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Autore: SunMonTue    14/09/2013    0 recensioni
Dave non riconobbe il numero sul display, ma rispose comunque, con un nodo allo stomaco, perché Kurt era in ritardo di cinque ore, non rispondeva al cellulare e lui sapeva che fosse successo qualcosa. Avvertiva quella certezza tendergli i nervi a tal punto da farli quasi spezzare.
“Buonasera. Chiamo per sapere se conosce un certo Kurt Hummel.”

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Quando per poco Kurt non viene separato da lui per sempre, Dave s'impegna ad aiutarlo a ritrovare la via di casa.
Perdita di memoria. Un bel po' di fluff, anche se non era nelle mie intenzioni.
[Future!fic Kurtofsky tradotta da LaGrenouille | Traduzione rivista il 20/02/16]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Dave Karofsky, Kurt Hummel | Coppie: Dave/Kurt
Note: Lime, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'To Safely Go Home'
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TO SAFELY GO HOME

 

 

Nota dell’Autrice: Il prompt è di Karomeled su Tumblr, che ha chiesto una fic che comprendesse la perdita di memoria. Praticamente l’ho letto e la mia mente è diventata un’esplosione unica di idee, quindi… eccola. Non sarà una fic Blaine-friendly. Spiacente. (È gentile e amichevole in tutte le altre, eh – anche quelle che ancora non ho pubblicato.)

Disclaimer: Io non possiedo Glee.

 

 

CAPITOLO UNO

 

 

Kurt sentì una moltitudine di suoni. Pensò una moltitudine di cose mentre i secondi si trasformavano in ore e vedeva l’altra auto sbandare e sfrecciare verso di lui. Oh merda era proprio in cima alla lista, insieme alla voce di suo padre – ‘Non è di te che ti devi preoccupare per strada, ma degli altri pazzi in giro, chiaro?’ – e infine quella di Dave: ‘Torna a casa tutto intero, okay?’ Fu l’ultima a farlo sentire male, perché era piuttosto convinto che non sarebbe riuscito a tornare a casa, intero o no.

 

Dave non riconobbe il numero sul display, ma rispose comunque, con un nodo allo stomaco, perché Kurt era in ritardo di cinque ore, non rispondeva al cellulare e lui sapeva che fosse successo qualcosa. Avvertiva quella certezza tendergli i nervi a tal punto da farli quasi spezzare.

“Buonasera. Chiamo per sapere se conosce un certo Kurt Hummel.”

“Oddio. Sì. Lo conosco. È il mio… compagno.” Amante. Anima gemella. L’unica persona che sa tutto di me e mi ama comunque. Cos’è successo? Cos’è successo? Cos’è successo?

“Lei è il mandatario della sua procura permanente?”

“Oh Dio. Cos’è successo? Lui dov’è?”

“Mi dispiace, signore, ma potrebbe per cortesia dirmi se lei è il mandatario della sua procura permanente?”

“Sì. Cazzo, . Lui dov’è?”

Stava già prendendo le chiavi e la giacca, ascoltando la persona all’altro capo della linea che gli diceva in che ospedale andare, dell’unità di terapia intensiva, di come fosse stabile, ma avrebbe potuto avere bisogno di altri interventi chirurgici. Il fatto che fosse già stato in sala operatoria per stabilizzarlo lo attraversò come un’ondata. Il tragitto in macchina fino all’ospedale durò fin troppo, tutto stava durando troppo tempo. Trovare un parcheggio, capire dove fosse l’unità di terapia intensiva… tutto era un vortice sfocato attorno a sé, spinto dal solo bisogno di vedere Kurt. C’era una guardia di sicurezza e un’area reception circondata da vetro e fili metallici, con una donna che probabilmente era un’infermiera o una receptionist o roba simile. Si avvicinò al banco e scorse il proprio riflesso nel vetro. Pallido. Teso. Preoccupato da stare male.

“Mi hanno chiamato. Kurt Hummel. Lui è… qui.” Ti prego, fa che sia qui.

“Oh, sì… un attimo.”

Quindi arrivò un medico che gli parlò di ossa rotte, polmoni perforati, contusioni multiple, un rigonfiamento attorno al cervello e una possibile emorragia vicino al cuore e quelle parole gli scivolavano addosso, affogandolo, e Dave barcollò fino a poggiarsi alla parete più vicina, accartocciandosi su se stesso. Il suo aspetto avrebbe potuto far pensare che fosse lui il più forte nel loro rapporto, ma Kurt era la sua roccia, il suo appiglio, la sua metà forte, coraggiosa, meravigliosa…

“Sopravvivrà?”

“Non lo so. Adesso è vivo, ma credo che lei capisca la gravità della situazione. È molto fortunato a respirare ancora. L’abbiamo indotto in un coma farmacologico. C’è qualcuno che possiamo chiamare per lei? Per stare sicuri?”

Per stare sicuri.

Cazzo.

Chiese loro di telefonare a una persona.

 

Artie arrivò trenta minuti dopo, rivolgendogli una sola occhiata prima di prendergli il cellulare dalle dita tremanti e chiamare Burt Hummel per lui. E poi Finn. Poi delle persone che non gli erano neanche venute in mente. Il capo di Kurt. Mercedes. Blaine. Kurt era rimasto in contatto con tutti e gli sentì dire all’ex-compagna di diffondere la notizia ai loro amici. Che le avrebbe fatto sapere nell’attimo in cui avesse avuto notizie. Gli occhi di Dave erano puntati nel corridoio, in attesa che le infermiere uscissero dalla sua stanza così da poterci rientrare una volta che avessero finito di fare quello che dovevano, qualsiasi cosa fosse, e l’amico spinse la carrozzina nella sua visuale.

“Okay. Burt prenderà il primo aereo disponibile. Come anche Finn. Mercedes ti manda il suo affetto e Blaine arriverà non appena può. Di cosa hai bisogno?”

“Che questo sia un incubo da cui mi sveglierò…” rispose, sfregandosi i palmi sul viso.

“Beh, non ti posso aiutare in quel campo, ma ecco cosa faremo. Tu andrai a firmarmi un consenso al trattamento dei dati di Kurt, dicendo che potranno dirmi che sviluppi ci sono per lui, così non avrò bisogno di romperti le palle ogni tre per due. Poi mi metterò d’accordo con Burt e Finn. Chiederò a Maria di passare da te per prenderti dei vestiti e cose utili, così non dovrai andartene da qui… Se c’è qualsiasi altro problema mi chiami, chiaro?”

Annuì e Artie allungò un braccio per afferrargli saldamente la spalla.

“È un testone con le palle. Se la caverà…”

 

Era passata una settimana e Kurt non si era ancora svegliato. Nessuno dei medici era preoccupato, perché in qualche modo riuscivano a diagnosticare che stesse facendo progressi. Dave si era accorto che due dei macchinari più piccoli erano scomparsi quella mattina, il che era un buon segno, probabilmente, ed era una prova materiale che qualcosa stava davvero migliorando nella condizione di Kurt. Lui e Burt facevano a turno per sederglisi accanto: nella stanza poteva entrarci una sola persona alla volta. Artie portava loro del cibo tutte le sere, insieme a dei vestiti puliti per Dave, dicendogli che l’ultima cosa di cui il suo ragazzo aveva bisogno era svegliarsi per ritrovarlo con le ascelle pezzate. Finn era venuto, ma se n’era già andato, sebbene avesse in programma di tornare. Si era accorto di quanto fosse rimasto scosso vedendo il fratellastro steso sul letto d’ospedale, così piccolo, indifeso e spezzato, con la pelle dello stesso colore delle lenzuola, con i tubicini che s’infilavano dentro di lui come fili che lo legavano alla vita.

 

Kurt si svegliò la nona notte e i suoi gemiti di dolore lo riscossero dal suo stato di dormiveglia, accasciato sulla sedia di fianco al letto, con una coperta stesagli sopra da una delle infermiere del turno di notte. Premette il pulsante per chiamarle, gli avevano dato istruzioni di farlo se qualcosa fosse cambiato. Era la prima volta che lo usava e ovviamente lo presero in parola, perché improvvisamente ne comparvero tre; una gli chiese cosa fosse successo, la seconda esaminava gli occhi di Kurt con una pila e la terza premeva dei pulsanti su uno dei macchinari rimasti. Venne incoraggiato a uscire dalla camera, rassicurato che andasse tutto bene e che poteva tornare tra un minuto. Quindi andò a telefonare a Burt per dirgli che suo figlio si era svegliato.

 

Lo spostarono in un altro reparto. Il suo braccio sinistro era ingessato ed entrambe le gambe erano steccate; lo tenevano sedato così da impedirgli di muoversi troppo e per permettere alle ossa di ripararsi, ma aveva dei momenti di lucidità. Non riusciva a parlare, però, i tubi in gola e la mascherina per respirare non glielo permettevano, e tutte le volte che i suoi occhi si aprivano aveva un’espressione tremendamente confusa – ciò accadeva solo per pochi secondi. Ciononostante, Dave stava finalmente cominciando a rilassarsi, ad accettare che Kurt fosse vivo e fuori pericolo. Che non sarebbe andato da nessuna parte. Non l’avrebbe lasciato.

 

Kurt non sapeva cosa fosse successo, in quale strano mondo parallelo fosse capitato, ma non gli piaceva affatto. Faceva male. L’unica persona che riconosceva era suo papà e aveva un aspetto terribile. Come se fosse invecchiato di un decennio da un giorno all’altro, ma lo attribuì allo stress dovuto al fatto che suo figlio fosse in ospedale e al suo recente infarto. Poi c’era l’altro uomo che gli era al fianco quasi ogni volta che apriva gli occhi. Avrebbe potuto passare per un fratello maggiore e più attraente di Karofsky – e non sapeva neanche se il compagno ce l’avesse un fratello maggiore, né gl’interessava. Voleva che gli levassero la mascherina dalla faccia e i tubi dal braccio e che la sensazione ovattata nella sua testa scomparisse. Voleva muovere gli arti, ma gli sembravano pesanti e ancorati al letto. Non riusciva neanche a sollevare la testa, quindi gli occhi erano la sola cosa che muoveva. Anche spostare le dita di mani e piedi gli costava uno sforzo straordinario, stancandolo, e si riaddormentò.

 

Quando si risvegliò, La mascherina era stata tolta e sia suo papà che l’uomo che aveva soprannominato ‘Karofsky senior’ erano seduti accanto al fondo del letto, parlandosi piano. Non era sicuro di volerli interrompere, perché sembravano molto concentrati sulla loro discussione, ma poi sentì il suo nome, quindi dedusse che stessero parlando di lui. Il che era strano. Non riusciva a capire perché suo padre dovesse parlare a qualcuno di lui… a meno che non avesse a che fare con il motivo per cui era in ospedale.

“Cos’è successo?” La sua voce era roca, la gola asciutta e dolorante. Karofsky senior balzò in piedi, avvicinandogli alla bocca un bicchiere d’acqua con una cannuccia dalla quale lui bevve con gratitudine.

“Hai avuto un incidente stradale. Molto brutto. Per poco non sei morto…” gli spiegò Burt, con la voce che si spezzava verso la fine della frase; non voleva altro che potersi alzare e andarlo ad abbracciare. Invece vide Karofsky senior dargli delle gentili pacche sulla spalla per confortarlo, creando una stramba scena, perché ora era impossibile negare la somiglianza con il suo coetaneo.

“Oh. Chi mi è venuto addosso? Tu?” Voleva dire di più, chiedere di più, ma lo sforzo gli stava già riportando il dolore alla gola, quindi cercò di usare il minor numero di parole possibile. Ed era l’unica scusa plausibile per la presenza di questo tizio che gli fosse venuta in mente: era nell’auto che aveva colpito la sua. Invece quello assunse un’espressione allarmata, passando velocemente lo sguardo su suo padre, preoccupato.

“Vai a cercare un dottore, Dave…” gli disse quest’ultimo, a bassa voce, e Karofsky senior uscì dalla stanza, ma non prima di scoccare a Kurt un’occhiata che non aveva idea di come interpretare. Ansia. Sofferenza. Sollievo. Gioia.

“Ehi, ragazzo… Ehm… cos’è l’ultima cosa che ti ricordi?”

“Mmm. Le lezioni di stamattina. Il Rocky Horror per il Glee club…”

Quello allungò la mano per porgergli di nuovo l’acqua ed era evidente che qualcosa lo preoccupasse.

“Che c’è?”

“Kurt… quello è successo dieci anni fa.”

 

A quel punto era rimasto di sasso. Poi ci furono altri esami, medici che toccavano e tastavano e ripetevano domande idiote su che anno fosse. La risposta che dava non cambiava, benché suo papà avesse detto che fossero nel 2020 e lui non aveva motivo di dubitare di lui, ma non riusciva a crederci. I dottori se n’erano andati, adesso; suo padre aveva un’aria esausta e Karofsky senior (che a questo punto aveva una mezza idea che fosse proprio David Karofsky) era in piedi vicino alla porta della stanza. Burt guardò lui, poi l’uomo in piedi, poi di nuovo lui, per poi alzarsi.

“Voi due dovete parlare. Io andrò a prendermi un caffè. Torno subito. Tu vuoi qualcosa, Dave?”

“No, grazie Burt, sono a posto per adesso…”

Era strano sentir chiamare suo papà per nome, soprattutto da qualcuno che andava a scuola con lui. Cioè, era andato a scuola con lui. Iniziava a confondersi.

“Allora, chi sei? Assomigli un po’ a un ragazzo con cui vado a scuola…”

“Kurt…” sembrò soffrire fisicamente, abbassando lo sguardo sulle proprie mani e poi di nuovo su di lui. “Io sono Dave Karofsky… andavamo a scuola insieme. Ehm…”

“Sì, pensavo fossi tu. Perché sei qui?”

“Mi hai riconosciuto?”

“Beh, ho pensato che magari fossi un suo fratello maggiore o qualcosa di simile. Senti, apprezzo il pensiero, ma perché sei qui? Insomma, a scuola mi tormenti.”

“Ti tormentavo. E… era molto tempo fa."

“Non per me.”

“Io… Sì. Vero. D’accordo.”

Si fece silenzioso e Kurt sospirò, perché non ne sapeva assolutamente la ragione, ma sembrava che avesse anche lui subito l’incidente, solo che tutte le sue ferite erano interne.

“Mi spiace, okay? Non posso farci niente. Sono sicuro che tu sia un uomo per bene, ma ancora non capisco perché tu sia qui.”

“Io… Io sono… ehm… Ci hanno detto che non dobbiamo raccontarti troppo, che dovremmo permettere ai tuoi ricordi di tornare naturalmente. Ma sono successe un sacco di cose in dieci anni.”

Prima non aveva preso in considerazione cosa ciò significasse davvero. Si era preoccupato di ascoltare i medici catalogare le sue ferite, spiegargli la riabilitazione, come casa sua avrebbe dovuto essere modificata così da poterci vivere mentre guariva. Ma dieci anni. Svaniti. E avrebbe potuto non recuperarli mai. Avvertì il panico sgorgare dentro di sé: dov’erano i suoi amici? Ne aveva? E un lavoro? E un ragazzo? Almeno aveva fatto sesso? Si era diplomato? E il college? Non riusciva a ricordarsi nulla, sentiva le lacrime che minacciavano di sfuggirgli, un nodo che gli si formava in gola e il corpo che tremava, e aveva iniziato a piangere e non aveva idea se questo fosse lo shock a scoppio ritardato, ma qualsiasi cosa fosse era orribile.

“Shhshhshh, Kurt… Kurt, va tutto bene. Supereremo anche questa. La supererai…”

La voce di Karofsky era bassa e tranquillizzante, gli stava carezzando una mano, uno dei pochi punti che non gli facevano male quando venivano toccati, ma Kurt la scostò, corrugando la fronte, perché questa situazione non aveva senso, punto. Certo, dieci anni potevano cambiare una persona, ma tenere per mano un tizio che il giorno prima l’aveva spinto contro un armadietto… semplicemente non sembrava giusto, in qualche modo. Vide il lampo di dolore sul suo viso, ma non ne capiva il motivo; Karofsky si raddrizzò e ficcò le mani nelle tasche dei jeans, tossendo per schiarirsi la gola.

“Come va, ragazzi?” chiese suo papà; aveva in una mano una tazza di caffè e nell’altra una bottiglietta d’acqua che passò all’altro senza dire nulla. Karofsky la poggiò e si scusò, dicendo di dover andare a usare i servizi, ma sembrava un semplice pretesto per andarsene… E a lui andava bene, perché ancora non capiva perché si fosse disturbato a venire qui e forse, senza di lui in stanza, suo padre gli avrebbe dato delle risposte.

“Papà. Perché Karofsky è qui?”

“Dave? Oh…” Burt passò lo sguardo dalla soglia a lui e Kurt riconobbe la piega determinata della sua bocca.

“Dave è stato qui ogni giorno e ogni notte da quando hai avuto l’incidente. I soli momenti in cui se n’è andato sono stati quando c’ero io o quando le infermiere l’hanno cacciato fuori. Certo, non mi è piaciuto quando avete cominciato a uscire insieme, ma penso che sia l’unico uomo in grado di amarti quasi quanto me…”

“Aspetta. È gay? È il mio ragazzo? Io ho un ragazzo? Oh Gaga…”

“Non lo dicevi da secoli…” disse quello con uno sbuffo divertito, e lui sentì il panico tornare, perché evidentemente le cose erano cambiate. Tutto doveva essere cambiato, ma alcune cose iniziavano ad avere senso.

 

To Be Continued…

 

 

Nota dell’Autrice #2: Probabilmente avrà tre o quattro capitoli.

 

 

V.d.T. (Vaneggiamenti della Traduttrice)

AAAHH! Nuova fic! XD

Questa sarà molto più corta di TWB (mooolto più corta) e avrà anche un piccolo sequel; ho deciso di tradurla perché è una di quelle che preferisco di SunMonTue e volevo portarla su questo sito. Non è piena di drammi e situazioni eclatanti; ma è interessante perché dà la possibilità di esplorare cosa ne avrebbe pensato Kurt di un Dave che si accetta e che non ha paura di amare e di dimostrarlo.

Come ha già anticipato l’autrice nella nota a inizio capitolo, Blaine non è un raggio di sole, qui, è un po’ stronzo. Ma non è un’abitudine nelle sue fic.

 

- SunMonTue (qui la sua pagina su FF.net) è un’autrice neozelandese e io gestisco questo account, traducendo con il suo permesso le sue storie.

- La fic in inglese è qui.

- Se qualcuno volesse pubblicare su questo sito una traduzione di una sua storia, avendone il permesso, dovete inviarmi almeno il primo capitolo della traduzione (nel caso di one-shot, la fic intera). Allora vi fornirò la password per accedere all’account.

- Potete trovare la lista completa delle fic che ho betato e tradotto nel mio account: LaGrenouille.

   
 
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