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Autore: Niere    18/09/2013    1 recensioni
Livia e Gianluca, in passato, erano una coppia affiatata, ma la vita li ha cambiati e tutto ciò che è rimasto del loro amore è un bambino di quattro anni e tanto rancore. Il rancore però annebbia la ragione ed entrambi si ritroveranno a mettere in dubbio le scelte fatte, le loro convinzioni e i loro sentimenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Verità nascoste - POV Gianluca

Avevo seguito Livia al piano superiore, con la speranza di capire cosa la turbasse. Perché era evidente che qualcosa non andava e che tutti quei messaggi le avevano tolto il sorriso. Purtroppo mio padre mi aveva preceduto e le stava ponendo le stesse domande che mi balenavano nella testa. Mi accostai dietro la porta - finestra, un po’ coperto dalla tenda bianca che profumava di lavanda. Loro non mi avrebbero visto, ma io avrei sentito tutto. Non era un comportamento maturo, anzi, era piuttosto infantile, ma dovevo sapere la verità, o sarei impazzito. E la verità non tardò ad arrivare, da una Livia determinata come sempre. Il suo tono di voce sembrava sincero, ma quella rivelazione inaspettata mi preoccupava molto. Chi era questo collega? Quante possibilità aveva di conquistare Livia? Probabilmente era un ragazzo intelligente, sicuro di sé, responsabile… Forse, con il tempo, Livia poteva lasciarsi incantare da questo tizio e potevo dire addio alla possibilità di salvare il nostro matrimonio. Quando terminarono la conversazione, mi affrettai ad allontanarmi, non dovevano vedermi.
Tornai in giardino e presi nuovamente posto a tavola, ma ormai la serata era rovinata. Nella mia testa balenavano immagini di un ipotetico futuro simile all’ apocalisse: Livia che iniziava a frequentare quest’ altro uomo, che mi chiedeva di firmare le carte del divorzio e che mi portava via Matteo. Forse viaggiavo troppo con la fantasia o forse stavo diventando matto. Dovevo parlarle al più presto, dovevo conoscere le sue intenzioni.
Verso l’ una di notte, i nostri ospiti andarono via e Marta propose a Livia di restare per la notte. Livia, dopo le insistenze di Marta e di un Matteo assonnato, accettò. Le avrei ceduto la mia stanza, che una volta condividevamo insieme. Quella era l’ occasione giusta per parlarle. La attesi in camera, seduto sul letto a due piazze, teso come una corda di violino. Dopo dieci minuti, i più lunghi di tutta la mia vita, entrò in camera. Mi studiò, sorpresa di trovarmi lì. Mi sorrise e disse: “Matteo è praticamente crollato dal sonno…”.
Aprì l’ armadio, in cerca dei suoi effetti personali, che aveva lasciato lì dall’ estate precedente. La osservai attentamente, cercando le parole giuste per iniziare il discorso. Presi un bel respiro e cominciai: “Ti ho sentita prima, quando parlavi con mio padre.”.
Lasciò perdere i vestiti nell’ armadio e si voltò verso di me, allarmata. Sospirò e sistemò una ciocca di capelli sfuggita dalla pettinatura semplice che le lasciava scoperto il collo. Prese posto accanto a me e chiese: “Cosa hai sentito, precisamente?”.
Alzai gli occhi al cielo: “Livia, non fare la finta tonta, so tutto del tuo collega seduttore. State insieme?”.
Rispose, decisa: “No. Sono pronta a giurartelo su tutto ciò che mi è caro.”.
Un peso in meno sul cuore. Proseguii: “Allora cosa c’è tra voi due? Devo preoccuparmi?”.
Si morse un labbro: “Non volevo parlartene proprio per non farti allarmare inutilmente. Io non provo nulla per Fabrizio…”. Fabrizio. Era così che si chiamava? Dopo qualche secondo di pausa, continuò: “Lui mi ha appena confessato quello che prova per me e ha già intuito che i suoi sentimenti non sono corrisposti. Gli parlerò e gli farò capire che non deve illudersi con me.”.
Annuii, ancora non del tutto rassicurato: “Come faccio a non preoccuparmi, sapendo che lavorate nella stessa società e che passate molte ore insieme? Lo sai cosa dicono? Che molte relazioni nascono sui posti di lavoro.”.
Scosse la testa, divertita. Poi prese il mio volto tra le sue mani e mi fissò seria: “Gianluca, smettila di fare il paranoico. Ti prego, fidati di me, almeno per una volta.”.
I suoi occhi, le sue mani morbide sulla mia pelle, mi stavano confondendo. Mi ero innamorato di lei perché i suoi gesti, i suoi sguardi trasmettevano la dolcezza del suo animo. In quel preciso istante, sembrava volesse farmi travolgere da una dolcezza che aveva nascosto per troppo tempo.
Le sorrisi, insicuro, poi poggiai le mie mani sulle sue, che bloccavano ancora il mio volto. Mi lasciò fare, senza staccare lo sguardo dal mio. Avrei voluto assaporare le sue labbra, lasciarmi trasportare dalla passione, ma avevo paura di azzardare troppo e di commettere qualche passo falso. Mi limitai a dire: “Dannazione, quanto sei bella.”.
Arrossì e abbassò lo sguardo. Si liberò dalla presa delle mie mani e prese a giocherellare con la stoffa del copriletto. Sembrava una bambina intimidita e la cosa mi fece sorridere. Livia era la donna più complessa che avessi mai conosciuto: sapeva essere forte, decisa, e, se necessario fredda e carica di rabbia, ma, dietro la sua corazza, si nascondeva una ragazza romantica e sognatrice, con le sue piccole insicurezze. Potevo perdermi nelle sfaccettature del suo carattere, senza mai stancarmi di lei. Dopo qualche istante di silenzio, mi guardò intimidita e disse: “Adesso potresti abbracciarmi anche solo per pochi secondi?”.
Non me lo feci ripetere due volte, anche se la sua insolita richiesta mi stupì. Allargai le braccia e si abbandonò su di me, affondando il viso sul mio petto. La strinsi forte a me e respirai il suo profumo, così buono e delicato. Le baciai i capelli e le chiesi: “Perché stai elemosinando abbracci?”.
Senza guardarmi, disse, con un filo di voce: “Perché ho bisogno di sentirti vicino. Sono stanca di sentirmi sola.”.
Mi aveva lasciato senza parole, come sempre. Cercai di sdrammatizzare la situazione: “Se devo essere sincero, eri più divertente da ubriaca. Le tue intenzioni, quella sera, erano decisamente più piccanti.”.
Si allontanò da me e mi dette uno spintone. Scoppiai a ridere e lei mi imitò, ancora più rossa in viso. Riprese fiato e mi puntò un dito contro: “Non azzardarti mai più a tirare fuori questo discorso…”.
Iniziai a farle il solletico, solo per il gusto di infastidirla: “Osi minacciarmi?”.
Livia non aveva mai sopportato il solletico. Si divincolo e tentò di allontanarsi da me, ma non glielo permisi. Volevo godermi quel momento di spensieratezza, ce lo meritavamo entrambi. Mi fiondai su di lei e la costrinsi a sdraiarsi sul materasso. Ci ritrovammo uno sopra l’ altra, stretti in un abbraccio inaspettato. Avrei potuto baciarla, toglierle la maglietta e lasciarmi andare, ma sapevo che lei non era ancora pronta. Aveva bisogno di più tempo e io ero disposto ad aspettare. Non avrei potuto attendere all’ infinito, ma qualcosa nel suo sguardo mi diceva che in breve tutto sarebbe tornato come una volta. Lei era ancora mia ed ero disposto a combattere contro il tempo, contro Fabrizio, contro qualsiasi cosa che potesse separarci.
Dopo aver scherzato per qualche minuto, decisi di lasciare la stanza, avevamo bisogno di riposare. Passai la notte sul divano, che era di una scomodità unica. Non riuscii a dormire e, mentre fissavo il soffitto bianco, iniziai a riordinare le idee. Le parole di Livia mi avevano in parte tranquillizzato, ma mi promisi di tenere gli occhi aperti. Avevo un nuovo rivale che non conoscevo e che non dovevo sottovalutare. Se Fabrizio voleva la guerra, avrebbe ottenuto pane per i suoi denti.
  
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