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Autore: Amethyst10    17/09/2013    3 recensioni
Bella è una ragazza che si potrebbe definire senza "sostanza", nessuna la vede, ma non è un fantasma.
Edward è un cantante famoso, con alle spalle un passato difficile.
Il loro incontro avverrà in un momento critico, proprio quando Edward deciderà di porre fine alla sua vita, che ormai considera senza più uno scopo.
Riuscirà Bella a mostrarsi a lui per fermarlo in tempo, e farli capire i veri valori della sua esistenza?
Dal capitolo 2 :
Lo sentii ridacchiare.
" credi nell' amore a prima vista ?" mi chiese.
Arrossì.
Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe e senza pensarci troppo annuì.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Tanya | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Princess of Air

…Di Hathor il consenso
per un incantesimo intenso.
Una foglia di basilico,
cresciuto in una notte, sotto un canto lirico,
per asciugare le lacrime
delle amiche anime.
Di Ishtar la grazia e la diplomazia,
così che lei mai sappia riconoscere il confine tra realtà e pazzia.
Del dio Toth l’occhio,
per fare in modo che su di lei si attiri il malocchio.
Il rosmarino, per cancellare il ricordo
e semplicemente un petalo di rosa, portato da un tordo,
l’ultimo ingrediente così che lei, mai faccia ritorno…
 
 
C’era una volta...
Ah, che bello se la mia storia iniziasse così, ma a quel punto sarebbe una favola, o una fiaba, sinceramente avevo sempre fatto abbastanza confusione tra le due.
Comunque sia la mia vita non era poi così interessante. Anzi, penso che l’unica cosa che mi spingeva a trascinarmi da un posto all’altro fosse solo la curiosità, e forse un tempo la speranza.
In quel momento mi trovavo davanti alla fermata dell’autobus. C’erano diverse ragazze, probabilmente stavano andando a scuola. Io oggi non ero particolarmente animata dalla voglia di andarci, quindi semplicemente continuai a camminare.
Attraversai la strada, in compagnia di una marea di sconosciuti, il traffico a quell’ora era piuttosto rumoroso.
Mi piaceva quella città, facevano degli hot dog fantastici, anche se forse alle sette mattina non erano proprio il massimo.
Continuavo a camminare e incontravo gente di ogni tipo.
Giovani, bambini, adulti, uomini in giacca e cravatta, palestrati, palestrati vecchi.
A volte provavo a immaginare che tipo di vita conduceva tutta questa gente. Il problema è che non ci riuscivo. Forse perché eravamo troppo diversi.
Io ero sola, mi ero persa. No mi ero persa davvero, non ero mai stata qui, mi guardai attorno, non riuscivo a capire in quale parte della città mi trovassi.
Sospirai, quei grattacieli erano tutti uguali, dovevo ancora farci l’abitudine.
Mi ero trasferita qui la settimana scorsa. Abitavo in fondo alla ventiduesima, in una mansarda che avevo trovato libera, di un edificio abbastanza fatiscente, che probabilmente presto avrebbero demolito. Una volta non mi sarei mai abbassata a tanto, sarei andata sicuramente in qualche grande hotel di lusso.
Solo mi ero stufata delle voci che poi avrebbero preso a circolare. Probabilmente non sarebbe passato molto tempo, prima che qualche pensiero sul mettere fine alla mia vita tornasse, di nuovo, ad assillarmi la notte.
Ma avevo scelto questa città proprio per riuscire a distrarmi, per smettere di darmi uno scopo. E qui ci erano davvero tante distrazioni.
Decisi di trascorrere la mia mattinata, insieme a molti turisti, davanti ai quadri di grandi pittori impressionisti.
Restai ore incantata davanti alle pennellate vivaci, i colori brillanti.
Pranzai a uno dei chioschi affianco al museo, poi presi il tram. Attraversai mezza città. Arrivai davanti ai negozi che ormai erano indiscutibilmente diventati i miei preferiti. Erano due. Uno era il negozi dei vesti di seconda mano, l’altro era di musica.
Entrai nel primo. Non sapevo mai che cosa potessi trovarci, due giorni fa sepolti sotto una marea di giacconi erano comparsi un paio d’ anfibi neri alti fino a metà polpaccio, ricchi di stringhe e spille. Erano diventati subito miei. La cosa bella era che qui nessuno si faceva domande se spariva qualcosa, c’era talmente tanta roba che non importava neppure alle cassiere. Ormai non la catalogavano neanche più.
Oggi però non riuscivo a scovare nulla di nuovo, così uscì e andai nel negozio affianco.
Appena entrai capì che c’ è qualcosa che non andava. Era pieno di ragazzine in visibilio. Schiamazzavano, chiacchieravano, ridevano.
Mi avvicinai.
<< …no, io l’ho visto… >>
<< …l’hai sentito all’ultimo concerto? È stato fantastico! solo che… >>
<< …io ho sentito che dopo che lei è morta lui… >>
<< …secondo me non ha avuto un incidente come si dice… >>
<< …ma come non lo sai? Non è stato un incidente… >>
<< …lui l’amava… >>
<< …l’avevano appena messa sotto contratto che peccato… >>
Feci dietro-front ed uscì dal negozio. Avevo capito fin troppo bene di chi stavano parlando.
Presi la metro, erano ancora le sei, non c’era molta gente.
Mi sedetti e iniziai a leggere l’ultimo libro uscito di George R.R. Martin, il suo mondo sapeva conquistarmi ogni volta.
Avevo pochi ricordi di mia madre, ma uno era quello di noi due, sdraiate sul letto immerse nella lettura di qualche giornalino per bambini. Non ricordavo la storia, ma ricordavo come le parole, che uscivano dalle sue labbra, assumevano mille sfumature.
Con lei riuscivo davvero a sognare, immaginare e vedere. Vedere cose che non avevo mai visto, terre lontane, animali parlanti, fiori dai densi profumi e cibi dal sapore ricco.
Lei non mi aveva insegnato solo a leggere, ma ad andare oltre alla semplice forma delle parole.
E così tra draghi, donne sensuali, re e guerre arrivai a destinazione.
Il vento invadeva la strada col suo gelo. Mi strinsi il cappotto addosso.
No, il tempo non era proprio dei migliori, alzai lo sguardo e vidi solo nuvoloni grigi che minacciavano pioggia, dovevo sbrigarmi, non avevo l’ombrello con me.
Per arrivare a casa dovevo solo attraversare il ponte. Quel ponte che ora pareva inesistente, talmente era fitta la nebbia. Sentivo lo sciabordio dell’acqua.
All’inizio non lo vidi, o semplicemente non vi feci troppo caso. Poi fu come se la mia attenzione si fosse concentrata tutta su di lui.
C’era una sagoma, alta, slanciata, aveva le braccia spalancate, era un uomo. Un uomo in piedi, sulla ringhiera. Mi immobilizzai. Voleva suicidarsi.
Iniziai a correre verso di lui. Vidi che aveva già fatto un passo nel vuoto.
Avrei voluto che mi vedesse, ma non poteva.
Avrei voluto gridare, ma non mi avrebbe sentito.
Così lo abbracciai, probabilmente avrebbe solo avvertito un peso che cercava di trattenerlo.
Lui si girò lentamente, mostrandomi gli occhi più verdi che avessi mai visto, forse erano così luminosi perché stava piangendo.
<< chi sei? >> mi chiese.
 
 
 
   
 
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