No, non può
finire così,
la vita
inventerò ancora per un po’.
No, non può
finire così,
qualcuno
troverò e rinascerò.
(Solo
ieri, E.Ramazzotti)
Il
letto scricchiolò sotto il suo peso, mentre vi si
sedeva sul bordo, poggiando i piedi nudi sul freddo pavimento. Si
accorse di
avere addosso la maglietta azzurra di Jack, quando gli passarono per la
mente
le immagini di quello che aveva fatto la scorsa notte e lo sguardo gli
corse
subito dietro le spalle, dove il bel Capitano dormiva ancora
pacificamente, il
viso rilassato in un’espressione serena che raramente Ianto
gli aveva visto
dipinta in viso. Era strano che dormisse ancora, di solito era lui
quello che
si svegliava per primo, sempre vigile, sempre scattante.
Cercando
di fare meno rumore possibile e
scrollandosi di dosso i brividi rimastigli dall’incubo che
aveva appena fatto,
si alzò dal letto con un colpo di reni ma
un’improvvisa nausea gli salì alla
bocca dello stomaco. Chiuse gli occhi per qualche secondo, aspettando
che gli
passasse, e poi andò in bagno.
Era da un po’ di giorni che si svegliava con uno stano senso
di vomito nello
stomaco, sempre più forte. Poi gli passava per
l’ora di pranzo. Ma non l’aveva
ancora detto a Jack, non voleva farlo preoccupare. E in ogni caso,
probabilmente era dovuto allo stress e alle poche ore di sonno che
faceva.
Stava
per prendere la schiuma da barba, quando sentì
qualcuno abbracciarlo da dietro e tirarlo contro il proprio petto.
Capì
immediatamente che quel corpo caldo e quelle braccia forti
appartenevano a Jack
e un sorrisetto gli nacque spontaneo sulle labbra, mentre si lasciava
cullare
dal suo Capitano.
“Ti
preparo la colazione?” gli sussurrò
all’orecchio.
“Solo
del caffè”.
“Quello
lo fai meglio tu”.
Ianto
ridacchiò e si districò dalle braccia del
compagno. “D’accordo, vado a farlo io”.
Posò la crema accanto al lavandino e
fece per avviarsi alla porta. Ma non appena fece un passo, un forte
capogiro lo
assalì e dovette aggrapparsi al termosifone per non cadere.
Jack gli circondò la vita con un braccio e lo
fissò preoccupato. “Ehi, che
succede?”
“N…
niente”, borbottò il ragazzo. “Mi gira
solo la
testa”.
Jack
lo rimise dritto e gli tastò la fronte. “Sei
sicuro di stare bene? Ti porto in ospedale o…”.
“No,
Jack, no!” cercò di tranquillizzarlo
l’altro.
“Sto bene, davvero. Ora è passato”.
“Ma…”.
“Sto
bene, Jack!” E se ne uscì a passo di marcia dal
bagno, senza lasciare il tempo all’altro di aggiungere
qualcosa.
Jack
rimase a fissare la porta come bloccato.
Sperava che non avesse niente di grave, forse tutto quel lavoro a
contatto con
alieni e altre robe strane poteva danneggiare l’organismo
delle persone. Si
augurava che non fosse così.
“Come
andiamo, Tosh?”
Toshiko
digitava freneticamente qualcosa al computer,
quando Jack le si avvicinò alle spalle, fissando gli occhi
sullo schermo.
“Sembra
che qualcosa sia passato attraverso la
fessura questa notte”, disse la ragazza. “Ma questa
è l’unica attività che mi
segna”.
“D’accordo,
allora, non c’è niente di cui
preoccuparsi. Continua a monitorarlo, però”.
“Va
bene”.
“Ragazzi,
c’è un pacco per noi”. La voce di Ianto,
appena rientrato nel Nucleo, attirò l’attenzione
di tutti. Gwen spense il
cellulare, Owen abbandonò la sua sala medica, Tosh si
girò con la sedia e Jack
prese una piccola scatola dalle mani del compagno. La poggiò
sul tavolo, l’aprì
con un gesto secco e guardò dentro, imitato dagli altri. Vi
era contenuto un
piccolo specchio di forma rettangolare, sufficiente solo per vedere una
parte
del proprio viso, decorato con una cornice argentata piuttosto semplice.
“Chi
l’ha mandato?” chiese Gwen.
“Non
so”, le rispose Ianto. “Il fattorino ha detto
che era per Torchwood e che il mittente era anonimo”.
“Guardate,
ci sono delle scritte”, notò Toshiko,
indicando con l’indice dei segni in un angolo. “Ma
non è inglese”.
“Probabilmente
è una lingua aliena”, ipotizzò Jack.
“Pensi
che sia alieno?”
“Perché
altrimenti ce lo avrebbero mandato?”
“Per
specchiarci?” scherzò Owen, beccandosi
un’occhiataccia da Gwen.
“Dobbiamo
analizzarlo. Tosh, cerca di decifrare le
scritte”.
Il
team si mise subito all’opera, mentre il Capitano
spariva nel suo ufficio. Poco dopo anche Ianto lo seguì.
“Ehi”,
lo salutò Jack, seduto dietro la scrivania. “Stai
bene?”
Ianto
alzò gli occhi al cielo e si sedette sulla
scrivania. “Sì, Jack, smettila di
chiedermelo”.
“D’accordo,
d’accordo”. Jack si buttò contro lo
schienale della sedia e mostrò il suo solito sorrisetto
sghembo.
“Comunque,
quello specchio…”, iniziò il ragazzo
per
cambiare argomento, evitando di guardare quel sorrisetto dipinto sul
volto
dell’altro. “Mi è familiare”.
“In
che senso?”
“Sono
sicuro di averlo già visto da qualche parte,
ma non ricordo dove”.
“Be’,
è uno specchio abbastanza comune. Magari lo
hai visto in un negozio”.
“Non
saprei”. Ianto restò a fissare un punto
invisibile sul muro di fronte a lui, senza aggiungere altro, e poi
lasciò
l’ufficio di Jack a passo di marcia. Raggiunse Owen nel suo
studio e lo trovò
indaffarato a studiare lo specchio. “Scoperto
qualcosa?”
“Solo
che è un affare alieno. Ma non ho idea a che
cosa serva”. Il dottore si voltò per prendere
qualche altro attrezzo e Ianto ne
approfittò per avvicinarsi all’oggetto sul tavolo
e guardarlo meglio. Vi si
specchiò dentro, trovandoci riflesso solo il proprio occhio
azzurro.
Eppure gli sembrava tanto familiare… terribilmente familiare.
Ma
forse era solo una sua impressione.
Vide
una scatola di biscotti poggiata sul tavolino e
si accorse di avere fame. L’afferrò iniziando a
mangiare il primo biscotto e
andò a fare qualcosa.
“Cinque
a tre per noi! Ve l’avevo detto che vi
battevamo!”
Jack
aiutò Ianto a scendere dal canestro al quale si
era appeso dopo aver fatto un tiro al volo e gli diede un sonoro bacio
sulle
labbra.
“La
partita non è ancora finita. Vedremo chi sarà ad
esultare tra poco”, lo provocò Owen, lanciando ai
due un’occhiata di sfida.
Quel
pomeriggio, dopo pranzo, avevano deciso di
andare a farsi una partitina a basket nel campo vicino, visto che non
c’era
molto da fare al Nucleo. Stavano giocando già da
mezz’ora, Gwen e Owen contro
Ianto e Jack. Tosh aveva deciso di rimanersene in disparte a tenere il
punteggio e controllare sul portatile che si era portata dietro le
eventuali
attività della fessura, perfettamente conscia delle sue
poche capacità
sportive.
“Non
sapevo fossi così bravo, Ianto”,
commentò Gwen,
osservando curiosa il ragazzo.
“Quando
andavo al liceo ci ho giocato un po’ di
volte”.
“Ragazzi,
continuiamo?” si intromise Owen.
“Dov’è la
palla?”
Soltanto
in quel momento si accorsero che la palla
da basket era scomparsa, probabilmente rotolata chissà dove.
D’un tratto, però,
notarono una figura in piedi a poca distanza da loro. Reggeva in mano
qualcosa
di tondo e li osservava.
Ianto
cominciò ad avvicinarsi, una specie di dejavù
lo aveva colto tutto d’un colpo e gli pareva di aver
già visto quella persona.
E le sue sensazioni furono confermate, quando le arrivò ad
un metro di
distanza. Il cuore cominciò a battergli a mille e rimase
completamente
paralizzato sul posto, senza parole e senza fiato. Sentiva la presenza
dei suoi
amici dietro di lui, increduli anche loro.
“Lisa!”
esclamò lui, riuscendo a recuperare le
parole da qualche parte nel fondo della gola.
“Ciao,
Ianto”.
Lisa
non era cambiata proprio per niente. Quella sua
pelle color cioccolato, le curve, le gambe toniche e il corpo snello
erano uguali
a quando l’aveva conosciuta. Si era sentito attratto fin da
subito, non solo
dal suo corpo ma anche dal suo modo di fare, dalla sua
personalità. E nemmeno
quelli sembravano essere cambiati. Era perfettamente come la ricordava.
“Bene,
quindi non sei una specie di clone e neanche
un robot”, concluse Owen, poggiando sul tavolino il suo
stetoscopio. “I tuoi
organi funzionano perfettamente e non c’è traccia
di decadimento fisico. Ciò
significa che non sei nemmeno un vampiro o uno zombie. E a quanto pare
neanche
un alieno”.
Lisa
alzò gli occhi al cielo e accavallò le gambe.
“Sono
in ottima forma”, disse lei maliziosa. “Come
sempre”. Si alzò dal tavolo del piccolo studio di
Owen, sul quale il dottore
l’aveva visitata e si mise a girovagare per il Nucleo,
osservando gli oggetti
che incontrava con fare curioso.
“Allora
come sei arrivata qui?” le chiese Jack,
poggiato alla ringhiera accanto a Ianto.
La
ragazza si fermò accanto al divanetto sotto la
scritta Torchwood. “Devo
dire che
questo posto fa molto… Futurama”,
commentò, senza fare caso alla domanda del Capitano
“Avete un sacco di cose
interessanti. Chi lo ha arredato?”
“Come
sei arrivata qui?” ripeté Jack, guardandola
serio.
Lei
si girò verso di lui e rimase
a osservarlo intensamente, come se volesse trasmettergli
qualcosa attraverso lo sguardo.
“Che
importanza ha?” fece lei allora, scendendo con
passo elegante e avvicinandosi al Capitano. Si fermò di
fronte a lui a
fronteggiarlo, più bassa solo di qualche centimetro.
“Ora sono qui. Non ho
certo intenzione di uccidervi o conquistare la Terra”.
Ianto,
fermo dietro a Jack, sorrise divertito e Lisa
gli fece l’occhiolino. Il Capitano non se ne accorse o forse
fece finta di non
averlo visto. Continuò semplicemente a fissare la ragazza e
ordinò in tono
perentorio: “Ianto, rinchiudila nelle celle”.
“E
così ora sei sotto gli ordini di quel belloccio”,
fece Lisa, provocante. Ianto aprì la porta della cella
vicina a quella di Janet
e rimase fermo, aspettando che la ragazza ci entrasse. Sperava di non
doverla
convincere o buttare dentro a forza. Anche perché non era
tanto sicuro di
uscirne vincitore. Lisa era sempre stata una ragazza molto forte, in
forma,
sapeva persino praticare qualche arte marziale dal nome strano. “E’
peggio di quella che avevamo al Torchwood
di Londra”, aggiunse, cercando forse un modo per iniziare una
conversazione.
“Entra”,
disse semplicemente lui, senza guardarla.
Lei spalancò gli occhi sbigottita. “Non puoi fare
sul serio”.
“Mi
dispiace, Lisa. Questi sono gli ordini”.
“Quand’è
che sei diventato così accondiscendente?”
chiese, in tono acido, avvicinandosi alla soglia della cella.
“Una volta non
eri così”.
“Sono
cambiato”, rispose lui, alzando lo sguardo sul
suo viso e poggiando una mano sul muro davanti.
“Sì,
lo vedo”, ringhiò lei, facendo
un’espressione
quasi disgustata. “Ora sei diventato un bravo ragazzo. Ti
vesti pure come se
fossi… un cameriere”.
Ianto
spostò lo sguardo, non avendo il coraggio di
affrontare quello della ragazza. Sentiva come se le facesse un enorme
torto,
eppure non poteva fare altrimenti. Non poteva disobbedire a Jack e
scappare via
con Lisa, non solo perché Jack era il suo compagno e il suo
capo, ma anche
perché era lampante che c’era qualcosa di
sbagliato. Lisa non doveva essere lì.
Però, l’altra vocina nella sua testa, quella che
seguiva una volta, quando non
si preoccupava di nessuna conseguenza, gli diceva che
l’errore era rinchiudere
Lisa in quella cella e considerarla un mostro. Dopotutto, non era una
persone
qualunque… era la sua Lisa, quella che aveva amato, che
aveva condiviso con lui
buona parte della sua vita, che lo aveva aiutato a superare i suoi
problemi.
Quante volte aveva sognato di poterla riabbracciare di nuovo,
stringerla fra le
sue braccia e ora, finalmente, poteva farlo. I miracoli a volte
avvengono no?
In fondo, non aveva smesso di amarla, anche se adesso amava Jack. Ma si
possono
amare in ugual modo due persone contemporaneamente?
“Perché
sei qui? Che cosa vuoi?” le chiese,
riportando lo sguardo su di lei.
Lisa
sbatté le sue lunghe ciglia e lo guardò con i
suoi enormi occhi scuri e supplicanti. Ianto sentì dei
brividi corrergli lungo
la schiena, quei brividi che sentiva tutte le volte che guardava in
quelle
pozze profonde e aveva come l’impressione di potercisi
perdere dentro.
“Voglio
te”, sussurrò lei con voce dolce,
prendendogli in mano la cravatta. “Ti amo”. E,
senza lasciargli il tempo di
dire niente, lo tirò per la cravatta verso le proprie labbra
e lo baciò. Ianto
non si ritrasse, anzi, completamente dimentico di dove si trovava, si
avvicinò
di più a Lisa e le circondò la vita con le
braccia, mentre lei gli affondava la
mano tra i capelli.
Si staccarono solo dopo un po’. Ianto si sentiva come se si
fosse appena
svegliato da un sogno impossibile, il cuore che batteva a mille. Lisa
invece
gli sorrideva contenta, come se avesse appena ottenuto ciò
che voleva.
Ma, al contrario di ciò che si era aspettata, si vide
spingere indietro dal
ragazzo che subito richiuse la porta della cella lasciandola dentro.
Lei si
avvicinò al vetro e lo guardò incredula.
“Ianto! Non puoi farmi questo!”
“Mi
dispiace, Lisa”, disse lui, guardandola
dispiaciuto. “Ma tu non dovresti essere qui”.
Subito girò sui tacchi e si avviò
all’uscita.
“Ianto!”
chiamò di nuovo lei, ma l’altro fece finta
di non udirla. “Cosa c’è tra te e
quell’uomo?” chiese poi, con tono quasi
disperato. Ianto si bloccò sul posto, come scottato.
Sicuramente intendeva
Jack. “Ho visto come lo guardi. Cosa c’è
tra voi?”
Quanto
Ianto tornò dalle celle trovò i suoi amici
stranamente in silenzio. Owen stava mettendo in ordine i suoi attrezzi
da
medico, Gwen era seduta sul divano col cellulare in mano e Tosh e Jack
se ne
stavano davanti ai computer, lei impegnata a scrivere qualcosa mentre
lui
fissava lo schermo con sguardo vacuo.
Quando lo vide arrivare, il Capitano gli lanciò una strana
occhiata e poi si
diresse al suo ufficio.
Ianto
si avvicinò alla giapponese e gli venne quasi
un colpo quando vide la schermata delle celle aperta su uno dei
computer. In un
angolo c’era Lisa, seduta per terra col viso tra le
ginocchia. Sicuramente Jack
stava guardando quella videocamera da più tempo e
probabilmente non solo lui.
Anche
Tosh lo guardò con un’espressione che gli
esprimeva una muta richiesta, ma lui non ci fece caso e corse dietro a
Jack.
Entrato nell’ufficio, richiuse la porta dietro di
sé e osservò la schiena di
Jack fermo alla scrivania.
“Jack,
hai visto…”, cominciò con voce incerta,
ma si
bloccò di colpo, sentendosi un po’ stupido. Ma
certo che aveva visto! “Jack,
io… mi dispiace. Non…”.
“Ianto!”
esclamò il Capitano, girandosi
improvvisamente verso il ragazzo, ancora appoggiato alla porta.
“Non chiedere
scusa se non sei dispiaciuto. E poi non m’importa. Sei libero
di baciare chi
vuoi”.
Ianto
alzò il capo verso di lui guardandolo come se
avesse detto una bestemmia. Poi gli si avvicinò lentamente,
come se avesse
paura che l’altro lo potesse picchiare da un momento
all’altro.
“Ma io voglio baciare solo te”, gli
sussurrò, mettendogli le mani sulle spalle.
“Allora
baciami”, fece Jack, sensuale.
Il
ragazzo non se lo fece ripetere due volte e
annullò tutte le distanze tra loro due, fiondandosi sulle
labbra del Capitano
quasi con disperazione. Con una mano si afferrò alla sua
camicia, mentre sentiva
quella di Jack corrergli lungo la schiena.
Si lasciò travolgere, come sempre, e il bacio di Lisa di
poco fa gli parve un
ricordo di tanti altri. Non poteva dire che quello della ragazza gli
era stato
indifferente, così come lei non gli era indifferente. Gli
aveva portato alla
memoria vecchi ricordi, lontane esperienze vissute con lei, le
avventure che
avevano sperimentato, le belle memorie che aveva, ma che erano al
contempo
amare. Era il passato.
Quello di Jack, invece, era… be’, era come Jack.
Intenso, passionale, forte.
Era tutto il contrario di quello di Lisa. Era come quei baci che puoi
solo
sognarti, uno di quei baci che ti ricordi per tutta la vita.
Ma, soprattutto, il bacio di Jack rappresentava il presente.
Quando
si staccarono, rimasero a guardarsi per
qualche secondo, come a volersi trasmettere con lo sguardo
ciò che provavano.
Poi Jack si allontanò e mostrò un sorrisetto
malizioso. “Mi sono ricordato di
avere un impegno”. E,
senza spiegare
nient’altro, afferrò il suo cappotto e
uscì fuori dall’ufficio.
“Ehi,
Jack, vai fuori?” chiese Owen, avvicinandosi
al Capitano. “Ti accompagno. Ho scordato il cellulare in
macchina”.
I
due azionarono la ruota e si ritrovarono
nell’ingresso con l’ascensore. Si misero a
discutere del ritorno di Lisa e di
come avrebbero risolto quella questione e si ritrovarono fuori,
abbagliati dal
sole.
“Owen?!”
esclamò all’improvviso una voce di donna.
Il dottore si voltò verso la direzione da cui
l’aveva sentita provenire e
sgranò gli occhi nel trovarsi davanti una ragazza bionda,
affiancata da un uomo
alto vestito in modo strano. “Katie?!”
“Non
ho rilevato attività della Fessura e non ci
sono altre tracce di attività aliena a Cardiff, eccetto qui
al Nucleo”, disse
Tosh quando lei e gli altri si erano seduti nella sala delle riunioni
per
discutere degli ultimi avvenimenti.
“Quindi
è qualcosa di alieno?” chiese Gwen,
guardando verso la collega.
“Da
quello che mi risulta sì”, rispose lei,
digitando qualcosa sul portatile.
“Questo
significa che le persone che sono tornate
c’entrano con questo posto. Lisa ha lavorato per Torchwood ed
era la fidanzata
di Ianto. Ma la ragazza bionda? E l’uomo?” fece di
nuovo Gwen, spostando lo
sguardo su tutti i presenti.
Owen fissava un punto indefinito sul tavolo, ancora sconvolto per il
ritorno di
Katie, Ianto era seduto sulla sedia, una gamba poggiata sul ginocchio
con
espressione quasi indifferente e Jack dava loro le spalle, fermo sulla
soglia
della porta, con aria tormentata.
“Inoltre
c’è lo specchio. Tosh, sei riuscita ad
analizzare le scritte?”
“Il
computer sta ancora cercando. Presto dovremmo
avere una risposta”.
“D’accordo.
Che ne dite allora se…”.
“La
ragazza bionda”, si intromise ad un tratto Owen,
interrompendo il discorso di Gwen. “Era la mia fidanzata.
Dovevamo sposarci,
quando lei è morta perché…
c’era un alieno nella sua testa”.
Sia
Gwen che Tosh che Ianto spostarono lo sguardo
sul dottore, guardandolo con aria sconvolta.
“Oh,
Owen…”, sussurrò la giapponese,
allungando una
mano verso di lui. “Mi… mi dispiace”.
Lui alzò il capo verso di lei e le lanciò una
strana occhiata.
Per qualche attimo nella sala cadde un pesante silenzio, nessuno sapeva
cosa
dire. Quella era forse l’esperienza peggiore che poteva loro
capitare.
“E
che mi dite dell’uomo? Qualcuno di voi lo
conosce?” chiese a quel punto Gwen. Gli altri tre scrollarono
le spalle come
per dire che loro non avevano niente a che farci.
“Jack?” chiamò allora la
ragazza, guardando in direzione del Capitano, l’unico fino a
quel momento che
non si era espresso. Lui, però, rimase lì
dov’era, lo sguardo vacuo fisso sullo
stipite della porta, le mani in tasca. Anche gli altri si voltarono a
guardarlo, intuendo che lui, invece, sapeva qualcosa.
“Quell’uomo”,
iniziò lui, senza guardare nessuno dei
compagni. “Si chiama Franklin. È… era
mio padre. Ma è morto un sacco di tempo
fa”.
Di
nuovo piombarono tutti in silenzio. Ianto non
sapeva se alzarsi e andare da lui per consolarlo o restare
lì dov’era. Ma poi
si rese conto che non avrebbe saputo cosa dirgli e che Jack non amava
apparire
fragile.
“Dovremmo
interrogarli, forse loro sanno qualcosa”,
concluse a quel punto Gwen.
“Usiamo
Katie”, disse Jack, voltandosi verso gli
altri e riprendendo la sua solita espressione di Capitano.
“Perché
proprio lei?” si lamentò Owen, guardandolo
male.
“Perché
Lisa non ci dirà niente”, rispose lui,
poggiando le mani sul tavolo. “E in quanto a
Franklin… non ci conosce. Avevo
solo dodici anni quando è morto, non mi
riconoscerà. Katie si fida di te”. Non
era una risposta del tutto logica, Jack lo sapeva, ma sperava che il
suo tono
convincente fosse riuscito a ingannarli, come succedeva sempre. La
verità era
che non voleva confrontarsi con suo padre.
“Vado
a prenderla”, disse Ianto, alzandosi dalla
sedia.
Il
ragazzo scese nelle celle, ma evitò accuratamente
di guardare in quella di Lisa e non si fermò nemmeno da
quella di Katie.
Piuttosto raggiunse l’ultima, quella dove c’era
Franklin, e si fermò a
osservarlo. Era molto simile a Jack, alto coi capelli castani, il
fisico forte
e la mascella dura. Ma non sembrava avere la stessa aria vissuta e
tormentata
del figlio, anche se un luccichio di malinconia c’era.
L’uomo,
sentendosi osservato, alzò lo sguardo su di
lui e inclinò il capo. “Sei venuto a
uccidermi?” chiese con un tono rassegnato.
“No”,
rispose subito Ianto. “Non vogliamo farvi del
male”.
“Allora
perché ci tenete qui dentro?”
“Perché…”,
rimase un attimo a pensare a che cosa
sarebbe stato meglio dire. “Perché dobbiamo capire
il motivo per cui siete
qui”.
Franklin
abbassò il capo e sospirò.
“Signore?”
lo chiamò Ianto. “Lei… lei ha dei
figli?”
L’uomo
alzò lo sguardo a guardarla, chiedendosi
silenziosamente come mai gli facesse una domanda del genere. Poi
sorrise
teneramente. “Sì. Ne ho uno, si chiama Grey.
Adesso ha sedici anni”.
Anche Ianto sorrise, ricordandosi che aveva già sentito quel
nome. L’aveva
detto John quando era venuto a trovare Jack. Lo sapeva che Grey era
qualcuno di
importante per il Capitano.
“E’
il suo unico figlio?”
Franklin,
allora, si incupì di colpo. “No. Ne avevo
un altro, un figlio più grande. Ma è morto
durante un’invasione aliena. O
almeno credo. È scomparso tentando di salvare il
fratellino”.
Ianto
capì che si riferiva a Jack ed era pronto a
fargli altre domande, ma in quel momento vide arrivare proprio il
Capitano che
lo guardava con una faccia strana.
“Ianto,
che fai? Ti stiamo aspettando”.
Il
ragazzo sobbalzò e si allontanò velocemente dalla
cella di Franklin, biascicando un “Arrivo”. Quando
il Capitano si allontanò,
aprì la cella di Katie e la invitò a seguirlo.
Salirono
al piano superiore, dove la ragazza si
buttò subito tra le braccia di Owen. “Owen! Ma che
sta succedendo?!” esclamò
lei, in tono spaventato. Il ragazzo la strinse, cercando di
confortarla. “E’
quello che stiamo cercando di capire”. La fece accomodare su
una sedia e lanciò
un’occhiata di intesa a Jack.
“Che
posto è questo?” chiese Katie, guardandosi
attorno.
“Si
chiama Torchwood”, le rispose il Capitano,
studiandola con i suoi occhi chiari. “E’ la nostra
base segreta dove
rintracciamo la vita aliena”.
“Alieni!?”
fece lei, guardando tutti i presenti come
se fossero impazziti.
“Ascolta,
Katie”, si intromise a quel punto Owen, stufo
dei temporeggiamenti di Jack. Si inginocchiò di fronte alla
ragazza e la guardò
dolcemente. “Il punto è che… tu non
dovresti essere qui. È successo qualcosa
che non sappiamo spiegarci. Devi dirci che cos’hai
fatto…”.
“Ma
io non ho fatto niente. Mi sono trovata qui
all’improvviso”. Alzò lo sguardo verso
il Capitano, come se avesse intuito che
era lui il capo lì e che bisognava convincere lui.
“Ero appena tornata a casa
dal supermercato e stavo mettendo a posto la spesa. Ho aperto il
frigorifero e
sono finita alla baia… e tu hai aperto la porta”.
“Ma
il punto è che tu dovresti… dovresti essere
morta”.
Lei
spalancò gli occhi e lo guardò scioccata.
“No,
Owen, tu sei morto… avevi un tumore e…”.
Improvvisamente
Owen si alzò e passò lo sguardo sui
suoi compagni, notando una luce di comprensione negli occhi di Jack.
Sembrava
star pensando intensamente a qualcosa. Come punto da un ago, corse nel
suo
ufficio e, dopo appena pochi secondi, tornò indietro
reggendo lo specchio che
avevano ricevuto quella mattina.
“Questo
non è uno specchio!” esclamò come fosse
la
cosa più ovvia del mondo. “Questo è
un…”.
“Portale!”
Una voce nascosta tra gli scaffali
interruppe la frase di Jack concludendola per lui. Videro sbucare fuori
la
figura di Lisa che reggeva una pistola in mano e la puntava contro di
loro.
“Pensavo che l’avresti riconosciuto,
Ianto”, continuò la ragazza, addolcendo il
tono stavolta. “Te l’ho mostrato quando lavoravamo
per il Torchwood di Londra.
È stata l’unica cosa a rimanere integra
dopo… be’, dopo tutto il caos dei
cyberuomini”.
Ianto spalancò gli occhi, un ricordo improvviso che gli
tornava a galla. “Ma
non avevamo mai capito a cosa serviva”.
“No,
ma io l’ho capito, basta tradurre le scritte
sulla cornice”.
“E
a che cosa serve?” chiese Gwen, impaziente.
“E’
come ha detto lei un portale”, rispose Jack.
“Serve per portarti in un mondo parallelo”.
“Mondo
parallelo?”
“Ci
sono infiniti mondi e universi paralleli tra qui
uno identico a questo. Solo che quelli che sono morti in questo mondo
sono vivi
in quello parallelo e viceversa”, spiegò il
Capitano pazientemente, senza
togliere gli occhi da Lisa.
“E
così che sono tornata qua. Ero sicura che anche
tu lavorassi per il Torchwood di Cardiss così ho inserito le
coordinate e l’ho
mandato attraverso la fessura. Non avevo previsto che arrivassero anche
la
donna e quell’altro uomo”.
A
quel punto anche Gwen estrasse la pistola e la
puntò contro la ragazza. Ianto però si mise in
mezzo, cercando di avvicinarsi a
Lisa cautamente. Lei però non abbassò la sua arma.
“Lisa…”.
“Pensavo
che l’avresti riconosciuto”, ripeté lei,
con voce leggermente rotta. “Pensavo che te lo ricordassi.
Invece… invece ti sei
dimenticato di tutto quello che abbiamo passato insieme”.
“No,
Lisa, non è così”.
“Ah
no? E allora lui?” Indicò Jack con la punta
della pistola. Stavolta aveva lasciato che qualche lacrima le
scivolasse lungo
il viso. “Mi hai sostituita con lui. Ma lui non ti conosce
come ti conosco io.
Scommetto che lui non sa quello che ti ha fatto tuo padre, scommetto
che non ti
confidi con lui come ti confidavi con me”.
“Lisa!”
la chiamò il ragazzo come per intimarle di
non aggiungere altro. “Non è così. Non
potrei mai sostituirti”. Allungò la mano
per prendere la pistola. Lei però si allontanò di
qualche passo. “Dammi la
pistola. Non ti faremo del male”.
“No,
ma volete mandarmi via. Io non voglio
andarmene, sono venuta per te, perché ti amo”.
Ianto,
allora, avvolse con la mano la punta della
pistola, sicuro che lei non gli avrebbe sparato e se la fece
consegnare. Poi si
avvicinò a Lisa e l’abbracciò, mentre
lei avvolgeva il suo collo con le braccia
e affondava la testa nel suo petto. “Voglio solo che
ricominciamo da capo,
voglio che…”. Non riuscì a concludere
la frase però, perché Owen, avvicinatosi
velocemente senza che lei lo vedesse, le conficcò una
siringa nel collo e le
iniettò il liquido che vi era contenuto, probabilmente un
sonnifero. Ianto
sentì la ragazza crollare tra le sue braccia a peso morto.
“Possiamo
invertire le coordinate e rispedire lo
specchio nella Fessura. Se ne andranno come sono venuti”,
disse Jack, senza
guardare nessuno in particolare.
Ianto
sedeva sulle scalette di ferro che portavano
al piccolo laboratorio di Owen e osservava Lisa stesa sul lettino,
legata alle
sbarre con delle manette. Avevano pensato che fosse meglio
così, non volevano
correre il rischio che li sorprendesse di nuovo come aveva fatto prima.
Il
ragazzo sentì i passi di Gwen avvicinarsi e poi
percepì che si sedeva accanto a lui, ma non ci fece caso.
Gli mise una mano sul braccio e guardò anche lei in
direzione di Lisa.
“Come
ha fatto ad uscire dalla cella?” chiese, più
per fare conversazione che per vera curiosità.
“Ha
lavorato a Torchwood per tanti anni. Non sarà
certo una porta blindata a fermarla”, rispose lui in un tono
che pareva pieno
di orgoglio.
“Sembra
una tipa tosta”.
Ianto
sorrise. “Sì, lo è. più che
altro non le piace
che le si dica ciò che può o non può
fare”.
“Mi
dispiace… per quello che le è successo,
intendo”. Gwen sospirò. Non gliel’aveva
mai detto, né gli aveva mai chiesto
come si sentisse dopo la morte di Lisa. Per la verità non
parlava molto con
Ianto, lo conosceva così poco. Conosceva così
poco di tutti loro e le
dispiaceva. Ma forse era anche meglio.
Intanto
Jack, seduto sul giaciglio nella cella
accanto a Franklin, fissava una macchia nella parete di fronte a
sé, in
completo silenzio.
“Tra
poco potrai tornare a casa”, disse dopo un po’,
senza voltarsi a guardare l’uomo seduto accanto a lui.
“Non
vedo l’ora di riabbracciare mio figlio”, disse
questi, in tono sommesso, quasi commosso.
Il
Capitano annuì, sorridendo malinconicamente.
“Salutamelo. Salutami Grey”.
“Lo
farò, puoi contarci”. Franklin si voltò
verso di
lui come per aggiungere qualcos’altro quando, resosi conto di
quello che l’uomo
gli aveva appena chiesto, lo guardò con una faccia un
po’ perplessa. “Come…
come fai a sapere che si chiama Grey?”
Anche
Jack si girò nella sua direzione, guardandolo
con occhi che cercavano di trattenere le lacrime.
“Perché l’ho scelto io quel
nome, ricordi? Grey… “.
Vide Franklin
spalancare gli occhi, un improvviso bagliore di consapevolezza nello
sguardo.
Rimase a scrutarlo per qualche secondo, come per trovare una risposta
alla sua
muta domanda.
“J…
figliolo?”
Il
Capitano annuì col capo e l’uomo non ebbe bisogno
di altro. Allargò le braccia e lo strinse in un forte
abbraccio. Jack affondò
il viso nell’incavo del suo collo, assaporandone il buon
odore, quell’odore che
gli era mancato terribilmente, e lasciò andare una lacrima.
“Devi
raccontarmi tutto, tutto quello che hai fatto
fino ad ora”, gli ordinò Franklin senza lasciarlo
andare. “Lo sai che hai
salvato la vita a Grey? Ti sei sacrificato per
lui…”.
Già…
era contento di sapere che almeno in un mondo
parallelo le cose erano andate come sarebbero dovute andare.
“Tu
sei completamente matto!” esclamò Katie,
cercando di calmare le risate che l’avevano sconquassata fino
a poco fa. Diede un
morso alla ciambella che teneva in
mano e si buttò sopra ad una panchina. Owen si
accomodò accanto a lei,
spostandole una ciocca di capelli che le era caduta davanti agli occhi.
Avevano
deciso di uscire un po’, per trascorrere insieme quel paio di
ore che avevano
prima che lei se ne andasse. Anche se il ragazzo non sapeva quanto
buona fosse
stata quell’idea. Sarebbe decisamente stato arduo
separarsene.
“Lo
sai, non sei cambiato proprio per niente”, fece
lei, guardandolo dolcemente.
“E
ti dispiace?”
“No,
affatto”. La ragazza diede un altro morso alla
ciambella e si sistemò meglio, appoggiandosi al petto di
Owen. “Sono contenta
di averti rivisto, comunque. Anche se ora sarà
difficile… andare avanti”.
“Dobbiamo
farlo, però”.
“Non
è stato facile per niente. Mi dicevano tutti
che col tempo sarebbe tornato tutto come prima, ma non è
così. Sento sempre una
specie di… vuoto nel petto”.
Owen
le accarezzava i capelli, ricordando come si
era sentito lui dopo la morte di Katie. Gli sembrava che il mondo non
potesse
più andare avanti e che niente sarebbe più
tornato come prima. Invece, un
giorno era uscito di casa e fuori aveva visto che procedeva tutto come
doveva
procedere: le persone che camminavano frettolosamente, il sole che
tramontava e
sorgeva, i negozi che aprivano e chiudevano… e tutto quello
gli era sembrato
inaccettabile. Come potevano le cose essere normali, quando dentro di
lui era
tutto… morto?
“Hai
trovato qualcun altro?” le chiese, cercando di
mantenere il tono indifferente. Invece, sentiva che la risposta a
quella
domanda contava molto.
“Oh
no!” esclamò lei, voltandosi a guardarlo.
“Non…
non me la sento”.
“Fallo”,
le disse, giocando con una ciocca dei suoi
capelli biondi. “Devi andare avanti. Trovare qualcun
altro”.
Lei
sembrò guardarlo con una tristezza infinita.
“Solo se mi prometti che lo farai anche tu”.
Ianto
mise le mani sui fianchi di Lisa e la guardò
negli occhi.
“Sei
sicuro che non possiamo farlo?” chiese lei,
sbattendo le lunghe ciglia.
“Mi
dispiace, Lisa. Lo sai anche tu che è sbagliato.
I mondi paralleli…”.
“Sì,
sì, conosco bene la regola”.
Il
ragazzo ridacchiò vedendola alzare gli occhi al
cielo con fare frustrato, ma avrebbe di gran lunga preferito lasciarsi
andare
al pianto. Nei suoi occhi, invece, non vide neanche una lacrima celata.
Era
questo che gli piaceva di Lisa, non piangeva mai.
“Ci
eravamo promessi che noi non ci saremmo separati
mai, qualsiasi cosa fosse accaduta, che saremmo andati ovunque per
ritrovarci”.
Ianto
non seppe che rispondere. Lei sapeva come
farlo sentire bene in colpa. Si ricordava le loro promesse giovanili,
fatte un
po’ tra i discorsi scherzosi e un po’ tra quelli
scherzosi.
Allora l’avvicinò di più a
sé e la baciò, un bacio che aveva il sapore
dell’addio.
Lei ricambiò e chiuse gli occhi per lasciarsi completamente
andare.
“Siamo
pronti”, si sentì dire da Gwen.
I
due si staccarono e rimasero a guardarsi un altro
po’. “Ti amo, Ianto Jones”.
Lisa
si avvicinò a Franklin e Katie, già pronti in
posizione e un grande raggio luminoso li colpì. Gwen
lanciò dentro il portale
e, come nei film, i tre scomparvero, senza lasciare più
alcuna traccia, se non
il ricordo di ciò che erano stati.
Jack
si stese nel letto accanto a Ianto, che gli
dava le spalle, e lo circondò con un braccio, poggiando il
proprio petto contro
la sua schiena. il ragazzo non si mosse, ma il Capitano percepiva che
era
sveglio.
“La
ami ancora?” gli chiese.
Ianto
sospirò e si girò verso di lui.
“Lisa
è stata una parte importante della mia vita.
Con lei… lei mi ha aiutato nei momenti difficili”.
L’altro
abbassò lo sguardo. Non aveva risposto alla
sua domanda, ma aveva capito. L’amava ancora. Ma non sapeva
dire se la cosa gli
facesse male o no.
“Che
cosa intendeva quando ho detto che io non so
quello che ti ha fatto tuo padre?” gli chiese poi,
ricordandosi quella frase
della ragazza.
Il compagno però rimase muto, come se non sapesse bene che
dire. “Niente…
niente di che. Solo che… be’, sai che mio padre
era un po’ violento”.
Jack annuì e gli accarezzò i capelli, anche se
non del tutto convinto.
“Comunque,
Jack”. Ianto riportò lo sguardo su di
lui. “Lisa fa parte del passato. Adesso per me conti tu.
E’ te che amo”.
Il
Capitano lo spinse
verso di sé e gli baciò la fronte.
“Anche io ti amo”. Intanto il ragazzo
premette il viso contro il petto dell’uomo, cercando di
rilassarsi tra le sue
braccia. C’erano ancora tante di quelle cose non dette, tanti
segreti, tanti
scheletri nell’armadio. Purtroppo aveva perso
l’occasione di parlare con il
padre di Jack. Ma forse era anche meglio così.
Che importava, ormai?
Domani era un altro giorno, c’era ancora tanto tempo.
MILLY’S
SPACE
Salve
a tutti!
Speravo
di arrivare un po’ prima con questo capitolo, ma
è stato piuttosto difficile da scrivere. Tutt’ora
non saprei dire se ne sono
soddisfatta, ma lascerò a voi i commenti.
Vorrei
fare alcune piccole precisazioni, poi vi lascio in
pace: uno, non so come sia Lisa caratterialmente, voglio dire, non so
come
l’abbia immaginata Russel Davies, ma io la vedo come una tipa
tosta che non si
lascia mettere i piedi in testa facilmente. Anche un po’
scontrosa e vanitosa.
Due, non so quale sia il nome vero di Jack (avevo letto in
un’altra fanficton
che è Jax, ma non sono sicura), perciò ho cercato
di evitarlo. Forse la scena
tra lui e il padre sarebbe potuta essere fatta meglio, ma ditemi voi.
E,
ultima cosa poi me ne vado via sul serio, vi racconto
un aneddoto (anche se sicuramente non ve ne frega un schnitzel): un
giorno mia
mamma stava lavando i piatti, quando io dal bagno la sento urlare come
un’ossessa. Dice che c’è qualcosa nel
lavello e io immediatamente penso:
“Oddio! Uno Scarrol!” Così accorro in
cucina e scopro che era solo una
lucertola.
Va be’ -.-‘’
Adiòs,
Milly.
PUFFOLA_LILY:
Ianto
è un ragazzo fortunato, dici? Secondo me lo è
Jack ^^ ma vedrai, vedrai…
comunque sì, sono abbastanza teneri Ianto e Jack, anche se
cerco di non farli
troppo sdolcinati perché non è nel loro stile.
Sono contenta comunque che la
storia ti piaccia. Fatti risentire, un bacio. M.