Ciao a tutte e buona Domenica!
Come sono andati i primi giorni di scuola? Spero
bene, ragazze XD oggi per distrarvi dal pensiero che domani dovrete tornarci vi
lascio questo nuovo capitolo :D
Non mi perdo troppo in chiacchiere, vi
lascio quasi subito alla lettura… solo, vi lascio il link del mio gruppo
personale su Facebook: siete tutte invitate a farci un salto, mi farebbe molto
piacere ritrovarvi anche qui ;)
Se il tempo mi da una tregua e non fa
saltare la corrente – antipatico! -.-‘ – risponderò in giornata alle recensioni
dello scorso capitolo, siete state come sempre tanto dolci e carine *-* grazie!
Ci sentiamo al prossimo aggiornamento, che
prometto arriverà presto ^-^ un bacione a tutte! Smack!
Capitolo
24
Suonai
al citofono dopo aver trovato il pulsante corrispondente all’appartamento di
Angela. Mentre aspettavo una risposta, abbassai lo sguardo e lo portai sulla
figura di Allie, che si guardava attorno tutta incuriosita.
Quel
giorno, la sua amichetta Jenny festeggiava il compleanno ed aveva invitato le
sue compagne di asilo per stare tutte quante insieme; la festa, da quel che mi
aveva detto Angela, sarebbe durata tutta la mattina e tutto il pomeriggio, fino
all’ora di cena. Poi, avrebbe spedito suo marito Ben a fare il servizio taxi ed
a riaccompagnare le bambine a casa, una per una…
Lei sì
che sapeva come sfruttare il suo uomo!
Sarei
rimasta un intera giornata senza la mia piccola brontolona, senza sentire la
sua voce e la sua risata mentre giocava o combinava un nuovo pasticcio… delusa?
No, affatto!
Per
quanto volessi bene ad Allyson, per quanto la amassi, avevo bisogno di passare
qualche momento da sola, a fare quelle cose che solo i grandi potevano fare… e
per di più, Edward sembrava aver organizzato qualcosa per questa giornata,
perché mi aveva fatto promettere che lo avrei raggiunto non appena ‘avessi
mollato la marmocchia da Angela’.
Ero
curiosa di scoprire cosa avesse in mente, e per questo motivo volevo che Angela
si sbrigasse ad aprirmi: ero impaziente di raggiungerlo e di vedere con i miei
occhi cosa mi aspettava, e volevo anche confessargli ad alta voce i miei
desideri.
Magari
erano identici ai suoi, ma non potevo saperlo!
Finalmente,
il portone si aprì e contemporaneamente sentii la voce della mia nuova amica
provenire dal citofono. «Terzo piano, la
porta è già aperta!» disse, trafelata.
«Bene!
Sentito, amore? Andiamo!» mi rivolsi a mia figlia, e poggiandole la mano sulla
schiena la sospinsi verso l’atrio del palazzo.
«Mamma,
non ci voglio andare.» mormorò piano, stringendosi contro la mia gamba mentre
mi prendeva per mano.
La
guardai, sospettosa. «Perché no? Ci sono tutte le tue amiche, potrete giocare
tutte quante insieme, e poi c’è la torta!» quale bambino in questo mondo
rifiutava una torta di compleanno? Specialmente lei, che era golosa da non
crederci! «Abbiamo persino il regalo per Jenny, non vuoi portarglielo?»
«Mi
vergogno!» insisté, muovendo le braccia avanti e indietro.
Ah,
adesso capivo.
«Ma non
devi, sarà come stare a scuola! Solo che con voi ci sarà la mamma di Jenny e
non la signorina Worowitz…» sbuffai, non riuscendo più a trovare qualcosa da
dire per poterla convincere. Alla fine, mi inginocchiai davanti a lei e le
pettinai tra le dita i boccoli biondi che le scendevano sulle spalle. Adoravo i
suoi capelli, così lucidi e chiari… «Senti, amore, facciamo una promessa?»
«Che
promessa, mamma?»
«Adesso
andiamo di sopra, da Jenny, poi la mamma va via e tu resti qui insieme alle
altre… e se poi ti annoi, o non vuoi più stare qui, mi chiami ed io ti vengo a
prendere; la mamma di Jenny ha il mio numero. Va bene?» le sorrisi,
carezzandole i capelli ancora una volta.
Allie,
soppesando le mie parole, arricciò le labbra per qualche secondo e alla fine
sorrise, annuendo forte con la testa. «Va bene! Devo portargli il mio regalo
delle principesse!» urlò, afferrando la busta che tenevo io in una mano.
«Sssh,
non urlare! Potrebbe sentirti e allora la sorpresa si rovinerà!» esclamai,
ridendo. La abbracciai, baciandole la guancia. «Andiamo di sopra adesso, ci
staranno sicuramente aspettando!»
Il
tempo di salire le due rampe di scale – chissà come mai, ma a mia figlia
piaceva un sacco salire le scale – e ci trovammo di fronte all’appartamento di
Angela, da cui provenivano un sacco di voci e di urla. La festa doveva essere
già in pieno svolgimento.
«Si
può?» dissi ad alta voce non appena fummo dentro. Sbirciai da una entrata ad
arco e mi ritrovai in salotto, pieno zeppo di bambine urlanti e che correvano
in ogni direzione. Cominciai a ridere nel riconoscere una esasperata Angela
che, nel mezzo, cercava di farle stare tranquille.
«Ah,
Bella, sei arrivata!» la mia amica trovò in me una sorta di ancora di salvezza,
venendo dalla mia parte. «Ciao, Allyson!»
«Abbiamo
portato un regalino per Jenny.» dissi, porgendole la busta rosa tutta ricoperta
di brillantini.
«Oh,
grazie! Non dovevate disturbarvi.»
«È una
festa, e in una festa ci vogliono i regali.» risi. «Amore, vuoi andare a
giocare insieme alle altre?» domandai poi, rivolgendomi alla bambina.
«Sì!
Sì!» urlò, e mi lasciò giusto il tempo di toglierle la giacca prima di scappare
via, unendosi alla banda di piccole casiniste che affollavano quella parte
della casa.
«Oh,
Dio, non arriverò viva a stasera!» squittì Angela, preoccupata.
«Sono
solo bambine…» le feci notare, alleggerendo un poco la questione.
«Rettifico:
demoni travestiti da bambine! Prendi
qualcosa prima di andare via? Non lasciarmi da sola con loro prima di qualche
minuto, per favore!»
«Ma… e
Ben?» chiesi; in effetti, non mi sembrava di aver visto una figura maschile in giro
per casa.
Lei
sbuffò, incamminandosi fino ad entrare in cucina. «Se l’è data a gambe, come ha
saputo che la festa sarebbe durata tutto il giorno ha organizzato una giornata
allo stadio insieme ai suoi cugini… ah, ma stasera non sa che deve
riaccompagnarle tutte a casa! Se lo merita!» mi spiegò, versando del succo di
frutta in un bicchiere con così tanta foga da rischiare di farlo cadere sulla
tovaglia. «Vuoi un biscottino? O una fetta di dolce? Mia madre ha preparato
così tante cose… fortuna che c’è lei qui ad aiutarmi!»
Scossi
la testa, accettando il bicchiere di succo. «No, grazie, va bene così. Resto
solo qualche minuto, Edward mi sta aspettando…»
Angela
fermò i suoi movimenti e prese a fissarmi con occhi attenti, gli occhiali le
erano scesi lungo il naso e la facevano sembrare una maestrina delle
elementari. «Edward, eh? Come vanno le cose tra di voi?»
Sorrisi.
«Benissimo, è tutto perfetto. Non potrebbe andare meglio.»
Sorrise
anche lei, sistemando alcuni dolcetti su di un vassoio. «Sono contenta! A
quando le nozze?»
Feci
una smorfia. «È troppo presto per parlare di matrimonio, stiamo insieme da… sei
mesi appena. È decisamente presto.»
«Okay,
capisco… ma informami quando accadrà.» disse, facendomi l’occhiolino.
Alzai
gli occhi al cielo, poi posai il bicchiere vuoto sul tavolo e mi sistemai la
borsa sulla spalla. «Devo andare, saluto Allyson e…»
«Vengo
con te, così non sarò da sola ad entrare nella tana dei lupi!» borbottò,
afferrando il vassoio carico di pasticcini e venendo con me.
Una
volta in salotto, impiegai due minuti buoni per attirare l’attenzione di mia
figlia, e lei invece ci mise solo due secondi per dirmi ‘ciao!’ e per salutarmi
con un bacio frettoloso sulla guancia, troppo entusiasta di tornare a giocare
con le sue amichette.
Sorrisi,
guardandola: ero sicura che non mi avrebbe chiamato per farsi venire a
prendere… anzi, se lo faceva era solo per chiedermi se poteva rimanere di più
in quella casa.
Lasciata
Allyson ai suoi giochi e divertimenti, risalii in auto e guidando più veloce di
quanto facessi solitamente mi impegnai a raggiungere casa di Edward, sul
lungomare di Los Angeles. Immaginavo già le splendide giornate estive che
avremmo potuto trascorrere insieme, io, lui e Allie, spaparanzati al sole
oppure immersi nell’acqua dell’oceano a giocare…
Ma
adesso, quello che mi premeva di più era scoprire e immaginare cosa aveva in
mente il mio ragazzo per quella giornata.
Gli
avevo mandato un sms avvertendolo che stavo per arrivare, e lui aveva risposto
con un semplice ‘okay’ e con uno smile decisamente innocui ma che non mi
avevano convinta del tutto. Secondo me, lui non aveva nulla di innocuo in
mente…
Schioccando
la lingua contro il palato, osservai la strada e all’incrocio giusto girai a
sinistra, scorgendo facilmente la palazzina dove dovevo andare. Una volta
arrivata, parcheggiai al primo posto libero e mi affrettai a scendere per
entrare. Eravamo nel mese di Febbraio e non faceva poi così freddo per essere
inverno, ma era umido e tirava un po’ di vento; preferivo stare dentro casa che
fuori.
Usando
le chiavi che Edward mi aveva messo a disposizione, aprii il portoncino e
prendendo l’ascensore salii fino all’ultimo piano. Arrivata, aprii anche la
porta del suo loft e non feci in tempo ad entrare e a richiuderla che lui già
mi aveva imprigionata tra le sue braccia, stringendomi a sé e depositandomi un
bacio sul collo.
«Eccoti
qui, piccola. Eccoti qui.» mormorò, dondolando sul posto.
Sorrisi,
lasciando cadere le chiavi a terra per poterlo abbracciare, e per poter
immergere le mani nei suoi capelli, che scoprii erano umidi: doveva aver fatto
da poco una doccia. «Sono qui, piccolo.»
Scostandosi,
Edward mi guardò in viso e mi regalò per un breve istante il suo sorriso
sghembo, quello che amavo da morire e che mi faceva sciogliere ogni volta.
Poggiò le mani sulle mie guance e avvicinò il viso al mio, baciandomi piano la
bocca.
Non
c’era nulla di malizioso in quel bacio, nulla di sconcio o chissà cos’altro:
era dolce, dolce e sincero. Ci scambiammo quei baci piccoli e a fior di labbra
per non so quanti minuti, interrompendoci di tanto in tanto solo per poterci
guardare negli occhi prima di ricominciare.
«Potrei
baciarti così tutto il giorno.» mormorai, aggrappandomi al suo collo.
«Io anche
per tutta la vita, potrei vivere soltanto grazie ai tuoi baci.» soffiò sulle
mie labbra prima di depositarci l’ennesimo bacio della mattinata.
Risi,
scuotendo la testa. «Ma come siamo romantici oggi!»
«Ehi,
io sono sempre romantico!» esclamò, difendendosi.
«Sì sì,
immagino.» risi ancora, allontanandomi per potermi liberare di giacca e borsa:
ero qui da almeno una ventina di minuti e ancora non ero riuscita a farlo.
«Allora, cosa avevi in mente di fare in questa lunga giornata da soli?»
«Giusto,
non ti ho ancora spiegato il mio piano.» Edward mi raggiunse e si appoggiò allo
schienale della poltrona, mentre mi osservava posare la borsa sul divano. «Ho
intenzione di deliziarti con un bel pranzetto, totalmente preparato da me, e
poi potremmo occupare il pomeriggio in un altro mod-uh!» si interruppe,
improvvisamente. «Bella, ma che…»
«Che
c’è?» domandai, lanciando sul divano la giacca di cui mi ero finalmente
liberata.
«Ti…
eh… hai il reggiseno in bella mostra, tesoro.» gorgogliò, schiarendosi la gola
senza distogliere lo sguardo.
Abbassai
gli occhi, portandoli sulla camicetta che indossavo: era bianca, semplice, e
lasciava intravedere il mio intimo nero che indossavo al di sotto di essa. Lo
avevo fatto apposta a vestirmi in quel modo, ad essere sincera… e per fortuna
che Edward non riusciva ad intravedere meglio com’era fatto.
Avrebbe
avuto una bellissima sorpresa più tardi, se le cose andavano come speravo.
«Non…
non ti piace?» domandai, tornando a guardarlo.
«No,
cioè sì! Mi piace, è… nessuno ti ha vista vestita così, vero?» chiese,
cambiando tono di voce improvvisamente.
«Ahahah,
no! Mi hai vista solo tu, e Allyson, tranquillo.» Edward era geloso, non era la
prima volta che mi faceva capire che lo fosse, ma era sempre bello, da una
parte, vedere quanto fosse protettivo nei miei confronti. «Posso aiutarti a
cucinare?»
«Devi aiutarmi, amore, altrimenti non c’è
gusto.»
Per
l’ora seguente ci divertimmo a cucinare insieme, anche se erano più le cose che
faceva Edward invece di quelle che preparavo io. Aveva preso alla lettera il
suo compito di cuoco e mi spiegava ogni passaggio del piatto che stava
preparando, mostrandomi il libro di ricette italiane che Esme gli aveva
prestato per l’occasione.
Lo
osservavo condire con della salsa l’arrosto prima di rimetterlo in forno,
poggiata sui gomiti al bancone della cucina e con un bicchiere di vino rosso
poggiato accanto. Era attento, preciso nei dettagli, scrupoloso… sexy.
«E
mentre l’arrosto continua a cuocere raccogliamo l’acqua per cuocere la pasta!»
mi informò, aprendo uno sportello della sua cucina moderna e raccattando una
pentola.
«Interessante.
Con che hai detto che condirai la pasta?» chiesi, mordendomi le labbra. Cavolo,
Edward era veramente sexy mentre cucinava!
«Con
funghi, salsiccia e tartufo, buonissima. Spero che sia buono, non come quello
di mia madre ma accettabile, perlomeno.» rise, nervoso.
«Oh,
sarà sicuramente buonissimo!» lo tranquillizzai e presi un altro sorso di vino…
mi corressi, mi scolai tutto il vino che c’era ancora nel bicchiere.
La
visione di Edward ai fornelli mi stava facendo uscire fuori di testa,
accidenti!
Chiusi
gli occhi, cercando di darmi una calmata, e quando li riaprii mi ritrovai
davanti il volto di Edward. Se non sapevo che si trovava a pochissimi passi da
me, avrei già cominciato ad urlare come una pazza in giro per casa.
Mi
osservava, attento, sentivo il suo respiro che fuoriusciva dalle sue labbra
dischiuse e che si infrangeva sulle mie, umide. Avrei tanto voluto
baciargliele… «E adesso… adesso che si fa?» chiesi in un bisbiglio.
«Aspettiamo
che l’acqua arrivi in ebollizione per poter cuocere la pasta.» rispose,
bagnandosi le labbra con la punta della lingua.
No, non
poteva farmi questo! Potevo restarci secca!
«Capisco…
e, che cosa possiamo fare per far passare il tempo?» sperai che avesse già una
risposta alla mia domanda… magari identica a quella che mi frullava per la
testa.
«Questo,
forse?» domandò, per poi poggiare le sue labbra sulle mie.
Oh, era
proprio quello che desideravo!
Mi
strinsi a lui e, in preda al bacio, intrufolai le mani al di sotto della sua
maglietta facendolo gemere sulle mie labbra. Edward mi fece fermare e,
cogliendomi di sorpresa, mi prese tra le braccia, sostenendomi per il
fondoschiena con le mani.
Continuando
a baciarmi, abbandonò la cucina e si diresse verso il soggiorno, prendendo poi
posto sulla poltrona. Si sedette lì sopra, facendomi poi sistemare a cavalcioni
su di lui… solo allora fece separare le nostre labbra, e solo per poter far
aderire le sue sulla pelle del mio collo.
«Non…
non dovremmo controllare il gas?» ansimai, persa nel vortice di piacere che mi
scatenavano le sue carezze.
«Non
serve, amore. Bisogna controllare te, invece…» le sue mani presero a slacciare
i bottoni della mia camicetta, uno ad uno, fino a quando questa non si aprì
completamente rivelando agli occhi del mio ragazzo il succinto e trasparente
completino intimo che indossavo.
Era uno
dei miei ultimi acquisti, che avevo preso sotto le insistenze ed i pareri
positivi delle mie amiche… e vista la reazione di Edward, avevo fatto bene a
spendere quei 50 dollari da Victoria’s Secret.
«Oh,
mamma! Bella, sei stupenda!» mugolò, tuffandosi sul mio seno con le labbra e
con i denti.
«Ti
piace, allora?» mugolai ancora, poggiando le mani sulle sue spalle.
«Mi
piace? Lo adoro! Voglio farti capire quanto lo adoro!»
E me lo
fece capire bene, quanto aveva apprezzato… molto bene!
«Mhm,
non vorrei alzarmi mai più da qui.» mugolai, accoccolandomi meglio sul petto
nudo di Edward.
«Neanch’io.
Mi piace sentirti così vicina.» Edward ridacchiò, circondandomi le spalle con
le sue braccia e baciandomi tra i capelli.
«Di la
verità: ti piace sentirmi così nuda e vicina a te…» trattenni a stento una
risata mentre alzavo il viso per poterlo osservare bene.
Strinse
le labbra e alzò gli occhi al cielo, pensandoci, e alla fine sbuffò. Lo presi
come una conferma che avevo ragione.
La
giornata dedicata soltanto a noi due stava proseguendo bene, ma che dico bene,
benissimo! Non avevamo fatto altro che baciarci, toccarci, e fare sesso… tanto,
tanto sesso! Non ricordavo più quand’era stata l’ultima volta che avevo fatto
così tanto sesso in una sola giornata.
C’è
anche da dire che, se ci fosse stata Allie insieme a noi, potevamo benissimo
scordarci le acrobazie orgasmiche sul divano, sulla poltrona, e sul tavolo
della cucina.
Dovevo
ricordarmi di passarci sopra la candeggina, eliminando così tutte le prove del
nostro passaggio…
Lanciai
un rapido sguardo al piccolo orologio situato sopra al televisore: erano
passate da poco le sei del pomeriggio. Avevamo ancora un paio d’ore di libertà,
più o meno, prima del ritorno a casa della mia bambina… potevamo tornare a fare
i ricci in calore senza alcun problema.
Mi
grattai il naso, muovendomi leggermente sopra al corpo di Edward; nel farlo,
strusciai la pancia contro qualcosa, un qualcosa che sembrava anche parecchio
sveglio e su di giri…
«Sei
già pronto per un nuovo round?» chiesi divertita, mettendomi seduta su di lui.
Con le mani carezzai il suo petto e la leggera peluria rossiccia, che scendeva
sulla sua pancia fino a giungere lì,
dove si trovava sull’attenti il mio giocattolo preferito.
«Io
sono sempre pronto per te, mia adorata.» mi sbeffeggiò lui, posando le mani sui
miei fianchi e spingendomi giù, fino a far incontrare le nostre intimità.
Mi
piaceva giocare e mi piacevano da morire i preliminari, ma per quel giorno ne
avevamo anche avuti fin troppi, fu per questo motivo che decisi di dare un bel
taglio alle coccole per poter dare la precedenza al sesso vero e proprio.
Mi sollevai
sulle ginocchia, pregustandomi già il piacere che avrei provato nel sentirlo di
nuovo prendere posto dentro di me…
…quando
il campanello di casa cominciò a suonare.
«Cazzo!»
quell’imprecazione mi sfuggì dalle labbra, non potendo proprio farne a meno.
«Lascia
perdere, amore, continua, magari vanno via!» Edward mi spronava a continuare,
guidandomi verso la sua erezione, ma ormai il nostro momento era stato
rovinato.
«No,
lascia perdere… vado a vedere chi è.» borbottai, leggermente infastidita, e scesi
dal suo corpo e dal suo divano.
«Eh,
no! Tu non vai da nessuna parte così nuda! Vado io.» e si alzò anche lui dal
divano.
«Ma sei
nudo anche tu!» o quel dettaglio gli era improvvisamente sfuggito?
«Metto
i pantaloni, saputella dei miei stivali!» dopo aver raccattato i suoi jeans e
dopo averli infilati in fretta e furia, si avviò a piedi nudi verso la porta di
casa.
Raccattai
anche io i miei vestiti, e mi nascosi dietro al divano per poterli indossare
senza essere vista dal nuovo arrivato. Avevo appena infilato il reggiseno e le
mutandine quando sentii Edward parlare, con tono preoccupato, con qualcuno.
«Stai
bene? Rose, non hai un gran bell’aspetto…»
Sbucai
con la testa da dietro lo schienale del divano, osservando gli altri due che
parlavano poco lontano: anche da quella distanza capii che Edward aveva
ragione, Rosalie sembrava un vero e proprio straccio. Era pallida, e sembrava
anche un pochino dimagrita…
Aveva
preso la varicella anche lei? No, non poteva trattarsi di quello…
«Rose!
Che succede?» domandai, lasciando il mio nascondiglio.
«Bella!
Per l’amor di Dio, copriti!» mi
ammonì Edward, fulminandomi con gli occhi.
«Vi ho
interrotti! Non era mia intenzione, non volevo! Mi dispiace tanto…» si scusò
Rosalie, preoccupata.
«Ma no,
che dici! Beh, è vero, ci hai interrotti, ma non è un problema…»
«Questo
lo dici tu!» se ne uscì acidamente Edward guardando storto Rose.
«Senti,
Edward, o stai zitto oppure stai zitto! Decidi tu!» incrociai le braccia sul
petto, decisa.
«Me ne
sto zitto, ho capito… sono di là, a guardare la partita, se avete bisogno di
qualcosa fate un fischio.» scrutandoci male, Edward prese la via del corridoio
e si rintanò in camera da letto.
Sbuffai,
tornando poi a concentrarmi su Rosalie. C’era davvero qualcosa che non andava
in lei, e l’aspetto pallido e cadaverico della sua pelle non mi piaceva
affatto.
«Non
volevo farvi litigare, davvero, se sapevo che eravate nel bel mezzo di una
maratona di sesso non sarei mai venuta!» si scusò di nuovo, torcendosi le mani
in grembo.
«Non
devi preoccuparti, non è successo niente.» le sorrisi, prendendola per mano e
guidandola sul divano... quell’altro divano, non quello su cui ci eravamo
divertiti io e Edward. «Che succede, tesoro? Mi sembri così… giù.»
Lei non
disse nulla, sul momento, limitandosi a togliere la giacca e a guardarsi le
mani. «Non sapevo davvero a chi rivolgermi, mi sei venuta in mente tu perché…
perché so che ci sei già passata e puoi capirmi.» mormorò, e nel farlo vidi i
suoi bellissimi occhi blu diventare lucidi per le lacrime.
«Ehi!
Sai che puoi dirmi tutto… che cosa c’è?» chiesi ancora, carezzandole una
guancia.
Tirando
su col naso, Rosalie afferrò la tracolla della sua borsa e se la poggiò in
grembo, prendendo poi a frugarci dentro. Si fermò, per un istante, e alla fine
mi porse quello che sembrava…
Oh,
cazzo!
Stando
a quello che leggevo sul test, Rosalie era incinta di sei settimane, giorno più
giorno meno.
Ero
sbigottita, sorpresa, scioccata, ammutolita, e chissà quanti altri aggettivi
ancora potevano aggiungersi alla lista, ma mi fermai lì. Quella scena era da
immortalare come in uno dei quadri di Van Gogh: me e Rosalie sul divano, io poi
che me ne stavo tranquillamente seduta in biancheria intima trasparente con in
mano il suo test di gravidanza…
Icone
dell’arte, altro che la Gioconda!
«Rose,
mio Dio, è… è meraviglioso! Un bambino!» riuscii a dire non appena ebbi
ritrovato la voce. Sorrisi, distogliendo lo sguardo dal test per puntarlo sul
viso della mia amica. «E Emmett lo sa? Che diventerà papà?»
«No,
lui… lui non lo sa ancora. No…» mugugnò, sviando il mio sguardo e afferrando
una rivista.
La sua
reazione mi insospettì, era… strana. Era sicuramente scioccata nell’aver
scoperto che c’era un bambino all’interno del suo corpo, ci ero passata anche
io d’altronde! Ma c’era qualcosa che non andava.
«Ma
glielo dirai? Glielo dirai, sì?» chiesi.
Annuì,
mentre girava le pagine del giornale senza veramente guardarle. «Glielo dirò,
certo! Voglio prima essere sicura che… che è vero che sono incinta.»
Ridacchiai,
tornando a guardare il test. «Credimi, Rose, è vero. Questi cosi difficilmente
sbagliano!»
«Ma
voglio assicurarmene, Bella!» esplose, con così tanta foga da farmi sussultare
sul posto.
«Va
bene, capisco…» battei le palpebre, ancora stupita per la sua uscita. «È
giusto.»
«Non
credevo che avrei avuto un bambino così, su due piedi… non sono neanche
sposata, e io ed Emmett ancora non viviamo insieme. Pensavo che sarebbe
arrivato… dopo, e non adesso! Se solo quel cretino del mio ragazzo si fosse
ricordato di indossare il preservativo, maledizione!»
«Credevo
che tu prendessi la pillola…» dissi, cercando di farla parlare ancora: magari
così avrei capito il motivo per cui era così mogia e triste all’idea di
diventare mamma.
«La
prendevo, ma mi ha dato problemi alle gambe: si gonfiavano come zampogne ogni
volta che la prendevo, così il ginecologo mi ha detto di interromperla. Io e
Emmett siamo andati avanti a preservativi… ma a Capodanno deve essersene
dimenticato, eravamo tutti e due brilli e non ci abbiamo fatto caso. Neanche io
me ne sono resa conto! Non so come potrebbe reagire all’idea di diventare
papà…» nel parlare, aveva cominciato a torcere le pagine della rivista tra le
dita fino a strapparle; pezzettini di carta volavano da tutte le parti, adesso.
«Okay,
okay, calmati.» mi affrettai a fermarla, stringendole le mani nelle mie. «Stai
calma, vedrai che andrà tutto bene. Lunedì vieni in ambulatorio e facciamo le
analisi, ti aiuterò io… e se sono positive anche quelle diamo la bella notizia
a Emmett. Sarà elettrizzato all’idea di avere un figlio!»
«Tu
dici, Bella?» pigolò, con gli occhi che tornavano pian piano lucidi di lacrime.
«Non abbiamo mai parlato seriamente di avere bambini, ho paura che sia troppo
per lui…»
«Un
bambino è una gioia, Rosalie. Non è mai troppo.» oddio, forse lo era.
Specialmente se crescendo diventava un baby vandalo della casa… «Tu come stai,
invece? Hai già dei sintomi?»
«Me ne
sono resa conto per quelli, Bella. Questa settimana non ho fatto altro che
vomitare non appena sentivo un odore più forte degli altri. Non riesco più a
mettere neanche il mio Obsession senza sentirmi male!»
«Questo
ci dà una conferma in più… ma tu devi stare tranquilla, okay? Non devi
agitarti, non fa bene né a te e né al bambino…»
Alle
mie parole, Rosalie abbassò gli occhi e si guardò la pancia, che coprì poi con
le mani come per proteggerla. «Scusa, piccino.»
Rosalie
andò via un’ora dopo, con l’umore un po’ più sereno rispetto a quando era
arrivata. La chiacchierata che avevamo avuto sembrava averla aiutata, anche se
nulla l’avrebbe aiutata veramente, a parte la vicinanza e l’amore che solo
Emmett, il suo compagno, poteva regalarle.
Doveva
assolutamente dirgli che stavano per diventare genitori; il fatto che voleva
tenergli segreta la gravidanza fino a quando non fosse stata certa al 100% del
suo stato non mi andava giù… erano solo tre giorni, alla fine, ma secondo me
avrebbe fatto meglio a dirgli tutto subito.
Affrontare
anche questo piccolo passo insieme era importante, le avrebbe dato più forza.
Quando ero rimasta incinta di Allyson raccontai tutto a James senza pensarci su
due volte, dato che meritava di sapere quello che stava per accadere nelle
nostre vite; mi era rimasto accanto per tutto il tempo delle visite e degli
accertamenti che facemmo in seguito, per sapere tutto sulla gravidanza e sullo
stato di salute mio e del nostro piccolo. Non mi aveva mai lasciata sola, e gli
ero stata riconoscente per questo…
Tutti
questi pensieri viaggiavano nella mia mente, mentre chiudevo con lentezza,
forse anche troppa lentezza, i bottoni della mia camicetta. Per tutto il tempo
in cui Rose era stata lì ero rimasta in intimo, non vergognandomi assolutamente
della mia quasi totale nudità: eravamo tra donne, alla fine.
Abbassai
gli occhi, portandoli sulla mia pancia; inconsciamente portai le mani su di
essa e la accarezzai, sentendola piatta sotto i palmi. Per un istante immaginai
che fosse di nuovo rotonda e gonfia, custode del bambino che forse, un giorno,
avrei potuto avere insieme a Edward…
Edward
avrebbe voluto dei bambini da me? Non avevo una risposta sicura a questa
domanda.
Stringendo
le labbra, tolsi le mani dalla pancia e camminai verso la camera di Edward; si
era rintanato lì da quando era arrivata Rosalie e non ne era ancora uscito. Era
meglio andarlo a controllare prima che mi morisse di solitudine.
Senza
bussare, aprii la porta e lo trovai spaparanzato sulla poltroncina, sempre a
petto nudo e con il telecomando stretto in mano. Il televisore era acceso,
sintonizzato sul canale sportivo, ma lui non lo degnava di una sola occhiata
per il semplice motivo che dormiva.
Ridacchiai,
avvicinandomi. Alcune volte era assurdo, diceva di dover fare un sacco di cose
ma alla fine non ne riusciva a finire neanche una. Come adesso, aveva detto che
avrebbe guardato la partita e invece… chissà da quanto tempo se la ronfava!
«Ehi,
campione, svegliati!» lo scossi per le spalle cercando di farlo tornare nel mondo
dei vivi.
Cominciò
a mugugnare, infastidito dal mio tocco. «Smettila, mamma…»
Trattenni
una nuova risata, ma avrei fatto meglio a ridere ad alta voce vista la
situazione: forse si sarebbe svegliato prima. «Dai, su, apri gli occhi e
osserva quanto è bello il mondo!»
Edward
alla fine socchiuse gli occhi, ancora gonfi di sonno, e sorrise. «È veramente
bello questo mondo.» bisbigliò, carezzandomi la guancia.
Poggiai
la mia mano sulla sua e ricambiai il sorriso, un po’ smarrita per via della
dolcezza che sentivo nella sua voce. Era così bello, anche se aveva l’aspetto
di uno che era appena sceso dal letto dopo aver dormito poche ore… non avrei
potuto fare a meno di osservarlo ogni mattina, tutte le mattine della mia vita.
E un
piccolo lampo di comprensione prese vita nella mia testa: non sapevo se Edward
avrebbe voluto stare con me per sempre, o se avrebbe voluto avere dei bambini
da me… io, però, sapevo che non avrei mai più potuto fare a meno di lui, e che
lo avrei amato sempre, al di là di qualsiasi cosa che sarebbe accaduta da quel
momento in avanti.