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Autore: millyray    12/09/2013    1 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SETTE - E' PASSATO

No, non può finire così,
la vita inventerò ancora per un po’.
No, non può finire così,
qualcuno troverò e rinascerò.

(Solo ieri, E.Ramazzotti)

Il letto scricchiolò sotto il suo peso, mentre vi si sedeva sul bordo, poggiando i piedi nudi sul freddo pavimento. Si accorse di avere addosso la maglietta azzurra di Jack, quando gli passarono per la mente le immagini di quello che aveva fatto la scorsa notte e lo sguardo gli corse subito dietro le spalle, dove il bel Capitano dormiva ancora pacificamente, il viso rilassato in un’espressione serena che raramente Ianto gli aveva visto dipinta in viso. Era strano che dormisse ancora, di solito era lui quello che si svegliava per primo, sempre vigile, sempre scattante.

Cercando di fare meno rumore possibile e scrollandosi di dosso i brividi rimastigli dall’incubo che aveva appena fatto, si alzò dal letto con un colpo di reni ma un’improvvisa nausea gli salì alla bocca dello stomaco. Chiuse gli occhi per qualche secondo, aspettando che gli passasse, e poi andò in bagno.
Era da un po’ di giorni che si svegliava con uno stano senso di vomito nello stomaco, sempre più forte. Poi gli passava per l’ora di pranzo. Ma non l’aveva ancora detto a Jack, non voleva farlo preoccupare. E in ogni caso, probabilmente era dovuto allo stress e alle poche ore di sonno che faceva.

Stava per prendere la schiuma da barba, quando sentì qualcuno abbracciarlo da dietro e tirarlo contro il proprio petto. Capì immediatamente che quel corpo caldo e quelle braccia forti appartenevano a Jack e un sorrisetto gli nacque spontaneo sulle labbra, mentre si lasciava cullare dal suo Capitano.

“Ti preparo la colazione?” gli sussurrò all’orecchio.

“Solo del caffè”.

“Quello lo fai meglio tu”.

Ianto ridacchiò e si districò dalle braccia del compagno. “D’accordo, vado a farlo io”. Posò la crema accanto al lavandino e fece per avviarsi alla porta. Ma non appena fece un passo, un forte capogiro lo assalì e dovette aggrapparsi al termosifone per non cadere.
Jack gli circondò la vita con un braccio e lo fissò preoccupato. “Ehi, che succede?”

“N… niente”, borbottò il ragazzo. “Mi gira solo la testa”.

Jack lo rimise dritto e gli tastò la fronte. “Sei sicuro di stare bene? Ti porto in ospedale o…”.

“No, Jack, no!” cercò di tranquillizzarlo l’altro. “Sto bene, davvero. Ora è passato”.

“Ma…”.

“Sto bene, Jack!” E se ne uscì a passo di marcia dal bagno, senza lasciare il tempo all’altro di aggiungere qualcosa.

Jack rimase a fissare la porta come bloccato. Sperava che non avesse niente di grave, forse tutto quel lavoro a contatto con alieni e altre robe strane poteva danneggiare l’organismo delle persone. Si augurava che non fosse così.

 

“Come andiamo, Tosh?”

Toshiko digitava freneticamente qualcosa al computer, quando Jack le si avvicinò alle spalle, fissando gli occhi sullo schermo.

“Sembra che qualcosa sia passato attraverso la fessura questa notte”, disse la ragazza. “Ma questa è l’unica attività che mi segna”.

“D’accordo, allora, non c’è niente di cui preoccuparsi. Continua a monitorarlo, però”.

“Va bene”.

“Ragazzi, c’è un pacco per noi”. La voce di Ianto, appena rientrato nel Nucleo, attirò l’attenzione di tutti. Gwen spense il cellulare, Owen abbandonò la sua sala medica, Tosh si girò con la sedia e Jack prese una piccola scatola dalle mani del compagno. La poggiò sul tavolo, l’aprì con un gesto secco e guardò dentro, imitato dagli altri. Vi era contenuto un piccolo specchio di forma rettangolare, sufficiente solo per vedere una parte del proprio viso, decorato con una cornice argentata piuttosto semplice.

“Chi l’ha mandato?” chiese Gwen.

“Non so”, le rispose Ianto. “Il fattorino ha detto che era per Torchwood e che il mittente era anonimo”.

“Guardate, ci sono delle scritte”, notò Toshiko, indicando con l’indice dei segni in un angolo. “Ma non è inglese”.

“Probabilmente è una lingua aliena”, ipotizzò Jack.

“Pensi che sia alieno?”

“Perché altrimenti ce lo avrebbero mandato?”

“Per specchiarci?” scherzò Owen, beccandosi un’occhiataccia da Gwen.

“Dobbiamo analizzarlo. Tosh, cerca di decifrare le scritte”.

Il team si mise subito all’opera, mentre il Capitano spariva nel suo ufficio. Poco dopo anche Ianto lo seguì.

“Ehi”, lo salutò Jack, seduto dietro la scrivania. “Stai bene?”

Ianto alzò gli occhi al cielo e si sedette sulla scrivania. “Sì, Jack, smettila di chiedermelo”.

“D’accordo, d’accordo”. Jack si buttò contro lo schienale della sedia e mostrò il suo solito sorrisetto sghembo.

“Comunque, quello specchio…”, iniziò il ragazzo per cambiare argomento, evitando di guardare quel sorrisetto dipinto sul volto dell’altro. “Mi è familiare”.

“In che senso?”

“Sono sicuro di averlo già visto da qualche parte, ma non ricordo dove”.

“Be’, è uno specchio abbastanza comune. Magari lo hai visto in un negozio”.

“Non saprei”. Ianto restò a fissare un punto invisibile sul muro di fronte a lui, senza aggiungere altro, e poi lasciò l’ufficio di Jack a passo di marcia. Raggiunse Owen nel suo studio e lo trovò indaffarato a studiare lo specchio. “Scoperto qualcosa?”

“Solo che è un affare alieno. Ma non ho idea a che cosa serva”. Il dottore si voltò per prendere qualche altro attrezzo e Ianto ne approfittò per avvicinarsi all’oggetto sul tavolo e guardarlo meglio. Vi si specchiò dentro, trovandoci riflesso solo il proprio occhio azzurro.
Eppure gli sembrava tanto familiare… terribilmente familiare.

Ma forse era solo una sua impressione.

Vide una scatola di biscotti poggiata sul tavolino e si accorse di avere fame. L’afferrò iniziando a mangiare il primo biscotto e andò a fare qualcosa.

 

“Cinque a tre per noi! Ve l’avevo detto che vi battevamo!”

Jack aiutò Ianto a scendere dal canestro al quale si era appeso dopo aver fatto un tiro al volo e gli diede un sonoro bacio sulle labbra.

“La partita non è ancora finita. Vedremo chi sarà ad esultare tra poco”, lo provocò Owen, lanciando ai due un’occhiata di sfida.

Quel pomeriggio, dopo pranzo, avevano deciso di andare a farsi una partitina a basket nel campo vicino, visto che non c’era molto da fare al Nucleo. Stavano giocando già da mezz’ora, Gwen e Owen contro Ianto e Jack. Tosh aveva deciso di rimanersene in disparte a tenere il punteggio e controllare sul portatile che si era portata dietro le eventuali attività della fessura, perfettamente conscia delle sue poche capacità sportive.

“Non sapevo fossi così bravo, Ianto”, commentò Gwen, osservando curiosa il ragazzo.

“Quando andavo al liceo ci ho giocato un po’ di volte”.

“Ragazzi, continuiamo?” si intromise Owen. “Dov’è la palla?”

Soltanto in quel momento si accorsero che la palla da basket era scomparsa, probabilmente rotolata chissà dove. D’un tratto, però, notarono una figura in piedi a poca distanza da loro. Reggeva in mano qualcosa di tondo e li osservava.

Ianto cominciò ad avvicinarsi, una specie di dejavù lo aveva colto tutto d’un colpo e gli pareva di aver già visto quella persona.
E le sue sensazioni furono confermate, quando le arrivò ad un metro di distanza. Il cuore cominciò a battergli a mille e rimase completamente paralizzato sul posto, senza parole e senza fiato. Sentiva la presenza dei suoi amici dietro di lui, increduli anche loro.

“Lisa!” esclamò lui, riuscendo a recuperare le parole da qualche parte nel fondo della gola.

“Ciao, Ianto”.

 

Lisa non era cambiata proprio per niente. Quella sua pelle color cioccolato, le curve, le gambe toniche e il corpo snello erano uguali a quando l’aveva conosciuta. Si era sentito attratto fin da subito, non solo dal suo corpo ma anche dal suo modo di fare, dalla sua personalità. E nemmeno quelli sembravano essere cambiati. Era perfettamente come la ricordava.

“Bene, quindi non sei una specie di clone e neanche un robot”, concluse Owen, poggiando sul tavolino il suo stetoscopio. “I tuoi organi funzionano perfettamente e non c’è traccia di decadimento fisico. Ciò significa che non sei nemmeno un vampiro o uno zombie. E a quanto pare neanche un alieno”.

Lisa alzò gli occhi al cielo e accavallò le gambe.

“Sono in ottima forma”, disse lei maliziosa. “Come sempre”. Si alzò dal tavolo del piccolo studio di Owen, sul quale il dottore l’aveva visitata e si mise a girovagare per il Nucleo, osservando gli oggetti che incontrava con fare curioso.

“Allora come sei arrivata qui?” le chiese Jack, poggiato alla ringhiera accanto a Ianto.

La ragazza si fermò accanto al divanetto sotto la scritta Torchwood. “Devo dire che questo posto fa molto… Futurama”, commentò, senza fare caso alla domanda del Capitano “Avete un sacco di cose interessanti. Chi lo ha arredato?”

“Come sei arrivata qui?” ripeté Jack, guardandola serio.

Lei si girò verso di lui e rimase  a osservarlo intensamente, come se volesse trasmettergli qualcosa attraverso lo sguardo.

“Che importanza ha?” fece lei allora, scendendo con passo elegante e avvicinandosi al Capitano. Si fermò di fronte a lui a fronteggiarlo, più bassa solo di qualche centimetro. “Ora sono qui. Non ho certo intenzione di uccidervi o conquistare la Terra”.

Ianto, fermo dietro a Jack, sorrise divertito e Lisa gli fece l’occhiolino. Il Capitano non se ne accorse o forse fece finta di non averlo visto. Continuò semplicemente a fissare la ragazza e ordinò in tono perentorio: “Ianto, rinchiudila nelle celle”.

 

“E così ora sei sotto gli ordini di quel belloccio”, fece Lisa, provocante. Ianto aprì la porta della cella vicina a quella di Janet e rimase fermo, aspettando che la ragazza ci entrasse. Sperava di non doverla convincere o buttare dentro a forza. Anche perché non era tanto sicuro di uscirne vincitore. Lisa era sempre stata una ragazza molto forte, in forma, sapeva persino praticare qualche arte marziale dal nome strano.  “E’ peggio di quella che avevamo al Torchwood di Londra”, aggiunse, cercando forse un modo per iniziare una conversazione.

“Entra”, disse semplicemente lui, senza guardarla. Lei spalancò gli occhi sbigottita. “Non puoi fare sul serio”.

“Mi dispiace, Lisa. Questi sono gli ordini”.

“Quand’è che sei diventato così accondiscendente?” chiese, in tono acido, avvicinandosi alla soglia della cella. “Una volta non eri così”.

“Sono cambiato”, rispose lui, alzando lo sguardo sul suo viso e poggiando una mano sul muro davanti.

“Sì, lo vedo”, ringhiò lei, facendo un’espressione quasi disgustata. “Ora sei diventato un bravo ragazzo. Ti vesti pure come se fossi… un cameriere”.

Ianto spostò lo sguardo, non avendo il coraggio di affrontare quello della ragazza. Sentiva come se le facesse un enorme torto, eppure non poteva fare altrimenti. Non poteva disobbedire a Jack e scappare via con Lisa, non solo perché Jack era il suo compagno e il suo capo, ma anche perché era lampante che c’era qualcosa di sbagliato. Lisa non doveva essere lì.
Però, l’altra vocina nella sua testa, quella che seguiva una volta, quando non si preoccupava di nessuna conseguenza, gli diceva che l’errore era rinchiudere Lisa in quella cella e considerarla un mostro. Dopotutto, non era una persone qualunque… era la sua Lisa, quella che aveva amato, che aveva condiviso con lui buona parte della sua vita, che lo aveva aiutato a superare i suoi problemi. Quante volte aveva sognato di poterla riabbracciare di nuovo, stringerla fra le sue braccia e ora, finalmente, poteva farlo. I miracoli a volte avvengono no?
In fondo, non aveva smesso di amarla, anche se adesso amava Jack. Ma si possono amare in ugual modo due persone contemporaneamente?

“Perché sei qui? Che cosa vuoi?” le chiese, riportando lo sguardo su di lei.

Lisa sbatté le sue lunghe ciglia e lo guardò con i suoi enormi occhi scuri e supplicanti. Ianto sentì dei brividi corrergli lungo la schiena, quei brividi che sentiva tutte le volte che guardava in quelle pozze profonde e aveva come l’impressione di potercisi perdere dentro.

“Voglio te”, sussurrò lei con voce dolce, prendendogli in mano la cravatta. “Ti amo”. E, senza lasciargli il tempo di dire niente, lo tirò per la cravatta verso le proprie labbra e lo baciò. Ianto non si ritrasse, anzi, completamente dimentico di dove si trovava, si avvicinò di più a Lisa e le circondò la vita con le braccia, mentre lei gli affondava la mano tra i capelli.
Si staccarono solo dopo un po’. Ianto si sentiva come se si fosse appena svegliato da un sogno impossibile, il cuore che batteva a mille. Lisa invece gli sorrideva contenta, come se avesse appena ottenuto ciò che voleva.
Ma, al contrario di ciò che si era aspettata, si vide spingere indietro dal ragazzo che subito richiuse la porta della cella lasciandola dentro. Lei si avvicinò al vetro e lo guardò incredula. “Ianto! Non puoi farmi questo!”

“Mi dispiace, Lisa”, disse lui, guardandola dispiaciuto. “Ma tu non dovresti essere qui”. Subito girò sui tacchi e si avviò all’uscita.

“Ianto!” chiamò di nuovo lei, ma l’altro fece finta di non udirla. “Cosa c’è tra te e quell’uomo?” chiese poi, con tono quasi disperato. Ianto si bloccò sul posto, come scottato. Sicuramente intendeva Jack. “Ho visto come lo guardi. Cosa c’è tra voi?”

 

Quanto Ianto tornò dalle celle trovò i suoi amici stranamente in silenzio. Owen stava mettendo in ordine i suoi attrezzi da medico, Gwen era seduta sul divano col cellulare in mano e Tosh e Jack se ne stavano davanti ai computer, lei impegnata a scrivere qualcosa mentre lui fissava lo schermo con sguardo vacuo.
Quando lo vide arrivare, il Capitano gli lanciò una strana occhiata e poi si diresse al suo ufficio.

Ianto si avvicinò alla giapponese e gli venne quasi un colpo quando vide la schermata delle celle aperta su uno dei computer. In un angolo c’era Lisa, seduta per terra col viso tra le ginocchia. Sicuramente Jack stava guardando quella videocamera da più tempo e probabilmente non solo lui.

Anche Tosh lo guardò con un’espressione che gli esprimeva una muta richiesta, ma lui non ci fece caso e corse dietro a Jack.
Entrato nell’ufficio, richiuse la porta dietro di sé e osservò la schiena di Jack fermo alla scrivania.

“Jack, hai visto…”, cominciò con voce incerta, ma si bloccò di colpo, sentendosi un po’ stupido. Ma certo che aveva visto! “Jack, io… mi dispiace. Non…”.

“Ianto!” esclamò il Capitano, girandosi improvvisamente verso il ragazzo, ancora appoggiato alla porta. “Non chiedere scusa se non sei dispiaciuto. E poi non m’importa. Sei libero di baciare chi vuoi”.

Ianto alzò il capo verso di lui guardandolo come se avesse detto una bestemmia. Poi gli si avvicinò lentamente, come se avesse paura che l’altro lo potesse picchiare da un momento all’altro.
“Ma io voglio baciare solo te”, gli sussurrò, mettendogli le mani sulle spalle.

“Allora baciami”, fece Jack, sensuale. 

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e annullò tutte le distanze tra loro due, fiondandosi sulle labbra del Capitano quasi con disperazione. Con una mano si afferrò alla sua camicia, mentre sentiva quella di Jack corrergli lungo la schiena.
Si lasciò travolgere, come sempre, e il bacio di Lisa di poco fa gli parve un ricordo di tanti altri. Non poteva dire che quello della ragazza gli era stato indifferente, così come lei non gli era indifferente. Gli aveva portato alla memoria vecchi ricordi, lontane esperienze vissute con lei, le avventure che avevano sperimentato, le belle memorie che aveva, ma che erano al contempo amare. Era il passato.
Quello di Jack, invece, era… be’, era come Jack. Intenso, passionale, forte. Era tutto il contrario di quello di Lisa. Era come quei baci che puoi solo sognarti, uno di quei baci che ti ricordi per tutta la vita.
Ma, soprattutto, il bacio di Jack rappresentava il presente.

Quando si staccarono, rimasero a guardarsi per qualche secondo, come a volersi trasmettere con lo sguardo ciò che provavano.
Poi Jack si allontanò e mostrò un sorrisetto malizioso. “Mi sono ricordato di avere un impegno”.  E, senza spiegare nient’altro, afferrò il suo cappotto e uscì fuori dall’ufficio.

“Ehi, Jack, vai fuori?” chiese Owen, avvicinandosi al Capitano. “Ti accompagno. Ho scordato il cellulare in macchina”.

I due azionarono la ruota e si ritrovarono nell’ingresso con l’ascensore. Si misero a discutere del ritorno di Lisa e di come avrebbero risolto quella questione e si ritrovarono fuori, abbagliati dal sole.

“Owen?!” esclamò all’improvviso una voce di donna. Il dottore si voltò verso la direzione da cui l’aveva sentita provenire e sgranò gli occhi nel trovarsi davanti una ragazza bionda, affiancata da un uomo alto vestito in modo strano. “Katie?!”

 

“Non ho rilevato attività della Fessura e non ci sono altre tracce di attività aliena a Cardiff, eccetto qui al Nucleo”, disse Tosh quando lei e gli altri si erano seduti nella sala delle riunioni per discutere degli ultimi avvenimenti.

“Quindi è qualcosa di alieno?” chiese Gwen, guardando verso la collega.

“Da quello che mi risulta sì”, rispose lei, digitando qualcosa sul portatile.

“Questo significa che le persone che sono tornate c’entrano con questo posto. Lisa ha lavorato per Torchwood ed era la fidanzata di Ianto. Ma la ragazza bionda? E l’uomo?” fece di nuovo Gwen, spostando lo sguardo su tutti i presenti.
Owen fissava un punto indefinito sul tavolo, ancora sconvolto per il ritorno di Katie, Ianto era seduto sulla sedia, una gamba poggiata sul ginocchio con espressione quasi indifferente e Jack dava loro le spalle, fermo sulla soglia della porta, con aria tormentata.

“Inoltre c’è lo specchio. Tosh, sei riuscita ad analizzare le scritte?”

“Il computer sta ancora cercando. Presto dovremmo avere una risposta”.

“D’accordo. Che ne dite allora se…”.

“La ragazza bionda”, si intromise ad un tratto Owen, interrompendo il discorso di Gwen. “Era la mia fidanzata. Dovevamo sposarci, quando lei è morta perché… c’era un alieno nella sua testa”.

Sia Gwen che Tosh che Ianto spostarono lo sguardo sul dottore, guardandolo con aria sconvolta.

“Oh, Owen…”, sussurrò la giapponese, allungando una mano verso di lui. “Mi… mi dispiace”.
Lui alzò il capo verso di lei e le lanciò una strana occhiata.
Per qualche attimo nella sala cadde un pesante silenzio, nessuno sapeva cosa dire. Quella era forse l’esperienza peggiore che poteva loro capitare.

“E che mi dite dell’uomo? Qualcuno di voi lo conosce?” chiese a quel punto Gwen. Gli altri tre scrollarono le spalle come per dire che loro non avevano niente a che farci. “Jack?” chiamò allora la ragazza, guardando in direzione del Capitano, l’unico fino a quel momento che non si era espresso. Lui, però, rimase lì dov’era, lo sguardo vacuo fisso sullo stipite della porta, le mani in tasca. Anche gli altri si voltarono a guardarlo, intuendo che lui, invece, sapeva qualcosa.

“Quell’uomo”, iniziò lui, senza guardare nessuno dei compagni. “Si chiama Franklin. È… era mio padre. Ma è morto un sacco di tempo fa”.

Di nuovo piombarono tutti in silenzio. Ianto non sapeva se alzarsi e andare da lui per consolarlo o restare lì dov’era. Ma poi si rese conto che non avrebbe saputo cosa dirgli e che Jack non amava apparire fragile.

“Dovremmo interrogarli, forse loro sanno qualcosa”, concluse a quel punto Gwen.

“Usiamo Katie”, disse Jack, voltandosi verso gli altri e riprendendo la sua solita espressione di Capitano.

“Perché proprio lei?” si lamentò Owen, guardandolo male.

“Perché Lisa non ci dirà niente”, rispose lui, poggiando le mani sul tavolo. “E in quanto a Franklin… non ci conosce. Avevo solo dodici anni quando è morto, non mi riconoscerà. Katie si fida di te”. Non era una risposta del tutto logica, Jack lo sapeva, ma sperava che il suo tono convincente fosse riuscito a ingannarli, come succedeva sempre. La verità era che non voleva confrontarsi con suo padre.

“Vado a prenderla”, disse Ianto, alzandosi dalla sedia.

Il ragazzo scese nelle celle, ma evitò accuratamente di guardare in quella di Lisa e non si fermò nemmeno da quella di Katie. Piuttosto raggiunse l’ultima, quella dove c’era Franklin, e si fermò a osservarlo. Era molto simile a Jack, alto coi capelli castani, il fisico forte e la mascella dura. Ma non sembrava avere la stessa aria vissuta e tormentata del figlio, anche se un luccichio di malinconia c’era.

L’uomo, sentendosi osservato, alzò lo sguardo su di lui e inclinò il capo. “Sei venuto a uccidermi?” chiese con un tono rassegnato.

“No”, rispose subito Ianto. “Non vogliamo farvi del male”.

“Allora perché ci tenete qui dentro?”

“Perché…”, rimase un attimo a pensare a che cosa sarebbe stato meglio dire. “Perché dobbiamo capire il motivo per cui siete qui”.

Franklin abbassò il capo e sospirò.

“Signore?” lo chiamò Ianto. “Lei… lei ha dei figli?”

L’uomo alzò lo sguardo a guardarla, chiedendosi silenziosamente come mai gli facesse una domanda del genere. Poi sorrise teneramente. “Sì. Ne ho uno, si chiama Grey. Adesso ha sedici anni”.
Anche Ianto sorrise, ricordandosi che aveva già sentito quel nome. L’aveva detto John quando era venuto a trovare Jack. Lo sapeva che Grey era qualcuno di importante per il Capitano.

“E’ il suo unico figlio?”

Franklin, allora, si incupì di colpo. “No. Ne avevo un altro, un figlio più grande. Ma è morto durante un’invasione aliena. O almeno credo. È scomparso tentando di salvare il fratellino”.

Ianto capì che si riferiva a Jack ed era pronto a fargli altre domande, ma in quel momento vide arrivare proprio il Capitano che lo guardava con una faccia strana.

“Ianto, che fai? Ti stiamo aspettando”.

Il ragazzo sobbalzò e si allontanò velocemente dalla cella di Franklin, biascicando un “Arrivo”. Quando il Capitano si allontanò, aprì la cella di Katie e la invitò a seguirlo.

Salirono al piano superiore, dove la ragazza si buttò subito tra le braccia di Owen. “Owen! Ma che sta succedendo?!” esclamò lei, in tono spaventato. Il ragazzo la strinse, cercando di confortarla. “E’ quello che stiamo cercando di capire”. La fece accomodare su una sedia e lanciò un’occhiata di intesa a Jack.

“Che posto è questo?” chiese Katie, guardandosi attorno.

“Si chiama Torchwood”, le rispose il Capitano, studiandola con i suoi occhi chiari. “E’ la nostra base segreta dove rintracciamo la vita aliena”.

“Alieni!?” fece lei, guardando tutti i presenti come se fossero impazziti.

“Ascolta, Katie”, si intromise a quel punto Owen, stufo dei temporeggiamenti di Jack. Si inginocchiò di fronte alla ragazza e la guardò dolcemente. “Il punto è che… tu non dovresti essere qui. È successo qualcosa che non sappiamo spiegarci. Devi dirci che cos’hai fatto…”.

“Ma io non ho fatto niente. Mi sono trovata qui all’improvviso”. Alzò lo sguardo verso il Capitano, come se avesse intuito che era lui il capo lì e che bisognava convincere lui. “Ero appena tornata a casa dal supermercato e stavo mettendo a posto la spesa. Ho aperto il frigorifero e sono finita alla baia… e tu hai aperto la porta”.

“Ma il punto è che tu dovresti… dovresti essere morta”.

Lei spalancò gli occhi e lo guardò scioccata. “No, Owen, tu sei morto… avevi un tumore e…”.

Improvvisamente Owen si alzò e passò lo sguardo sui suoi compagni, notando una luce di comprensione negli occhi di Jack. Sembrava star pensando intensamente a qualcosa. Come punto da un ago, corse nel suo ufficio e, dopo appena pochi secondi, tornò indietro reggendo lo specchio che avevano ricevuto quella mattina.

“Questo non è uno specchio!” esclamò come fosse la cosa più ovvia del mondo. “Questo è un…”.

“Portale!” Una voce nascosta tra gli scaffali interruppe la frase di Jack concludendola per lui. Videro sbucare fuori la figura di Lisa che reggeva una pistola in mano e la puntava contro di loro. “Pensavo che l’avresti riconosciuto, Ianto”, continuò la ragazza, addolcendo il tono stavolta. “Te l’ho mostrato quando lavoravamo per il Torchwood di Londra. È stata l’unica cosa a rimanere integra dopo… be’, dopo tutto il caos dei cyberuomini”.
Ianto spalancò gli occhi, un ricordo improvviso che gli tornava a galla. “Ma non avevamo mai capito a cosa serviva”.

“No, ma io l’ho capito, basta tradurre le scritte sulla cornice”.

“E a che cosa serve?” chiese Gwen, impaziente.

“E’ come ha detto lei un portale”, rispose Jack. “Serve per portarti in un mondo parallelo”.

“Mondo parallelo?”

“Ci sono infiniti mondi e universi paralleli tra qui uno identico a questo. Solo che quelli che sono morti in questo mondo sono vivi in quello parallelo e viceversa”, spiegò il Capitano pazientemente, senza togliere gli occhi da Lisa.

“E così che sono tornata qua. Ero sicura che anche tu lavorassi per il Torchwood di Cardiss così ho inserito le coordinate e l’ho mandato attraverso la fessura. Non avevo previsto che arrivassero anche la donna e quell’altro uomo”.

A quel punto anche Gwen estrasse la pistola e la puntò contro la ragazza. Ianto però si mise in mezzo, cercando di avvicinarsi a Lisa cautamente. Lei però non abbassò la sua arma.

“Lisa…”.

“Pensavo che l’avresti riconosciuto”, ripeté lei, con voce leggermente rotta. “Pensavo che te lo ricordassi. Invece… invece ti sei dimenticato di tutto quello che abbiamo passato insieme”.

“No, Lisa, non è così”.

“Ah no? E allora lui?” Indicò Jack con la punta della pistola. Stavolta aveva lasciato che qualche lacrima le scivolasse lungo il viso. “Mi hai sostituita con lui. Ma lui non ti conosce come ti conosco io. Scommetto che lui non sa quello che ti ha fatto tuo padre, scommetto che non ti confidi con lui come ti confidavi con me”.

“Lisa!” la chiamò il ragazzo come per intimarle di non aggiungere altro. “Non è così. Non potrei mai sostituirti”. Allungò la mano per prendere la pistola. Lei però si allontanò di qualche passo. “Dammi la pistola. Non ti faremo del male”.

“No, ma volete mandarmi via. Io non voglio andarmene, sono venuta per te, perché ti amo”.

Ianto, allora, avvolse con la mano la punta della pistola, sicuro che lei non gli avrebbe sparato e se la fece consegnare. Poi si avvicinò a Lisa e l’abbracciò, mentre lei avvolgeva il suo collo con le braccia e affondava la testa nel suo petto. “Voglio solo che ricominciamo da capo, voglio che…”. Non riuscì a concludere la frase però, perché Owen, avvicinatosi velocemente senza che lei lo vedesse, le conficcò una siringa nel collo e le iniettò il liquido che vi era contenuto, probabilmente un sonnifero. Ianto sentì la ragazza crollare tra le sue braccia a peso morto.

“Possiamo invertire le coordinate e rispedire lo specchio nella Fessura. Se ne andranno come sono venuti”, disse Jack, senza guardare nessuno in particolare.

 

Ianto sedeva sulle scalette di ferro che portavano al piccolo laboratorio di Owen e osservava Lisa stesa sul lettino, legata alle sbarre con delle manette. Avevano pensato che fosse meglio così, non volevano correre il rischio che li sorprendesse di nuovo come aveva fatto prima.

Il ragazzo sentì i passi di Gwen avvicinarsi e poi percepì che si sedeva accanto a lui, ma non ci fece caso.
Gli mise una mano sul braccio e guardò anche lei in direzione di Lisa.

“Come ha fatto ad uscire dalla cella?” chiese, più per fare conversazione che per vera curiosità.

“Ha lavorato a Torchwood per tanti anni. Non sarà certo una porta blindata a fermarla”, rispose lui in un tono che pareva pieno di orgoglio.

“Sembra una tipa tosta”.

Ianto sorrise. “Sì, lo è. più che altro non le piace che le si dica ciò che può o non può fare”.

“Mi dispiace… per quello che le è successo, intendo”. Gwen sospirò. Non gliel’aveva mai detto, né gli aveva mai chiesto come si sentisse dopo la morte di Lisa. Per la verità non parlava molto con Ianto, lo conosceva così poco. Conosceva così poco di tutti loro e le dispiaceva. Ma forse era anche meglio.

 

Intanto Jack, seduto sul giaciglio nella cella accanto a Franklin, fissava una macchia nella parete di fronte a sé, in completo silenzio.

“Tra poco potrai tornare a casa”, disse dopo un po’, senza voltarsi a guardare l’uomo seduto accanto a lui.

“Non vedo l’ora di riabbracciare mio figlio”, disse questi, in tono sommesso, quasi commosso.

Il Capitano annuì, sorridendo malinconicamente. “Salutamelo. Salutami Grey”.

“Lo farò, puoi contarci”. Franklin si voltò verso di lui come per aggiungere qualcos’altro quando, resosi conto di quello che l’uomo gli aveva appena chiesto, lo guardò con una faccia un po’ perplessa. “Come… come fai a sapere che si chiama Grey?”

Anche Jack si girò nella sua direzione, guardandolo con occhi che cercavano di trattenere le lacrime. “Perché l’ho scelto io quel nome, ricordi? Grey… “.  Vide Franklin spalancare gli occhi, un improvviso bagliore di consapevolezza nello sguardo. Rimase a scrutarlo per qualche secondo, come per trovare una risposta alla sua muta domanda.

“J… figliolo?”

Il Capitano annuì col capo e l’uomo non ebbe bisogno di altro. Allargò le braccia e lo strinse in un forte abbraccio. Jack affondò il viso nell’incavo del suo collo, assaporandone il buon odore, quell’odore che gli era mancato terribilmente, e lasciò andare una lacrima.

“Devi raccontarmi tutto, tutto quello che hai fatto fino ad ora”, gli ordinò Franklin senza lasciarlo andare. “Lo sai che hai salvato la vita a Grey? Ti sei sacrificato per lui…”.

Già… era contento di sapere che almeno in un mondo parallelo le cose erano andate come sarebbero dovute andare.

 

“Tu sei completamente matto!” esclamò Katie, cercando di calmare le risate che l’avevano sconquassata fino a poco fa.  Diede un morso alla ciambella che teneva in mano e si buttò sopra ad una panchina. Owen si accomodò accanto a lei, spostandole una ciocca di capelli che le era caduta davanti agli occhi. Avevano deciso di uscire un po’, per trascorrere insieme quel paio di ore che avevano prima che lei se ne andasse. Anche se il ragazzo non sapeva quanto buona fosse stata quell’idea. Sarebbe decisamente stato arduo separarsene.

“Lo sai, non sei cambiato proprio per niente”, fece lei, guardandolo dolcemente.

“E ti dispiace?”

“No, affatto”. La ragazza diede un altro morso alla ciambella e si sistemò meglio, appoggiandosi al petto di Owen. “Sono contenta di averti rivisto, comunque. Anche se ora sarà difficile… andare avanti”.

“Dobbiamo farlo, però”.

“Non è stato facile per niente. Mi dicevano tutti che col tempo sarebbe tornato tutto come prima, ma non è così. Sento sempre una specie di… vuoto nel petto”.

Owen le accarezzava i capelli, ricordando come si era sentito lui dopo la morte di Katie. Gli sembrava che il mondo non potesse più andare avanti e che niente sarebbe più tornato come prima. Invece, un giorno era uscito di casa e fuori aveva visto che procedeva tutto come doveva procedere: le persone che camminavano frettolosamente, il sole che tramontava e sorgeva, i negozi che aprivano e chiudevano… e tutto quello gli era sembrato inaccettabile. Come potevano le cose essere normali, quando dentro di lui era tutto… morto?

“Hai trovato qualcun altro?” le chiese, cercando di mantenere il tono indifferente. Invece, sentiva che la risposta a quella domanda contava molto.

“Oh no!” esclamò lei, voltandosi a guardarlo. “Non… non me la sento”.

“Fallo”, le disse, giocando con una ciocca dei suoi capelli biondi. “Devi andare avanti. Trovare qualcun altro”.

Lei sembrò guardarlo con una tristezza infinita. “Solo se mi prometti che lo farai anche tu”.

 

Ianto mise le mani sui fianchi di Lisa e la guardò negli occhi.

“Sei sicuro che non possiamo farlo?” chiese lei, sbattendo le lunghe ciglia.

“Mi dispiace, Lisa. Lo sai anche tu che è sbagliato. I mondi paralleli…”.

“Sì, sì, conosco bene la regola”.

Il ragazzo ridacchiò vedendola alzare gli occhi al cielo con fare frustrato, ma avrebbe di gran lunga preferito lasciarsi andare al pianto. Nei suoi occhi, invece, non vide neanche una lacrima celata. Era questo che gli piaceva di Lisa, non piangeva mai.

“Ci eravamo promessi che noi non ci saremmo separati mai, qualsiasi cosa fosse accaduta, che saremmo andati ovunque per ritrovarci”.

Ianto non seppe che rispondere. Lei sapeva come farlo sentire bene in colpa. Si ricordava le loro promesse giovanili, fatte un po’ tra i discorsi scherzosi e un po’ tra quelli scherzosi.
Allora l’avvicinò di più a sé e la baciò, un bacio che aveva il sapore dell’addio. Lei ricambiò e chiuse gli occhi per lasciarsi completamente andare.

“Siamo pronti”, si sentì dire da Gwen.

I due si staccarono e rimasero a guardarsi un altro po’. “Ti amo, Ianto Jones”.

Lisa si avvicinò a Franklin e Katie, già pronti in posizione e un grande raggio luminoso li colpì. Gwen lanciò dentro il portale e, come nei film, i tre scomparvero, senza lasciare più alcuna traccia, se non il ricordo di ciò che erano stati.

 

Jack si stese nel letto accanto a Ianto, che gli dava le spalle, e lo circondò con un braccio, poggiando il proprio petto contro la sua schiena. il ragazzo non si mosse, ma il Capitano percepiva che era sveglio.

“La ami ancora?” gli chiese.

Ianto sospirò e si girò verso di lui.

“Lisa è stata una parte importante della mia vita. Con lei… lei mi ha aiutato nei momenti difficili”.

L’altro abbassò lo sguardo. Non aveva risposto alla sua domanda, ma aveva capito. L’amava ancora. Ma non sapeva dire se la cosa gli facesse male o no.

“Che cosa intendeva quando ho detto che io non so quello che ti ha fatto tuo padre?” gli chiese poi, ricordandosi quella frase della ragazza.
Il compagno però rimase muto, come se non sapesse bene che dire. “Niente… niente di che. Solo che… be’, sai che mio padre era un po’ violento”.
Jack annuì e gli accarezzò i capelli, anche se non del tutto convinto.

“Comunque, Jack”. Ianto riportò lo sguardo su di lui. “Lisa fa parte del passato. Adesso per me conti tu. E’ te che amo”.

Il Capitano lo spinse verso di sé e gli baciò la fronte. “Anche io ti amo”. Intanto il ragazzo premette il viso contro il petto dell’uomo, cercando di rilassarsi tra le sue braccia. C’erano ancora tante di quelle cose non dette, tanti segreti, tanti scheletri nell’armadio. Purtroppo aveva perso l’occasione di parlare con il padre di Jack. Ma forse era anche meglio così.
Che importava, ormai?
Domani era un altro giorno, c’era ancora tanto tempo.

 

  

MILLY’S SPACE

Salve a tutti!

Speravo di arrivare un po’ prima con questo capitolo, ma è stato piuttosto difficile da scrivere. Tutt’ora non saprei dire se ne sono soddisfatta, ma lascerò a voi i commenti.

Vorrei fare alcune piccole precisazioni, poi vi lascio in pace: uno, non so come sia Lisa caratterialmente, voglio dire, non so come l’abbia immaginata Russel Davies, ma io la vedo come una tipa tosta che non si lascia mettere i piedi in testa facilmente. Anche un po’ scontrosa e vanitosa.
Due, non so quale sia il nome vero di Jack (avevo letto in un’altra fanficton che è Jax, ma non sono sicura), perciò ho cercato di evitarlo. Forse la scena tra lui e il padre sarebbe potuta essere fatta meglio, ma ditemi voi.

E, ultima cosa poi me ne vado via sul serio, vi racconto un aneddoto (anche se sicuramente non ve ne frega un schnitzel): un giorno mia mamma stava lavando i piatti, quando io dal bagno la sento urlare come un’ossessa. Dice che c’è qualcosa nel lavello e io immediatamente penso: “Oddio! Uno Scarrol!” Così accorro in cucina e scopro che era solo una lucertola.
Va be’ -.-‘’

Adiòs,

Milly.

PUFFOLA_LILY: Ianto è un ragazzo fortunato, dici? Secondo me lo è Jack ^^ ma vedrai, vedrai… comunque sì, sono abbastanza teneri Ianto e Jack, anche se cerco di non farli troppo sdolcinati perché non è nel loro stile. Sono contenta comunque che la storia ti piaccia. Fatti risentire, un bacio. M.

  
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