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Autore: Silvar tales    14/09/2013    2 recensioni
"Sei davvero presuntuoso Ratonhakè:ton, se credi di potermi insegnare a cavalcare".
"Cavalcare?" La provocò Connor strizzandole l'occhio. Il cavallo soffiò in direzione di Faline, che arretrò di almeno dieci passi. Ma impiegò soltanto mezzo secondo per recuperare la sua grinta.
"Nel senso primo del termine. Purtroppo credo che per un altro tipo di cavalcata abbia tu bisogno di prendere lezioni da me, Ratonhakè:ton".
Genere: Avventura, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Colline di Great Piece



Non c’era alcun dubbio che Faline corresse più forte degli altri.
Correva più forte di Connor, correva più forte dei cervi in fuga sul manto nevoso, correva più forte del vento che scivolava lungo i pendii.
Connor aveva imparato a fidarsi di lei, era arrivato a litigare con Achille, che restava saldo sull’idea che Faline nutrisse palesi doppi fini nei suoi confronti.
Ma guardandola correre sui prati, sulle colline di Great Piece bagnate dal tramonto, gli sembrava impossibile che, in fondo, Faline non fosse una persona di buon animo.
“Sbrigati coniglio, o finirai in bocca alle linci!”
Certo, aggressiva, inquietantemente mostruosa nel corpo a corpo, più maschio che femmina, ma buona in fondo, con un coraggio disarmante e un carisma irresistibile.
Connor arrivò per primo sul crinale, ma solo perché Faline si era attardata qualche minuto ad osservare due alci maschi che litigavano, indecisa se attaccarli o meno. In altre parole, l’aveva lasciato vincere. La donna che lasciava vincere l’uomo: Connor si chiese se quest’insolita inversione di ruoli fosse un grave indizio nei suoi confronti.
Quando furono in cima, Faline allargò le braccia nude al vento e gettò la testa all’indietro, lasciando che i capelli castani le nuotassero a fianco del viso.
“C’EST LA LIBERTÉ!”
Entrambi non riuscirono a trattenersi dal sorridere. Il cielo era azzurro e rosa, il sole si era appena nascosto dietro i monti di Black Creek, ma il vento era la cosa più inebriante. Freddo, libero, indomito.
Rimasero qualche minuto in silenzio, con il sorriso che non voleva andarsene dalle loro bocche. Non sentivano il bisogno di guardarsi in faccia, né di toccarsi. Erano indifferenti l’uno all’altra, in quel momento, condividevano soltanto un amore smisurato per la cosa che li teneva uniti: la bellezza cruda della natura selvaggia. Ma erano consapevoli che, al di fuori di essa, sarebbero come divenuti due estranei. Cos’altro avevano da spartire, se non il cielo e la terra della Frontiera?
Attesero che il crepuscolo sfumasse in notte, poi scesero il pendio, di corsa, fino alla strada maestra. Da lì Connor prese la via per la Tenuta, e Faline per Monmouth. Non si salutarono nemmeno, paghi a sufficienza dei colori che avevano divorato, che erano rimasti impressi nei loro occhi.
Guardandola allontanarsi, Connor si convinse che Faline incarnava un vero ideale di libertà, forse più tenace e veritiero del suo. Si ricordava ancora di come rimase sorpresa venendo a sapere che Connor abitava in una tenuta, in una villa sfarzosa dotata di ogni comodo, e che gestiva una consistente rete di commerci, e che aveva una rendita e un libro contabile cui tener dietro.
“È assurdo! E ti definisci cultore della libertà? Non sei diverso dai cani inglesi”.
Faline era un’Assassino, ma faceva parte di una linea diversa da quella di Connor.
“Ho dormito nella paglia e nelle caverne un anno e tre mesi tra le foreste nordiche e le praterie della costa orientale, sono stata temprata nel ghiaccio e nella polvere, e non ho fatto altro che diventare più forte”.
Era discendente di Jasmine Jalil, fautrice dello scisma che avvenne anticamente, ai tempi di Rashid ad-Din Sinan. Gli Assassini che combattevano sotto il segno di Jasmine non erano nobili, erano perlopiù mercenari, pirati, farabutti di strada; essi interpretavano il Credo così come lo interpretò la loro capostipite, che si scostò fortemente dagli insegnamenti del vecchio Mentore di Masyaf. Ne diede un’interpretazione più anarchica ma pregna di buon senso, alleggerita molto dal pressante senso di dovere e onore che caratterizzava l’originale.
Il Mentore che addestrò Achille fu un radicale oppositore di questa teoria più libertina, e Achille ereditò le sue idee.
Tutt’altra storia fu invece per Edward Kenway, Solcatore di mari, e per la sua bionda e riccia Délphine. Essa era una Figlia del vento, così venivano infatti chiamate le eredi di Jasmine. Eppure sempre combatté fianco a fianco con Edward, e sempre lui condivise i suoi ideali. Non si sa se condivise con lei anche altro oltre idee e precetti, ma si sa, è destino che siano proprio gli Assassini della Confraternita a nutrire la stirpe di Jalil, a far sì che perduri. Alcuni dicono che è l’errore di Altaïr che si perpetua nelle generazioni, altri affermano che l’avvento di tali onde contrarie sia una benedizione, e sono in pochi ad auspicare un trionfo definitivo delle Figlie del vento, sui Templari, sugli Assassini, sul destino delle genti.


Connor ripose il libro nello scaffale, ancor più confuso di prima; aveva passato l’intera serata a leggere, a documentarsi sui vecchi volumi di Achille sperando di meglio comprendere i pensieri di Faline. Da quando gli aveva detto che lei seguiva un Credo diverso dal suo, si era chiesto cosa questo avrebbe potuto comportare, soprattutto per quanto riguardava il suo iniziale proposito di ucciderlo. Faline gli aveva risposto che non aveva nulla a che fare con una lotta tra fazioni diverse di Assassini, ma piuttosto perché Connor era e rimaneva il figlio di suo padre.
Ma ancor di più dopo quelle letture, Connor aveva la sensazione che lei gli avesse spudoratamente mentito.
“Ritieni quindi che sebbene io sia arrivato a uccidere mio padre, il mio sangue potrebbe riportarmi dalla parte dei Templari? Sei ridicola. Allora potresti aspettare di vedere se tradirò la Confraternita, e se questo accadrà sarai libera di farmi fuori, dopo. Tanto, visto che ci riusciresti con tanta facilità, non avresti nemmeno bisogno di un’opportunità particolarmente favorevole, come l’hai ora”.
Così le aveva risposto Connor, anche se non era convinto che Faline credesse per davvero all’esistenza di un vizio ereditario nel sangue dei Kenway. Se così era, allora l’aveva creduta più intelligente di quanto non fosse in realtà.


Si coricò sotto le coperte del suo letto con questi pensieri in testa. Faline era tornata a capo dei suoi uomini, nelle foreste di Monmouth.
Si vedevano di rado.
D’altro canto, non avevano motivo di vedersi. A volte gli si presentava alla Tenuta, la ritrovava in camera sua o sulla soglia di casa, la mattina. Se la trovava davanti quando meno se l’aspettava, quando credeva di braccare una lince e invece sbucava lei dalla vegetazione, silenziosa e letale.
Ma anche Faline aveva il suo punto debole, sebbene fosse ridicolo, pensò Connor appena prima di addormentarsi.
E sorrise nel sonno concedendosi un piccolo angolo di trionfo.




   
 
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