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Autore: holls    13/09/2013    9 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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6. Accordi
 
 
 24 dicembre 2004.
La sonata per pianoforte n. 14, meglio conosciuta come la Sonata al chiaro di luna, era stata composta nel 1801 da Ludwig Van Beethoven e dedicata, così si dice, alla contessa Giulietta Guicciardi, di cui era segretamente innamorato. Altre voci dicevano invece che il tono così malinconico della sonata fosse dovuto al fatto che, in quel periodo, Beethoven avesse cominciato a capire che quella nascente sordità sarebbe stata sua compagna per tutta la vita.
A Madison piaceva più la prima leggenda. Anche perché, pensava, uno come Beethoven la musica non aveva certo bisogno di suonarla al pianoforte, per sentirla: era interamente nella sua testa. Non a caso, aveva continuato a comporre anche quando fu diventato totalmente sordo.
 
Qualunque fosse il motivo che aveva spinto Beethoven a comporla, Madison doveva ammettere che era davvero bella. Il primo movimento era malinconico al punto giusto, proprio come può esserlo una distesa immensa e solitaria rischiarata solo dal bagliore della luna.
Suonò quella melodia con delicatezza e sentimento. E, stranamente, nella sua mente non c’era alcuna immagine di sua madre: riusciva solo a pensare al paesaggio e alle emozioni che quelle note le suscitavano. Si chiese a cosa fosse dovuto il desiderio improvviso che aveva avuto di suonare qualcosa di Beethoven.
Non ebbe il tempo di rifletterci che la governante di casa, Claire, bussò alla porta. Madison si interruppe e le fece cenno di entrare.
« Madison, disturbo? C’è una visita per te, cara. »
« Per me? Sei sicura? »
« Sì, ti aspetta in sala da pranzo. »
« Ma chi è? »
La governante alzò le spalle.
« Non so, non si è presentato. »
Madison spinse indietro il panchetto e si alzò, facendo qualche passo verso Claire.
« È un uomo quindi? Ma che tipo è? Com’è vestito? »
Madison la incalzò sussurrando appena, come se avesse paura che l’ospite potesse sentirla.
« È un uomo sulla trentina, forse ha qualche anno in meno, alto, curato e vestito elegante. Giacca e cravatta, per la precisione. »
« Però non si è presentato. »
« No. »
Madison cominciò a chiedersi chi potesse essere l’ospite misterioso. Razzolò tra tutte le sue conoscenze, ma non le venne in mente nessuno di quell’età che vestisse bene. E che, soprattutto, avesse un buon motivo per volerla incontrare.
« Va bene, ho un’idea. Accompagnami in sala da pranzo. »
Madison e Claire percorsero a passi piccoli e guardinghi l’intero corridoio, che sfociava nella sala da pranzo. Arrivate in fondo, trovarono la porta accostata. Prima di spingere la maniglia, le due donne si scambiarono uno sguardo d’intesa. Come a voler cogliere di sorpresa l’ospite misterioso per non lasciarlo scappare, Madison spinse la porta tutta d’un fiato.
Le si cucì addosso una sensazione a metà tra il sorpreso e il contrariato.
« Ashton! »
Ashton era lì, in piedi dietro il tavolo, con le braccia dietro la schiena, come a voler nascondere qualcosa che teneva in mano. La salutò sorridendo.
« Ciao, Madison. »
I due si fissarono per qualche secondo: lui sempre col sorriso stampato sul viso, lei a bocca aperta incapace di dire qualsiasi cosa.
« Oh, che sbadata, devo finire le faccende in salotto. Tolgo il disturbo, piccola. »
Madison era talmente intontita che si accorse della dipartita di Claire solo dopo che ebbe chiuso la porta della sala da pranzo. Teneva lo sguardo su Ashton, ma come lui la ricambiò, lei abbassò gli occhi verso il pavimento. Poteva sentire i passi di Ashton dirigersi verso di lei, finché non ne vide i piedi.
« Scusa se non ho detto alla governante chi ero. Ho pensato che non avresti voluto vedermi, se l’avessi fatto. »
Madison non rispose e continuò a seguire le nervature delle mattonelle, mentre le guance le si coloravano di un leggero rossore.
« Ti ho portato un paio di cose. Non sei curiosa di sapere cosa sono? » Ashton si piegò fino a che il suo volto non raggiunse l’altezza di quello di Madison. « Mi guardi, almeno? »
La ragazza alzò lentamente lo sguardo, finché non incontrò quello di Ashton. Anche se non poteva vederlo, sentiva di avere gli occhi lucidi.
« Ecco, così va meglio. Comunque, ti ho riportato l’album. » Ashton indicò col mento l’oggetto posto sopra il tavolo. « E un’altra cosuccia. Dai, chiudi gli occhi. »
Madison esitò un momento, poi ubbidì. Cercò di capire cosa fosse la cosa che le aveva portato, ma non riusciva a distinguere nessun rumore che potesse aiutarla.
« Va bene, apri. »
Aprì gli occhi. Il suo sguardo cadde subito sul regalo che Ashton stringeva tra due dita.
Una rosa rossa.
Si sentì avvampare e girò il capo verso la finestra della stanza. Si morse il labbro inferiore e strinse i denti per evitare di esplodere.
Ashton sospirò.
« Ho esagerato anche stavolta, vero? Scusa, era solo… in segno di pace. »
Una lacrima scese sul viso di Madison.
« …È bellissima. »
La sua voce era fioca, sul punto di spezzarsi. Ashton le portò la rosa sul viso, asciugandole le lacrime con uno dei petali. Poi, la fece scorrere su tutta la sua guancia, accarezzandola.
Madison si voltò verso di lui, un sorriso triste sul volto.
« È bellissima, Ashton, e ti ringrazio, ma non posso accettarla. Non me la merito. »
« Mica starai ancora pensando a una settimana fa? Pensa un po’, me ne ero pure scordato. Ricordo solo una ragazza incantevole e le sue splendide foto. »
Madison sorrise imbarazzata.
« Comunque, non devi temere. Non ti disturberò più. »
« Perché? »
Ashton le portò una mano al volto e le asciugò quelle tracce umide lasciate dalle lacrime, ormai scomparse.
« Perché so riconoscere un due di picche. » Ashton ritirò la sua mano e abbassò lo sguardo con un sorriso rassegnato. « La rosa che ti ho portato è una specie di addio, ma vuol dire anche che vorrei che rimanessimo amici. »
Allungò il braccio per porgerle la rosa e Madison la afferrò. La ragazza se la rigirò più volte tra le dita, annusandone il profumo e tastando la morbidezza dei petali.
« Anche perché, ormai, abbiamo una mostra di mezzo, o sbaglio? »
Madison aprì la bocca per dire qualcosa, ma Ashton la precedette.
« Sì, voglio ancora occuparmi del tuo posto alla mostra. Anche perché, tutto sommato, mi fa piacere. Fai davvero delle belle foto. »
« Ti ringrazio. »
« In realtà, ero venuto per parlarti proprio di questo. Le ho riguardate con calma, e ne avrei scelte un paio per ogni categoria. Ti va se ne parliamo di fronte a un caffè? Però non scappare anche stavolta, altrimenti mi vedrai piombare un’altra volta a casa tua per renderti l’album. »
Inaspettatamente, Madison scoppiò a ridere.
« O sennò, potresti essere più furba e scappare con l’album. » Ancora presa dalle risate, sentì Ashton accarezzarle la schiena. « Allora, ci stai? »
Madison gli rispose con un gran sorriso.
« Va bene. Però prima, se non ti dispiace, vorrei mettere la rosa in un vaso. È così bella, non voglio che si sciupi. Aspetta, vado a chiamare Claire. »
Sparì nel corridoio da dove era venuta e trovò Claire effettivamente in salotto. Le domandò dove potesse trovare un vaso decoroso dove poter riporre la sua rosa. La governante lasciò la stanza, per tornare poi con un vaso stretto e lungo. Vi rovesciarono dentro un po’ d’acqua, dopodiché la rosa vi prese posto.
« Dove la mettiamo? Qui in salotto starebbe bene. »
« No, in realtà… Volevo metterla in camera. »
Claire riprese a camminare verso la camera di Madison, ma quest’ultima la fermò.
« Aspetta. Voglio sistemarla io. »
« Come desideri. A proposito, chi era quell’uomo? Se posso permettermi, ovviamente. »
« Ma certo, Claire. Si chiama Ashton e… è un amico. Puoi farlo entrare sempre. »
Se mai tornerà, pensò.
« Ho capito. Niente male, però. »
« Cosa? »
Claire scoppiò in una fragorosa risata.
« Beata innocenza! Meglio che torni alle mie faccende. Per problemi di qualsiasi tipo, sono sempre qua. »
La vide allontanarsi gagliarda e col panno per spolverare in mano, e solo dopo capì che stava parlando di Ashton.
Entrò in camera sua e sistemò il vaso sulla sua scrivania. Lo posizionò sul lato destro: almeno, quando scriveva, lo avrebbe sempre avuto sotto gli occhi. Si allontanò per avere una visione d’insieme: era pienamente soddisfatta. Decise di non far aspettare oltre Ashton, e tornò in sala da pranzo.
« Allora, dove mi porti? »
Madison mise la borsa sulla spalla.
« Non so, potremmo prendere la metro e… »
« La metro? Ci sarà un caffè qui vicino, no? »
« Sì, ma… »
« Tranquilla, lo so che siamo nella zona più lussuosa della città. Non fartene un problema. »
« E invece sì! Permettimi allora di offrirti tutto quanto. »
« Non se ne parla nemmeno. »
« Facciamo metà e metà allora. »
Ashton si portò una mano sul mento.
« Va bene. Ma solo perché sennò non mi dai pace. Andiamo? »
 
***
 
Il “Café Millicent” era uno dei più belli della zona. La struttura era quella di un antico palazzo ottocentesco, adibito un tempo a residenza privata e passato poi a struttura liberamente acquistabile. L’interno aveva la stessa magnificenza dell’esterno: il soffitto era una successione di volte a crociera, finemente affrescate, le cui estremità poggiavano su colonne dai capitelli corinzi; e su ogni parete delineata dalle volte, vi era attaccato un quadro che immortalava un grande personaggio della storia americana, perlopiù ritratti dei presidenti degli Stati Uniti.
Madison e Ashton ordinarono entrambi un caffè, dopodiché tornarono a parlare della mostra. Lui le indicò, per ogni categoria, le foto che aveva scelto, incontrando il favore della ragazza la maggior parte delle volte. Discussero a lungo delle foto, di quale avesse l’angolazione migliore, o il dettaglio più significativo. Giunsero in fondo che avevano ormai ultimato la scelta per ogni categoria.
« Sono quasi certo che la mostra sarà tematica. Anche se ancora non sono riuscito a sapere gli argomenti. »
« Figurati, non c’è fretta. Anzi, grazie per tutto quello che stai facendo per me. »
« Te lo ripeto, è un piacere. »
Ashton si portò la tazzina alla bocca e bevve l’ultimo sorso di caffè. Discussero a lungo sulle foto che Ashton aveva scelto per la mostra e Madison fu colpita dal fatto che avesse scelto quelle che a lei piacevano di più.
« Allora, che farai stasera? Esci con Jack? »
« Oh, no, penso sia impegnato con Alan. Almeno così mi ha detto. »
Ashton emise un mugolio, come se si fosse appena ricordato di qualcosa.
« È vero! È la Vigilia oggi. Ma quindi escono insieme? »
« Ah, non ne ho idea. »
Ashton tamburellò le dita sul tavolo.
« Sai, ad Alan farebbe bene. È uscito da poco da una brutta storia. »
« Sì, Jack mi ha raccontato qualcosa. Ma cos’è successo esattamente? »
« In poche parole? L’ha trovato con un altro ».
« Oh. Capisco. »
« Sì, però è tutta una storia strana. Sai, quando Alan è rientrato e li ha trovati insieme, pare che Nathan – il suo ex – gli abbia gridato che… che era stato costretto insomma. »
Madison spalancò gli occhi.
« Accidenti! E Alan che ha fatto? »
« Nulla, è questo il bello. Tanti saluti e chi s’è visto, s’è visto. In altre parole, non gli ha creduto. »
Lo sconcerto la colse talmente tanto che rimase a bocca aperta.
« Ma… è assurdo! È il tuo ragazzo, ti dice che… be’, quel tipo gli ha messo le mani addosso e tu non fai nulla? Non ha senso! Nessuno reagirebbe così. »
« Sì, sono d’accordo. » Ashton sospirò. « Sai, ormai è un po’ che conosco Alan, e mi ha dato quasi l’impressione di essere uno di quei tipi che ha paura dell’amore. È molto rigido in certe questioni. »
« Dici che è uno di quelli che ha paura di innamorarsi e di legarsi troppo? Credi che stesse aspettando quindi un’occasione per rompere il legame? »
Ashton annuì.
« Sì, credo sia qualcosa del genere. Perché anche il fatto che non ne abbia voluto sapere più nulla, dopo quel giorno, mi sembra assurdo. Io non solo lo avrei ascoltato, ma gli avrei anche creduto e sarei andato a pestare quel pezzente con le mie stesse mani. »
« Allora chissà perché esce con Jack, se non vuole impegnarsi. »
« Probabilmente ha bisogno di amore, ma questo stadio non gli dà grande coinvolgimento emotivo. Sai, se qualcosa non dovesse funzionare, non ci rimarrebbe troppo male. Ma chissà, magari è la volta che si innamora davvero. »
Madison bevve il suo caffè che ormai, però, si era raffreddato; lo buttò giù tutto per evitare di lasciarlo lì.
« Ha ricevuto forse un’educazione troppo rigida? »
« Che io sappia, no. E non riesco a capire perché si comporti così. »
« Che abbia ricevuto una grossa delusione, in passato? O un evento che l’ha segnato? »
« Non saprei dirti. E poi, anche il fatto che non abbia mai voluto ammettere che Nathan non lavorava in quel bar come gli diceva, che non abbia mai voluto indagare, è strano. »
« Hai ragione. Ma se Alan fosse davvero il tipo che pensi, probabilmente lo aveva capito, ma non voleva affrontare la realtà, l’avrebbe fatto sicuramente soffrire. »
« Ti dirò, sarei veramente curioso di indagare. Ma mi sembrerebbe di tradire Alan, ed è solo per questo che non lo faccio, perché Nathan è un tipetto davvero misterioso a mio dire. »
Madison sorrise.
« Indagare? Sembra eccitante! » Il sorriso sul suo volto si spense subito. « Già, giusto. La questione morale.  Non è il caso. »
Madison lo guardò con uno sguardo di supplica, sbattendo velocemente le palpebre.
« Madison, non possiamo. E se poi lo viene a scoprire? E se si insospettisce vedendoci confabulare? »
La ragazza fece spallucce.
« Be’, digli che usciamo insieme. »
« Mi permetteresti davvero di dirgli una cosa simile? »
« Sì, certo. Cioè. Tanto in realtà sarebbe una cosa di lavoro, no? »
« Sì, ovvio. » Ashton fissò vacuo un punto tra la tazzina e il tavolo. « Speriamo di fare la cosa giusta. »
Madison emise un gridolino eccitato.
« Evviva! Molto bene. Adesso abbiamo bisogno di informazioni, però. Per prima cosa, sai dove abita Nathan? »
« Veramente no. Dovrei chiederlo ad Alan, ma una domanda diretta sarebbe troppo palese. Potrei tentare con un banale elenco telefonico, però. »
« È vero! Ma… » Tutta l’eccitazione svanì dal volto di Madison, che sembrava quasi dispiaciuta. « Abbiamo bisogno almeno del suo cognome. »
« Oh, tranquilla. In questo senso lo conosco bene. Passava spesso in centrale, sai? »
Madison sembrò nuovamente eccitata per quella piccola scoperta.
« Quindi tu lo conosci! In realtà lo avevo immaginato più come un personaggio oscuro, di cui nessuno sa nulla… Sai, come il protagonista di un racconto del mistero. »
Ashton rise.
« Mi spiace deluderti, Mad, ma almeno le informazioni di base le abbiamo. Non ci vorrà molto per trovare il suo indirizzo. »
Ashton rigirò l’orologio sul suo polso e controllò l’ora. « Accidenti, ma è tardissimo! Devo scappare. Non so quando avrò tempo per recuperare le informazioni, ti farò sapere. »
Ashton lasciò un paio di dollari sul tavolo. Si riabbottonò il cappotto e fece per andare.
« Ah, Madison. »
« Dimmi. »
« Anche a me piace molto la Sonata al chiaro di luna. Ciao! »
Madison rimase a bocca aperta. Volle ricambiare il saluto, ma dalla bocca le uscì un miscuglio tra un “grazie” e un “ciao”. Alla fine, riuscì a dire qualcosa solo quando, ormai, Ashton aveva già varcato la soglia del bar.
Decise di contare i soldi lasciati da Ashton, per vedere quanti ne dovesse integrare. Ma, quando finì di contarli, un enorme sbuffo uscì dalla sua bocca.
Aveva pagato anche la sua parte.
   
 
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