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Autore: tp naori    14/09/2013    0 recensioni
questa è la storia della mia Estate, appena passata. forse e un'po sdrammatizzata. Ma era come volevo andasse la mia Estate. Quindi, lascio ha voi criticare.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nuova alba, nuovo giorno saluta il gallo gracchiante da qualche parte. Era un nuovo giorno, ed il sole splendeva più che mai. Come sempre, ero stato il primo ad alzarmi dalla mia branda. In campeggio non è come casa, quando esci la mattina appena sveglio. Vedi solo il grigio del palazzo di fronte, si qua è la e adornato da gerani e altri fiori finti in plastica. In campeggio l’unica cosa che vedi e il verde.

Verde era la quercia di fronte al nostro Bungalow, verde era il prato, verde erano le siepi che delimitavano il parcheggio del campeggio. Vicino al nostro Bungalow. E raro vedere fra l’altro, gente correre, e sudare in giro per quelle stradine. Eppure c’erano un sacco di uomini, di donne che correvano in giro. Ebbi anch’io la voglia di fare un salutare movimento mattutino. Afferrai i pantaloncini, un paio di scarpe. E via cosi, alla ricerca della mia Amata. Magari avrei fatto una bella figura, se Lei mi avrebbe visto correre. Insomma non sono palestrato, ma ho il mio bel fisico. Amo sudare, amo fare movimento. Non sono un tipo che ozia sul divano, insomma.

Il nostro amore era musica, non finiva mai. Lo diceva Jovanotti, deve per forza essere vero, no?!. Cantavo di gioia, il mio cuore palpitava. E si anche per l’andatura sostenuta della corsa. Ma dentro il mio Inferno, si stava placando. Non mi sentivo solo, non mi sentivo idiota o stupido. Che sono sinonimi, ma per definirli si usano parole diverse. Ero gioioso, ero felice, ridevo e cantavo in pineta. L’effetto, del mio canto venne aumentato di qualche decibel. Nel silenzio regnante in pineta.

Arrivai sudato sulla spiaggia, dopo una mezz’oretta buona di corsa. Il respiro fragoroso, i polmoni che si svuotano per poi riempirsi d’aria ha ritmo veloce. La saliva nella gola, quando si corre e si respira usando solo la bocca. Si ha questo effetto, il mio professore di ginnastica mi ripeteva quasi sempre che, dovevo respirare col naso quando correvo. Ed io, inesorabilmente non lo prendevo sul serio quel consiglio. C’era un gruppo di ragazzi, attorno ha una ragazza distesa sulla sabbia. Le loro voci conciate, arrivarono alle mie orecchie. Sembravano eccitati per qualcosa, mi avvicinai circospetto. Avvampai, quando capì che era Lei. E che quei pervertiti la palpeggiavano, senza pudore. Visto che Lei, non era in se. Sembrava svenuta, cosi docile, un tenero fagotto; ubriaco immagino. M’i avvicinai, la faccia scura e i pugni stretti, pronto ha difendere il mio amore. Da ogni patetico, pervertito Tedesco o Olandese che sia. Ero pronto ha tutto, una forza la mia sconosciuta sino ha quel momento. Non pensavo di poter provare cosi tanta rabbia. Alzai fiero il petto.

“allora, che state facendo” gli guardai uno ad uno, ha terra c’era un bastone di legno. Abbastanza grosso, da poterlo usare come una mazza. Lo presi da terra, spazzolando la sabbia via dal tronco. Me lo rigirai fra le mani, minaccioso più che mai. Quel gesto ebbe, l’effetto desiderato. Quei cinque ragazzi, sparirono spaventati. Come conigli nelle loro tane, quando sanno che arriva il grosso predatore. Conigli che non hanno, nessun sentimento di pietà verso una ragazza ridotta a quel modo. Abbandonai il ramo nodoso, trascinato sin li dalla corrente da chissà quale posto. Inginocchiandomi accanto ha lei, sprofondai nella sabbia con le gambe. Era fresca, la sabbia la mattina.

Aveva gli occhi chiusi e farneticava, dal suo alito capì che aveva bevuto troppo. Li pulì il viso, da qualche granello di sabbia depositatosi sulla sua guancia. Ebbi un moto di dolcezza nel farlo. Col palmo rivolto la sfiorai. Lei improvvisamente apri gli occhi, piangeva. La rassicurai, trovando parole di conforto.

“non e successo niente, tranquilla” le dicevo, mentre li mettevo un braccio intorno al collo. Alzandola di peso, dolcemente. Provai ha farla camminare, inciampo quasi subito. Quindi la ripresi, stavolta in braccio. Non provai nessun eccitamento, nel mettere una mano sulla sua coscia. Niente di niente, c’era Lei che doveva essere trasportata in un posto sicuro. Era questo il mio scopo, la mia missione. La pineta iniziava ad essere frequentata da molte persone, i mattutini che andavano in spiaggia. E quella visione, di me, con in braccio una ragazza. Li fece sorridere di malizia, chissà cosa avevano fatto quei due in spiaggia. Ehehehe. Solo io sapevo che non era successo niente.

Il primo problema, venne fuori quando arrivai al cancello che delimitava la pineta dal campeggio. Dove dovevo portarla?.

“dove abiti?” le domandai, sperando magari fosse abbastanza lucida dal dirmelo.

Vaneggiava, parlava di cose incomprensibili. Come può una ragazza bella come lei, ridursi in quello stato. Non me ne capacitavo, ancora. Non pensavo che fossi solo io ad avere dei problemi. Stavo percorrendo, il grande vialone quello che portava alla piscina. Quando sbuco dietro ad un albero, una sua amica.

“Vanessa, e tutta la sera che ti cercavamo” disse, notai dal suo tono la preoccupazione necessaria.

“lo trovata in spiaggia stamattina, cosi” dissi, senza essere interpellato.

Visto che la sua amica, al momento aveva solo occhi per Lei. Vanessa, che bel nome.

“l’avevo detto, di non bere cosi troppo” rispose la sua amica.

“c’e la fai, ha portarla dove dormiamo noi?” aggiunse.

Annui, potevo portare il suo peso leggero dovunque. Con quella scorta, portai Vanessa al suo Bungalow.

“comunque io sono Alessia” si presento la sua amica.

“Leonardo” mi presentai.

“allora Leonardo, giochi ha fare l’eroe o altro?” era una domanda, ne diretta, ma che non lasciava altra scelta se non le due opzioni. Sull’altro potevo anche lavorare di fantasia, ma sull’eroe..

“non lo so” dissi sincero.

Alessia, rimase ha bocca aperta in una smorfia davvero indecifrabile.

“siamo arrivati” disse poi.

Il loro Bungalow, il numero 9. Era una piccola residenza, come la mia. Parcheggiata affianco, c’era un Golf grigio. Una macchina da uomo, la mia mente lavorava frenetica. Cercava di carpire tutto il possibile, su Vanessa e la sua amica Alessia. Magari un giorno, mi sarebbe stato utile. Anche se non credo, che sapere certe cose. Mi aiuterebbero in una disputa, col l’eventuale ragazzo di Vanessa. Chiederlo, era troppo personale. Cosi mi limitai, ad trasportare il corpo di Vanessa dentro il Bungalow. Nulla di che, al suo interno. Tre letti, un bagno, e una cucina. Il minimo indispensabile per vivere, non c’erano particolari che lasciassero intendere niente. Solo tre valigie, hai piedi dei tre letti.

“mettila qui” disse Alessia, spostando dei vestiti su un letto.

“Alessia, sei tu” chiamo un’altra ragazza.

“si, ho trovato Vanessa” grido di rimando Alessia.

Vanessa ebbe una smorfia, di dolore.

“non la invidierò fra qualche ore” dissi, ridendo.

Rise anche Alessia. Lasciai quel dolce peso, su quel letto morbido. Alessia copri Vanessa, con una coperta presa da chissà quale parte di quel Bungalow. Era arrivato il momento, di andarsene.

“meglio che vada” dissi, guardando un’ultima volta Vanessa.

“rimani, che hai da fare?.” rispose Alessia.

“farmi una doccia, poi andare al mare credo” dissi.

“ci vediamo in spiaggia, allora” rispose Alessia, allargando le braccia.

“va bene” confermai, uscendo dal Bungalow cosi come ero entrato senza far rumore.

Chiusi la porta del numero 9, lasciandomi sfuggire un sospiro di sollievo. So come si chiama; Vanessa. Lo abbracciata, lo salvata. Posso solo essere orgoglioso di me. Si lo sarò.

Sognante camminai verso, il mio Bungalow. Afferrai accappatoio, shampoo, e un costume da bagno. Attrezzato cosi, andai verso le docce in comune. Erano spaziose, ci si poteva ballare dentro. E l’acqua era cosi fresca, mi lavai per bene. Pulendo via il sudore, e cosi facendo l’odore di Vanessa. Non volevo all’inizio, ma fra i due il profumo che prevaleva era quello del mio sudore. Non un bel odore, oserei dire.

Tornato al mio Bungalow, completamente pulito. L’unico mio pensiero, era su Vanessa. Su quei ragazzi, che probabilmente avrei rivisto in giro, fra quelle tende. Cosa gli avrei fatto?. Mi domandai; probabilmente nulla. Avrei lasciato scorrere tutto, come è giusto che sia. La vendetta, rende l’uomo più schiavo di se stesso. Di quanto non lo è già.

La mia famiglia, oramai il ragazzo di mia sorella. Sembrava farne parte. Era riunita su di un tavolo, sulla veranda. Stavano facendo colazione, mi aggiunsi ha loro. Mangiando sporadicamente, i cereali dentro il latte. Non avevo molta fame, volevo solo tuffarmi a mare. Lasciarmi accarezzare dal sale nell’acqua. Addormentarmi sulla sabbia al sole. Sembrava un ottimo piano.

E lo feci, cioè andai in spiaggia coi i miei. Pur rimanendo isolato, rispetto ha loro. Io mi stavo vivendo la mia di vacanza. Loro, ovvero la mia famiglia stavano vivendo la loro di vacanza. In apparenza diversa dalla mia. Io saltavo, loro oziavano, io correvo, loro dormivano. Differenti, sotto tutti gli aspetti. I miei affittarono per quei giorni di vacanza, un ombrellone con due sdraio. Decisi già da subito, di lasciare quelle comodità ad altri. Mi accontentavo della superficie calda della sabbia.

Sdraiandomi sopra di essa, grazie a un telo da spiaggia. Chiusi gli occhi per qualche istante, nel quale venni avvertito dai miei. Stavano andando ha farsi un bagno. Li feci OK con le mani, era tutto ok.

Il sole riscaldava il mio viso, godendo di quel calore. Da due parti, sulla schiena e sulla parte davanti. Spiro una leggera brezza, il rumore confortante veniva dalle basse onde che s’infrangevano sugli scogli. Bambini gridavano gioiosi, uomini e donne parlavano fra di loro. Ragazzi, camminavano a coppie sul bagna asciuga. Ed io come al solito, guardavo tutto. O meglio, avevo dato solo un’occhiata. Poi mi abbandonai al telo da spiaggia, e al sole abbracciandolo. Mi addormentai quasi subito, venni svegliato da mia sorella pochi minuti dopo. Tutta gocciolante, si affaccio verso di me. Bagnandomi un poco, mi provocava spesso. Cosi io, spinto da un moto goliardico, la presi in braccio. E la trascinai ha mare, sin dove l’acqua era alta abbastanza. Con mia sorella che gridava per tutto il tragitto, la lanciai di forza in acqua. Dopo questa mossa, pensavo di ritornarmene ha riva. Ma qualcosa mi blocco, mia sorella mi afferro per una spalla e, mi affogo con delicata forza. Senza che da me, venne opposta tanta resistenza. Schizzi di bambini ha largo, sembravano i nostri. I soliti giochi che si fanno in acqua. Salto fuori un pallone, il ragazzo di mia sorella. Lo andò ha prendere a riva. Giocammo per un buon quarto d’ora, ha pallavolo. Esibendoci in prove di atletismo niente male. Io arrancavo, saltavo, mi lanciavo in acqua per prendere quella dannata palla. Era una questione personale. Mi diverti un sacco, e dai visi dei miei due compagni di giochi. Sorridenti, non ero l’unico ha divertirmi.

Tornammo ha riva, quando le nostre dita delle mani iniziarono ha raggrinzirsi. I miei genitori, avevano fatto amicizia con i nostri vicini d’ombrellone. Tutto sommato erano simpatici, ha prima vista pensai. Eppure il figlio della coppia, l’avevo già visto quella stessa mattina. Era uno dei cinque, attorno ha Vanessa. La mascella mi si blocco, avevo la voglia proprio di saltarli al collo. Ovviamente, mi comportavo cosi solo perche credevo che, Vanessa fosse mia. Non era cosi, non ora, non in questo momento. E mi sentii stupido. Sdraiandomi sul mio telone, feci finta di niente. La sabbia era calda abbastanza, per sciogliere la tensione dei miei muscoli. Ripresi controllo di me, tramite il respiro lento e regolare. I bronchi in espansione, per poi passare al completo rilascio. Cosi passo la mattinata soleggiata, bagni in mare frequenti, e l’oziare tanto amato delle vacanze estive, e concesso, sui teloni da spiaggia. O per i non fanatici della tintarella, sotto gli ombrelloni. La mattina passo, rapida e veloce. Estendevo le mani verso il cielo, finche qualcosa ombreggio tutto. Quel qualcosa, era una persona. Ne riconoscevo solo i lineamenti. Socchiusi gli occhi, portandomi una mano sopra la nuca. Riconobbi Vanessa.

“possiamo parlare?” mi chiese, in fretta mi alzai.

Spazzolandomi i capelli, ora era alla stessa sua altezza. Anche se ripensavo, a quanto fosse liscia la sua pelle.

“di cosa” risposi, con tono molto gentile.

“di quello che è successo prima, ma non voglio parlarti qui” disse Vanessa, allontanandosi dalla spiaggia. Prendendo la direzione della pineta. Segui Vanessa, e per fortuna sia i miei che mia sorella non erano presenti. Non dovetti dare spiegazioni ha nessuno. Segui Vanessa, non che quella fosse la prima volta. Si fermo, in mezzo alla pineta. Dove una sgangherata panchina, incredibilmente stava in piedi. Si sedette proprio li, Vanessa. Attendendo che pure io, mi sedetti li. Non lo feci, rimasi in piedi. Proprio davanti ha lei.

“rischia di cadere da un momento all’altro” le dissi, al suo sguardo parecchio curioso.

Vanessa ebbe una reazione che nemmeno immaginavo, inizio ha ridere e anche forte. Toccandosi la fronte, la più bella risata che ebbi mai sentito.

“rischia…. di cadere….da un momento all’altro” scandì fra una risata e l’altra.

Attesi che finisse di ridere, di cosa mi volesse parlare non era quel granché di mistero. Probabilmente di quella mattina voleva parlare Vanessa. Che smise di ridere, e torno ha fissarmi intensamente.

Dritto-dritto negli occhi, senza esitare. Cosi di una purezza sensazionale, i suoi occhi erano dei bagliori splendidi. Dei diamanti lavorati finemente, dalla timidezza celata a mala pena dal suo carattere. Gli occhi raccontano, più di ogni altro discorso. Come ha dire, che non mentono mai. Deglutì per quell’intensità di sguardo.

“senti Leonardo, stamattina ero..”

“non sono nessuno, per meritare le tue scuse. Per cosa poi, non ha importanza.” la bloccai, non pretendevo le sue scuse. Infondo per lei potevo essere chiunque, ma ero Leonardo. E mi chiamo cosi Vanessa, la cosa sensazionale era che sapeva il mio nome. Lei sapeva il mio nome.

“volevo solo ringraziarti” osservo Vanessa, seria, quasi offesa.

Fu il mio turno di ridere a crepapelle.

“sono troppo affrettato ha volte” imbarazzato dissi, spettinandomi i capelli a mo’ di scusa.

“nessuno te lo ha mai detto?!” rispose Vanessa, sarcastica.

Ridemmo assieme, nel silenzio che regnava in pineta.

“volevo dirti grazie, sul serio Leo. Se non ci fossi stato tu, probabilmente..” non riuscì ha finire la frase Vanessa. Meramente pianse, raccolsi una sua lacrima sulla guancia. Mi sorprese Vanessa, mettendomi le braccia attorno al collo. Rimanemmo cosi attaccati, sembro durare tutto un’eternità. Fino ha che, Vanessa sciolse quell’abbraccio. Asciugandosi le sue lacrime, con il palmo della mano.

“grazie. Davvero.” aggiunse Vanessa, baciandomi sulla guancia. Per poi dileguarsi nella pineta, resistetti all’impulso di seguirla. Perche era giusto cosi, lasciarla sola era meglio. Sentivo proprio che la mia presenza non fosse necessaria.

Tornai in spiaggia, accarezzandomi la guancia. Proprio li dove Vanessa, mi aveva baciata. Disteso, sul telone da spiaggia. Osservai la gente divertirsi nel mare, affondai i piedi nella sabbia calda. Rannicchiato con le ginocchia sul mento. Arrivo mia sorella e il suo ragazzo, mi trascinarono a riva con il pallone. Sulla battigia giocammo a pallavolo, passaggi sbagliati, cadute gravose sulla sabbia.

E poi un bel bagno a largo, sott’acqua c’era un altro mondo. Quanto avrei voluto una maschera e un boccaglio. Sarebbe bello esplorare gli abissi, chissà che tesori ci fossero nascosti la sotto la sabbia.

Giovane esploratore, senza esperienza cerca tesoro millenario. Ah l’illusione d’essere ciò che non sei.

Venne mezzogiorno, e il mio stomaco reclamava un pasto abbondante. Succedeva spesso, di solito quando la mattina andavo ha correre. Non era una novità, nemmeno per i miei. Cucino abbondante mia madre, raddoppiando le porzioni di pasta al sugo. Il classico cibo di chi va in campeggio, pasta ha mezzogiorno, carne o pesce alla sera, o molto semplicemente una bella salutare insalata.

Ci proviamo, ci proviamo, speriamo, preghiamo per avere successo. Ma niente e scritto, e non è detto che c’e la facciamo. E questo, semplicemente e questo, sei tu.

Mi giri in testa, mi fai provare pene, come se io non fossi abbastanza. Allora scavo nelle mie memorie, ti trovo li. A sorridermi, tu, solo tu nell’ombra della mia solitudine attorno. So che e difficoltoso, non sarà certo una passeggiata. Giorno dopo giorno, vedrai spererai ancora in qualcosa che hai perso da tempo. Vivrai, perdendo la tua tristezza io lo so. Ed e per questo che Vanessa, passeggiavo per il campeggio subito dopo mangiato, alla tua ricerca. Qualcosa in me era scattato, credevo ancora. Le vie sterrate si assomigliavano, tende canadesi, caravan, roulotte, camper. E i campeggiatori biondi sembravano tutti uguali, cresciuti nelle stesse identiche famigli, coi stessi valori, col le loro tristi esistenze. Del Patos in me, reso dai miei pensieri riguardo Vanessa.

La trovai, in piscina nel pomeriggio presto. Era seduta su di una sdraio, fumava stancamente una sigaretta. Si allungava la sigaretta, dalla mano alla bocca. Aspirando, un lieve respiro. Prima di liberare il fumo, con un semplice sbuffo. Era sola, distesa in costume da bagno sulla sdraio. Fissava i giochi di luce dell’acqua, come se dentro ci fosse la risposta ha tutto. Era cosi intensa, nel suo scrutare quei giochi di luce. Come piccole pepite d’oro, che galleggiavano sull’acqua limpida della piscina. Non si è mai vista una piscina, con l’acqua scura. E per via di quel tanto cloro che ci mettono dentro. Ne buttano di più in quell’orario, quando nessuno può fare il bagno perche si è appena finito di mangiare. L’ambiente desolato, e privo delle grida gioiose dei bambini che si tuffavano in acqua. Uno spazio vuoto, c’eravamo solo io e Vanessa. Io ero li per lo stesso suo motivo, avevo mille pensieri. E nulla, sembrava aiutarmi più dello sdraiasi a bordo piscina su una sdraio, e osservare i giochi di luce sull’acqua.

 

   
 
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