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Autore: crazyclever_aveatquevale    14/09/2013    4 recensioni
Dalla storia:
La prima volta che Arthur e Merlin andarono in campeggio avevano otto anni. Un pomeriggio di maggio fecero sedere i genitori di entrambi sul grande divano di casa Pendragon e presentarono la loro richiesta di dormire da soli in un bosco, dentro le tende e riscaldati dal fuoco – Come i veri cavalieri! aveva detto Arthur – dato che ormai, alla veneranda età di otto anni, erano grandi.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Salve, gente!
 
Ancora un po’ (tanto) scombussolata per il ritorno a scuola – non so se essere felice o disperarmi del fatto che sia l’ultimo – approfitto di un’oretta di libertà per aggiornare!
 
Grazie tantissimo a Lucylu e misfatto per le recensioni e a chi preferisce e segue questa fic!
 
Stiamo più o meno a metà della storia, e ho scoperto che adoro l’UST, quindi magari i capitoli saranno sei e non cinque, perché mi sono venute un altro paio di idee! Ok, vi lascio al capitolo!
 
DISCLAIMER: L’Asino Reale, l’Idiota e tutta la combriccola non sono miei; non scrivo a scopo di lucro ma solo per puro piacere personale.

 

 
Di campeggio, stelle e primi baci

Capitolo 3

Dopo aver passato più di un’ora in acqua a schizzarsi e giocare a pallone, i ragazzi decisero di uscire, per evitare che spuntassero loro le branchie. Morgana, Gwen e Lance si stesero a riva, dicendo di voler prendere il sole – in realtà solo Morgana prendeva il sole, perché i due piccioncini non facevano altro che abbracciarsi e tubare. Tutti gli altri, invece, si recarono nelle rispettive tende a cambiarsi.

Quando uscì, Merlin chiese a Leon, che stava già posizionando le pietre per il falò, dove fosse finito Gwaine, che si era dissolto subito dopo essersi messo un paio di pantaloncini. Arthur arrivò appena in tempo per sentire Leon rispondere, tranquillamente, «Gwaine e Percy sono andati nel bosco a raccogliere la legna»; bastò questa frase per far capire ad Arthur che non avrebbero avuto legna per le prossime tre ore buone. Sperando che siano qui almeno per l’ora di cena: ci rimangono solo sei panini.
Merlin, d’altro canto, fece spallucce e preso un libro dei suoi, si diresse sotto la più grande quercia al limitare della loro radura e lì si estraniò dal resto del mondo.

Per la prima mezz’ora.

Dopo un po’ si accorse che Arthur e Leon avevano montato un cesto su di un faggio e stavano giocando una partita uno contro uno a basket. La sua attenzione fu immediatamente calamitata dalla canotta di Arthur, indecentemente appiccicata al petto del ragazzo per il sudore, e il libro si chiuse senza nemmeno che se ne fosse accorto. Una voce lo fece trasalire. «Avevi detto che te la saresti fatta passare, Merlin» lo accusò Lance, sedendosi affianco a lui. Merlin sorrise, un sorriso triste.

«Che devo dirti, Lance? Non ci riesco. Ci sono volte in cui penso di avercela fatta ma poi lo vedo e il cuore continua a bloccarsi… Al campeggio, poi, è ancora più difficile».

«Come mai?»

«Ah, no, nulla… sono solo ricordi…»

«Forse sembrerò ripetitivo, ma perché non glielo dici?»

«Andiamo, Lance, già gli faccio schifo perché sono gay, se gli vado pure a dire che ho una cotta per lui mi prenderà in giro e dopo non vorrà più vedermi»

«Non usare il tono da funerale, Merlin. Perché dici che gli fai schifo? A me non sembra!»

Merlin tentò di rimanere impassibile, mentre diceva «Ha chiesto lui a Percy di condividere la tenda, ho sentito Percy che lo diceva a Gwaine», ma faceva dannatamente male.

Lance lo abbracciò, tentando di confortarlo, ignorando che in quel modo Merlin si sentiva ancora peggio, perché gli veniva da piangere. Perciò fu grato a Gwen quando richiamò il suo uomo, invitandolo a raggiungerla perché doveva metterle la crema. «Vai, cavaliere» lo esortò, con un gran sorriso, questa volta sincero.

Non appena Lance si fu allontanato, e lui ebbe ricominciato a leggere il suo libro, ecco che un boato proprio sopra la sua testa lo fece saltare in piedi, allarmato. Quando vide un pallone da basket poco lontano dai suoi piedi, e sentì la risata di Arthur, capì che il terremoto era stato causato da un tiro di quell’asino, e non si fece scrupoli a dirgliene quattro. «Stupido equide ragliante – iniziò, furente – fai più attenzione! Questa quercia ha almeno duecento anni, ha resistito a non si sa quali intemperie e calamità naturali e poi arrivi tu e… Avresti potuto distruggerla! Senza contare che lì sotto c’ero anch’io, e avresti potuto farmi del male!». Ignorò il ghigno di Arthur, che lo prendeva sempre in giro per il suo animo ambientalista, e riprese a leggere.

Dopo poco, però, fu costretto a fermarsi di nuovo, poiché aveva sentito degli strani cinguettii alla sua sinistra. Giratosi, notò un nido che prima sicuramente non c’era e, al suo interno, quattro piccoli uccellini marrone scuro. Quegli uccellini gli ricordavano una foto che aveva visto in un libro sulle specie di animali che aveva da bambino, una foto di uno scricciolo. Da bambino ne era rimasto affascinato, perché “Scricciolo” era il soprannome che gli avevano dato i suoi, data la sua corporatura minuta e i capelli scuri.

Prese il nido con le mani a coppa, e si meravigliò di come apparisse compatto. Guardò in alto e solo allora si rese conto che doveva essere stato proprio Arthur con la sua pallonata ad aver fatto cadere il nido. Immediatamente, da persona empatica che era, si sentì in obbligo di riportare il nido più o meno dov’era, sperando che la madre li riconoscesse e continuasse a nutrirli, considerato che i piccoli erano affamati e che chiaramente non erano in grado di cavarsela da soli.

Si trovò, quindi, a scalare l’albero. Per sua fortuna la quercia, essendo piuttosto vecchia, aveva molti rami solidi che potevano reggere tranquillamente il suo peso, e gli davano abbastanza stabilità da potersi fermare ogni tanto per controllare il nido. Arrivato in cima, trovò quella che probabilmente doveva essere l’ubicazione originaria del nido, un incavo non molto profondo tra due rami corti ma piuttosto larghi. Posizionò dunque il suo tesoro, che fino ad allora aveva tenuto stretto al petto per trasmettere un po’ di calore corporeo ai piccoli, e si apprestò a scendere, ma, guardando in basso, fu colto da un’improvvisa vertigine e fu costretto a chiudere gli occhi.

Perfetto. Ora era bloccato da solo su una quercia. Maledette vertigini. E dire che il panorama non gli faceva nulla, anzi il lago da un lato e il bosco dall’altro erano così catartici… Ma non poteva restare lì per sempre! Che fare? Pensò di girarsi e scendere lungo la strada fatta per salire, ma improvvisamente non ricordava più il percorso compiuto; poi considerò di gridare per chiedere aiuto, ma aveva paura di spaventare mamma scricciolo e allontanarla per sempre dai propri cuccioli, e scartò anche questa ipotesi. D’un tratto, l’illuminazione: il telefono! Come aveva fatto a non pensarci prima?? Con non poche difficoltà lo prese dalla tasca e compose un numero che sapeva a memoria. Non dovette aspettare nemmeno un secondo.

«Che vuoi, Merlin? Sono nella tenda. Non potevi venire a parlarmi qui? Senti, se devi ancora ripetermi quanti anni abbia quella dannatissima quercia e tutti i danni che provoco all’ambiente giuro che riattacco e vengo lì e ti prendo a pugni!»

«Asino, smettila di ragliare a vanvera! Non è che potresti venire a prendermi? Sono sulla quercia»

«Cosa sono diventato, il tuo schiavo? Da lì al campo saranno non più di trenta passi, puoi farcela benissimo da solo!» Nonostante questo, però, si avviò comunque verso il limitare del bosco, tentando di scorgere la chioma corvina dell’amico.

«Ma sei scemo o cosa? Non sono ai piedi dell’albero, sono SOPRA l’albero! Per questo mi serve il tuo aiuto, asino!»

«Smettila di chiamarmi asino, idiota! Sono qua sotto, comunque. Toh, le tue orecchie si vedono anche da qui! Come ci sei salito fin lassù??»

«Stavo aiutando una nidiata di scriccioli che qualcuno aveva fatto cadere dall’albero, e da per terra non avrebbero mai e poi mai ritrovato la loro mamma!»

«Come sei sentimentale, Merlin! In natura gli animali devono imparare a cavarsela da soli!»

«Si, ma non è stato a causa della natura che sono caduti, quanto piuttosto di un biondo esibizionista e incosciente» Merlin si stava decisamente arrabbiando «Vuoi per favore aiutarmi a scendere, testa di fagiolo che non sei altro??»

Arthur sospirò con fare drammatico, ma accettò comunque l’impresa e iniziò l’ardua scalata. La quercia sembrava fare di tutto per ostacolarlo: ogni pochi secondi un ramo lo colpiva sul viso, la corteccia su cui erano ancorati i suoi piedi si sfaldava e cadeva («Arthur, che combini?? La stai rovinando tutta!») e l’albero sembrava divenire sempre più alto man mano che saliva. Finalmente, con gran fatica, riuscì a raggiungere la meta: Merlin era appollaiato su un ramo, incredibilmente tranquillo e osservava con fare compiaciuto una mamma-uccello che nutriva i propri piccoli con degli orribili vermi.

«Se avessi tenuto i capelli lunghi avrei potuto aggrapparmi a quelli per salire più agevolmente lungo questa schifosissima pianta» disse, per attirare la sua attenzione. L’amico, abituato alle frecciatine, non si degnò nemmeno di girarsi per rispondergli: «E magari avrei potuto tenerli legati in una treccia, eh, Arthur? Io sono maschio, in caso te ne fossi dimenticato!». Questo gioco andava avanti ormai da anni, ma si divertivano a ripeterlo ogni volta, con Arthur che stuzzicava Merlin e lui che un po’ faceva finta e un po’ no di prendersela.

Arthur scoppiò immediatamente a ridere, immaginandosi la scena di Merlin che si spazzolava i lunghi capelli e ci faceva una treccia stile Raperonzolo, e Merlin alla fine si unì a lui, soprattutto quando lo vide ricoperto di rametti e foglie sparse. Poi il moro si zittì, pensieroso. Quando riaprì la bocca per parlare, Arthur si aspettava come minimo una sequela infinita di ringraziamenti; invece l’amico non trovò nulla di meglio che dirgli, in tono arrabbiato: «Arthur, testa di fagiolo, dov’è la corda? Che ci fai quassù senza?»

«Corda? Quale corda?» chiese Arthur, sinceramente sbigottito.

«Cioè, fammi capire: io ti dico che sono rimasto bloccato su un albero e tu non hai idea migliore che venire quassù a farmi compagnia? Che gesto carino, grazie Arthur, ma ora mi spieghi come facciamo a scendere di qui?»

Arthur guardò in basso e si rese conto che magari Merlin aveva ragione, questa volta. Tuttavia, una cosa ancora non gli era chiara: «E la corda che c’entra?»

Merlin alzò gli occhi al cielo. «Se qualcuno si trova in un posto in alto e non riesce a scendere, la cosa più utile da fare è dargli i mezzi per farlo scendere da solo, come una scala, che qui non abbiamo, o una corda! Abbiamo portato le corde per giocare a tiro alla fune, ricordi?»

«Io non ho bisogno di una corda per scendere da qui, Merlin! Sono perfettamente in grado di tornare giù!» Mai che si dicesse che Arthur Pendragon non fosse capace di fare qualunque cosa!

«E riesci a farlo portando me? Perché io sono completamente terrorizzato dal pensiero di cadere, e sono troppo goffo per non farlo, da solo!»

«Ma a salire ci sei riuscito!»

«Che vuol dire? DOVEVO riportare qui quegli uccellini, ero responsabile per loro!»

«Merlin, continuare ad affannarti così per l’ambiente è completamente inutile, nonché pericoloso!»

«Non capisci niente, vero, Arthur? È grazie alla natura se abbiamo la vita, io la ringrazio comportandomi in questo modo, proteggendo l’ambiente, per quanto posso!»

«Lo so, lo so, avremmo fatto questa discussione un milione di volte… Tanto non mi convincerai mai ad essere vegetariano! O a controllare che gli animali che mangio siano morti per cause naturali, come fai tu! Dai, aggrappati a me che ti porto giù».

Merlin gli appoggiò una mano sulla spalla, e Arthur gli avvolse un braccio intorno alla vita, per farlo girare in modo da reggersi all’albero, senza sbilanciarsi troppo indietro. Lentamente, passo dopo passo, cominciarono la discesa.

Erano più o meno a metà strada, all’incirca ad un paio di metri da terra, quando accadde quello che non doveva succedere. Nonostante la goffaggine di Merlin, fu Arthur, impegnato a controllare quanto fossero distanti da terra, a mettere un piede in fallo, caricandosi con tutto il peso sull’amico. Il moro, preso alla sprovvista, si appoggiò al ramo che aveva più vicino ma questo si ruppe, non potendo reggere il peso di entrambi, prima che Arthur avesse la possibilità di ritrovare un appiglio. I ragazzi, quindi, si ritrovarono a cadere. Fortunatamente, non erano molto in alto, ma l’impatto fu piuttosto doloroso, soprattutto per
Arthur, che si ritrovò schiacciato tra il duro terreno e le membra ossute di Merlin, finitogli poco elegantemente addosso.

Non appena riaprì gli occhi che aveva istintivamente chiuso, lamentandosi per il dolore alla schiena e alle ginocchia, Arthur vide subito buio, e si preoccupò, temendo un qualche problema al cervello. Subito dopo, però, si accorse che il nero si muoveva, ed era composto da tanti piccoli fili scuri, che identificò essere i capelli di Merlin quando una mano ossuta li scompigliò; vide Merlin alzare la testa e continuare a massaggiarla, probabilmente perché l’aveva sbattuta, e poi fu rapito da due enormi pozze azzurre che lo scandagliavano, preoccupate per lui.

Merlin si alzò quel tanto che bastava per non gravare su Arthur, mentre controllava che l’amico non avesse nulla di rotto. Arthur ne approfittò per fare lo stesso. Finita l’indagine e non avendo trovato contusioni gravi, il moro si dedicò a guardarlo in faccia con un sorriso canzonatorio, sapendo che Arthur riusciva a capire appieno il messaggio implicito Visto? Sei stato tu a farci cadere! senza la necessità di dirlo ad alta voce, per non giocare troppo con la sua mortificazione.

Vide Arthur mordersi le labbra più e più volte, mentre tentava di pronunciare quella piccola parola di cinque lettere che gli pareva tanto difficile da dire.

«L’atterraggio non è stato dei migliori, ma almeno siamo scesi. È questo che conta, no?» Merlin rise ad alta voce per un po’ e poi, chinatosi su di lui per non farsi sentire dagli altri (e proteggere il tanto decantato orgoglio Pendragon), gli sussurrò «Accetto le tue scuse Arthur, e grazie mille per avermi aiutato».

Ad Arthur balzò il cuore in gola. Solo allora si rese effettivamente conto che Merlin era ancora bellamente sdraiato su di lui e questo era il contatto maggiore che avevano avuto da… più o meno… dieci anni. Con suo sommo orrore, sentì una specifica parte del proprio corpo reagire alla presenza dell’altro, e soprattutto al fatto che Merlin lo stesse ancora fissando, con gli occhi luminosi e un sorriso complice… Doveva assolutamente alzarsi di lì, prima di fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito!

La scusa gli arrivò insieme agli altri, al sopraggiungere dei quali entrambi si alzarono in piedi, imbarazzati. Furono immediatamente circondati dagli amici, che si erano preoccupati per il frastuono che avevano provocato cadendo. Da dietro la quercia comparvero anche Gwaine e Percy, scarmigliati e affannati, accorsi per la medesima ragione, portandosi dietro due grossi rami e altri ceppi più piccoli. «Su, accendiamo il fuoco, così questi due potranno raccontarci come diamine hanno fatto a cadere da un albero, -  scherzò Gwaine – Come due pere troppo mature!», scatenando come al solito, teatrali sospiri e risate. Leon, il più vicino a lui, gli rifilò un meritatissimo scappellotto dietro la nuca, con l’approvazione di tutta la comitiva.

Sull’albero, intanto, gli scriccioli cantavano: stavano raccontando alla mamma della loro gita fuori porta e di quegli enormi uccelli tutti spelacchiati, che erano grandi grandi ma non sapevano nemmeno volare, che li avevano riaccompagnati a casa.
 
 
 

Crazy's corner

Se c'è qualcosa che non mi è mai piaciuta è il nome “Raperonzolo”: sarà pure un bel fiore, ma non mi piace affatto, preferisco la versione “Rapunzel”. Tuttavia, in inglese viene associato più al cartone della Disney che alla favola dei fratelli Grimm e non volevo creare incomprensioni!

Vi lascio con l’immagine dello scricciolo;)

http://www.montiernici.com/files/a_u_i_scricciolo_nido_178.jpg

A presto!
Crazy

  
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