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Autore: cold_fire    16/09/2013    3 recensioni
dal capitolo 9:
Ero sempre stata una ragazza forte, non avevo mai pianto dopo la morte di mia madre, ma quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non avevo pianto alla morte di mia madre, al coma di mio padre, al suo risveglio, al trasloco improvviso, al tumore di Cecilia, agli anni passati come vittima sotto il potere che adesso faceva di Cindy (la nuova moglie di mio padre) la capo famiglia, non avevo pianto ai maltrattamenti subiti da Matteo e nemmeno davanti al suo amore violento e non ricambiato mi ero soffermata per sprecare lacrime. Ma non Roberto, non lui… e non Elisa, non lei! Come avevano potuto… il mio ragazzo e la mia migliore amica... adesso avevo solo la danza.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 1
Quella sera dal mio punto di vista
 
“non ti preoccupare Claire, guarda che torno” disse mia madre voltandosi per osservarmi con uno sguardo dolce dipinto sul volto, in piedi sulla soglia di casa intanto che usciva, per poi voltarsi a parlare con Cecilia.
Cecilia era la mia baby sitter. Occhi azzurri, capelli biondi, volto pallido. Benché nata in Italia, si notava subito che i suoi genitori erano del nord. Infatti era di origini norvegesi. Non aveva alcun accento del nord, parlava perfettamente l’italiano. Era una simpatica ragazza di diciotto anni, bellissima come poche. In più era anche una splendida babysitter. Con lei mi divertivo sempre un mondo. Era divertente perché non mi trattava come gli altri babysitter che avevo avuto. Essendo giovane aveva capito subito che ero una ragazza sveglia e che non mi andava di non fare mai niente. Così ogni sera appena i miei uscivano di casa andava in cucina a preparare i pop corn mentre io prendevo la coca cola e alzavo la musica al massimo. Sapevo tutto di lei. Il suo colore preferito era il verde smeraldo, il suo animale preferito era il cigno per la sua eleganza, i suoi movimenti e la passione che sembrava sprigionare da essi. Cecilia era una ballerina classica. La sua famiglia affrontava vari problemi economici. Sua madre aveva un lavoro ma non guadagnava molto, il padre scappato chissà dove in un altro paese perché non se la sentiva di gestire una famiglia con così tanti problemi si era probabilmente trovato un’altra moglie e aveva fatto altri figli. Il sogno di Cecilia rimaneva sempre e comunque quello di entrare a far parte della scuola di danza classica della scala di Milano. Sapeva che quel sogno era irraggiungibile per lo stesso grande problema: i soldi. A quell’età non capivo dove potesse stare la felicità in una cosa materiale tanto quanto male essa potesse provocare. I sogni, i desideri, le speranze, dipendevano tutte dalla stessa identica cosa, la stessa identica cosa materiale. Adesso lo capisco. Ad ogni cosa c’è un prezzo, una targa, qualcosa da pagare. Il bene non esiste senza il male e viceversa, quindi per via del fato, per ogni maledettissima cosa bella che accade deve essercene una brutta che attende il tuo arrivo, il tuo passo falso, il tuo minimo, più piccolo, miserabile e insignificante degli errori. L’avrei imparato quella sera.
“Cosa ci aspetta in televisione stasera?” chiese appena dopo che la macchina di mio padre ebbe svoltato l’angolo. “varie scelte… vampiri, alieni, mummie… oggi però è la serata alieni, quindi propongo Paranormal Activity 2” dissi “bello, io vado in cucina a preparare i pop corn, tu intanto accendi la tv”.
Quando il film iniziò e i pop corn si trovarono tra le nostre mani, ci dimenticammo di tutto ciò che accadeva attorno a noi, immerse nella semi oscurità.
Ma, quasi alla fine del film, il telefono squillò.
Controvoglia Cecilia mise in pausa il film, si alzò e rispose.
“pronto?” una voce rattristita giunse dall’altro capo della cornetta: “Lei deve essere Cecilia, giusto? La babysitter di Claire. Dobbiamo darle una… brutta notizia. Stasera verso le dieci e mezzo la madre e il padre di Claire hanno avuto un incidente d’auto” “oh no! E poi? Stanno bene? Si sono fatti male? Dove sono? Può passarmeli?” il broncio di Cecilia si trasformò in un lampo in una visione orribile, un’espressione incredula mischiata all’orrore e alla disperazione, incorniciata da lente lacrime che le scendevano dagli occhi, per la consapevolezza di ciò che stava per sentire, come se solo la voce dell’ interlocutore potesse spiegare tutto. E in un lampo la consapevolezza di Cecilia mi attraversò. Io che tendevo l’orecchio per saperne di più sui miei genitori.
“mi dispiace, temo che non sia possibile passarglieli. Loro…vede, loro sono… la madre è morta. E il padre è in coma. Mi dispiace… io sono la madrina di Claire, vede, e quindi lei è sotto la mia tutela, fino a quando, e se, il padre si risveglierà. Potrebbe comunicarle lei la notizia. Mi dispiace, davvero, non so come… come sia potuto accadere… non ci credo mia sorella era così, così… serena… non si sarebbe mai potuto immaginare che anche lei sarebbe potuta… morire… non così giovane… trent’anni… era una di quelle persone da qui non c si aspetta la fine, che sembrano essere in grado di sconfiggere la morte… sa, lei una volta…” Cecilia aveva smesso di ascoltare ma non interruppe nemmeno una volta mia zia per non distrarla dai suoi ricordi felici. La scena nel soggiorno era completamente cambiata. Meno di dieci minuti prima eravamo sedute sul divano a guardare un film, a mangiare pop corn e a ridere benchè stessimo guardando un film dell’ orrore. Ora però il film non mi importava più. Il telefono continuava a parlare senza che nessuna di noi due capisse le parole che ne uscivano. Le lacrime che scendevano dagli occhi di entrambe, io che tremavo e abbracciavo Cecilia, sforzandomi di non piangere. Potevano passare secoli, millenni, anni, secondi, ore, giorni, minuti, mesi, settimane. Eravamo una semplice statua, non si direbbe che potessimo muoverci, cosa che se non fosse stata per i tremiti e i singhiozzi sarebbe sembrata vera.
Cecilia si mosse solo per salutare mia zia e riattaccare. Dopo mi portò a dormire nella camera dei miei genitori, mi rimboccò le coperte, e si sedette su una sedia in parte al letto a osservarmi dormire. Probabilmente rimase sveglia tutta la notte a pensare, cosa che feci anch’io. Probabilmente pensò come me al fatto che il giorno dopo avrebbe dovuto portarmi a casa di mia zia, a cosa avrei dovuto sopportare se anche mio padre fosse morto, a come era potuto accadere tutto ciò e a cosa era successo quella sera esattamente. Alle prime luci dell’ alba scese a preparare la colazione e intanto che ero da sola un altro pensiero mi assalì. Quella poteva essere l’ultima che vedevo Cecilia. Cercai di non pensarci ma quel odiosa idea mi tornava in mente in continuazione. Non gli parlai di quel pensiero, ma rimasi nel mio letto immobile intanto che lacrime mi scendevano sul volto senza che io provassi a fermarle. Alle otto e mezza mi alzai e dopo che mi fui vestita lei prese la macchina e ci avviammo verso la casa di mia zia.
Quando arrivammo la salutai abbracciandola e poi lei se ne andò.
“Come va Claire?” chiese mia zia “tutto bene?”
“sì,” dissi “tanto tutti moriamo. Certo mi dispiace che la mamma è morta. In fondo lei era mia mamma. E se muore anche il papà tanto meglio, così loro staranno insieme. Io invece aspetterò che arrivi la morte a portare via anche me così torneremo di nuovo una famiglia. Infondo la morte è come un’ altro stato, un’altra nazione, in cui solo alcune persone possono andare. No? Quindi questo è il giorno più bello della mia vita, ovviamente dopo ieri” mia zia era stupita di quelle parole. In effetti avevo usato un tono di sfida un po’ troppo stra fottente. Ma del resto quella domanda era semplicemente un idiozia. Era passato qualche secondo e, spiazzata da quelle poche frasi, mia zia mi rimproverò, ma non per la battuta: “non dire quella parola Claire. Non dirla mai più” “quale parola zia Bianca? Morte?” dissi sfidandola di nuovo con lo stesso tono di prima “ti ho detto di non dirla!”
E così dicendo, entrò in casa arrabbiata. Sarebbe stato un lungo periodo…
 
 
Passarono i mesi. Un pomeriggio d’estate il telefono squillò. Io ero fuori a giocare a pallone ma inspiegabilmente il cuore mi balzò in gola e una scarica mi attraversò. Entrai in casa correndo proprio mentre sentivo le parole “buon giorno. E’ l’ospedale dove dovrebbe essere ricoverato suo cognato. Dobbiamo avvertirla che è uscito dal coma e potete venire a trovarlo oggi stesso. La devo avvertire anche che dato che si è appena riavuto potrebbe essere di emozioni instabili e che potrà tornare a casa fra non meno di due settimane.”
Ero felice come non lo ero mai stata prima e non badai più alle parole che uscivano dal telefono o a quelle della zia. Quella stessa sera avrei rivisto mio padre, dopo quasi nove mesi da quel tremendo incidente d’auto. E avrei finalmente capito cosa era accaduto quella sera.
Quando arrivammo in ospedale un dottore ci accompagnò nella stanza dove mio padre era ricoverato e ci lasciò sole con lui.
Aveva un’ aria confusa, come se non ci conoscesse.
“che bello vederti Claire. E anche te Bianca. Come sei cresciuta tesoro. Quanto tempo è passato? Non sono riuscito a farmelo dire. Quanti anni hai adesso Claire. Abbiamo così tante cose da dirci.” Disse mio padre in un sol respiro. Il fatto che avesse detto le parole “dobbiamo dirci così tante cose” mi fece capire che voleva parlare di quella sera. Dopo tanto parlare con mia zia, mio papà le chiese di uscire per poter parlare in privato con me.
“siediti” mi disse “sai… non so come spiegare quello che è successo… tranne che dicendoti ciò che è successo davvero quella sera. Tu sei abbastanza intelligente per capire. Tutta tua madre… aspetto e carattere… vedi, quella sera in macchina io e lei abbiamo… discusso su una brutta cosa che ha fatto il papà, e che non ha detto alla mamma. Lei si è arrabbiata molto e anche io perché non mi è mai piaciuto quando tua madre urlava e mi sono… ehm… distratto dalla strada. Ciò che il papà ha fatto di brutto non t deve preoccupare adesso, lo capirai quando sarai più grande. E’ solo che… io volevo tanto bene alla tua mamma, e anche da tanto tempo, ma alcune volte capita che una persona tende a non provare più interesse per un’altra, e a... uscire, sai… con un’altra persona…” “o mio dio pa’! hai tradito mamma?! E non essere così stupito. Sono abbastanza grande da capire… ho dodici anni ormai! So cos’è il tradimento! E t lamenti se la mamma si è arrabbiata? Io mi stupisco che lo abbia capito così in ritardo! Anche io me ne ero accorta! La mamma piangeva spesso quando non c’eri, parlavate meno e tu stavi molto poco tempo in casa. E meno tempo tu stavi in casa più lei piangeva. Quindi un po’ è colpa tua se lei è morta. Il giorno dopo l’ incidente ho detto che forse era meglio se morivi anche te così tu e lei sareste stati di nuovo insieme e prima o poi anche io vi avrei raggiunti. Ma adesso non ne sono più tanto sicura…” Conclusi in fine. Le ultime frasi le avevo dette in un solo fiato e adesso gli mancava il respiro. Il mio cervello intanto stava già lavorando a raffica per capire meglio ogni singola parola.
Lui ha tradito mamma, lei lo ha scoperto, si è arrabbiata, lui si è distratto e… “è come se tu hai ucciso mamma…” dissi. Non volevo dirlo davvero. Volevo solo pensarlo, ma l’avevo detto ad alta voce e a questo punto era impossibile rimangiarsi tutto. Inoltre l’avevo detto con un tono che non mi ero mai sentita usare. Ero triste e arrabbiata al tempo stesso. “cosa dici?! Io non ho ucciso la mamma! Mi sono semplicemente…” ma non finì mai quella frase. Forse perché non si era “semplicemente distratto”. Forse lui e la mamma avevano litigato non solo con le parole…
 “devo riposare. Vattene” “ma pa’…” “ho detto VATTENE!” “NO” “vattene!” “me ne vado ma tu non puoi trattarmi come una bambina! Non lo sono più ormai!” l’avevo davvero fatto arrabbiare. Non volevo continuare quella conversazione, così uscii assicurandomi di sbattere la porta forte e con più non curanza possibile.
Fuori dalla stanza vidi mia zia in piedi che si guardava in giro troppo velocemente per sembrare normale. Probabilmente aveva origliato fino a quel momento tutta la conversazione. Volevo sapere cosa ne pensava ma lasciai perdere. “andiamocene, non siamo le benvenute. Non più ormai” mi limitai a dire. Ce ne andammo dall’ospedale e io avevo ancora il broncio per ciò che avevo appena scoperto. Quella sera a cena mangiai poco e tornai in camera. Pensai che probabilmente quelle due settimane che rimanevano prima del ritorno di mio papà dovevo impiegarle per andare in ospedale a trovarlo e a chiedere scusa… ma stranamente non ne avevo voglia. Le avrei impiegate x divertirmi. Avevo la strana sensazione che dopo non avrei potuto più farlo. O non nello stesso modo. La mia vita aveva subito una svolta troppo grande per me. La morte di mia madre mi aveva sconvolta.
 
 
Eccomi qui con il mio primo capitolo dopo il prologo! Spero che vi piaccia. Giudicate voi tramite recensioni, datemi consigli. Mi piacerebbe anche scoprire cosa vi aspettate dal prossimo capitolo. Di sicuro la morte di sua madre e il risveglio di suo padre non saranno le uniche svolte che Claire subirà… ma non vi anticipo niente.
Baci, Savo XD
 
  
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