ di tempo.
Già, come i fatti dimostrano nessuno ha davvero voluto sfruttare quel metodo a dir poco precario. Il mio finto fratello ha alla fine deciso di soprassedere, nonostante per lunghi periodi abbia riportato a galla, a intervalli intermittenti, l’idea dal fondo del mare dove l’avevamo gettata; Genma ha optato per un sistema altrettanto pericoloso ma che, se non altro, dovrebbe avergli dato la certezza dell’arrivo nel posto e nel momento giusto. Anche se Shan-Pu ha teorizzato che di lui non dev’essere rimasto poi molto, vista la simpatica abitudine dell’Artiglio di farsi pagare in pezzi di corpo. Brrrrrr.
Non ho voglia di far nulla. La mia vita qui è in una sorta di limbo, anche se tengo in piedi la palestra da sola. Perché ho carenze di fondo, così palesi che nemmeno perderò tempo ad elencarle. E quindi sento l’insoddisfazione serpeggiarmi fra le dita, come un minuscolo cobra. Non che l’insoddisfazione sia davvero così rettilosa, ma mi piaceva la figura retorica.
Un sospiro. Uno sbuffo. Una mezza parolaccia sussurrata.
“Akane! È ora di pranzo, potresti andare a chiamare Akira per favore? È ancora chiuso in camera a studiare”. La voce di Kasumi mi desta da questi decadenti pensieri da artista maledetto.
Mi alzo e faccio quel che mi è stato chiesto. Da circa una settimana il signorino Hibiki mette il naso fuori dalla propria stanza solo per i pasti, assorbito com’è dall’esame di ammissione. Essendosi rassegnato a rimanere qui per chissà quanto ha deciso di fare qualcosa di più consistente che ciondolare per casa senza meta, lamentandosi all’aria del suo ingiusto destino. Se non altro pare convinto a non voler ripetere i magnifici exploit di Shinichi, che dall’arrivo di Ranma non ha più la facoltà di poggiare neanche un solo piede oltre la soglia di casa.
Fra l’altro gli devo ancora un diretto, a quello lì.
Un breve cammino e sono di fronte alla sua porta.
TOC TOC.
Nessuna risposta.
TOC TOC.
“Akira, cacchio. Ci aspettano di sotto, è pronto. Alza le chiappe”.
Niente.
La cosa mi insospettisce.
Senza preoccuparmi troppo apro la porta.
E la stanza è vuota.
“Akira, dove ti sei cacciato?” chiedo ad alta voce, ma non ottengo alcuna risposta.
Ma che strano, non è da lui sparire in questo modo. Con tutto l’impegno che stava investendo nello studio e...
Uh? Che cos’è quel block notes sulla scrivania? Non dà proprio l’aria di essere parte del suo materiale di preparazione.
Lo apro. E quel che leggo e vedo... sì, mi spaventa.
È pieno, pieno di schizzi. Ogni singolo centimetro. E questi schizzi lo rappresentano in posizioni e atteggiamenti che, col gergo di questo secolo, sono definibili emo. Lui che guarda fuori dalla finestra, lo sguardo avvilito e malinconico; lui in disparte rispetto a un gruppetto, di cui fra gli altri facciamo parte io e Shinichi, con la testa bassa e la più classica delle lacrime da femminuccia intristita; lui che osserva una foto incorniciata di due persone, i cui volti non sono ben definiti, vestite per una cerimonia... un matrimonio, forse?
Le poche parole presenti acuiscono solamente il mio disagio: voglio tornare a casa, questo posto è sporco e vuoto e non vi sopporto più, maledetti spettri.
Oh santi kami benedetti.
Questo... questo è grave. Molto grave.
Poi il colpo di grazia. In un angolo, quasi coperto da altri scarabocchi, appare chiaramente un disegno dell’Artiglio della Chimera. O almeno credo che lo sia non avendo mai io visto quell’oggetto, ma una specie di corno di rinoceronte cos’altro potrebbe essere?
Porca di quella...
Chiudo il quadernetto e lo porto al piano di sotto, correndo verso la cucina.
Spalanco la porta. Dentro ci sono Kasumi, al solito impegnata nel pranzo, e Ranma che la osserva con sguardo famelico. Quello lì non smette mai di avere un buco nero al posto dello stomaco, qualunque sia l’universo dal quale proviene.
“Ehi Akane... ciao” mi saluta, un lieve balbettio nella voce. Se non avessi pensieri più pressanti mi sentirei intenerita. Ricambio con un velocissimo cenno della testa. Per svariati motivi non ho intenzione di calcare troppo la mano.
“Kasumi! Akira non è in camera sua e guarda cos’ho trovato”.
Le porgo il quaderno e la esorto a sfogliarlo. Ranma deve aver annusato qualcosa di strano, visto che prende a fissarci.
No, non hai tempo di rivolgerti a lui dicendogli quanto sta bene vestito in maniera umana. E dire che indossa solo una camiciola un po’ sbottonata sul collo, che mi fa intravedere...
Cazzo. Concentrazione Akane, concentrazione. Non distrarti.
“Akane... quanto è scritto qui... mi preoccupa”.
“Preoccupasse solo te”.
“Scusate se mi intrometto” dice il bel tomo avvicinandosi a noi “ma posso sapere di cosa state parlando? Mi avete incuriosito”.
Sto per rispondergli di farsi una scarica di affaracci suoi, risposta scortese dovuta più alla concitazione del momento e al fatto che se mi viene troppo addosso rischio di cominciare a sudare, quando Kasumi mi precede: “Si tratta di Akira. Questo sembra un suo blocco da disegno e ci ha scarabocchiato sopra delle cose un po’ inquietanti”.
“Del tipo?”.
“È una storia lunga, Ranma. Ti spiego mentre andiamo al Nekohanten, se vuoi venire con me” tronco la conversazione che rischiava di farci perdere tempo prezioso.
Oh sì, sono abbastanza convinta che il misfatto sia stato compiuto da poco. Stamattina a colazione Akira c’era e non credo abbia lasciato questa casa da troppo. Tu chiamalo, se vuoi, intuito femminile.
“Al... Nekohanten?”.
“Sì. È lì che Shan-Pu tiene l’Artiglio”.
“Verrei volentieri con voi” dice la mia quasi sorella “ma temo che vi sarei solo d’impiccio. Inoltre non voglio che il pranzo bruci”.
... le priorità della vita, questo insondabile mistero della testa di Kasumi Ono.
Afferro il polso del nostro galeotto e lo trascino fuori. Se mi fossi fermata un attimo a riflettere non credo l’avrei fatto, non è che la sua presenza mi sia così fondamentale... e ciò dimostra che non ho riflettuto. Non credo di potermi permettere di buttar via un solo secondo, potrebbe essere quello decisivo.
“Akane... Akane! Mollami, per favore. So correre da solo e mi ricordo dov’è il ristorante!” guaisce il mio prigioniero quando siamo già in strada.
“Uh. Sì, scusa. La foga...”.
“Non importa” commenta più pacato dopo che l’ho lasciato andare “Piuttosto, perché non mi racconti cos’è questo Artiglio?”.
“Non so molto, non sono neanche del tutto sicura che Akira lo abbia disegnato sul serio. Però quel poco che so non è rassicurante”.
“E cos’è che sai?”.
“Vedi, l’Artiglio è un artefatto amazzone che a quanto pare può concedere qualunque desiderio a chi lo sfrutta ma...”.
“Ma... ma è splendido!”.
“No, non lo è”.
“Non capisco perché dici così”.
“Perché non mi hai fatto finire, birbantello. L’Artiglio concede il desiderio di chi lo usa, sì... ma in cambio vuole un pagamento”.
“Che genere di pagamento?”.
“Una parte dell’utilizzatore. Un pezzo di sé”.
“Un... che?”.
“Un pezzo di sé. Ti ho detto che io e Akira siamo qui da più di quattro anni, giusto? Ebbene, non eravamo soli. C’era anche una versione di tuo padre. Nel suo mondo lui l’aveva usato, difatti è a causa sua se noi sappiamo dell’esistenza di quell’aggeggio. Ed è sempre grazie a quel coso che è tornato a casa sua”.
“L’aveva... usato? Perché?”.
“Lo vuoi davvero sapere?”.
“Direi di sì. Papà non è mai stato tipo da fare una pazzia del genere”.
“Beh, ti posso assicurare che aveva un motivo molto valido. Ha detto che nel 1999 la sua famiglia, noi due inclusi, è stata massacrata ed è tornato indietro nel tempo nel tentativo di impedirlo. Per farlo, però, ci ha rimesso gli occhi. E chissà cosa per abbandonare questa realtà”.
Sento indistinto il rumore di qualcuno che inchioda. È ridicolo, lo so, ma è proprio ciò che arriva alle mie orecchie.
Mi volto e lui è piantato in mezzo alla via.
Diamine Ranma, non ostacolarmi. Devo impedire ad Akira di finire su una sedia a rotelle.
“Massacrati...”.
“Ometto con la barba, muovi il culo. Ti dico tutto dopo se proprio ci tieni a saperlo. Non adesso”.
Si scuote, come se si fosse appena svegliato. Poi mi guarda determinato e riprende a correre.
Bravo ragazzo. Mi fa piacere vedere che là dentro c’è ancora il Ranma che conosco e amo.
“Quindi” riattacca dopo qualche minuto “vuoi impedire ad Akira di mettere le mani su quella trappola...”.
“Esatto. Non ci tengo a saperlo senza un arto”.
“Perché? Cosa ti interessa di lui?”.
 “Non puoi sapere, già. Io e lui abbiamo legato piuttosto bene durante la nostra permanenza qui, è scattato subito qualcosa di bello”.
“Qualcosa... di bello?”.
Ma toh, colgo una nota di gelosia.
“Oh no, non nel senso che la tua testolina buffa può aver creduto. Poi figurati, lui ogni tanto mi chiama zia perché nel suo mondo sono pappa e ciccia con i suoi genitori. Penso che non concepisca neanche la possibilità, abituato come dev’essere a vedermi come un’amica di famiglia e null’altro”.
“Uff. Meno male, và”.
Vedo che le mie supposizioni di prima hanno centrato il bersaglio.
Giungiamo. Devo prendermi un attimo per rifiatare, sono un pochino stanca. Quel buzzurro, invece, mi sfotte continuando a saltellare da fermo, apparentemente in piena forma.
Tsk. Lo so che sei più forte e figo di me, non c’è bisogno di ricordarmelo.
Alt, fermi tutti. C’è un problema.
Shan-Pu non ha ancora visto Ranma. A quel che ne so negli ultimi giorni è sempre rimasta tappata lì dentro, oberata di lavoro fin sopra i capelli. E tutto il frastuono che ci arriva parrebbe confermare che anche oggi è giornata piena.
“Ranma...” azzardo. Mi guarda spaesato, immagino non capisca dove voglio andare a parare. Non è mai stato il suo forte l’essere arguto.
“Se per caso te ne fossi dimenticato il Nekohanten è il ristorante di Shan-Pu...”.
“Sì, lo so. E allora?”.
“Come allora, tonto? Non capisci che reazione potrebbe scatenare in lei il vederti?”.
“Eri tu quella di fretta, Akane. Che vogliamo fare, entrare e pensare dopo a tutte queste paranoie o rimanere qui a sbrodolare nel dubbio?”.
Eh, non posso negare che il suo ragionamento non faccia una grinza. D’altronde adesso non c’è proprio tempo.
Lo precedo. Con la cinese andrà come deve andare.
Quando siamo dentro... porca eva, cos’è tutto ‘sto bordello? Qua dentro ci saranno almeno una settantina di persone, anche di più.
C’è un viavai incessante fra i tavoli, con i camerieri che saltano di palo in frasca senza sosta. Non li sto invidiando per nulla.
Riesco ad agganciare Shinji, l’unico che riconosco, e mi conferma che Shan-Pu è in cucina a diventare idrofoba per stare dietro agli ordini.
Durante il tragitto verso la temuta Ping, flagello di ogni porta del Giappone, mi sale una punta di nostalgia nel ricordare i bei tempi andati in cui la nostra banda considerava questo posto un po’ come casa propria e ci entrava e ci usciva con nonchalance. Qua mi sa che mi toccherà scusarmi per l’intrusione.
VRAAAAM.
Con tutto il trambusto che c’è nessuno pare accorgersi di due individui in più. Almeno finché, sempre spalleggiata dall’Al Capone del sol levante, non picchetto le spalle di Shan-Pu che sta sbraitando istruzioni come un feldmaresciallo della Wehrmacht.
“Keiko, porta questo al tavolo quattro. Kazushi, dov’è Kazushi? Sakura, non starmi fra i piedi! Satoshi, i tuoi ramen dovranno aspettare di essere pronti...”. Poi si volta e qualsiasi altra parola le muore in gola.
“Scusa l’invasione, è stato maleducato da parte nostra. E sì, lui è Ranma. Ora non posso proprio spiegarti, abbiamo un’emergenza per le mani. Ti spiace accompagnarci nel posto dove tieni l’Artiglio? Temiamo tu abbia un altro clandestino che gironzola da queste parti”.
“Akane, ma che...”.
“Shan-Pu, no. Dopo. Andiamo”.
“Non puoi irrompere con un Ranma con una barbetta affascinante e cercare di ammutolirmi così, diamine!”.
“Guardami bene: dopo. D-o-p-o”.
Un secondo di silenzio, almeno fra noi tre. Cerco di convincerla col solo sguardo a non restare lì impalata che ho fretta, nel caso non si fosse capito. Lei dimostra di essere molto poco recettiva alle mie necessità.
Al che, visto che non voglio seguire le orme di Genma e presumibilmente quelle di Akira e ci tengo a renderla partecipe, mi scatta lo sghiribizzo: la prendo per l’avambraccio e la trascino via. Non posso permettermi di giocare alle belle statuine. Una piccola parte di me è persin stupita da tanta fermezza.
Oggi, oltre a La Donna che Sveniva la Gente, mi dovranno chiamare La Donna che Afferrava i Burattini.
Non oppone resistenza. Temo sia rimasta scioccata dall’aver visto una versione del suo airen con vent’anni meno di lei. Un po’ la capisco.
“Shan-Pu” le dico una volta al riparo da orecchie indiscrete “per favore, non svenirmi addosso. Mi servi attiva”.
Per fortuna decide di darmi retta e si passa le mani sugli occhi. Pare aver riacquistato il senno. Un cenno della testa lo conferma.
Ci conduce verso la cantina. Sospettavo uno sviluppo del genere, c’ero quando durante le sessioni di ricerca mattutina recuperava i rotoli e le pergamene da lì, però era comunque giusto farci vedere e dirle cosa sta accadendo. Anche se forse abbiamo perso tempo prezioso.
“Potevate avvisarmi della sua presenza, comunque...” butta lì con finta noncuranza mentre smanaccia sul muro alla ricerca dell’interruttore. Chi cerchi di prendere in giro, gattina?
“Ci abbiamo provato, ma in questi ultimi tre giorni eri più irreperibile di un alpinista sul K2. Shinichi ti avrà telefonato almeno sette volte e ogni singola volta nessuno ha risposto. Mi sembra si sia anche fatto vivo di persona in un paio d’occasioni, ma c’era tanta di quella gente che dev’essere stato un miracolo se sei riuscita a respirare”.
“Non dirmelo per favore, è stato un incubo e non è ancora finita. Ci dev’essere qualche convegno strano qui in città, non ho mai visto una tale frotta di turisti irrompermi nel locale”.
“Se non altro starai facendo affari d’oro”.
“Per quello sì, non mi posso lamentare. Ecco, trovato”.
E luce fu.
Ranma non ha detto una sola parola da quando siamo entrati. Cocchino, si sentirà imbarazzato e forse anche un po’ intimorito da questa Shan-Pu che, lo devo proprio ammettere, a uno sguardo esterno può dare un’idea forse un po’ distorta di sé. Nel senso che appare più arcigna e burbera di quanto non sia davvero. Modestamente, però, posso dire di conoscerla abbastanza bene e quella è... boh, una maschera? Una forma di difesa? Non è di certo il succo della persona che ora, davanti a noi, scende le scale e ci fa cenno di seguirla. E poi, di sicuro, avrà anche delle remore perché... Kasumi mi ha raccontato anche che fine ha fatto dalle sue parti. Quel giorno di ottobre dev’essere passato alla storia di Nerima come Giorno della Strage dei Sedicenni Combattenti.
Mi chiedo se, Shinichi e Rei ed Akira a parte, ci sia qualcuno che lui non ha visto morirgli attorno. Ed esagero fino a un certo punto, ha un record molto poco invidiabile. Povero ragazzo, mi fa sinceramente dispiacere.
Finalmente giungiamo. Apre l’unica porta d’ingresso e ci fa strada.
Un’altra luce da accendere e...
Qui non c’è nessuno.
Il mio cervello comincia ad elaborare mille possibili spiegazioni, tutte accantonate mestamente quando scorgo l’Artiglio per terra. O almeno, se quello non è l'Artiglio della Chimera mi chiedo cosa ci faccia qui un corno di rinoceronte.
Quel cretino di Akira...
Siamo arrivati tardi.
L’abbiamo perso. L’ho perso.
Calmati, calmati. Respira.
“Bene Akane, siamo arrivati. Ora?” chiede Shan-Pu.
Che voglia di darle un gancio sul grugno.
“Ora niente. Grazie al tuo immobilismo abbiamo perso tempo e non ce l’abbiamo fatta”.
“A far cosa? Scusa eh, ma non ti seguo”.
“Dovevamo impedire ad Akira di usare quel robo, ecco cosa! E come vedi...”.
“Oh”. Risposta intelligente, cara la mia amazzone.
“Io non sto capendo poi tanto” pigola Ranma alle mie spalle.
Sono circondata da gente con l’acume di una cassapanca.
Voltandomi gli scocco uno sguardo omicida, riconosco immeritato ma non è un problema mio al momento: “Baka che non sei altro! Te l’ho ben spiegato, mi pare. Akira ci ha battuti sul tempo ed è riuscito a tornare nel suo mondo. Forse senza un rene, forse su una gamba sola. Chi lo sa”.
“Beh” commenta ancora miss Nekohanten raccogliendo l’oggetto da terra “nessuno può rimproverarci per non averci almeno provato”.
Che cos’è questo tono conciliante? Ma sul serio, sono l’unica a cogliere la gravità di quanto è appena successo? Ditemelo se vi devo prendere a sberle, al momento vedo poche alternative altrettanto soddisfacenti.
“Deh, ma vi siete rimbambiti o cosa? Come potete reagire con tutta ‘sta calma?”.
“Quel che è fatto è fatto, Akane. Ormai il dado... anzi, l’artiglio è tratto”.
“Non prendermi per il culo, Shan-Pu. Non sopporto quell’aria da santone in pace col mondo. Non ti si addice”.
“No, hai ragione. Anzi, se devo essere sincera sto ribollendo di mille emozioni diverse”.
“A giudicare da come hai reagito prima non si direbbe”.
“Se parli di quando i miei occhi hanno incrociato quelli di Ranma... mi stai mancando di rispetto, ragazzina”.
Ah davvero? Ti sto mancando di rispetto, vecchia ciabatta? Decido di lasciarle campo libero, sarà divertente sentirla sproloquiare.
“Tu non hai neanche la minima idea, ma neppure per sbaglio, cosa mi è frullato per la testa da quando Genma mi ha ricordato dell’esistenza dell’Artiglio. Non sai quante volte ho avuto la terribile tentazione di scendere qui sotto, vendere entrambe le mani e...”.
“E? Non fare la timida, Shan-Pu. Sputa il rospo, che son tanto curiosa”.
“Avrei voluto... avrei voluto cancellare il Torneo. Avrei voluto... riavere mia nonna, Mousse e tutti gli altri ancora fra i piedi... anche adesso, mentre lo stringo, questo bastardo mi sta tentando. Mi bisbiglia che, se solo gli rivolgessi una richiesta chiara, potrebbe darmi quel che desidero...”.
Uh.
Sezione logica, quartier generale sito nel cervello: va bene Akane, non superare il limite. Sei arrabbiata per tanti motivi, lo so e lo capisco. Ma non è giusto da parte tua sfogarti su Shan-Pu, lei non ha reali colpe. Adesso fatti avanti, chiedile scusa e...
Sezione emotiva, quartier generale sito nelle ascelle: senti, simpaticissimo ammasso di sinapsi e cazzate. L’unica cosa che va fatta è rifilarle un pugno sul naso, fregarsi l’Artiglio e usarlo per i fatti propri. E a ‘fanculo tutto il resto, che non siamo qui a fare beneficienza.
Questo simpatico scontro fra titani avviene in quella che mi visualizzo come una steppa battuta dal vento, pressappoco all’altezza delle tonsille. I due contendenti se le danno di santa ragione, insultandosi e dandosi i peggiori epiteti.
Alla fine, seppur stremato, Emotività finisce col calpestare la faccia di un Logica steso per terra come una pelle di daino ai piedi del caminetto e mi urla: “Allora coglioncella, ti dai una smossa o no?”.
“Sì Shan-Pu, terribilmente commovente. Guarda quanto me ne frega. Se però ora volessi darmi quel gingillo...” e allungo le mani per prenderlo.
Lei, molto poco carinamente, lo tira a sé impedendomelo.
“Cosa stai cercando di fare, Akane?”.
“Di non essere l’unica fessa che non approfitta della situazione per andarsene di qui”.
“Vorresti... fare tre su tre?”.
“Ci puoi giurare”.
Sto per ritentare quando mi sento cingere da dietro.
Ranma... ti spacco le ossa se non mi molli.
“Akane” mi sussurra all’orecchio mentre tento di divincolarmi “sei agitata e nervosa. Non fare qualcosa di cui ti pentiresti”.
“Lasciami andare, gorilla che non sei altro!”.
“No. Poi mi ringrazierai. Shan-Pu, se volessi trovare una soluzione a questo problema...”.
Scalcio, tento la gomitata a tradimento, provo in tutti i modi a farmi mollare. Senza successo. È ancora troppo forte per me. Mi sento di nuovo come il primo allenamento con il mio Ranma, quando Ukyo temeva che stesse per uccidermi a furia di darmele.
“Sì, dunque...”. Si guarda attorno alla ricerca di qualcosa.
Prega di trovarlo, o appena sono libera...
“Ok, forse ho trovato cosa può fare al caso nostro”. Si avvicina agli scaffali che stanno contro il muro, dà un’occhiata al volo e alla fine prende in mano un martello.
No... no...
Continuo a dimenarmi come una carpa. Inutilmente.
Cala il primo colpo, a cui ne seguono molti altri. Pur dalla mia scomoda posizione riesco a vederla mentre abbatte lo strumento di distruzione sulla mia unica via di fuga.
SDONK SDONK SDONK SDONK SDONK.
Ogni botta è come se la desse a me. Una sullo stinco, una sulla mano, una sulla clavicola. Fa male.
Va bene ragazzi, aspettate solo che possa muovermi come voglio e vi rimescolo i connotati neanche fossero i pezzi di un puzzle. Starai bene con le tette, Ranma.
“Fatto” annuncia soddisfatta asciugandosi la fronte “ora quel diabolico affare è polvere e non potrà più cercare di fregare nessuno”.
... liberatemi. Liberatemi. Devo pestarvi a sangue.
Mi sorride sbruffona, probabilmente assaporando un non ben precisato gusto della vittoria.
Ok. Sono ufficialmente fuori di me.
Dopo l’ennesimo tentativo riesco a sbilanciare il mio aguzzino quel tanto che basta da divincolarmi e sottrarmi alla sua presa. Dopodiché, più veloce che posso, mi avvento su Shan-Pu e le assesto un diretto sul naso.
Mica scherzavo, eh.
“Perché l’hai fatto, bastarda? Perché? PERCHÉ?” lascio che la mia angoscia scappi via dalla bocca.
“Perché... non potevo permetterti di usarlo” arriva la sua tremolante risposta alle mie spalle.
“E allora perché Genma...”. Mi salgono le lacrime da quanto sono furiosa, ferita, alterata.
“Tu non sei lui! Sei Akane! Non avrei mai potuto lasciartelo! Mai!”.
Non mi giro, sospetto che sia scoppiata a piangere. La sto per imitare, me lo sento.
Certo che è buffo: la prima volta che io e lei ci siamo viste è stata una scenata da tragedia greca, con capelli strappati e disperate richieste di perdono. Ora ho solo voglia di metterle le mani addosso.
“Akane...” dice Ranma mentre percepisco il suo avvicinarsi a me. Mi poggia una mano sulla spalla e istintivo è scostarmi, in maniera piuttosto brusca. Non voglio contatti con nessuno in questo momento, mordo.
“Andiamo a casa, su. Potremo discutere meglio di fronte a un buon piatto di Kasumi e...”.
“Vai al diavolo, tu! Cosa ne vuoi sapere, che sei qui da appena tre giorni? Non hai la minima idea di cosa provo, né di cosa voglia dire essere lontani da casa per tutto questo tempo! Non sai nulla!”. Finisco la tirata perché poi mi giro verso Shan-Pu, le scocco uno sguardo che spero le abbia bagnato le mutande e ricomincio, più furibonda che mai: “E per quanto riguarda te... mi rimangio il perdono, schifosa infame che non sei altro. Tutta quella lagna su come ti dispiaceva e mi si è spezzato il cuore e bla bla bla. Palle, erano solo palle. Sei rimasta la stessa identica egoista insensibile del cazzo a cui non importa nulla di come si sentono gli altri, ma che pensa solo a se stessa. Mi fai vomitare! E vaffanculo, già che ci sei”.
Evito i loro sguardi, che so perfettamente essere carichi di stupore e disprezzo per questa lunga accusa, e mi porto verso l’uscita. Prima di imboccarla mi fermo e scarico la frustrazione sotto forma di un pugno sul muro.
CRACK.
No, non è il muro che si incrina. Sono le mie nocche che si rompono.
Non sono ancora a quel livello.
Con la testa abbassata e un principio di crisi isterica -anzi no, altro che principio, qua siamo già quasi all’apice- butto fuori un’ultima badilata di rabbia: “Se uno di voi due mi rivolge la parola nei prossimi sei mesi... non risponderò delle conseguenze. Fate tesoro di quest’unico mio avvertimento”.
Poi esco, ignorandoli completamente.
Datemi qualcosa da sfasciare.
   
 
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