Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
Ma sono di proprietà della Marvel ©
!Attenzione!
La storia contiene
riferimenti e citazioni alla testata regolare di recente uscita (Tre numeri)
dedicata ad HawkguyHawkeye, riconoscibili da codesto segnalino -> (*)
(La canzone iniziale, ad esempio, fa parte della Soundtrack proposta per
il numero di questo mese)
Se ve lo state
chiedendo…Sì. E’ un obbligo cordiale invito a seguire quella serie.
Peace, arrow and love, people!
Alla mia fedele mogliaH Alley
Con tanto ammmmoreH.
Funky Miracle
Sottotitolo:
Come fu che Clint Barton comprese
Che allo
S.H.I.E.L.D. dovevano
Cambiare portiere.
Okay, si mette male. (*)
Mi chiedo come sia possibile che le
mutande sul divano siano diventate tanto appariscenti e soprattutto quando la
colazione di martedì scorso abbia messo le zampe.
…Aspetta, ma di quanti scorso sto parlando?
La persona sulla soglia di casa
tossisce con fare molto educato, ricordandomi che forse non sono i peli di Freccia (*) sparsi un po’
dappertutto, né la muffa semovente che guarda Dog Cops(*) da un cartone di pizza più in là il
problema, bensì la presenza di un redivivo Phil Coulson che si pulisce
compitamente le scarpe sul tappetino d’entrata.
La prima cosa che ti insegnano è che
l’aldilà, allo S.H.I.E.L.D., ha le porte girevoli. (1) Consiglierei
loro di cambiare portiere, perché deve essere davvero sbronzo perso.
Io
l’ho visto
il cadavere di Coulson, all’obitorio.
Era tanto freddo da assomigliare a
Capitan America nel suo peggior momento no, tanto rigido da essere più o meno
come uno di quei cibi precotti che si ingurgitano davanti alla TV.
Mi sveglio ancora urlando, la notte, sudato anche nelle ossa, impregnato di gelida
disperazione fin dentro il midollo.
«C’erano strani tipi dal citofono.»
mi avverte Coulson, avanzando circospetto per evitare un osso di gomma
smangiucchiato e sbavato –Ovviamente, io non gli ho detto di accomodarsi: è
entrato basta, cordiale e gentile, ma ferreo, proprio come ha sempre fatto, in
ogni occasione. Come ha fatto anche con la mia vita. «Mi hanno chiamato bro»
Un ghignetto mi sosta divertito
all’angolo destro delle labbra: glielo indirizzo senza tante cerimonie e chiudo
la porta con un cigolante clang,
ignorando l’occhiata curiosa di Simone(*) dall’altra parte del
corridoio.
«Quanti?» gli chiedo e nel mentre
calcio via con innata grazia e superba eleganza una camicia spiegazzata, chiazzata
di sangue rappreso e bile giallognola.
«Tre»
«Tre?»
«Sono fuori allenamento.»
«Colpa del rigor mortis.»
Naturalmente, non mi stavo riferendo
al numero degli scagnozzetti di Ivan(*) appostati sul marciapiedi.
Da qualche tempo me ne spedisce sempre e solo tre, sempre e solo vestiti di un’inguardabile
tuta rossa, sempre e solo armati di una mazza da baseball –Meglio quelle di un
M-16, eh.
La mia domanda era riferita al tempo
impiegato per stenderli tutti col taser. Di solito Coulson ci mette la metà del
tempo, ma perché di solito gli saltano addosso sempre e solo quando mancano
cinque minuti all’inizio di Supertata.
Loki avrebbe dovuto informarsi meglio
sul palinsesto terrestre, all’epoca. Magari le cose sarebbero andate
diversamente e io non mi ritroverei qui, oggi, a guardare con occhi fessi il
mio non più deceduto superiore lustro di lavanderia, giacca e pantaloni scuri,
camicia bianca e cravatta blu metallizzato a strisce diagonali bianche bordate
di nero; il cinturino dell’orologio mordicchia lucido la luce greve dell’appartamento,
gli occhiali da sole sono rigorosamente tenuti in una tasca nascosta del
completo.
E comunque…
Uno a zero, palla al centro per Clint
Occhio di Falco Barton.
Il pubblico si alza in una standing
ovation.
Freccia, acciambellato nella cuccia,
solleva il muso e mi guarda, emettendo una sottospecie di sbuffo rantolante tra
le gengive di carne ballonzolante.
Ti pareva che il cane non sarebbe
stato subito dalla parte di Phil.
«E così…» Coulson intreccia le dita
dietro alla schiena, il sacchetto di plastica che spenzola dalle falangi
piegate e colpisce ripetutamente il retro delle ginocchia «Mi hanno detto che
ti sei trasferito qui, da un paio di mesi.»
Il suo sguardo vaga sulle pareti
sciancate, il pavimento graffiato, il divano, l’arco del paleolitico sopra di
esso e il decoder collassato sul parquet, in un mastodontico groviglio di cavi
che, ne sono sicuro, sfida qualsiasi legge fisica; poi c’è l’alta lampada col
paralume quadrato, la libreria ingolfata di volumi smangiati dalle tarme e
straripante di fascicolame in disordine, il telefono a fili, le tende
bucherellate e il tintinnio delle stoviglie dall’angolo cucina.
Non ci sono fotografie. Da nessuna
parte.
Di quelle non ne ho bisogno.
Rogers ne ha appese talmente tante nel
proprio alloggio alla Tower da bastare anche per me. È un brav’uomo, ma non
voglio finire come lui, inchiodato, crocifisso
a ricordi istantanei in seppia o in bianco e nero.
«Come hai fatto a trovarmi?» gli
domando e la stizzita curiosità con cui mi rivolgo a lui è più che lecita.
E’ da un anno e mezzo dalla sua
oramai presunta dipartita che non mette più piede nel posto dove abito,
auto-elevandosi alla carica di coinquilino ad ore alterne, nonché massaia e
arredatore personale.
Forse per questo lo stile della mia
nuova sistemazione fa tanto…Decadente senza ramazza.
«Non l’abbiamo mai persa, Barton.» un
sorriso di circostanza e quel lei tra
capo e collo non mi piace affatto.
Non è leale rientrare dalla porta di
servizio nell’esistenza di qualcuno per poi barricarsi come un bambino cocciuto
dietro la porta dello scantinato. Non vale erigere una barricata. Non è
permesso. O mi affronti a viso aperto o---
«Ero a distanza. Ho…Agito quale
Agente Fantasma per conto del Direttore Fury, “vegliando” su di lei perché non
si mettesse in pericolo. Non troppo,
almeno.»
---Oh.
Questa non me l’aspettavo.
Anche perché non l’ho mai perdonato
per avermi lasciato solo, dopo l’affare Loki. Credo di averlo preso a pugni,
anche, tartassando di ganci quel volto bombato dalla morte finché Natasha non è
arrivata a tirarmi uno schiaffo nel silenzio, gelandomi con un solo sguardo.
Santa ragazza. Non so dove sarei
senza il suo aiuto, ora.
O forse sì, ma le prospettive non erano
allettanti neanche allora, quando la depressione era l’unica compagnia insieme
ad una sessione quasi ininterrotta di allenamenti al poligono e le bende che
Vedova mi avvolgeva senza parlare attorno al polso, i cerotti come tanti anelli
sforacchiati intorno alle dita.
È rimasta con me durante la funzione.
È rimasta con me quando, il giorno dopo, Capitan America mi ha consegnato le
figurine vintage di Coulson –Trattenendo per sé quella incrostata di sangue,
quale monito, sprone ed eterno senso di colpa.
È rimasta con me quando il mondo era
troppo grande perché lo potessi affrontare con solo qualche freccia a
disposizione, cocche spaiate e non segnate dentro una faretra straziata da
mille e più missioni suicide, tutte richieste, agognate, pretese con la sola intenzione di non pensare più.
Phil mi osserva e non tradisce
un’emozione che sia una, neanche l’aspettativa.
E’ la stolida e solida attesa marchio
di fabbrica S.H.I.E.L.D, quella che ti fa stare ritto in piedi anche di fronte
ad un patibolo o al nuovo sventra-budella del supegeniocriminaleipercattivo di
turno –Anche se non ti aiuta ad affrontare l’ira funesta di Fury quando gli si
versa il sale nel caffè. E se ve lo state chiedendo, sì, ne è valsa la pena.
Mi porto una mano alla nuca ed evito
di guardarlo in faccia.
«Cosa vuoi?»
Il lato negativo di vedere ogni cosa
è che non mi riesce in alcun modo di ignorare la maniera in cui Coulson serra
le labbra, deglutendo pesante un nodo deluso di rassegnazione.
Vorrebbe che si tornasse ai vecchi
metodi, lo so. Che si ricominciasse alla vecchia maniera.
Ma se avessi voluto i vecchi metodi o
la vecchia maniera, se mi fosse stato possibile dimenticare il bagliore
grigiastro della sua salma, la pelle incartapecorita, il cerchio violaceo dell’orbita…Allora
sarei rimasto nel mio vecchio alloggio o mi sarei trasferito alla Stark Tower,
accogliendo l’invito di Iron Man. Non avrei accettato il contratto da mastino
offertomi da Ivan per questo locale a Bedford-Stuyvesant(*), dove la
gente non poteva riconoscermi, dove il passato non poteva trovarmi –Dove non
poteva raggiungermi nemmeno il rimpianto.
«Parlare, Barton»
Sta decidendo se continuare sulla
falsa e professionale riga del lei
oppure patteggiare per un tu meno
distaccato, più accondiscendente.
Io, di certo, non intendo aiutarlo.
«Puoi parlarmi alla riunione, no?
Fury ne starà già organizzando una. Saranno tutti commossi, probabilmente
Capitan America sarà tanto fuori di sé da autografarti anche la biancheria
intima se glielo chiedi, per cui---»
«Voglio parlare. Da solo. Con te.»
Okay. Si mette molto male.(*)
Freccia latra un Bark! che sa tanto di incoraggiamento a dargli una possibilità, un
incentivo a non sbatterlo fuori di casa per poi abbandonarmi a gambe incrociate
sotto la libreria, sfogliando e scartabellando rapporti di vecchi missioni fino
a farmi sanguinare i polpastrelli, ricordando vecchi aneddoti e vecchie notti
intessute di sussurri fino a farmi sanguinare gli occhi.
«Cosa ti fa credere che abbia voglia
di ascoltarti?»
Phil Coulson fa quella cosa. Quella cosa che non è proprio un sorriso, più un
divertito arricciolarsi della bocca, l’espressione di chi sa di averti in
pugno, ma vuole comunque concederti l’illusione di una via di uscita.
Solleva il sacchetto di plastica e
inarca saputo il sopracciglio.
«Ho portato dei biscotti al cocco e
ananas.»(2)
Se avessi voluto i vecchi metodi o la
vecchia maniera, se mi fosse stato possibile dimenticare il bagliore grigiastro
della sua salma, la pelle incartapecorita, il cerchio violaceo dell’orbita…Allora
sarei rimasto nel mio vecchio alloggio o mi sarei trasferito alla Stark Tower,
accogliendo l’invito di Iron Man. Non avrei accettato il contratto da mastino
offertomi da Ivan per questo locale a Bedford-Stuyvesant, dove la gente non
poteva riconoscermi, dove il passato non poteva trovarmi –Dove non poteva
raggiungermi nemmeno il rimpianto.
Gli regalo un accenno di sorriso.
Ma alla speranza ho sempre lasciato
la porta aperta.
Note
Finali
Okay.
Si mette male
è la battuta di apertura di ogni volume di Occhio
di Falco. Battuta che costantemente si muta in un Okay. Si mette molto male. Perché Clint Barton e la fortuna vanno
sempre d’accordo.
In questa testata Clint vive in un
edificio situato nel quartiere di Bedford-Stuyvesant –Edificio poi comprato
dallo stesso Clint per toglierlo dalle manacce di Ivan, tipo losco e russo,
dedito all’uso improprio del termine “bro”,
che faceva il bello e cattivo tempo con gli affittuari. Tra cui c’è una signora
con figli a carico di nome Simone.
Nell’appartamento Clint vive da solo,
tranne che per un cane ghiotto di pizza di nome Freccia -Di cui il nostro
arciere ha deciso di prendersi cura dopo che si sono salvati la vita a vicenda-
e Kate Bishop, alias Occhio di Falco, che gli fa da balia e buonsenso.
La descrizione dell’appartamento
corrisponde a quanto per ora s’è visto nelle tavole del fumetto, Dog Cops una serie citata all’interno
dello stesso.
(1) “L’aldilà alla Marvel ha le porte girevoli”
(Stan Lee)
(2) Biscotti offerti da
Phil Coulson a Vedova Nera e Occhio di Falco all’interno di MarvelNow!Capitan
America #4
Mi siete mancati, gente!