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Autore: venusia    14/09/2013    3 recensioni
Prima parte - POV Bella (cap.1-19)
Siamo alla vigilia del matrimonio di Bella ed Edward quando Alice ha una visione: i Volturi piomberanno a Forks il giorno della cerimonia! Perché? Qualcuno ha violato le regole dei signori di Volterra? E come mai Alice non riesce a prevedere l'arrivo di Tanya?
Seconda Parte - POV Rosalie (cap.20-49) POV Bella (cap.50-59)
Desirèe, la figlia adottiva di Tanya, è stata dichiarata fuorilegge dai Volturi, e così pure Bella che le ha dato rifugio. Come si comporteranno i Cullen, tutti, tranne Rosalie, indifferenti alle vicissitudini di Desirèe? E il branco, che anch'esso ha voltato le spalle a Desirèe, pur essendo per metà umana e oggetto dell'imprinting di Seth?
Terza parte - POV Jacob (cap.60-epilogo)
L'inaspettata decisione di Bella di lasciare Edward aveva spalancato le porte del paradiso a Jacob, ma il combattimento con Demetri gliel'ha strappata, forse, per sempre. Mentre i Volturi si preparano alla battaglia finale per eliminare i ribelli, Jacob raccoglierà il difficile ruolo di Alfa del branco e capirà finalmente che il sole e la luna non sono poi così distanti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Rosalie Hale
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse
Capitoli:
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“Bella non è qui” mi rispose sorniona la nanerottola, appoggiata allo stipite del portone di legno intarsiato da fregi dorati.
“E dove la posso trovare?” insistetti, giusto per farle capire che non avrei mollato l’osso tanto facilmente.
“A casa sua, è ovvio”. Il suo sorriso si allargò.
“E non è questa casa sua ora?” chiesi spazientito. Non mi era mai piaciuta quell’acciuga e ora stava cominciando a farmi incazzare davvero.
“No. Carlisle ed Esme avevano acquistato una casa per lei ed Edward dove sarebbero andati a vivere subito dopo il matrimonio. Abitano là già da due mesi. Come potrai immaginare, qui non c’è molta privacy, oltre a troppa gente per i nostri gusti…” bisbigliò con una buona dose di veleno, sottintendendo qualcosa che non avevo mai voluto affrontare.
Rimasi sbigottito. Bella e il pinguino convivevano da due mesi e nessuno me l’aveva detto, né lei né Rosalie. Spalancai la bocca, sconvolto, e rimasi intontito per alcuni secondi, prima di domandare:“E dove si trova?”.
“A cinquecento metri da qui. Sempre dritto” mi liquidò frettolosamente, sbattendomi quasi la porta in faccia.
Scesi le scale, buttando i piedi a caso, come se stessi eretto per miracolo, dopo una sinfonia di cazzotti. Questo era l’effetto dell’incontro con Alice. Non avevo la più pallida idea che fossero andati a convivere. Mi sembrava surreale e non avevo mai preso in considerazione la cosa perché considerando quanto era antiquato Edward la ritenevo un’opzione affrontabile soltanto dopo il matrimonio. Però sapevo altrettanto bene che Bella avrebbe preferito convivere invece che sposarsi e alla fine l’aveva avuta vinta lei. Non era tanto la convivenza che mi abbatteva, ma l’implicazione diretta che ne conseguiva: lei non era più umana e lui non doveva avere paura a toccarla. Il fatto che non si abbandonassero a coccole in pubblico non voleva dire che si comportassero nella stessa maniera anche in privato. Mi fermai in mezzo al bosco. Non sapevo più se volevo realmente andare, dopo questa scoperta, se sarei riuscito a sopportare che mi fosse sventolata davanti al naso.
Poi ripensai al motivo per cui mi ero spinto fin dai Cullen e decisi di affrontare l’ennesima prova.
Camminai velocemente, scongiurando di non interrompere qualcosa, altrimenti non sarei riuscito a trattenermi, vanificando di fatto la mia missione. Erano passati tre giorni da quando avevo quasi ammazzato Edward quella sera, il giorno della battaglia finale si avvicinava e ancora non mi era stato concesso di tornare al campo ad allenarmi. Non volevo essere tagliato fuori dagli ultimi preparativi e Joe mi aveva confidato che il mio ritorno era respinto soprattutto da Bella. Mi ero deciso ad andare direttamente da lei per chiederle perdono, sempre sperando che non mi sparasse un sermone su quanto il mio comportamento avesse messo in pericolo il prezioso pezzo di marmo. Se mi avesse perdonato, i Cullen avrebbero chiuso un occhio e, alla faccia di Sam, sarei potuto tornare al campo. In realtà non ero affatto pentito di quello che avevo tentato di fare, però volevo chiedere scusa per averla aggredita. Di questo ero sinceramente dispiaciuto e se lei non dava la giusta importanza alla ferita che le avevo provocato, beh, per me era una questione di vita o di morte. Era stato un errore, certo, ma se l’avessi morsa con la stessa veemenza un po’ più a sinistra, l’avrei uccisa e a quel punto tanto valeva che mi fossi buttato giù da una scogliera.
Avanzando nella direzione indicatami dalla preveggente, ben presto apparve una casa di mattoni scuri, a vista, decisamente più piccola di quella dei Cullen, ma ugualmente più grande della mia, con un piccolo balconcino sulla sinistra, cinto da una ringhiera nera in cui si inanellavano foglie e fiori di bronzo di pura fantasia, come nei disegni dei bambini. Su ogni davanzale c’era una pianta diversa, ma tutte dalle corolle sgargianti; non c’era un giardino, da quello che potevo vedere, a meno che non fosse sul retro.
Ovviamente le tende bianche erano tutte tirate e non si sentiva nemmeno un piccolo rumore provenire dall’interno. Mi avvicinai imbarazzato e bussai. Come dai Cullen, non avvertii i passi avvicinarsi, ma di fatto la porta si aprì, e, con mia enorme sorpresa, fu Kate Denali a spalancarla. Devo ammettere che questa ipotesi non l’avevo presa in considerazione e mi riempì di gioia: non erano soli!
“Cosa vuoi, Fido?” domandò sbrigativa, passandosi con leggerezza una mano fra le ciocche. Uhm, dicevano di noi lupi, ma anche loro non erano maestri di buone maniere! La imitai, senza troppi problemi.
“Cerco Bella” risposi tranquillamente.
Kate mi indirizzò un’occhiata tutt’altro che docile poi sparì all’interno, lasciando la porta socchiusa. Non entrai però non riuscii a reprimere la curiosità di dare una sbirciatina. L’ingresso dava direttamente su un soggiorno che doveva occupare tutto il piano terra, con un camino di marmo bianco, davanti al quale un divano e poltrone dello stesso colore lo circondavano a semi cerchio. Seduti su di esso c’erano Edward, Rosalie e Carmen: lui e la spagnola si voltarono verso di me. Lo sguardo di Edward cupo, sintomo di una rabbia fredda. Rosalie mi ignorò deliberatamente, tenendo il viso reclinato. Potevo vederne il profilo e capivo che c’era qualcosa che non andava. Era malinconica, come se si sforzasse di trattenere qualcosa di intimo e doloroso.
In quel momento, da una camera adiacente sbucò Bella, che raggiunse con passo imperioso l’ingresso dove ero stato appoggiato come un ombrello. Aveva jeans e una maglietta nera, assolutamente anonima, come era solita vestirsi quando era umana. Mi si parò davanti con un malessere palese e sibilò:“Cosa vuoi?”.
Trovai la durezza più impenetrabile nel suo sguardo: le iridi non erano più rosse vermiglio ma un color ocra, segno che la dieta “vegetariana” stava dando i suoi frutti e presto sarebbero diventate dorate; la sua carnagione era più cadaverica del solito.
“Ti devo parlare di una cosa. E’ importante…”.
Si girò verso il piccolo gruppetto, a cui adesso si era unita anche Kate e il cui perno sembrava essere Rosalie, e disse:“Esco un attimo. Ci vediamo tra poco”. Non potei evitare di seguire il suo sguardo e incontrai quello di Edward che si limitò ad annuire, malvolentieri. Gli altri, Rose compresa, non risposero. Bella mi passò davanti, chiudendo la porta e si diresse nel bosco. La seguii come un bravo cane fedele ed effettivamente ogni tanto mi pareva di essere allo stesso livello. Ogni volta che aveva bisogno correvo, ogni volta che c’era un litigio fra noi, ero io a chinare la testa. Forse non era giusto ma finiva sempre in questo modo.
Camminammo in silenzio per parecchio, poi, una volta giudicato che fossimo abbastanza lontani perché nessuno sentisse i nostri discorsi, si fermò e, incrociando le braccia, mi fissò, in attesa.
“Che cosa è successo a Rose?” domandai senza capire neanche io il motivo di quella domanda, che però mi stava realmente a cuore.
“Non sono affari tuoi” mi liquidò fredda. “Sei venuto qua per questo?”.
Scossi la testa stancamente, incapace di continuare. Mi ero preparato decine di discorsi, aspettandomi di trovarla furibonda, arrabbiata, pronta a scattare a ogni mio respiro e invece fronteggiavo un muro. Non parlava, non diceva niente, si limitava a fissarmi e ad aspettare. La vecchia Bella non sarebbe riuscita a dominare la sua rabbia in questa maniera e neanche la vampira Neonata di qualche tempo fa. Questa era la nuova Bella, la Bella di ghiaccio che non trasmetteva alcuna sensazione, a parte il disagio. Al diavolo, non mi sarei certo fatto mettere in imbarazzo da una sanguisuga, anche se si trattava della mia Bells!
“Voglio parlarti di quello che è successo tre sere fa, all’addestramento…” iniziai con decisione.
I suoi occhi divennero due fessure, occludendo ogni possibile emozione potessi intravedervi o anche soltanto immaginare.
“Ti ho assalito e mi dispiace. E’ stato un errore. Ero troppo preso dalla foga, non ho fatto caso che si era inserita fra noi una scia completamente diversa, la tua, e non mi sono fermato” continuai.
“Sei qui per questo?”.
“Sì, per me è molto importante che tu capisca che non volevo farti del male e che è stato completamente accidentale”.
Bella sospirò e si appoggiò ad un albero, come se fosse esausta. “Lo so, Jake, che non l’hai fatto apposta, e tu dovresti capire che io non sono arrabbiata con te per questo. La motivazione è un’altra”.
“La immagino, però non posso chiederti scusa per avere assalito lui…” ribadii, cercando di attenuare il disgusto. “Sai cosa provo nei tuoi e suoi confronti. Mi sono lasciato prendere la mano e ho esagerato, questo lo ammetto, ma non posso dirti che sarei dispiaciuto se lo avessi ucciso”.
Bella mi lanciò un’espressione ruvida, che riconoscevo e mi dava speranza: non potevo pretendere di essere perdonato ma capiva il mio stato d’animo. Era peccato mortale avere attaccato il suo adorato, come e peggio di un omicidio, eppure sapeva, per quanto si ostinasse a volermi chiamare “amico”, che non potevo trattenere i sentimenti che altalenavano da amore nei suoi confronti a odio senza fine verso qualcun altro.
“Non sono più arrabbiata con te, se è questo che ti sta a cuore” sospirò energicamente. I suoi occhi furono improvvisamente luminosi, quasi febbrili. “So cosa ti muove, ho imparato a farci i conti e non è piacevole, te lo assicuro. Però anche tu devi capire i miei sentimenti e chi ha la priorità nella mia vita…”.
Abbassai lo sguardo, quasi lugubre. Pensavo di sapermi dominare, almeno a parole, ma ogni volta che si affrontava questo discorso, i miei nervi saltavano.
“Cosa credevi di ottenere, Jake? Credevi che ti avrei amato se avessi ucciso Edward?” domandò, nascondendo una risata amara.
“No. Volevo soltanto vendetta… Non chiedevo altro”.
“Vendetta di cosa? Perché lui mi ha strappato a te? Perché amo lui e non te?! Jake, apri gli occhi una buona volta! Sono impegnata con lui, sono felice per quanto la situazione possa essere disperata e la mia scelta è la migliore. Non ritornerò mai più sui miei passi, nemmeno se Edward morisse perché sarebbe un accontentarsi e tu meriti di meglio…”.
Alzai il viso nella sua direzione e la scrutai, cercando di assimilarne le parole. In esse c’era qualcosa che rovinava la pigra melodia. “Non ritornerò mai più sui miei passi”: perché aveva detto questo? Cosa significava? Se si fosse trattato della vecchia Bella, avrei capito a cosa alludeva ma non lei. Non… Scossi la testa turbato e fu allora che notai in lei un tramestio di sensazioni, perplessità e incertezze. Che stava accadendo? Si portò i capelli dietro le orecchie, mordicchiandosi il labbro inferiore. Per quanto la trasformazione fosse stata efficiente, sapevo riconoscere ancora l’irrequietezza per una situazione sordida. La vecchia e timorosa Bella era riapparsa e l’intuito mi suggerì che non era un bene. Scosso da un brivido, iniziai a sudare. Feci qualche passo per obbligarla a guardarmi in faccia, a smettere di nascondere la bugia che la stava impestando. A sua volta indietreggiò di qualche passo, non staccando gli occhi dal terreno. Il suo atteggiamento mi fece esplodere molto più velocemente di quanto immaginassi.
“Quando mai sei stata mia, eh? Come fai a dire che non tornerai più, se non ci sei mai stata con me?! Allora!” gridai, divorato dalla rabbia. Il mio urlo velenoso la fece trasalire come se fosse stata pugnalata.
“Jake, smettila, per favore” sussurrò e la sua voce suonò incerta e fragile.
“Che cosa stai nascondendo Bella? Perché è così… Stai nascondendo qualcosa. E’ chiaro come il sole!” la aggredii nuovamente ma ottenni soltanto un lungo silenzio. Strinse i pugni e potei distinguere le unghie affilate piantarsi nella carne; la vidi mordersi il labbro inferiore; ma ancora niente. Eppure io avevo già intuito e in fondo al cuore avvertivo la crepa di una risposta che non desideravo.
“Ti sei ricordata, vero?” domandai, non ascoltando nessun intimo consiglio.
Bella scosse la testa, socchiudendo le palpebre più volte per camuffare un tetro dolore.
“Non ho mai dimenticato”.
Non sentii più nulla, nemmeno l’allegro cantare degli usignoli o lo sfrondare dei rami. Tutto era immobile e sparito. Soltanto lei davanti a me. Quello che avevo sognato per notti intere aveva preso forma in quel momento. La mia Bella era lì, consapevole dei nostri ricordi, dei nostri sogni e di tutto quello che ci aveva legato. Un’ondata di felicità mi travolse, ma si ritirò come la schiuma dalla spiaggia l’istante successivo. Ricordava ogni cosa, peggio non l’aveva mai dimenticata. La trasformazione non le aveva cancellato nulla, ma allora perché l’aveva tenuto nascosto? Perché aveva richiuso se stessa e me in una solitudine inconciliabile? Non capivo e lo lesse nei miei occhi.
“Mi dispiace, Jake, se ti ho mentito ma era necessario. L’ho ritenuto necessario” puntualizzò, pronta ad addossarsi la colpa.
“Perché?”.
“Perché non volevo far soffrire ancora una volta né te, né Edward. Ho inventato la mia amnesia perché ho tentato di far finta che non fosse successo niente, che tutto fosse tornato come una volta, che tu capissi che la trasformazione era avvenuta e non sarei mai più stata tua. Non avevo messo in conto che proprio l’assenza di ricordi ti avrebbe spinto a tentare di farmi ricordare a tutti i costi. Ho sbagliato…”.
La forza che mi consentiva di tenere la schiena dritta e salda venne meno e avrei quasi giurato che sarei potuto cadere, ma qualcosa mi puntellò. Forse l’orgoglio, forse la collera. Mi aveva mentito per tutto questo tempo, adducendo come scusante il mio benessere. Era la balla più patetica che avessi mai sentito. Il sangue pulsava con innaturale velocità mentre l’istinto più crudele sembrava volersi impadronire del mio corpo per ucciderla per quello che mi aveva fatto passare.
“E tu mi avresti mentito tutto questo tempo soltanto per evitarmi sofferenze? Oh andiamo, Bella, non dire idiozie! Ed Edward? Lo sa?” chiesi, reprimendo la rabbia più profonda.
“Gliel’ho rivelato subito; quando è arrivata Rose a raccontarmi di voi due, ho dovuto ammetterlo anche con lei e in breve tutti i Cullen l’hanno saputo, ma volevo che tu ne restassi all’oscuro…”.
“Ma perché?! E’ questo che non capisco, Bella! Hai detto che l’hai fatto per me, ma io non riesco a trovarci nulla che potesse portarmi giovamento!”.
“Se tu avessi pensato che non ricordavo, ti saresti pian piano rassegnato, avresti capito dov’era il mio posto ed Edward non ne avrebbe sofferto. La vecchia Bella è morta quell’alba e avevo bisogno che te ne rendessi conto. Quando mi sono risvegliata, dopo la trasformazione, ho ricordato quasi tutto subito: ti avevo amato, avevo deciso di stare con te, di essere umana e avere una nostra famiglia, eppure sembravano ricordi così lontani, quasi surreali. Poi quando ho guardato Edward è stato come se mi avessero dato una coltellata. Potevo leggergli il dolore più profondo in ogni singolo movimento e questo mi ha uccisa perché ricordavo la promessa che gli avevo fatto: non farlo soffrire mai più. Ho capito che avevo fatto una sbaglio, ma che avrei passato l’eternità a farmi perdonare…”.
“Cosa?” domandai furibondo. “Mi stai dicendo che stai con lui per pietà? Che fai finta di niente per non farlo soffrire ancora? Sei deficiente, o cosa?!”.
“No, non è pietà, tutt’altro. L’ho rivisto per ciò che era: il mio primo amore, il mio unico amore. E’ successo qualcosa in quei primi minuti, come se un nuovo profumo avesse invaso la mia casa. E di colpo tutto ciò che l’aveva riempita, te, Charlie, i nostri figli, è sparito, insieme alla piccola parte di me che ti aveva amato. Se mi chiedi una spiegazione logica, non te la so dare, ma ho capito che lo amo, che lo amo ancora più di prima e non avrei mai dovuto lasciarlo, nemmeno per poche ore…”.
“Quindi quello che c’è stato fra noi, per te non vuol dire niente? Soltanto un incidente di percorso?”.
“No. Ricordi cosa ti ho detto quattro mesi fa, subito dopo la riunione tutti insieme a proposito dell’arrivo dei Volturi? Ho detto che ero gelosa e che ti volevo tutto per me. E’ stato per questo. Ti ho amato perché non volevo perderti, volevo che mi stessi sempre vicino. Temevo che Rosalie o chiunque altra ti avrebbe strappato da me. La gelosia ha attinto a un sentimento che già c’era, ma lo ha esasperato. Così come la paura. La paura che tu morissi per mano dei Volturi, la paura di diventare come Jane o forse anche peggio, una volta trasformata, di abbandonare una vita normale e la mia famiglia, mi ha fatto sragionare. Non ne sono pentita, e probabilmente se tornassi indietro rifarei lo stesso perché l’ho fatto col cuore, ma adesso sono sicura, davvero sicura che la mia strada è da un’altra parte. Ti voglio bene, Jake, e mi dispiace averti mentito per così tanto tempo ma le cose stanno così. Amo Edward, l’ho sempre amato”.
Mi appoggiai a un albero. Mesi. Mesi di attesa e speranza per poi sentirmi dire che era stato tutto un errore, che lei amava il pinguino e io non ero mai esistito. Eppure avevo visto lo sguardo che mi aveva rivolto poco prima di essere trasformata, sentito le sue preghiere perché non la lasciassi mai. Com’era possibile che fossero frutto di paure e gelosie? No, non era plausibile. Probabilmente ricordava solo a tratti e non perfettamente. Come poteva ridurre la nostra storia a un momento di incertezza? Dio, era assurdo! In preda alla sete più grande e inestinguibile, la raggiunsi a falcate e la afferrai per le spalle. Dapprima sconcertata, mi lasciò fare. Quando le fui così vicino da poter scaldare le sue guance con un soffio, fui soffocato di nuovo da quella puzza di marcio che non la abbandonava mai. Erano passati quasi cinque mesi, eppure continuava a pungermi il naso. Credevo che ci avrei fatto l’abitudine, così com’era successo con Rosalie, e invece mi perseguitava. Mi costrinsi a fare finta di niente perchè volevo baciarla e niente mi avrebbe fermato.
“Lasciami” mi intimò con voce calma, ma energica.
“Non ricordi le cose com’erano, Bells. Sei solo confusa…” borbottai, avvicinando le labbra alle sue.
“Ricordo invece come mi hai abbracciato quel pomeriggio, come mi hai consolato prima della trasformazione, come mi hai convinto tu a diventare ciò che sono” disse e mi raggelò. “E’ tutto stampato nella testa, Jake, e mi fa piacere ricordarlo, ma è il passato. Edward è il presente e il futuro. Se vuoi provare a baciarmi, fallo pure, non ti fermerò, ma non concluderai niente, perché non ti amo”.
Le pupille leggermente dilatate per l’agitazione, il corpo inerte come quello di una bambola, il petto immobilizzato da un respiro inesistente. Accarezzai le braccia nude, in parte rivestite dalla maglietta a mezze maniche, e le sentii gelide e viscide, come se avessi afferrato un pesce e, a dispetto dei miei sentimenti, provai disgusto. Inoltre quell’orribile odore dolciastro di sangue che le sentivo addosso mi faceva venire i brividi, e non di gioia. Tutto di lei mi urlava che era finita e che un vampiro non può condividere altro con un licantropo, se non il campo di battaglia. La lasciai andare e indietreggiai con sforzo. Il pensiero di baciarla non mi aveva abbandonato ma leggevo nei suoi occhi una risolutezza che non le avevo mai visto quando era stata umana. Fino a quel pomeriggio a casa mia, i suoi comportamenti, le sue espressioni mi avevano sempre indotto a pensare che ci fosse una remota speranza che potessi in una qualche maniera, per quanto contorta, farla arrivare a me. Dopo la trasformazione i suoi occhi erano diventati vacui e i suoi fragili abbracci tradivano l’unico sentimento ormai presente: l’amicizia. Non mi odiava, mi voleva bene, come a un migliore amico e anche se l’avessi baciata non avrei risolto niente, a parte l’ennesima batosta. E il mio orgoglio cominciava a essere stufo di sopportare delusioni su delusioni. Era davvero finita. Ogni speranza andava accantonata, ogni segnale che potessi fraintendere, ben interpretato e la lezione imparata.
“Dovevo aspettarmi che tu facessi a me quello che hai fatto a Edward quel pomeriggio. Mentirgli, a tuo dire per proteggerlo dalla verità, mentre in realtà volevi solo proteggere te stessa. Buffo che solo adesso riesca a leggerlo così chiaramente…” ridacchiai, smascherando tutta l’amarezza della mia constatazione.
“Non cercherò di difendermi, perché non è così. Quel giorno non gli ho voluto dire la verità perché avevo paura che mi odiasse e che dimenticasse tutti i nostri bei momenti insieme. Lo ammetto, è stata vigliaccheria e niente altro…”.
“Non volevi che ti dimenticassi, volevi restare al centro del mio mondo, per questo non mi hai detto la verità, perché così mi avresti tenuto legato a te, con la speranza che un giorno potessi amarmi ancora. Leah aveva ragione: sei un’egoista e io uno stupido che si è lasciato manipolare. Adesso, magari tra un po’ di tempo, salterà fuori che era stato calcolato dall’inizio, che hai finto di amarmi soltanto perché volevi che avvallassi la trasformazione, …”: non credevo nemmeno io a quello che stavo dicendo ma ero talmente infuriato da inventare qualsiasi cosa. Tutto pur di farla sentire indegna e spregevole.
“Credi che abbia inventato tutto?” balbettò tremante.
“Potrebbe essere…”.
“Lo sai che non sono capace di mentire, non avrei mai messo in scena una farsa del genere!”.
“Però adesso lo hai fatto, Bella, e credo che ti sia anche divertita” esclamai sgarbato. “Tu sapevi che io ci speravo, che ho passato mesi sognando che tu ricordassi, sai quali sono state le mie sofferenze perché un tempo le hai provate anche tu. E ora vieni a dirmi che hai fatto tutto per il bene mio e di quel pezzo di marmo?! Mi dispiace, Bella, ma non me la bevo più. Non sono un bambino a cui puoi rifilare ogni storiella e sono stanco, tremendamente stanco di tutto questo. Non credevo che saresti arrivata a questo punto, ma evidentemente non ti ho mai conosciuta abbastanza…”.
Bella si avvicinò con la delicatezza di un soffio di vento e mi accarezzò il braccio con la mano fredda e dura. “Non volevo farti del male. Credevo che fosse la soluzione migliore, che mi avresti dimenticato più facilmente ma ora mi accorgo che ho sbagliato. Ho cercato più volte di farti capire che non c’erano speranze ma non è servito. Dovevo dire la verità, fin da principio…”.
“Sai, credevo che fra tutte le qualità che la trasformazione poteva cancellare, rendendoti peggiore, una sola sarebbe rimasta sicuramente: l’onestà. Ma ora mi accorgo che neanche quella c’è mai stata… Ho immaginato un rapporto fondato sulla fiducia che non è mai esistito. Erano tutte illusioni. A questo punto mi chiedo se quella Bella sia mai esistita. Probabilmente no e questo fa ancora più male, perché vuol dire che ho passato anni ad amare una persona che non esiste”.
“Jake, non è vero!” alzò la voce, come a voler scacciare la mia verità. “Io ti ho amato davvero anche se è stato per pochi giorni. Non volevo ferirti, non volevo farti del male. So che ho sbagliato, ma vorrei soltanto un’altra opportunità”.
“Un’altra opportunità per fare cosa?”.
“Per essere amici” ammise con innocenza. “Per essere tutto quello che non siamo stati finora. Ti ho deluso come donna, ma come amica saprò essere migliore. Possiamo essere diversi tutti e due, possiamo venirci incontro e volerci bene, possiamo ricominciare da capo”.
Era assurdo vedere nei suoi occhi l’incolume miraggio che tutto potesse finire come lei voleva: sposata con il suo vampiro, e io amico felice della coppia. Mi sfuggì un risolino quando immaginai la scena. Non avrebbe mai capito di cosa mi aveva privato in quel momento e non avrei mai avuto un risarcimento. Scossi la testa poi dissi:“Mi dispiace, Bella, ma per come stanno le cose non possiamo nemmeno essere amici perché l’amicizia si basa anch’essa sulla fiducia e tu hai distrutto ogni cosa”.
“Ti prego… So che per salvare il mio rapporto con Edward ti ho fatto del male, ma non mollare, ti scongiuro. Siamo amici, io ho bisogno di te e tu di me. Mi avevi promesso che mi saresti stato sempre vicino…” singhiozzò. Volsi lo sguardo altrove perché stavo recitando la parte da duro e se avessi visto le sue lacrime, l’avrei abbracciata e gliela avrei data vinta ancora una volta. E non volevo più farlo.
“L’ho promesso a una ragazza diversa da quella che mi sta di fronte. Non vale per Bella, il vampiro. E poi” aggiunsi con un sorriso stanco “convivi da due mesi e non hai neanche avuto la decenza di dirmelo. L’ho dovuto scoprire io, per caso”.
Bella strinse le palpebre con strisciato rammarico.
“Se volevi chiudere, stavolta ce l’hai fatta. E’ veramente finita. Mio padre l’ha sempre detto: mai amicizia con i vampiri. Ti sfruttano finché gli servi e poi si fanno i loro comodi. Evidentemente tu eri un vampiro latente già prima di essere trasformata”.
Spostai con voluta scortesia il braccio da lei e mi incamminai verso La Push. Bella accelerò il passo e mi si parò davanti, chinando il capo e sussurrando “Mi dispiace” più volte, seguito da un “Perdonami” che mi lacerò il cuore. Ma per quanto volessi perdonarla, avevo deciso che non l’avrei fatto. Feci finta di niente e ripresi a camminare, lasciandola alle spalle. Pian piano la sua scia scomparve e io, peregrinando come un viandante spossato dai troppi chilometri, varcai il confine.
Mi sentivo a pezzi. La ragazza che tanto avevo amato mi aveva ingannato dall’inizio, e per quanto mi sforzassi di immedesimarmi in lei, non riuscivo a cogliere la sua generosità. Leggevo soltanto capricci ed egoismo, esattamente come descritto da Leah. Tuttavia la amavo ancora, anche se non sapevo più dire chi fosse l’obbiettivo dei miei sentimenti. Ad ogni modo quella persona non esisteva più. Uccisa da Demetri o creata semplicemente dalla mia fantasia, doveva sparire. Avrei voluto sfogarmi con qualcuno ma chiunque mi avrebbe rimproverato l’inevitabile:“Te l’avevo detto. Non era fatta per te” oppure “Mai fidarsi dei vampiri”.
Quando tornai a casa, mi rintanai in camera a studiare o a fare finta. Non riuscivo a concentrarmi dopo quello che era successo e mi buttai sul letto, fissando il soffitto. Hai perso, Jake. Devi passare la palla.
Avevo la testa vuota e il cuore pieno di risentimento e rabbia. Dopo questo tradimento non pensavo che avrei realmente smesso di amarla, eppure qualcosa che non avevo calcolato era accaduto. Fra tutti i sentimenti da cui ero assalito, ne mancava uno, uno solo. La disperazione per essere stato respinto. E questo mi turbava più del resto. Avevo spesso immaginato che un giorno sarebbe venuta da me, rivelandomi quanto mi amava; oggi era accaduto l’opposto. Mi aveva detto che non c’era speranza, che non ci sarebbe davvero mai stato un futuro per noi e nei miei fantascientifici scenari avevo immaginato che se mai fosse venuto questo giorno, probabilmente mi sarei buttato da una rupe oppure avrei fatto qualsiasi altra sciocchezza, figlia dell’amarezza. Invece, a dispetto di tutto, sembrava che quella rivelazione mi avesse lasciato totalmente indifferente. Certo, ero arrabbiato per essere stato preso in giro, per aver scoperto un lato di Bella che non mi piaceva affatto, ma non ero realmente triste. Seccato, infuriato, indignato, ma non triste. Perché? Mi ero preparato talmente bene a questo giorno da non esserne scalfito? Oppure mi ero rassegnato da così tanto tempo da non accorgermi che la speranza fosse già svanita? Non sapevo quale spiegazione darmi e soprattutto quale fosse la più credibile. Una luce da sempre accesa, improvvisamente si spegne e tu, inerme e al buio, non fai niente per riaccenderla, come se non ci fosse differenza. Accetti la situazione con rassegnazione e lasci che la vita vada avanti, che la luce si riaccenda da sé. Ma la domanda era: volevo che quella luce si riaccendesse? Avevo bisogno di quella luce oppure potevo cavarmela da solo?
Mi rigirai su un fianco, irritato. Chiusi gli occhi e mi addormentai per un paio di ore, fino a che Rachel non venne a chiamarmi per la cena. Quando mi sollevai, mi chiesi se fosse stato tutto un sogno, ma il vago odore di vampiro che aleggiava ancora sul braccio, confermava la realtà. Il cuore riprese a pulsare più velocemente quando pensai a lei, ma mi ribellai. Da quel momento, e per sempre, sarebbe stata fuori dalla mia vita.
Scesi al piano di sotto e prima di avventarmi sulla cena, afferrai il telefono e chiamai Sam, il quale mi rispose con indifferenza. Almeno fino a che non gli dissi il motivo della mia chiamata.
“Stasera devo studiare, ma domani tornerò agli addestramenti, che piaccia a te e ai Cullen oppure no” affermai con tranquilla autorevolezza.
“Non sei ancora stabile, Jake. Lo sento dal tono di voce”.
“Non me ne frega niente. Fra dieci giorni i Volturi saranno qui e io devo allenarmi, esattamente come gli altri. Non ho nessuna intenzione di morire perché tu e quelle sanguisughe avete delle remore… Ci vediamo domani sera, direttamente alla radura”. Buttai giù la cornetta senza attendere risposta. Tanto ci sarei andato ugualmente, con o senza la sua approvazione. E poi gli altri del branco sicuramente sarebbero stati dalla mia parte. Ci avrebbero pensato loro a convincere Sam, se necessario.
A cena non feci parola né a papà, né a Rachel della mia conversazione con Bella e loro non si accorsero di niente. Risi, feci battute, raccontai della scuola e fu una liberazione. Non mi sentivo più soffocato dal dolore, ma affrancato da una schiavitù. Come se sperare, pregare che tornasse da me fosse stata una costrizione mentre, adesso, sapendo che avevo realmente perso, potessi voltare pagina. Ero libero di sentirmi meglio, di dimostrarle che potevo farcela senza di lei e che niente mi avrebbe fermato. Se mi aveva preso in giro, non le avrei permesso di goderne i risultati, anche se la conoscevo abbastanza da poter affermare che non l’avesse fatto con cattiveria. Che mi succedeva? Stavo ricominciando a giustificarla? No, assolutamente no. La amavo ancora? Sì, assolutamente sì, ma il libro era arrivato all’ultima pagina e andava chiuso.
La sera successiva giunse con fin troppa sollecitudine, contrariamente a ciò che avveniva di solito. La normalità consisteva nell’aspettare con ingordigia gli addestramenti principalmente per sfogare la rabbia e vedere lei; adesso sembrava non esistere né l’una, né l’altra motivazione. La distruzione della speranza faceva quest’effetto? Se sì, allora era una benedizione perché avevo smesso di soffrire.



Vi ho fatto una piccola sorpresa! Cosa ne dite di Bella, finta smemorata per tutto questo tempo?
Aspetto vostri commenti, anche acidi se necessario...
Un abbraccio a tutte quelle che continuano a seguirmi!
Ven
   
 
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