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Autore: francy91    22/03/2008    1 recensioni
Fanfiction confusa, molto strana, direi. Non anticipo i personaggi, perchè so già che quando la leggerete mi odierete a morte. Nata mentre scrivevo "Don't phunk with my heart". Come nasce il fuoco.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura, Touya/Toy
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Senza nome 1

Fiore

d’argento chiaro.

Fiore bello.

Fiore incastonato nelle mie membra putrefatte.

Fiore melodico, innamorato, perso.

Fiore ignaro come un’infantile melodia notturna.

Fiore spezzato, sventrato, decaduto, impigliato fra le nostre stesse ossa, muori solo per far rinascere mille altri fiori, sacrificio estatico e leggendario, lacrima lieta, lieve lamento, grazia ingrata, gradito gracidio.

Fiore, non abbandonarmi nell’acqua tiepida e gentile, portami là dove il cielo è perso, i rami oscuri, i laghi oblii infiniti, i sospiri gemiti di dolore, il vento spasimo dell’aere ferito, il Paradiso mera smania folle: lì ci sarà anche lui, il mio sangue, le mie ossa, LUI. Sarà lui ad illuminare il mio turpe cammino, sarà lui a scostare i violenti e lesivi rami, sarà lui a guadare insieme a me i laghi e ad attraversarli a bordo del presente fiorito, sarà lui a sfiorare le corde di questa mia dolente arpa, sarà lui a baciare i respiri estinti e caduchi per ridonar loro forza, sarà lui, infine, a sorgere e a creare la perfezione di un atto compiuto e continuo, a circondarmi con i suoi caldi raggi, a far fiorire il secco stelo che ci unisce, a farmi dimenticare l’inferno che in realtà siamo e che più di ogni altra cosa anelo.

Non voglio un Paradiso creato da altri a disposizione di tutti, desidero il nostro regno, egoisticamente nostro.

Non amo Dio.

Amo lui.

Le sue tremanti labbra si posano sulle mie, sussultanti. Il suo respiro, essenza ancestrale, lambisce il mio viso e lo accarezza con immonda delicatezza.

Questo è il mio respiro, è la stessa aria che entra nei polmoni e nel mio sangue e… Oh, lo stesso sangue, lo stesso sangue!

Chi ama si illude di formare con l’altro un unico corpo. Anche chi ama davvero, per così dire. Ma noi, noi possiamo pensarlo davvero! Non è un’illusione, non è un drammatico sogno che ci lascerà impietriti e sperduti! No, no no! È tutto vero, così lapalissianamente vero, così reale in un modo tanto emozionante da sciogliere la mia felicità in lacrime, lacrime che non fanno che accrescerla!

Lo stesso sangue… La stessa tonalità di rosso tramonto, lo stesso ritmo di battiti, le stesse ossa, immortali, indelebili, costanti, crescenti… Sì, questa è la vera felicità: io e te, amore mio, io e te siamo un solo corpo, un solo brivido, una sola inscindibile entità spirituale. Alacremente, noi veniamo da lontano, dalla terra in cui questo è possibile, nello sperduto ma così vicino luogo dell’incantevole perdizione, dell’angusta armonia. Ritorneremo lì e il nostro sangue finalmente si riunirà. Per sempre.

Apro gli occhi e, oh, anche tu li hai aperti. Probabilmente non li hai mai chiusi, sì. Sono vicinissimi, scuri come la notte che ci inghiottirà perché siamo troppo liberi per dipendere dalla luce.

Sento le chiavi girare nella toppa… Stiamo entrando in casa e tu mi baci ancora, illumini ancora il buio vivido dei tuoi occhi con le tue labbra. Enfatico, estatico.

La porta si apre con un cigolio mentre l’adrenalina mi costringe dolcemente a chiudere gli occhi, a osservare finalmente la tua vera essenza.

Sento il tuo corpo più vicino al mio, sento il calore dell’amore, del coraggio, della pazzia e del peccato.

Con questo mio angelico tocco…

Le tue mani accanto al mio collo mi solleticano la pelle con la delicatezza di una farfalla morta che tramonta sullo specchio di un lago eternamente violaceo e putrido, ma liscio e benefico al tocco.

… Ti battezzo mio…

I tuoi capelli, come corvi che barbaramente strappano aggressivamente le carni di un agnello, vittima sacrificale in onore di un crudele dio, accarezzano la mia fronte con fervore, pungono la mia pelle con irruenza leonina, scorticano le mie membra assetate di vita con deturpante alienazione.

… Nel nome…

Le tue labbra, ovattate mezzelune di ghiaccio, giacciono potenti sulle mie, mentre due lune nuove dominano empiamente l’Urano notturno mordendo piano le mie candide labbra perlacee, opaline come i tuoi marmorei denti che si macchiano del nostro sangue, che assorbono il mio fluido vitale per poi ridonarmelo, prezioso e sacrilego, con opalescente avorio e con rose bianche, cristalline, di neve ricoperte, senza sconcezza alcuna.

… Del nostro amore, più eterno, atavico, innocente, misericordioso di qualsiasi dio; più sporco, sprezzante, vergognoso, ignominioso di qualsiasi diavolo.

-Siamo tornati!-, urli nell’ingresso.

-Oh, ciao ragazzi! Stavo proprio per apparecchiare. Raggiungetemi qui in cucina appena finite di lavarvi le mani!-. Voce lontana, sussurro dei muri.

Sali le scale rapidamente.

Lontano da me, distante… Perché quell’interminabile momento è terminato? Perché la tua figura s’insinua fra meandri che ti portano sempre più lontano da me?

Sciocca, sciocca, sciocca: non desiderare il buio quando è già tuo! Non guardare la luce agognando l’oscurità, perché ti basta chiudere gli occhi per vivere! Ti basta morire per un attimo per vivere tutta la tua vita, un solo istante… Fuggente, sì, ma elettricamente folle nel suo pazzo e continuo movimento rotatorio. Allora chiudi gli occhi e accarezza l’elegante soffio di vento guidato da mille squilibrati: è questa l’aria che respiri, questo lo spirito di cui sei fatta, questa l’essenza vitale che vibra sotto la tua pelle! Non rinnegarla, non essere il tuo stesso boia.

Mi dirigo svelta verso la cucina e mi lavo le mani nel lavandino, sorridente e rinfrancata.

-Ti vedo allegra.-, constata mio padre.

-Mmh?-, mugugno distratta, al che lui ride divertito e mi accarezza la testa scompigliandomi i capelli.

Chissà, in questo momento cosa starà facendo? Magari è in camera sua e ha la testa poggiata sul cuscino su cui si sono posate le mie dita.

-Quando ci sarà l’incontro scuola – famiglia?-, chiede mio padre con interesse.

-Mmh? Non lo so.-, rispondo ancora assorta, asciugandomi le mani con uno strofinaccio.

E forse sta guardando la mia foto, sì, quella in cui avevo cinque anni. E sta sorridendo pensando a quanto sono cambiata… Sì! La sta prendendo in mano e la sta osservando da vicino. Il suo respiro fa appannare il vetro che custodisce la mia ripudiata verginità.

Verginità, verginità, perché mi lasci? Dove vai tu?
Mai più tornerò da te, mai più tornerò.

(Saffo, frammento 114)

Ti ho abbandonata, malinconica compagna di tante avventure, ti ho rifiutata, respinta, rinnegata, sconfessata… Ma non me ne pento. Amore e verginità non possono convivere, non possono incrociare i propri affilati sguardi, perché il primo con il suo fuoco ardente e il suo vento tempestoso la incendia senza scampo alcuno; la seconda, invece, rischia di pietrificarlo e di ricoprirlo di pallida neve, perpetua ma soffice.

Non piangere, piccola dea vestita di bianco, non gelare le tue bianche guance con lacrime di rimpianto: le ninnananne delicate hanno accompagnato la mia bianca infanzia, ma ora questa neve deve sciogliersi in mille pianti di rugiada gelida e salata.

Ti ho persa per sempre, mia tenera amica, ma sii felice per me, sii lieta, perché solo gli essere umani possono conoscere entrambe le facce della medaglia: voi dèi siete immortali, potete fare ciò che noi non possiamo concludere in un’unica vita; siete immuni da qualsiasi dolore fisico, perchè solo l’uomo è soggetto alla sofferenza; siete soprattutto esenti da qualsiasi morale, perché siete voi che la create, siete voi che scrivete regole opportuniste e lucrose solo per voi stessi. Ma noi esseri umani conosciamo l’Ignoranza e la Sapienza, la Bellezza e la Ripugnanza, l’Orgoglio e la Vergogna, il Rigore e la Trasgressione, il Terrore e la Pace, le Stelle e l’Abisso, il sapore agrodolce della Violenza e della Soavità. Voi non conoscerete mai il chiaroscuro che voi stessi avete dipinto, esonerati dal peccato e da ogni suo piacere.

-Sakura, che avete fatto oggi a scuola?-.

Sento la mia testa percossa da quelle parole così distinte nella limpidezza della mia mente e mi risveglio dal torpore in cui ero caduta mentre sedevo a tavola.

Intanto noto che Touya è già qui e mi sta guardando mentre tiene in mano in precario equilibrio le bacchette lisce.

-Ehm… Bene, stancante da un certo punto di vista… Cioè, insomma, volevo dire… Sì, che mi sono stancata, sì. Beh, per educazione fisica, no? Per cos’altro, se no? Eh? Spossante, ma comunque piacevole. Perché educazione fisica mi piace… insomma… cioè…-. Sto arrancando. Senza accorgermene comincio ad indirizzare sguardi disperati a Touya, che alza un sopracciglio e fa un mezzo sorriso. Com’è bello… La sua pelle color legno che produce un morbido contrasto esotico con il bianco pallore degli occhi. E poi le sue iridi, onice pura. Si dice che l’onice sia nata dalle unghie di Venere tagliate per dispetto da Cupido.

Nera onice, figlia del contrasto fra amore e bellezza, incanto del…

-Sakura, secondo me hai ancora l’influenza. Sei sicura che sia stata una buona idea andare a scuola oggi?-, mi interrompe ancora una volta mio padre.

-Tutto bene.-, taglio corto esasperata, alzandomi dopo aver messo il piatto nel lavandino.

-Vado a letto, sono davvero stanca.-, affermo prima che mi faccia un’altra domanda. Faccio in tempo a vedere mio padre mentre si stringe nelle spalle e sono sulle scale. Vedo la porta della sua camera. Senza pensarci entro e mi chiudo la porta alle mie spalle. Osservo con attenta meraviglia l’obliqua oscurità e cammino lentissimamente sul parquet levigato e scivoloso poggiando prima la punta dei piedi e poi i talloni, come una graziosa ballerina ghiacciata che affonda nel sole.

Accarezzo le lenzuola fredde e un po’ ruvide e subito un fremito fa danzare le mie tenere membra: il suo letto, suo per sempre.

Mi stendo con calma sempre maggiore in un tempo assurdamente prolisso per l’umile azione che sto compiendo. Appena poggio la testa sul cuscino e i miei capelli si spargono ai lati del mio viso come un angelo che precipita giù dalle nuvole più alte e beate, ecco la porta che si apre.

-Sapevo che saresti venuta.-, sorridi.

-Non pensi di essere stata troppo spazientita con papà?-, commenti con voce soave mentre chiudi la porta con calma.

-Più che spazientita direi egoista. Comunque sì, lo so, e mi dispiace… Ma non posso resistere.-, spiego tutto d’un fiato tormenta domi con la lingua il taglio ferroso che mi hai provocato sul labbro inferiore con i tuoi denti. La serratura scatta una volta e ti volti verso di me, ma poi ci ripensi e giri la chiave verso il lato contrario.

-Così sarà più divertente.-.

   
 
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