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Autore: TheCapo91    18/09/2013    3 recensioni
Se avete letto le prime serie del manga e giocato ai rispettivi giochi apprezzerete tutte le sfumature del racconto e i relativi riferimenti presenti.
La storia vede come protagonisti molti personaggi-chiave del manga, come Red e Blue, insieme al ranger Ignotus, mio alter ego, e altri personaggi inediti. Insieme affronteranno il folle Ixor e la sua Gilda delle Ombre, in un mondo dove i cattivi sanno usare un coltello al pari di una Pokèball e i buoni sentimenti devono fare i conti con il dolore e la diffidenza...
Il primo capitolo era stato concepito come autoconclusivo, ma ho iniziato ad affezionarmi ai personaggi e ho deciso di renderlo una serie.
Una storia dedicata ai veri fan, alla scoperta del più grande mistero della prima generazione dei Pokèmon.
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blue, Nuovo personaggio, Prof Oak, Red
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le origini del mito'
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Preludio del mito







L’aria era talmente immobile da sembrare materiale. In quel luogo non c’era nulla di armonioso, tutto era una distorsione continua. A quanto pare le leggi della fisica non vigevano in quel posto, poiché la maggior parte delle case avevano finestre infrante e muri interrotti, alcuni addirittura parzialmente sospesi in aria; eppure tutto era fermo ed eterno, come bloccato in una bizzarra fotografia.
In piedi, in mezzo a quell’assurdo spettacolo, si trovava un uomo. Ovviamente immobile anche lui. Eppure, se il resto della città sembrava bloccata nell’eternità di un unico momento, gli occhi di quell’uomo lampeggiavano come un incendio.
Davanti a lui si trovava quello che avrebbe dovuto essere un albero, ma dal tronco emergeva un materiale compatto, nero come la notte: simile ad una bizzarra variante di metallo, si curvava lungo tutta l’altezza della pianta e ne attraversava prepotentemente il fusto, formando un enorme “9”. L’immagine di quel numero era ipnotica e raccapricciante, come il ventre molle di qualche disgustoso insetto rivoltato sul dorso: imponente, emanava una sensazione di disagio, come se non appartenesse a questo o a qualsiasi altro mondo.
In condizioni normali l’uomo si sarebbe domandato il significato di quel simbolo o di quale strano materiale fosse composto, ma la situazione in cui si trovava non gli permetteva di porre simili interrogativi.
La sua libertà di movimento era praticamente nulla: ogni volta che muoveva un arto sembrava che lo spazio attorno a lui diventasse solido e appiccicoso. Solo con un notevole sforzo sarebbe riuscito a ritirare il braccio o la gamba, per ritrovarsi poi nella stessa posizione di prima.
L’uomo si guardò il camice. Era uno scienziato. Ma forse sarebbe più corretto dire che lo era stato. In quel momento non era neppure sicuro di potersi considerare un uomo. O forse neanche vivo. Aveva perso la cognizione del tempo da quando si era ritrovato lì, ma era sicuro che fossero passati diversi mesi. Mesi di movimenti a scatti, faticosi, che non portavano da nessuna parte. Immobile.
Ma a quanto pare nemmeno le leggi della natura venivano rispettate in quel luogo, perché, nonostante il tempo, non era morto di fame. I suoi capelli non erano cresciuti, i suoi muscoli non avevano ceduto alla stanchezza, ogni giorno si ripeteva praticamente uguale ogni volta.
Il suo sguardo si spostò sulle mani e ancora una volta notò che erano evanescenti e tremolanti, quasi irreali. Era come se tutto il suo corpo avesse perso consistenza: più solido di un fantasma, meno di qualsiasi essere vivente al mondo. A scatti, la sua intera figura veniva percossa da leggere vibrazioni, come se fosse uno scadente ologramma; eppure era incontestabilmente corporeo. Era diventato meno di un uomo, una patetica forma di vita lasciata ad aspettare per l’eternità.
Solo la sua mente aveva conservato la dinamicità di un tempo. Giorno dopo giorno a pensare, a torturare il suo cervello per trovare una soluzione, una via di fuga; la possibilità di arrendersi e accettare quel destino non era presa neanche in considerazione.
Doveva andarsene da lì, ma non solo per sottrarsi a quella logorante realtà; le sue motivazioni andavano di gran lunga oltre l’istinto di sopravvivenza. E il rumore dei suoi pensieri era l’unica cosa che lo preservava dalla pazzia totale.

Un movimento catturò il suo sguardo. Una figura stava planando nel cielo, incredibilmente vicina a lui, più di qualsiasi altro essere vivente su cui aveva mai potuto posare gli occhi durante quel periodo di prigionia.
Era certamente un Pokèmon Volante, le ali e la coda presentavano le caratteristiche piume, fluide ed eleganti. L’uomo attese, fino a quando non riconobbe uno splendido esemplare di Pidgeot selvatico, che volava proprio verso di lui.
Sembrava che la staticità di quel posto non influisse sui Pokèmon. Lo scienziato supplicò mentalmente il Pokèmon di avvicinarsi e protese istintivamente la mano; come di consueto, l’inspiegabile morsa gliela bloccò a metà e rimase così, uno splendido paradosso di movimento immobile.
Ma il gesto non venne ignorato dal Pidgeot: con una elegante virata, si avvicinò all’uomo e gli si appollaiò sul braccio. Per alcuni brevi secondi i suoi piccoli occhi scuri incontrarono quelli dell’uomo, lo sguardo incuriosito dell’uno che incontrava quello rovente dell’altro.
Ogni attimo era cruciale. Lo scienziato sapeva che una situazione simile non sarebbe più ricapitata e si concentrò come mai prima d’allora.
Non aveva ancora la capacità di muovere la mano e sentiva gli affilati artigli del rapace che gli incidevano la pelle del braccio. Un attimo. Ancora una frazione di secondo…
Poi, proprio mentre il Pokèmon gli voltava le spalle per spiccare di nuovo il volo, l’uomo lo afferrò per le zampe con l’altra mano, lanciando un muto urlo di vittoria.
Il povero Pidgeot si sentì intrappolato e cominciò freneticamente a battere le ali, sempre più forte.
L’uomo era magro e certamente non molto forte, ma la sua presa era ferrea, determinata come una ragione di vita.
- Andiamo! – urlò – Vola! Vola!
Anche la sua voce aveva un che di innaturale e di metallico, come se provenisse da qualcun altro accanto a lui.
Con un immenso sforzo l’uccello cercò di spiccare il volo con tutto il peso del carico ed i piedi dell’uomo si staccarono da terra.
Ancora una volta dimenò furiosamente le ali, nel tentativo di liberarsi.
- Avanti, usa Volo! E’ l’unico modo per poterti muovere anche con il mio peso! Usa Volo!
Finalmente, le potenti ali del Pidgeotto levarono un turbinio di polvere e il Pokèmon si alzò nel cielo, trascinandosi dietro lo scienziato. Mentre si libravano in alto, questi sentì la pressione che opprimeva il suo corpo affievolirsi, fino a scomparire del tutto e una sinistra, grottesca risata risuonò in tutta l’area circostante.
Guardò in basso e vide il suo luogo di prigionia dall’alto: un’immensa città fantasma, bloccata nel tempo. Era composta unicamente da piccoli specchi d’acqua e costruzioni diroccate; ma la cosa più inquietante erano quei giganteschi numeri neri dappertutto: sui muri, sui tetti e perfino a pelo d’acqua. Gigantesche cifre di quella materia indefinibile, che si sovrapponevano alla realtà e la distorcevano caoticamente.
Dall’alto, l’uomo assisteva a spettacoli davvero improbabili: lunghi rami di alberi che spuntavano dai muri, tetti con profondi acquitrini sopra, porte senza pareti attorno e colonne solitarie disposte a casaccio lungo le strade… Il tutto ricoperto da numeri. Riflettendoci, quelle cifre non avevano senso almeno quanto non lo aveva quel luogo stesso.

Mentre si lasciava la Città dei Numeri alle spalle, lo scienziato notò che la sua cavalcatura si stava dirigendo verso il mare aperto. Fu una lunga traversata e l'uomo perse di nuovo la cognizione del tempo. Poi vide la distesa d'acqua lasciare spazio ad una spiaggia e avvertì il Pokèmon che lo trasportava perdere quota. Calcolò la caduta, sperando che l'acqua ammortizzasse l'impatto e lasciò la presa; il Pidgeot lanciò un acuto urlo di trionfo per aver ritrovato la propria libertà. Ma non era il solo ad essere di nuovo libero.
Atterrando con un sonoro tuffo, l’uomo giunse alla riva nuotando e incespicando sulla sabbia, per poi lasciarsi cadere a terra, assaporando la sensazione di poter distendere le gambe e le braccia, finalmente padrone del proprio corpo, di nuovo.
Fitti stormi di Wingull stridevano sopra di lui, volteggiando in cerchio sopra quello strana figura sulla spiaggia.
Poi all’improvviso l’uomo si portò le mani alla testa e digrignò i denti, mentre il suo corpo cominciava a pulsare di un’inarrestabile energia nera e un sinistro alone oscuro iniziava a circondarlo.
I ricordi di chi lo aveva condannato a quell’eterna prigionia lo investirono come un tornado e subito scattò in piedi, marciando verso la città più vicina.
La sua mente poteva riassumersi in una sola parola: vendetta. Voleva vendicarsi del mondo, che non lo aveva mai accettato. Voleva vendicarsi dei suoi uomini, che non lo avevano aiutato. Voleva vendicarsi dei Ranger, che gli avevano dato la caccia per tutti quegli anni. Ma soprattutto, voleva vendicarsi di qualcuno che era già morto…


- E fu così che l’allenatrice mandò in campo la sua adorata Clefable, dopo che la terribile legione di Pokèmon Spettro dell’Antico Chateau aveva sopraffatto anche il suo coraggioso Butterfree…
I bambini si strinsero nelle loro coperte, mentre la capogruppo passeggiava lentamente tra i sacchi a pelo, a malapena illuminata dai raggi lunari.
- La Clefable si lanciò contro il Gengar più vicino usando Schianto, ma appena si avvicinò al fantasma questi scomparve nell’ombra e il colpo fracassò il mobile più vicino, rovesciando tutte le stoviglie al suo interno…
Aprì la mano con cui teneva le forchette che avevano usato per la cena, assicurandosi di farle cadere sui piatti di latta che stavano ancora sparsi attorno al fuoco. Il clangore metallico fu impressionante e i bimbi si scambiarono sguardi divertiti e terrorizzati allo stesso tempo, uniti dalla magia della paura.
- Tutte le mosse che Cleafable conosceva erano di tipo Normale, inefficaci contro gli Spettri! Ma anche loro non potevano colpirla con le loro oscure maledizioni. Quindi si voltarono verso l’allenatrice.
Era giunto il momento cruciale e la ragazza si concesse una pausa ad effetto, godendosi lo spettacolo dei bambini che pendevano dalle sue labbra, in attesa.
- La giovane arretrò in preda al panico, ma un tavolino alle sue spalle la fece inciampare e in un attimo tutti i Sableye e i Duskull le furono addosso, mentre un Dusklops teneva impegnata Clefable. La piccola fatina temeva per la vita della sua compagna e decise di tentare il tutto per tutto con la sua mossa peculiare: Metronomo! Nessuno sapeva cosa sarebbe uscito da quell'attacco e tutti i Pokèmon della stanza si voltarono ad osservare il suo piccolo ditino luminoso che oscillava, in attesa.
Mentre guardava il suo giovane pubblico, la ragazza faceva il segno del “no” con l’indice, a ritmo.
- All’improvviso, un grande chiodo di energia oscura si materializzò proprio davanti alla fatina e la trapassò da parte a parte!
Strofinò una forchetta contro il piatto metallico e lo stridio che ne uscì fece venire la pelle d’oca a tutti, lei compresa.
- L’attacco uscito era Maledizione. Ma c’era qualcosa di innaturale, quell’attacco ha un effetto differente su un Pokèmon normale. Ma al posto di aumentare attacco e difesa, la piccola Clefable cadde in ginocchio tremando, mentre un’aura oscura calò sopra i suoi nemici, paralizzandoli dal terrore.
La voce della ragazza era poco più di un sussurro.
- Sopraffatti dal terribile anatema, i fantasmi si dileguarono dell’oscurità e l’allenatrice si mise in piedi, guardando la sua eroina, che era di spalle. Le corse incontro chiamandola ma si bloccò di colpo. Perché dalla finestra lì vicino entrò un raggio di luna ad illuminare il suo Pokèmon: la metà sotto la luce era normale, ma quella in ombra… Aveva l’aspetto di un Gengar!
La capogruppo chiuse il libro con un gesto secco e tutti i bambini, dal primo all’ultimo, gemettero dalla paura.
- Nessuno sa cosa accadde realmente quella notte. C’è chi dice che l’allenatrice non uscì mai più da quel posto maledetto e che il suo spirito si sia unito a quello degli altri Pokèmon Spettro… Altri sostengono che la ragazza abbandonò nello chateau il suo Pokèmon, che da quel giorno vaga cercando la sua vera identità… Una sola cosa è certa: se vedete un Clefable che di notte guarda la luna mentre è seduto su una roccia che punta a est, non guardatelo negli occhi… Perché il suo sorriso potrebbe rivelarsi quello del malvagio Gengar che la possedeva…
La ragazza prese quel che rimaneva delle stoviglie e versò dell’acqua sulle braci del fuoco da campeggio, spegnendolo del tutto.
- Bene, bambini, ora è meglio che facciate una bella dormita. Domani vi dovete svegliare presto, il pullman per casa parte presto e non aspetta per nessuno!
I bimbi cercarono di darsi la buonanotte con la massima disinvoltura possibile, ma era chiaro che tutti erano ancora con la mente che vagava nelle oscure stanze dell’Antico Chateau…
- Mi raccomando, non fatevi mangiare i sogni dai Drowzee selvatici! – aggiunse la ragazza ridacchiando, e i bambini tremarono di nuovo, rannicchiandosi nei sacchi a pelo.

- Non pensi di aver esagerato, Blue? – le disse l’altra capogruppo del campeggio, quando la compagna la raggiunse nel camper – guarda che quella del Clefable posseduto è una storia che fa drizzare i capelli anche a me, sai…
- Oh, sciocchezze, si sono divertiti un sacco – sghignazzò lei, stirandosi le braccia – mi diverte sempre raccontare queste storielle di paura durante le gite…
Il suo Pokègear trillò e lei lo fissò stupita.
- Chi diavolo può essere a quest’ora…?
Un uomo dai capelli grigi e il volto severo apparve sul piccolo schermo del dispositivo.
- Buonasera Blue. Ti ho svegliata?
- Professor Oak! No, sto aiutando un’amica con il campeggio di una scuola… Che succede?
- Mi spiace interrompere le tue attività notturne, ma ho bisogno urgente di incontrare te e quel Ranger che mi hai fatto conoscere l’ultima volta. Sì, insomma, quello che ha rimpiazzato…
- Ho capito professore – lo interruppe la ragazza, con durezza – parto immediatamente.
- Ti ringrazio per la disponibilità. Ti prego di sbrigarti, Red sarà già in viaggio ormai…
Una convocazione urgente a notte fonda e il professore era riuscito addirittura a distogliere Red dal suo esilio sul Monte Argento... Doveva essere successo qualcosa di grave e la cosa non le piaceva affatto.
- Ma parti ora? Voglio dire, non aspetti neanche domani mattina? – cercò di ragionare l’altra ragazza, ma Blue aveva già afferrato il suo zaino e aveva un piede fuori dal camper.
- Mi spiace Annie, è davvero importante. Sono sicura che riuscirai a gestire i bambini anche senza di me.
- Oh beh, come se mi dessi alternativa… - sospirò la ragazza, mentre Blue saliva sopra il suo Jigglypuff, che si era gonfiato come una mongolfiera.
Annie rientrò nel camper, mentre i bambini guardavano terrorizzati dai loro sacchi a pelo il grande pallone rosa che planava nella notte, con Blue seduta sopra, verso la città.
Poco dopo la capogruppo sentì un timido bussare alla porta del camper ed aprì.
- Maestra Annie, stanotte è veramente tanto buio di fuori… Potresti dormire con noi?
Il gruppetto di bambini in pigiama si era tutto radunato attorno al camper e Annie sospirò, guardando in alto verso il Jigglypuff di Blue e dedicandole una muta lista di improperi, mentre quella si allontanava sempre di più…


- Ranger 26 del reparto 14B a rapporto, signore – scattò sull’attenti un giovane ragazzo dalla folta chioma arancione, mentre il suo superiore si alzava dalla poltrona della sua scrivania, rispondendo al saluto.
Dieci minuti dopo il giovane Ranger era già fuori di lì e correva verso la sua stanza, a prepararsi per la partenza. Gli era stata assegnata una nuova missione di altissimo livello e questo lo riempiva di orgoglio. Inoltre avrebbe avuto l’occasione di incontrare di nuovo quella tipetta tutto pepe che aveva conosciuto qualche mese prima. Come si chiamava, di nuovo…?
- Blurry? Blaineley? Bl… - borbottò, mentre assicurava lo styler di cattura al braccio, pensieroso.
Qualunque fosse il suo nome, la ragazza lo aveva colpito molto. Era rimasto affascinato dal suo entusiasmo e dalla malcelata malizia che usava in ogni situazione, anche se l’aveva conosciuta in un momento particolarmente buio per la Federazione dei Ranger.
Durante le missioni a cui aveva preso parte non gli era mai capitato di perdere un compagno e non osava immaginare come potesse averla presa l’altro ragazzo, Red, la leggenda, che lo conosceva da tanti anni…
- Sono un rimpiazzo, in fondo – concluse amaramente, mentre preparava il resto dell'attrezzatura – non si fideranno subito di me e cercheranno piuttosto di vedere Ignotus al loro fianco...
Già, Ignotus…
Né la ragazza né il Professor Oak erano stati in grado di dirgli esattamente quale triste fine avesse incontrato il suo collega, ma il Ranger si era preso un giorno di permesso per visitare le rovine di quella che una volta era la Torre Oscura.
Al suo arrivo aveva trovato una piccola stele di marmo con sopra una data e il simbolo dei Ranger, accanto ai resti della costruzione che venivano lentamente sopraffatti dal verde della natura. Quello era tutto ciò che restava di Ignotus.
Ricordava che la ragazza gli aveva accennato qualcosa a proposito dell’ultimo piano improvvisamente scomparso: per questo motivo non erano riusciti nemmeno a recuperarne il corpo.
Il distaccamento di cui faceva parte, sebbene seguisse i principi e le tecniche canoniche dei Ranger, permetteva ai suoi membri più esperti di allenare Pokèmon personali, rendendoli di fatto Allenatori. Assicurò quindi il cinturone con le Pokèball alla vita, controllando che tutti i suoi compagni fossero all'interno delle rispettive sfere, in salute e pronti al viaggio.
Finì dunque di stipare l'attrezzatura nello zaino e si infilò i guanti da Ranger, per poi precipitarsi fuori dalla stanza, andando quasi a sbattere contro altri due ragazzi.
- Guarda dove corri, Frost! – gli urlò uno – Dove accidenti stai andando così di fretta? Al bagno?
- Non ho tempo per chiacchierare, Gregorius. Missione di grado A, massima priorità – spiegò il Ranger ai compagni – penso che starò via per qualche giorno. Spero solo riusciate a farvi cacciare da qui tutti e due prima che rientri! – aggiunse sorridendo agli amici.
- Magari torni dentro un sacco nero! – gli augurarono loro, ridendo.
Frost alzò verso i due compagni il dito medio e, pochi passi dopo, fece un altro gesto scaramantico, non più elegante del primo.
Nelle missioni di grado S non era nemmeno così improbabile lasciarci la pelle e quella che lo aspettava rientrava perfettamente in quella categoria. Ma Frost sapeva che il comandante l’aveva marcata come livello A solo per poterlo lasciare andare: il regolamento, infatti, stabiliva che le missioni di grado S potessero essere affrontate solo da Ranger con almeno dieci anni di carriera, mentre lui era dentro solo da quattro. Ma il comandante conosceva bene l’abilità di Frost e sapeva anche che il ragazzo aveva già affiancato in precedenza gli altri componenti della squadra dopo la scomparsa di Ignotus e, su richiesta del giovane Ranger, aveva attuato un piccolo artificio burocratico.
Restava il fatto, però, che Ignotus nemmeno da morto era riuscito a tornarci, alla base…
Mentre saltava in groppa al suo fidato Staraptor e si lanciava nel cielo della notte, Frost considerò il fatto che l’unico a conoscenza di quel che era accaduto su quella maledetta torre era Red; ma il grande allenatore, campione della Lega Pokèmon, era sparito per mesi dopo quell’episodio e sembrava essere stato avvistato per l’ultima volta mentre si dirigeva al Monte Argento…


Monte Argento. Solo il suo nome ispirava rispetto e la maestosità della vetta scoraggiava anche il più spavaldo degli allenatori. Si diceva che fosse popolato dai Pokèmon più pericolosi: feroci Rydon abituati a provocare frane, Ursaring affamati e particolarmente gelosi del loro territorio e fitti stormi di Golbat assetati di sangue.
Ma nel punto più impervio della terribile montagna si stagliava la figura solitaria di un giovane allenatore che, incurante della neve che imperversava, sedeva a gambe incrociate, in meditazione. Davanti a lui, una serie di sei Pokèball erano disposte in fila, tutte equidistanti tra di loro.
In attesa, ascoltava il gocciolio regolare provenire dalla pietra alle sue spalle. Tic… Tic… Tic… Tic… Tic.
In un lampo, senza aprire gli occhi, Red afferrò l’ultima sfera a destra e la scagliò con precisione verso la punta di una stalagmite lì vicino. Contemporaneamente si alzò, raccolse un’altra sfera e ne colpì una terza con il tallone, proprio mentre il pulsante di rilascio della prima impattava contro la roccia. Nello stesso momento uscirono un Vaporeon e un Houndoom: il cane demoniaco eruttò un torrente di fiamme nere dalla bocca, mentre il Pokèmon sirena emise un flusso di aria congelante.
Quando i due attacchi impattarono, una fitta nebbia avvolse tutto l’ambiente, sfumando i contorni e riducendo la visibilità al minimo. Un attimo dopo l’impatto, il ragazzo girò il cappello e lanciò la terza sfera al centro dell’area di combattimento, e in un lampo soffocato dalla nebbia apparve il suo Venusaur. L’imponente Pokèmon Erba si guardò intorno e pestò la zampa a terra, cercando di percepire dalle vibrazioni del suolo la presenza del suo obiettivo: poi scagliò un tornado di foglie affilate alla sua sinistra. Il tintinnio del Foglielama sul liscio muro della parete decretò la fine della sessione di allenamento; il tutto era durato appena una manciata di secondi.
L’attacco doveva colpire Vaporeon, ma questi era riuscito a dissimulare la sua presenza sfruttando la sua proprietà unica di fondersi con l’acqua o, in quel caso, con la fitta nebbia prodotta dal vapore: Venusaur aveva solo colpito una sagoma inesistente.
Red si avvicinò al grande Pokèmon e lo accarezzò per rassicurarlo, mentre Houndoom si sdraiava vicino al fuoco e Vaporeon si leccava la zampa destra con sussiego.
Grazie alla tecnica di mimetizzazione che gli aveva insegnato, la già elevata difesa del Pokèmon Acqua poteva ora contare anche su un alto tasso di elusività.
Il ragazzo si ritenne soddisfatto della giornata di lavoro e richiamò i suoi compagni nelle loro Pokèball.
Vaporeon e Houndoom avevano preso molto male la scomparsa del loro allenatore, ma finalmente sembravano reagire. Red era riuscito a raccogliere le loro Pokèball, rotolate vicino alla porta quando Ignotus era caduto, un istante prima di scappare dalla Torre e le aveva portate con sé sulla montagna. Sapeva che non erano suoi ma erano soli e spaventati e Red sentiva il dovere di occuparsene di persona. Houndoom era nervoso e ringhiava contro qualsiasi cosa si muovesse; Vaporeon invece sembrava assente, con lo sguardo perso lontano. Ci erano voluti molti giorni prima che riuscissero a fidarsi di lui abbastanza da mangiare lo stesso cibo, ma alla fine la naturale intesa di Red con i Pokèmon li aveva portati a superare la diffidenza ogni giorno di più, fino ad allenarsi insieme, risanando in parte la loro ferita. Ma non quella di Red.
L’opprimente sensazione di rammarico di non essere riuscito a salvare il suo amico era una presenza costante nel suo cuore, alimentata dalla collera verso quel pazzo della Gilda delle Ombre e dalla profonda tristezza della perdita del suo amico di avventure. L’avvenimento lo aveva devastato a tal punto che non aveva più pronunciato una parola dalla tragedia.
I Pokèmon, si sa, sono creature molto empatiche e tutta la squadra partecipava con genuina commozione alla sofferenza del suo allenatore; ma la vicinanza dei suoi compagni in un momento così buio aveva solidificato i loro rapporti, permettendogli di impartire loro i comandi senza parlare. Non era vera telepatia, bensì una sorta di comunione di pensiero, uno scambio di emozioni e sensazioni primordiale che non necessitava il codice del linguaggio.
Il ragazzo si sedette su una roccia piatta e stava prendendo la borraccia dallo zaino da viaggio, quando notò che il suo Pokègear brillava. Non aveva avuto contatti con nessuno da quel terribile giorno, ma oltre tutte le chiamate perse era presente anche un messaggio del Professor Oak.
Dieci minuti dopo era in volo sul suo Aerodactyl, i denti serrati e gli occhi ridotti a due fessure fiammeggianti. Il Pokègear al polso mostrava ancora il messaggio del professore.
 “Torna prima possibile al Laboratorio di Biancavilla. Ixor è tornato.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autore: non tutti sono a conoscenza dei numerosi glitch nella serie di Pokèmon, quindi ho deciso di dare un piccolo supplemento a fine capitolo elencandoli.
In questo capitolo è presente:
La Città dei Numeri: è un errore del gioco che fa comparire diversi numeri casuali sullo schermo e stravolge la grafica del gioco, rendendo spesso impossibile muoversi. L'unico modo per uscirne è spegnere il gioco o usare volo con un Pokèmon in squadra: se si salva la partita senza avere un Pokèmon che conosce volo è impossibile andare avanti e dovrà essere iniziata una nuova partita.
  
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