Anime & Manga > Full Metal Alchemist
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Autore: Kokato    18/03/2008    7 recensioni
Perché? Perché quel dannato insisteva con quella dannata storia?
Da quando si era svegliato, e aveva potuto guardare fisse quelle cavità ferrose senza ricorrere ad uno specchio.
Dal punto in cui la sua vita avrebbe dovuto ricominciare, era finita ancora una volta.
Lui non c’era più.
Sparito, svanito nel nulla, come una bolla di sapone. Tanto che per un attimo pensò che non fosse stato altro che un angelo che aveva sognato nel suo soggiorno nell’armatura, un compenso che la sua anima aveva dato ai ricordi che piano piano svanivano e si corrodevano pezzo per pezzo.
Uno scambio equivalente

RoyXEd EdXAl EnvyXEd SPECIALE AGGIORNAMENTO DI HALLOWEEN!
AUGURI A TUTTI!*_*
Genere: Romantico, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Envy, Roy Mustang
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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He who gets slapped and he who gets saved,

 

He who gets slapped and he who gets saved,
He who brutalizes the timeless stage.
He is the mongrel, he wants it all,
He lives for relics, hang on the wall.

Colui che viene schiaffeggiato, che viene salvato,
Colui che rende brutale l’eterna scena.
Lui è il bastardo, lo vuole tutto,
Vive solo per le spoglie, appese al muro.


 

-Il… i… il mare?-

-Si, Full Metal.. il mare-

-Ma… ma… proprio quel mare?-

-Tu quanti ne conosci?-

-Ma con i pesci… e l’acqua salata… e il sole… e la sabbia…-

-Il sole è facoltativo. Ma si, credo che l’idea che abbiamo della parola ‘mare’ sia pressoché la stessa-

Aveva gli occhi così spalancati da occupare almeno tre quarti della superficie del viso, Full Metal. Curioso.

Il flame alchemist non avrebbe mai detto, a se stesso e benché meno agli altri, che una distesa qualunque d’acqua avrebbe potuto tanto stupire il Full Metal Alchemist.

Non si finisce davvero mai d’imparare a questo mondo. Lo pensava con un sorriso appena accennato sulle labbra.

Modellato su un ghigno di scherno davvero poco credibile.

-Non avevo mai visto il mare!-

-Beh ora lo vedi. Potresti gentilmente smetterla di scodinzolare?-

“Se non è per me che lo fai allora non c’è gusto”

-Io non scodinzolo-

-Si si certo-

Quante volte poteva ricapitargli nella vita?

Poche, forse nessuna. Edward camminava più lentamente, calcando le piastrelle di pietra del marciapiede con ogni passo, con lo sguardo puntato sulla riviera battuta dal vento volubile di primavera, e Roy era costretto a trotterellare in modo ridicolo per non lasciarlo troppo indietro –era piuttosto complicato, considerato il fatto che le sue gambe era anche più lunghe… ma questo era meglio non dirlo-. Le onde erano grandi, forse anche troppo per la stagione, e il cielo non aveva un colore rassicurante. Ma a lui sembrava non importare.

Eppure il mare non aveva… niente di scientifico? Niente di alchemico?

Un interesse del tutto irrazionale. Infantile.

C’era davvero da stare a guardare con attenzione, allora.

Come uno di quei fenomeni naturali che capitano una volta ogni secolo, una volta ogni millennio.

E devi aspettare la prossima vita, per strabuzzare di nuovo gli occhi in sua presenza.

Provare profondo rispetto per la possibilità che t’è stata data.

Anche solo d’esserne spettatore.

-Però è vero.. il sole non c’è-

-Quest’anno la primavera tarda più del solito…- constatò, con tono d’oggettività -… e comunque non avrai tempo per sollazzarti, Full Metal-

-Io non mi sollazzo-

-E non scodinzoli- grugnito di disappunto.

-No, non scodinzolo-

-Sei piuttosto paziente oggi-

Edward, assertivo, si voltò ad osservare l’espressione di vago compatimento che gli veniva rivolta.

Aveva avuto i nervi a fior di pelle tutto il tempo, ed ammetteva che tutto quell’entusiasmo potesse risultare strano. Ma s’era stancato di tenere il pelo ritto e i sensi allerta.

S’era ritrovato ad abbassare le difese senza neanche accorgersene. Appena libero dalla puzza militaresca del loro vagone privato, appena le narici erano state toccate da quell’odore sconosciuto, che con quel qualcosa d’atavico aveva riconosciuto come il profumo del mare, aveva sentito i muscoli distendersi sulle spalle senza che potesse fare niente per impedirlo.

Si sentiva intontito.

Non aveva mai visto il mare prima.

Ma aveva avvertito la sensazione di potersene fidare.

Come non avrebbe mai fatto con Roy Mustang.

-Ammaestrato… colonnello. È del tutto diverso-

Aveva storto il naso, al cospetto di qualcosa che avrebbe dovuto già sapere. Quella era una guerra.

Non poteva dimenticarsene. E, nonostante il vantaggio, tutto ciò che gli era dovuto si limitava ad una facciata di falsa accettazione.

Doveva farsela bastare, con parsimonia, senza sperare che ci fosse qualcosa oltre.

E solo pensare alla sua strategia.

-È sempre a quello che torniamo, eh?-

-C’è soltanto quello-

-Ma stiamo facendo una buona azione adesso, no?-

-Nessuna azione, se la faccio con lei, mi sembra buona-

-Sono il male del mondo..- sbeffeggiò, mimando un mea culpa che non sentiva con tre battiti cadenzati sul petto -…non so come hai fatto a sopravvivere fin ora-

-Mi chiedevo la stessa cosa di lei-

Non aveva voglia di parlare.

Aveva solo l’irrazionale volontà di voltare la testa verso le onde che sembravano venirgli incontro, e dimenticarsi della sua presenza.

Non avrebbe dovuto essere lì, ma allo stesso tempo non si sentiva molto diversamente da quando era a Central. Solo Roy Mustang, era lo sbaglio.

Avrebbe dovuto solo chiudere gli occhi, e convincersi del fatto che non era più lì.

Durante il viaggio aveva tenuto gli occhi e la bocca chiusa, tutto il tempo.

Senza dormire, respirando rumorosamente col naso piccole quantità d’aria, per non soffocare.

Le persone che passavano lungo il corridoio del vagone scuotevano la testa, incespicando in un modo comico e un po’ apprensivo sulla sua gamba- automail lasciata abbandonata, sbilenca, scomposta, coi calcagni posati sul bracciolo del sedile dell’altro lato, bloccando il passaggio. Roy non glielo faceva notare. Tutti guardavano la sua figura, interdetti, indecisi sul pensare che fosse il cadavere di una creatura divina inciampata su uno sgambetto di nuvola e precipitata in malo modo, o se più semplicemente non gliene importasse niente.

Ad ogni modo, erano militari. Tanto bastava a rendere la cosa trascurabile. Li autorizzava a rischiare l’osso del collo senza lamentarsene.

Roy era rimasto ad osservare, per tutte le sette ore del viaggio, questo ciclo nervoso e pacato.

Avevano attraversato diverse regioni, la temperatura variava a seconda dell’ora, a seconda dell’altezza, con sbalzi repentini.

L’unico segno di vita era dato dagli slanci improvvisi con cui il suo corpo scattava ogni tanto, per sfilarsi o infilarsi la giacca della divisa militare, o per slacciarsi il colletto della camicia troppo oppressivo, o per riallacciarselo. Eppure corrucciava i lineamenti in modo sempre più contorto, senza mai sembrare soddisfatto.

Sfuriava come un puledro con la narice destra, s’alzava. Si risiedeva, ripetendo il rito con la narice sinistra.

Sempre identico, e sempre identico si ripeteva il ghigno silenzioso ed il brillio degli occhi che lo analizzavano.

Che vedevano una testa nera infilata nell’interstizio tra il capo disseminato di capelli biondi, sciolti, e l’esile collo bianco, una bocca addentare il naso rumoroso.

Mai nessun viaggio gli era sembrato più corto di quello.

C’era molto da dire.. al riguardo.

-Pensa quello che vuoi. Ma siamo entrambi qui, mi pare…- constatò, come se ciò potesse essere una soluzione.

Come se il problema potesse essere risolto soltanto accorgendosi della sua esistenza.

Quel punto della costa era desolato, tutte le porte e le serrande dei negozi sbarrate.

Occupò la sua mente con quel pensiero, rendendosi conto di quanto la cosa fosse strana, dimenticandosene subito dopo.

Non un anima, neanche a pagarla.

Ogni cosa come dipinta con una pennellata accennata su uno sfondo grigio già pronto.

-Non sono qui perché lo voglio-

-Strano.. a me è sembrato proprio il contrario-

-Non m’aspetto che lei capisca, ma le mie ragioni non la riguardano-

-Decido io cosa mi riguarda-

-D’accordo, d’accordo..- ghignò, sprezzante -… ma ha ragione, in fondo. Essere un paladino della giustizia, ancora una volta, non mi dispiace-

-Non sappiamo ancora chi ci ritroveremo davanti.. vedi di non combinare casini-

-D’accordo, d’accordo-

Rise, per poi riprendere a guardare il marciapiede davanti a lui.

L’albergo che era stato prenotato per loro era caro almeno quanto era lontano. Che scocciatura.

Doverci arrivare a piedi, poi, era la cosa peggiore, dato che tutto il tempo passato in quella posizione aveva terribilmente rattrappito le sue giunture.

Ma non aveva voglia di lamentarsene. Non aveva neanche voglia di aprire il cervello, se è per questo. Perciò serrava le labbra l’una contro l’altra, quando si rendeva conto che erano aperte, in un modo così buffo che Roy sghignazzava silenziosamente, ammirando il modo con cui si gonfiavano e diventavano più rosse ogni volta che lo faceva.

Ma il pensiero di Al entrava da ogni parte, collegandosi ad ogni altro pensiero gli passava per la mente.

Si toccava allora il mento tirato, sotto la bocca serrata per le labbra che si mordeva nervosamente in bocca, il collo arrossato.

“… Mi ha baciato.. Mi ha baciato.. Mi ha baciato.... Mi ha baciato..”

-A che pensi, Full Metal?-

Glielo chiese chinando la testa in sua direzione, mellifluo. Il tono inquisitore che aveva usato non poteva essere casuale.

Rabbrividì, mordendosi la parete interna della guancia per il nervosismo, senza fronteggiarlo.

-Niente-

-Niente?-

-Che dovrebbe esserci?-

-C’è sempre qualcosa. Il problema è sapere che cosa-

Non voleva pensare, perché non voleva capire.

Sapeva che nel momento in cui la verità gli fosse apparsa davanti agli occhi, tutto quello che avrebbe potuto fare era accettare che lo trafiggesse.

Ma quel che più non poteva permettere, era che trafiggesse Al. Non ora, non adesso, non ancora una volta. Non per colpa sua.

Perciò si comportò esattamente come se nulla, di tutto ciò che lo turbava, esistesse.

-Non c’è mai niente e.. spe.. specialmente adesso..-

-Niente?-

Al.. Al… lasciami Al….’

-Non ci sarà qualcosa solo perchè continua a chiedermelo-

-No.. perché già c’è-

-Pensi quello che vuole..-

Alzando le braccia si portò avanti con qualche saltello armonioso, facendo tentennare inconsapevolmente i fianchi.

L’altro gli corse dietro, sballottando a sua volta i propri, in sua devota imitazione, per afferrargli in extremis la manica della giaccia.

-Andiamo, andiamo.. parliamone! Cosa c’è che ti turba, piccolo FullMetal?-

-A CHI HA DETTO NANO DI DIMENSIONE SUPER, MEGA, IPER, EXTRA, ULTRA, INFINITESIMALE?-

Roy lo guardò per una frazione di secondo, metabolizzando la sfuriata come un qualcosa di già sentito, per poi ridergli in faccia.

-Si lo so, sono il male del mondo..- ripeté, stesso tono roco e sarcastico, stessi tre battiti del pugno sul petto.

-.. ma t’assicuro che il Diavolo sa tenere i tuoi segreti molto meglio di quanto saprebbe fare Dio-

Edward strabuzzò un attimo i grandi occhi, ammettendo di essere stupito.

Forse, ma molto forse, avrebbe anche potuto concedere una tregua straordinaria, tanto per il fatto che ci s’impegnava.

Non sapeva perché insistesse tanto, ma fatto stava che lo faceva bene.

Era una cosa d’apprezzare.. no?

-Me la deve spiegare questa metafora- concluse, senza dire né si né no.

Ma il ghigno obliquo sulla sua faccia diceva tutto, e diceva niente.

-Ovvio..- ricambiò, mostrando una lunga fila di denti bianchissimi e scintillanti -.. sono qui per questo-

Concluse, con un plateale inchino, come di colui che sta per ricevere un grande onore.

-Cosa turba la vostra maestà?-

Non era sicuro di poter abbassare la testa, con la sicurezza di sentire il tocco della spada del suo Re sulla sua spalla di vassallo.

Ma stava al gioco. Perché era una di quelle poche cose che gli era data di fare. E toccava farsela bastare, esattamente come le altre.

-Mi piace questo soprannome-

-Ed allora.. ditemi-

 

-Al.. Al lasciami-

Stringe ancora di più la presa.

Vuole assorbirti dentro di lui. Incatenarti, ingabbiarti nel suo petto e chiuderlo con doppia mandata, perché tu non sparisca mai più.

Eppure tutto quello che senti è il suo calore.

La frizione spigolosa del mento sopra la tua spalla.

Il suo naso che divora l’odore dei tuoi capelli.

-Nii san..-

Mormora... come se non volesse essere sentito.

Poi alza il mento, ti allontana un po’ da sé per guardarti.

-Al.. io…lasciami-

Dischiudi le labbra screpolate, nervosamente, umettandole.

Hai una gran paura di fare qualcosa di sbagliato, probabilmente.

Come se dovessi farla per la prima volta.

-Al..-

Non ti ritrai.

Il suo bacio è così leggero che avresti potuto ritrarti in qualunque momento, ma non lo fai.

Inutile che incolpi la sorpresa, la velocità con cui s’è mosso.

Incolpa solo te stesso.

Perché il colpevole sei sempre tu.

E i ruoli del copione non cambiano. Mai.

 

Foxy, Foxy, what's it gonna be?

Scaltro, scaltro, come dovrebbe andare?

-Ni.. niente-

-Come?-

Deglutisce, alzando la testa, allontanandosi.

-Ho detto niente-

-Quindi scappi di nuovo?-

Il sorriso sulle sue labbra sottili è rassegnato.

Sospeso nell’attesa di un ciclo che deve compiersi, per arrivare al punto desiderato.

C’è solo da accettare e aspettare. Per la sofferenza.. vedremo poi.

-Vado a fare un…giro di ricognizione…-

Quando riapre gli occhi assottigliati, la sua figura è già lontana, piccolissima.

Avvita la punta dello stivale nell’interstizio di due piastrelle del marciapiede, alzando il dito.

Mimando una pistola con il medio, l’indice, il pollice.

Punta la sua schiena.

-Prima o poi ti centrerò, volpe pestifera-

Uno sparo, con uno schiocco dei denti sul palato.

Dritto al cuore.

 

 

She who looks back, and she looks away,
She internalizes the motion wave.
She is the butcher,
She wants the air,
She hides the scars under her hair.

 


Colei che guarda indietro, e che guarda lontano,
lei ha il movimento delle onde dentro di sé.
Lei è il macellaio,
Lei vuole l'aria,
Lei nasconde le cicatrici sotto i suoi capelli.

 

 

-Cos’è che stai architettando, Yeli chan?-

Potrebbe essere difficile da credere, ma Yelina Salas è sempre stata una donna rispettosa.

Non della vita umana, ma lo è in tutto il resto del campo di significato che copre la parola rispetto.

Mastica qualcosa di pastoso nella bocca, disgustoso a dir poco. Prima di rivolgersi a lei.

Il rispetto per gli anziani.

Non è autorizzata ad infrangerlo.

-Non è tenuta a discernere in merito, Dante sama-

Il viso di Dante si corruccia leggermente, platealmente, mentre muove il suo nuovo esile corpo verso la poltrona opposta alla grande vetrata illuminata.

È giovane, e da troppo dimentica di cosa voglia dire esserlo. Ma le sue mani sembrano addestrate ad afferrare i nuovi capelli corvini, attorcigliarli ciocca per ciocca, le sue guance sembrano capaci di arrossire anche senza avere nessun motivo per farlo.

Sgualdrina sarebbe una parola adatta per una donna di tale misura morale e temporale?

-Mi chiedo dov’è che hai imparato ad esprimerti in questo modo…- constata, accavallando le gambe marmoree -…eri analfabeta, quando t’ho conosciuta-

-Ne ho memoria-

-Sono certa che sarai in grado di ricambiare tutti i favori che t’ho fatto-

Sorride, benevola. Il cambio improvviso di discorso non è importante.

Lei è la marionetta che muove da sola i propri fili, e che comanda tutte le altre.

Basta solo aspettare che agisca come meglio crede. Lo pensa, sistemando l’orlo del vestito sfarzoso che porta soltanto per rimirarsi di tanto in tanto, quando gli specchi intarsiati del corridoio riflettono con reverenza la sua figura in movimento. Non importa il modo in cui s’esprime.

Sarà comunque ascoltata, con altrettanta reverenza.

-Anche se ancora non capisco cos’è che stai cercando, Yeli chan..- continua, esponendo quel dubbio che da tempo vuole esternare.

-.. Cosa te ne viene, da tutto questo? Perché ti sei fatta dei compagni quando non ne hai alcun bisogno?-

Le sorride, chinando un attimo la testa.

Non gliene importerà, nonostante glielo stia chiedendo.

-Edward Elric ha dato origine ad un arma dal potere mastodontico..-

-.. E ti da fastidio che non ne sia neanche a conoscenza?-

Le concede un occhiata d’ammirazione.

La vecchiaia porta anche perspicacia.. dunque?

-Esattamente-

-È come te, non è vero?-

-Esattamente- conferma, senza più alcun stupore, distendendo la bocca.

-Ma non riesco a capire-

-Non ne dovete trarre cruccio-

-Non hai bisogno di cercare tuoi simili-

-Non è per me che lo cerco-

-D’accordo, d’accordo-

Decide di concludere, poiché non c’è alcun bisogno d’indagare. Può fidarsi, poiché avrà esattamente quel che ha chiesto, e come lo ha chiesto.

Non importa il motivo per cui lo riceverà, purché lo riceva.

-A caval donato non si guarda in bocca-

-Esattamente, Dante sama-

È un gesto a cui è già stata abituata, ma non può fare a meno di ritrarsi, quando le dita affusolate sfiorano la sua guancia pallida, e lei le avvolge la parte sinistra del viso con tutto il palmo. È fredda la mano, è freddo il suo viso. Non percepisce altro che una ventata d’aria, senza temperatura, senza consistenza.

E lo fa senza rabbrividire. Le braccia che le cadono in pezzi lungo i fianchi.

Pur di non spezzarle quel polso.

-L’unica cosa che desidero è che sia io, sia tu, otteniamo quel che andiamo cercando, Yeli chan-

Accarezzando le tempie, alita sulla pelle. Bellissima, al tatto.

Sorride, vezzeggiandola con la punta dell’indice.

La forza è niente, senza controllo, e lei, dall’alto della sua centenaria saggezza è stata la sua sentinella.

Non può tradirla, non potrà mai rivolgere la sua potenza a lei, non le si ritorcerà mai contro.

Le sue ferite sono nascoste, nonostante ricordi sia in quale parte di sé stessa le tiene, sia esattamente quanto profonde siano.

Tutto ciò che ne appare, del resto, è quel che poi è.

Un arma mortale. Perfetta. Perché mai dovrebbe cercare dei suoi simili?

La sua bella marionetta, di marmo leggiadro, è più che sufficiente.

-Mi auguro che la tua trappola funzioni-

-Lo farà..-

Afferra la sua mano, sorridendole.

Non è importante che sia a conoscenza di tutto, in fondo. Non è necessario.

-.. E voi avrete la pietra che andare cercando-

-Filosofale, Yeli chan. Pietra filosofale-

-Pietra Filosofale-

-Per il resto fa d’Edward Elric quel che vuoi.. anche se non mi dispiacerebbe mettere le mani su di lui, almeno una volta..-

Si lecca le labbra -.. ha gli stessi occhi pieni d’inutile determinazione che aveva Hohenheim-

-Non vi sarà tolto questo piacere..- comincia, con un soffio di voce.

-.. mi approprierò unicamente dell’opera, non del suo creatore-

Parole criptiche, che non riesce a capire. Decide di lasciarle scorrere, poiché comprende che lei non vuole che sappia.

Rispetta la sua decisione, con un ultimo tocco leggero sulla sua guancia, freddissima, con uno sguardo affilato.

-La volpe rimarrà incastrata con la zampa nella tagliola..-

Nessuna espressione.

-… sarà vostra, quando delibererò in merito-

Dante ricambia quel sorriso che solo lei vede, alzando il braccio, stringendo le dita di scatto davanti al suo viso.

Mima il movimento fulmineo di una tagliola che si chiude, sulla zampa di una volpe che rantola. Condiscendente.

Poi ride, come da molto non fa.

Non sa, che la sua marionetta ha già spezzato da tempo i suoi fili.

 

 

Don't you wanna ride it?
Educated Horses

 

Non lo vuoi cavalcare?

Cavalli ammaestrati

 

Quel punto della costa era desolato.

Tutte le porte e le serrande dei negozi sbarrate.

Aveva occupato la sua mente con quel pensiero, quando aveva avuto bisogno di metterne alla porta un altro.

Ma in quel momento riuscì a notarlo in tutt’altro modo.

Non un anima, neanche a pagarla. Il vento che spazzava la costa con una scopa troppo grande.

Si strinse la giacca sulle spalle, continuando a camminare, ad imprecare quando si ricordava di avere la bocca libera.

Non era un bel momento, per andarsene in giro.

Il sole stava calando dietro le nuvole, anche se non si poteva riuscire a vederlo.

Avrebbe dovuto essere in albergo già da un bel po’, e stava aggiungendo tempo in più al ritardo del treno e alle baggianate inutili del Colonnello.

Che si ripetevano nella sua testa, in un girotondo cantilenante. Edward s’impegnava in tutti i modi per ignorarle, e per camminare più veloce di quello che faceva.

Anche se non aveva alcuna idea di dove andare. Nessuna gara in cui arrivare primo.

Tutt’ad un tratto, fermandosi in mezzo al marciapiede di pietra, si sentì stupido.

Dov’è che stava andando?

-Dannazione-

Imprecò, ancora, sciogliendosi i capelli in disordine e rilegandoli in una coda sopra la nuca.

Era inutile tergiversare, inutile perdersi in gesti casuali per dare l’impressione di essere là per qualche motivo.

Era solo un idiota, un idiota senza cervello.

Alphonse non era qualcuno da cui poteva fuggire solamente con i suoi piedi.

E, tanto meno, era qualcuno che sarebbe mai riuscito ad afferrare solo con le sue mani.

Che causa persa che era. Dopo tutto quel tempo ancora non era riuscito a capirlo.

Non poteva, semplicemente, sperare di poterlo avere vicino senza conseguenze. Ma era qualcosa a cui non riusciva ad abituarsi del tutto.

Come se la normalità fosse ancora quella che la sua mente di bambino concepiva. Niente da nascondere, nessun sotterfugio. Nessuna inutile trama ulteriore.

Neanche lui c’era, a quel tempo. Un ricordo così lontano, eppure così dolce da rievocare.

Nessun diavolo sulla spalla, col casco di capelli corvini e le labbra sempre tirate, a cercare di sbrindellare i cardini, per farsi confessare i suoi segreti.

Semplicemente non avrebbe avuto niente da dargli in pasto. Era bello ricordarsene, almeno quanto era pericoloso.

Perciò si fermò, rendendosi conto che stava facendo qualcosa di assolutamente stupido.

Sbagliato.

E che non era la prima volta.

Era solo, davanti ad un mare in tempesta dal quale avrebbe voluto farsi abbracciare.

La fila di palazzi paralleli, grigio dal primo all’ultimo, con le finestre tutte chiuse, che sembravano essere sul punto di venirgli addosso.

Eppure non aveva alcuna voglia di essere da qualche altra parte. In ogni caso, tutto sarebbe stato grigio.

Tutto dello stesso identico colore. Non sarebbe cambiato niente.

Alphonse era dentro di lui fin da quando era nato. Dove pensava di poter scappare?

Dove può sperare di arrivare, una volpe in gabbia?

Scosse il capo, guardandosi intorno, sperando in cuor suo di trovare qualcuno.. che non fosse Roy Mustang.

Voleva solo ucciderlo quel bastardo. Far tacere la voce che si ripeteva nella sua testa, come in un disco inceppato.

“Sono il male del mondo, non so come hai fatto a sopravvivere fin ora”

“T’assicuro che il Diavolo sa tenere i tuoi segreti molto meglio di quanto saprebbe fare Dio”

“Cosa turba la vostra maestà?”

 

“Quindi.. scappi di nuovo?”

 

-Sta zitto.. sta zitto.. STA ZITTO COLONNELLO DI MERDA!-

Scalciò via qualcosa che aveva davanti ai piedi senza avere la minima idea di cosa fosse, senza avere la minima idea di dove sarebbe andato a finire.

Con tutto lo slancio dell’auto- mail, immaginò coscienziosamente che avrebbe percorso buona parte della lunga strada che aveva davanti.

Senza incontrare ostacoli di alcun genere.

-Ahia-

O forse no.

Alzò lo sguardo, tremando un po’.

Un ragazzo dai lineamenti spigolosi, i capelli a spazzola, stava seduto su una cassa di legno poco più avanti rispetto a lui.

La testa abbassata, una mano a lambirla in su e in giù, una lattina che rotolava spinta dal vento in una buca del terreno che aveva davanti, senza riuscire ad uscirne.

-Cazzo-

Sbottò, facendo due più due.

“Automail-avere-lanciato-lattina. Lattina-essere-finita-su-sua-testa”

-Ehi tu, stai bene?- mormorò, avvicinandosi con fare mortificato.

Il ragazzo non dette segno di aver sentito le sue parole, continuando a sfregarsi la parte lesa meccanicamente.

-Scusa, non avevo intenzione di tirartela addosso..- non dovette abbassarsi di molto, per arrivare alla sua altezza. Lo fece cercando di mantenere la sua espressione colpevole, constatando la cosa con un moto interiore di rabbia che nascose con urgenza, pensando di seguito a come scusarsi.

-Ero nervoso! Scusa davvero!- ma il ragazzo continuava a non dare segni di considerazione nei suoi confronti.

-Ehi tu! Mi stai ascoltando?- considerò l’idea di arrivare ad una manifestazione un po’ più fisica delle precedenti.

Ma ricordò appena in tempo di essere lui, quello in torto. Si sedette vicino a lui, sperando magari di poter instaurare un dialogo.

L’altro continuava a guardare il terreno come fosse la cosa più interessante nei paraggi, come se non esistesse nient’altro.

-Ma mi ascolti?-

-Ahia-

-Eh?

Metabolizzò con qualche secondo di ritardo l’onomatopea che esprimeva dolore.

-Ti ho fatto così male?- chiese, chinando leggermente il capo per permettersi di vederlo in volto.

-Ahia- ripeté, come se pensasse di star dicendo una cosa terribilmente ovvia, che non necessitasse una spiegazione.

L’aveva detto in modo così meccanico, blando, che Edward aveva, sulle prime, pensato di aver sentito male.

-Hai uno strano modo di esprimere dolore-

-Ahia?- ripeté il ragazzo, ancora, ma con tonto interrogativo, voltando finalmente la testa verso di lui.

Riuscì a vedere meglio la sua zazzera di corti capelli castani, pressoché perpendicolari alla testa, la forma terribilmente squadrata della mandibola, i lineamenti marcati e duri, ma rilassati in quel momento in un espressione indecifrabile. Le labbra molto carnose e molto più scure rispetto al resto della pelle del volto.

Poi, quando finalmente il carico di nuvole sulle loro teste cominciò a diradarsi di quel poco che bastava per non rendere ogni cosa una sagoma indistinta, se ne accorse.

-Ma tu sei d’Ishbar!-

Lo indicò con un dito, senza alcun timore di sembrare maleducato.

Il ragazzo sgranò i fini occhi rossi, prima di rispondere con un flebile ‘si’, anche se la sua faccia non sembrava aver subito il minimo cambiamento.

La bocca, che faceva una perfetta linea retta, si aprì quanto bastava a far uscire quel monosillabo, poi si richiuse nella stessa posizione in cui era stata prima.

-Non me n’ero accorto. Sarà per il fatto che tutte queste nuvole fanno ombra!- incominciò, gioviale.

Poi, improvvisamente, come ricordandosi improvvisamente di qualcosa che aveva dimenticato, toccò il bavero della giacca della divisa che portava.

Non c’era ancora abituato, in fin dei conti. Non si sarebbe mai abituato a qualcosa che così poco lo rispecchiava.

-È per questa che non vuoi parlarmi?- disse, tirando un lembo di stoffa verso di lui.

-È perché sono un militare?-

Il ragazzo assecondò il suo gesto, gettando un occhiata al corpo di Edward, senza particolari reazioni.

Sembrava essersene accorto solo in quel momento, ma non lo dette a vedere più di tanto.

-Puoi dirlo, se vuoi. Io non sono un militare, anche se ne porto la divisa- solo un secondo dopo, roteando istintivamente le pupille, s’accorse che, forse, quella frase poteva anche non avere senso per lui. In fondo lui non sapeva proprio niente, non poteva capire così facilmente. Questo pensiero, non seppe perché, lo fece sentire meglio. Si decise a non arrischiarsi a spiegare meglio la faccenda.

-Cioè.. voglio dire… insomma… io non volevo! Sono stato costretto!-

 

“L’hai voluto tu, FullMetal”

 

Serrò la bocca di scatto.

Ascoltò, devoto, il silenzio che aveva intorno, tacendo, come il ragazzo d’Ishbar.

Non si sprecò a pensare al fatto che, quello stesso ragazzo, ancora non era riuscito a rivolgergli una frase di senso compiuto.

Pensò soltanto a stare zitto, per non ferirsi ancora. Per non mordersi la coda come un dannato cane idiota.

Era stato costretto, eh? Il modo in cui quegli occhi neri gli erano balenati davanti gli occhi, non appena l’aveva detto, l’aveva lasciato senza fiato.

Ansimava, ma cercando di trattenere il respiro il più possibile.

Ci si vedeva già, a sbavare ed alitare come un cane che aspetta il padrone.

E fanculo pure a quella metafora del cazzo.

-.. Io..- incominciò -.. so che possa sembrare che abbia poco senso ma… davvero, non lo sono per mia volontà..-

Non riusciva a stabilizzare la sua respirazione, per quanto ci provasse. Vedeva nero, sempre più nero.

E quella voce cantava, con diletto, il suo repertorio, come se il mondo non facesse altro che chiederle il bis.

-Dannazione..- sbuffò, un secondo dopo, melodrammatico, prendendosi la testa con forza.

-Proprio come un cane che non riesce a dimenticare il padrone..-

Il ragazzo d’Ishbar alzò il capo di scatto, anche se Edward non c’aveva fatto caso.

-.. le cose non cambiano proprio mai- parlava, ora, esattamente come avrebbe fatto trovandosi da solo.

Gli venne rivolta un occhiata dilatata, anche se lui continuava a non accorgersene, un lampo degli occhi rossi, subito represso.

La bocca colorata che s’apriva, per la prima volta.

-Anche io sono un cane-

Edward ricambiò lo sguardo, per un attimo stordito, rendendosi conto di aver appena ascoltato una voce mai udita.

Non sapeva come, non sapeva quando.. ma che avesse in qualche modo acquistato la sua fiducia?

Sorrise, contento che i suoi sforzi fossero serviti a qualcosa.

-Non quanto me..- rise, accondiscendente -... ma perché lo dici?-

-Anche io ho un padrone-

-Non sono solo i cani a poter avere un padrone-

Non era il suo caso, purtroppo. Allungò le gambe, che toccarono appena la lattina che ancora rotolava senza via d’uscita nella buca in cui era caduta.

Lui lo chiamava padrone, ma in realtà, quella persona, aveva tante catene legate alle caviglie almeno quante ne aveva lui. Non avevano da recriminare proprio niente.

Rispetto l’uno all’altro, perlomeno. Erano sulla stessa barca.

Ma Roy Mustang era nella sua testa.

E c’aveva fatto la casa con un modo di fare così sfacciato che non poteva far altro che rigettarlo come un sangue diverso.

Avrebbe dovuto imparare l’educazione, prima di anche solo pensare di poter fare i suoi comodi nella sua psiche come piaceva più a lui.

A quel pensiero strinse i pugni così forte che il rumore delle nocche che chiocciavano echeggiò fin sopra il vento.

Aveva un modo alquanto particolare, di chiamarlo padrone.

-E chi è, il tuo padrone?-

Tentennò per una frazione di secondo, come shakerando le informazioni nel cervello, per far prendere loro ordine.

-Il Signorino-

-Il Signorino?-

-Il Signorino-

Edward lo guardò, aspettando che aggiungesse qualcosa alle poche informazioni date.

Ma per l’altro, quello che aveva già detto, sembrava più che comprensibile e più che sufficiente.

Come se solo la parola ‘signorino’ potesse dirgli nome e cognome e indirizzo e pure il numero di scarpe.

-Ce l’ha un nome ed un cognome questo ‘signorino’?-

La domanda fu motivo di profonda riflessione.

-T.. Tailor- disse, come, addentando le sillabe che gli sfuggivano.

Sembrava che non ricordasse più la pronuncia, come se non avesse avuto occasione di dirlo da parecchio tempo.

-Ed il nome?-

-G.. Gil-

Era un nome corto, ma richiese ancora più fatica del cognome.

L’ aveva balbettato, ma con una serietà tale che non gli venne da ridere, nonostante potesse essere lecito supporlo.

Edward s’accorse poi che, anche se ottenendo quell’informazione, le possibilità che lo conoscesse erano comunque infime.

Sorrise di soppiatto alla sua stupidità. Sentiva che c’era bisogno di parlare, probabilmente.

Anche di cose inutili. Stupide.

-E lui ti piace?-

-Piace?-

-Si.. ti piace? Stai bene con lui?-

Il ragazzo ponderò, con profonda concentrazione, come davanti al mostro, l’ostacolo finale di un lungo racconto epico.

Doveva trovare la sua risposta sul fianco della cintura, in fretta, prima che l’inconsapevolezza lo soffocasse. Dimostrare di essere un buon cavaliere.

Ma tutto quello che riuscì ad ottenere era uno sguardo più curioso di minuto in minuto.

-Non saprei- s’arrese, infine.

-Lo sapevo! Neanche a me piace il mio- sbottò, senza neanche lasciarlo finire di parlare.

-Che poi perché cavolo lo chiamo padrone! È un superiore dannazione! Un superiore!-

-Superiore?-

-Un dannato, maledetto, inutile, prepotente, vanaglorioso, pomposo, presuntuoso bastardo. Nonché un idiota e un deficiente-

Non fece caso né alla frequente presenza di concetti simili nel suo discorso, né al fatto che era passato dal parlare dal ‘cosa’ al ‘come’ senza neanche avvertire.

Roy Mustang non era monotono solo nelle proprie reazioni.. ma anche in quelle che suscitava negli altri!

E se glielo avesse chiesto –cosa di cui comunque non c’era alcun pericolo- avrebbe risposto che con lui ci stava da schifo.

Così da schifo che la morte del dannato Colonnello sarebbe avvenuta in settimana. Ribollì dalla rabbia, pensandoci.

 

“T’assicuro che il Diavolo sa tenere i tuoi segreti molto meglio di quanto saprebbe fare Dio”

 

-Diavolo-

-Come?-

Il modo in cui si voltò verso di lui aveva qualcosa d’inumano.

Gli parve di sentire i nervi del collo scricchiolare, urlando.

-Il mio padrone è il diavolo-

Edward strabuzzò gli occhi, indeciso sul pensare di sentirsi preso in giro, o se pensare di avere davanti qualche essere mitologico.

Poi si ricordò che, nel mondo in cui viveva, la lettura del pensiero non esisteva.

E che, se anche così fosse stato, lui sarebbe stato una bestia mitologica almeno quanto lui.

Sorrise.

D’un sorriso così luminoso che il ragazzo fece scricchiolare tutte le giunture del suo corpo come metallo arrugginito, guardandolo.

Così il diavolo aveva così tanti servitori eh?

Non seppe perché, ma si sentì contento a quella notizia, si sentì disteso in ogni muscolo.

Forse, allora, non avrebbe avuto altri angeli, nella sua vita, con cui paragonarsi.

Non avrebbe avuto nient’altro dei suoi ricordi, di bianco, d’immacolato, per purificarsi l’animo che diventava sempre più nero.

Per tentare almeno di farlo tornare grigio, sapendo comunque in partenza che non sarebbe mai scolorito davvero.

Il suo passato non aveva segreti, non aveva sotterfugi. Li aveva nel presente.

Ed, insieme a quelli, tutto quel che aveva nel presente erano tenebre. Sempre più molli, sempre più fitte.

Cosa ci si poteva fare di meglio, se non buttarceli dentro uno per uno?

Si toccò i capelli, che per il vento divenuto più forte avevano cominciato a coprirgli la visuale.

-Come ti chiami?- chiese, dandosi dell’idiota per aver rimandato troppo a lungo una domanda importante come quella.

 

 

Occhi neri.

Capelli neri.

Una bocca imminente.

 

“Ha ancora intenzione di starmi a guardare per molto?”

“Tutto il tempo che vuoi, FullMetal”

 

“Suppongo che non abbiamo più nulla da dirci”

“Lo pensi tu, FullMetal”

 

“T’assicuro che il Diavolo sa tenere i tuoi segreti molto meglio di quanto saprebbe fare Dio”

 

Sentì l’impellente bisogno di ringraziare il suo confessore.

Confessore di cosa, poi, neanche lo sapeva.

Confessore di verità appena nate?

-Gr…-

Un longilinea figura si allontanava all’orizzonte.

Un artistica pennellata blu, sullo sfondo di palazzi grigi in crollo.

 

Don't you wanna ride it?
Educated Horses

 

-Dove sei stato fino ad ora?-

Gil era nervoso. Lo si comprendeva osservando il modo in cui afferrava le ciocche di capelli platinati, portandoli in su e in giù senza preoccuparsi della loro sorte.

Glielo chiese afferrando una camicia bianca dal cassetto, ed infilandosela sotto lo sguardo apatico del suo servo, appuntandosi mentalmente di dover gettare al più presto quella che portava prima.

-Da nessuna parte-

Lui non esisteva.

Non esisteva neanche il luogo in cui era stato.

-Dici sempre così..- borbottò, cercando di sedersi sul letto, e rinunciandoci praticamente subito dopo.

-.. Ma non importa. Non avevo bisogno di te- concluse, ineffabilmente, odorando le lenzuola, e ritraendo il naso schifato.

-Non pensavo che lo sperma di qualcuno potesse avere un aspetto tanto.. ripugnante-

Ed eppure ne aveva visti davvero tanti, sembrava voler continuare. Ma espresse il concetto gettando il tutto in un grosso mucchio di stoffa gialla e rossa sul pavimento.

Non era soddisfatto. Lo si comprendeva dalle labbra sottili inclinate di lato, che deformavano il volto bianco in una smorfia sprezzante.

Poteva voler dir tutto, e poteva voler dir niente. Forse avrebbe cercato ancora qualcosa di soddisfacente, mandandolo in un luogo che non esisteva, eliminando la sua presenza in un modo che neanche il Signorino stesso conosceva. La sua capacità di scomparire dietro una porta d’albergo aveva dell’incredibile.

Finché non si sentiva il bisogno di spiegarne le dinamiche.

O, forse, avrebbe deciso che quella città non gli era stata simpatica fin dal primo momento che l’aveva vista.

Quando non sapeva neanche in che angolo di mondo erano andati a cacciarsi quella volta.

Fors’ancora avrebbe concluso che, più semplicemente, tutti i buchi sono uguali.

E avrebbe dormito ronfando regalmente fino al giorno dopo.

-Vado a farmi un'altra doccia-

Gli passò di fianco, lentamente.

La punta della lingua che gli sfiorava la spalla. Un fila di denti rivolta solo a lui.

Indugiò, come s’aspettasse che un fiotto d’acqua e sapone gli arrivasse sul capo, esattamente dove era anche lui.

S’allontanò così velocemente, poi, che avrebbe potuto pensare di essersi sbagliato.

-Le laverò la schiena, più tardi- mormorò, inchinandosi.

Che differenza c’è tra l’immaginarsi il Diavolo, ed averlo già al fianco?

Non poteva sbagliarsi. Il Signorino aveva ancora tanto da imparare, in fondo.

Afferrò un asciugamano dal cassetto lasciato aperto, da cui una camicia linda spuntava, scomposta.

Rischiando di cadere.

 

 

 

 

 

 

Don't you wanna ride it?
Educated Horses

 

-Dove sei stato fino ad ora?-

Glielo chiese chinando la testa in sua direzione, mellifluo. Il tono inquisitore che aveva usato non poteva essere casuale.

Si voltò verso di lui, dopo aver accostato la porta ed averla chiusa con un movimento pulito e silenzioso, alzando il mento in modo altezzoso.

Roy era nervoso. Lo si capiva dal modo in cui tamburellava le dita sulla braccia conserte, da come sembrava essere venuto giù dall’architrave della porta non appena l’aveva aperta, quasi ci fosse stato appollaiato tutto il tempo trillando i suoi lamenti d’amore.

-Da nessuna parte-

-Ontologicamente esisti, FullMetal! Da qualche parte devi essere stato!-

-Però.. il ragionamento non fa una piega-

Ancheggiò fino ad uno dei letti, al centro della stanza, simulando un seppur vago interessamento alla crisi di mezza età del Colonnello.

Con le mani puntate ai fianchi li osservò, fischiettando un motivetto che ad altre orecchie sembrava la cosa più irritante potesse emettere la sua bocca in quel momento.

-Allora?-

-Allora cosa?-

Ticchettò i piedi a terra, giusto per darsi un aria disinteressata.

-Non c’era qualcosa che voleva dirmi?-

-A lei?-

-No guarda! Alla fata turchina!-

Rise a fior di labbra in un modo così odioso che avrebbe voluto strapparglielo dalla faccia con tutta la pelle.

Si avvicinò a lui, rendendosi conto tutt’ad un tratto che forse avrebbe dovuto mantenere le reazioni nei limiti della decenza.

Ma aveva pensato fin troppo, in quella mezz’ora in cui aveva visto il cielo farsi sempre più nero, e le ore diventare sempre più corte.

E l’aveva sentita. La sua assenza, farsi sempre più pesante.

 

“T’assicuro che il Diavolo sa tenere i tuoi segreti molto meglio di quanto saprebbe fare Dio”

 

 

-È lei che dovrebbe dirmi qualcosa.. a dire il vero-

Un altro passo avanti, come se non avesse idea che di lì a poco ci sarebbe stato il muro a fermare il suo avanzamento.

-Ah davvero? E cosa dovrei spiegarti?-

Fu lui ad indietreggiare, stavolta.

 

Che differenza c’è tra l’immaginarsi il Diavolo, ed averlo già al fianco?

 

Non rispose.

Osservò solo il movimento con cui il Colonnello avanzava, senza rendersi conto del proprio mentre indietreggiava.

Osservò Come il diavolo che aveva dentro si rifletteva davanti a lui.

E come nessuna delle sue più tetre fantasie avrebbe potuto immaginarlo.

Volpe in trappola.

 

Foxy, Foxy, what's it gonna be?

 

 

Ave in eccelsius deo ce l’ho fatta!!!

Ehm.. vado che tra un po’ comincia il film di fma! XDDD

Rapide risposte ai commenti.

 

INUYASHA94: eheheh.. perdono. Comunque il momento in cui il colonnello riempirà il suo letto s’avvicina *risata diabolica* thanks

CHIBIMAYU: Roy vecchio? Mapperppiacere XDDDD *non dare anticipazioni, ROGER, non dare anticipazioni* Thanks

CHIBISIMO: so che non mi merito neanche di chiederlo dato l’immane terribile assurdo catastrofico ritardo ma… come procedono le tavole? *_* (occhini sbrilluccicosi) baci and thanks XD

JACKY_DRAGON: I commenti così lunghi m’intimoriscono sempre! U.U prima di leggerli non so perché ho sempre il presentimento che saranno negativi -_-

Comunque se hai apprezzato che sia migliorata nella scioltezza nelle parti beh.. mi sa che ultimamente comincia a diventare un difetto -_- thanks XD

SETSUKA: Alla faccia del commento lungo U.U Comunque questa è una fic terribilmente frustrata.. speriamo che al momento in cui tutte queste frustrazioni verranno sfogate io non cada come un sacco di patate -_- dato che il momento s’avvicina comincio a preoccuparmi. Thanks XD i tuoi commenti fanno bene al cuore

SOTALIA: Embè si eh, l’impegno c’è! Quello non lo nego XD

In ogni caso hai letto fino al quarto capitolo giusto? Perché stai commentando un capitolo che ho scritto un anno e mezzo fa.

La mia tendenza a voler mantenere un registro troppo alto è un difetto di cui mi sono già accorta, e che ho cercato di correggere.. e mi pare che nei miei ultimi scritti l’intento sia chiaro U.U e il fatto che io abbia usato il termine “l’aria s’elargì” (mi pare) è legato proprio al fatto che altri termini risultavano troppo semplici XD

Ma credo di sapere che vuol dire elargire da molto più di un anno e mezzo U.U

La frase, almeno dal mio punto di vista, un senso ce l’ha.

Grazie del commento *inchino*

 

 

E al prossimo capitolo… LA LEMOOOOOON!!!

Ve l’ho mai detto che il sogno della mia vita è avere almeno una volta più di 10 commenti a capitolo? *sguardo vago*

Alla prossima XD

 

   
 
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