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Autore: TheOnlyWay    18/09/2013    6 recensioni
«Minacciosa, non c’è che dire.»
Violet sospira, incrocia le braccia sotto il seno e si volta verso destra.
James Potter non le piace. Per niente.
È arrogante, sfacciato e insensibile almeno per ventitré ore al giorno. Supponente, offensivo e un po’ troppo spregiudicato, è una di quelle persone che Violet non sopporta. E non solo perché, al contrario del fratello, è un idiota, ma anche perché non si lascia sfuggire occasione per dimostrarlo.
È carino, quello sì. Ma il bell’aspetto non mitiga di certo l’elenco più che infinito dei suoi difetti.
«Non è aria, Potter.» sibila, senza nemmeno rivolgergli uno sguardo. Non vuole parlare con lui, non vuole leggere l’accusa nei suoi occhi. Non vuole che le rinfacci, ancora una volta, quanto il suo sangue sia macchiato.
«Per me sì.» ribatte semplicemente lui.
Tremore alle mani, ansia e fiato corto.
Violet si sente in trappola e le manca quasi il respiro. Spera solo di non andare in iperventilazione, come le è già successo quella mattina. Teme che, se svenisse, James la butterebbe giù dal treno senza troppo riguardo.
«Allora parla da solo. Io me ne vado.» mormora, dandogli le spalle.
Genere: Romantico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Grazie a Ila, per il banner stupendo che l’ha praticamente fatta impazzire.
Sei un tesoro.

Grazie ad Alice e Martina, che hanno ispirato due dei miei personaggi preferiti dell’intera storia.

E grazie anche a Silvia, Alessandra, Caterina e Caterina, Maria Giulia e Agata, che hanno letto la storia in anteprima.

E grazie a voi, se la leggerete.
 
 
 
 
Prologo.
 
 
 
 
Ricorda.
Violet stropiccia la pergamena con rabbia; stringe, fino a che il piccolo foglio non è del tutto compresso nel suo pugno. Vorrebbe avere il potere di incenerirlo con il pensiero ma, purtroppo, non ne è ancora in grado. Né lo sarà mai, probabilmente.
È una strega, certo, ma non è di certo tra le più talentuose: non riuscirà mai a padroneggiare la magia non verbale, non sarà mai in grado di trasfigurare un cane in una caffettiera e, probabilmente, non evocherà mai un Patronus decente. È consapevole dei suoi limiti, e tanto basta.
Getta la pergamena per terra, poi le punta contro la bacchetta e pronuncia “Evanesco”. In un istante, quella sparisce, senza lasciare traccia. E, insieme a lei, svanisce anche un po’ della tensione accumulata: ora che la grafia spigolosa e stretta del padre non è più davanti ai suoi occhi, la minaccia appare più lontana, ma Violet sa che entro qualche ora l’angoscia tornerà ad assalirla.
Con un sospiro, si abbandona sul sedile, alla ricerca di una posizione comoda e confortevole: anela un po’ di serenità e di silenzio, anche se sa alla perfezione che quest’ultimo sparirà nel momento esatto in cui Erin metterà piede nello scompartimento.
Violet sorride, pensando alla sua amica più cara. Non può negare a sé stessa che non vede l’ora di rivederla e di riabbracciarla.
Sono trascorsi tre mesi dall’ultima volta in cui l’ha vista ed è innegabile che le sia mancata: la fitta corrispondenza che si sono scambiate è servita un poco ad attenuare la sua solitudine, ma non è stata sufficiente.
L’estate appena trascorsa è stata, senza ombra di dubbio, la peggiore della sua vita.
Violet ne ricorda ogni momento quasi con orrore.
Nella mente, ha ancora impressa l’immagine di sua madre, con le guance scavate, la pelle tirata e le occhiaie livide sotto gli occhi azzurri. Ricorda alla perfezione il tiepido abbraccio che le ha dato e, soprattutto, ricorda di averla sentita talmente fragile, che temeva potesse spezzarsi da un momento all’altro.
Suo padre, invece, è stato austero, burbero e indifferente, come al solito. In verità, Violet ha avuto modo – purtroppo – di conoscere il suo lato più dittatoriale, quello che ha mantenuto per tutta l’estate e che le ha causato non pochi incubi durante la notte. Senza Spencer, si è sentita in trappola e indifesa come non mai.
Posa la fronte contro il finestrino, rabbrividendo a contatto con il vetro freddo. Con gli occhi chiusi, cerca di concentrarsi su qualsiasi altro pensiero che non comprenda suo padre, sua madre o, peggio ancora, suo fratello.
Fortunatamente, il vociferare gioioso degli studenti e delle loro famiglie, che ancora si attardano sul binario 9 e ¾, riescono a distrarla abbastanza a lungo.
Violet immagina una madre che saluta il figlio, in procinto di salire sul treno, con un abbraccio pieno di amore – uno di quegli abbracci che lei non ha mai ricevuto – e con le calde raccomandazioni di chi è interessato alla felicità del proprio bambino. (“Stai attento, con la bacchetta.”, “Presta attenzione.”, “Non preoccuparti, a noi andrà bene qualsiasi casa in cui verrai smistato.”)
Le campane suonano undici rintocchi, il treno fischia e le voci si fanno più affrettate e più confuse. Ancora una volta, Violet immagina gli abbracci, le carezze e i baci, poi l’Espresso fischia una seconda, una terza volta e si mette in moto, lasciandosi la stazione di King’s Cross alle spalle.
Violet apre di nuovo gli occhi, e porta lo sguardo sulle sue mani: tremano, incontrollate, come se cercassero di sfogare tutto il nervosismo e l’agitazione che si tiene dentro. Respira profondamente, cercando di calmarsi e di ritrovare un minimo di equilibrio.
L’ultima cosa di cui ha bisogno, è che Erin capti tutte le emozioni negative che prova e cominci ad indagare. Sa che non riuscirebbe a trattenersi dal dirle la verità, ed ha bisogno di più tempo, per raccogliere le idee e stabilire cosa è il caso di dire e cosa, invece, no.
Stai andando a Hogwarts, Vì. E Hogwarts è casa.” se lo ripete fino a che le mani non smettono di tremare e il suo respiro torna regolare.
Raccoglie le gambe contro al petto e circonda le ginocchia con le braccia. Vi appoggia sopra il mento e rimane in attesa, un piccolo sorriso ad incresparle il volto pallido: non vede l’ora che arrivi Erin.
Non deve aspettare poi molto. Dopo qualche minuto, un tramestio annuncia l’imminente comparsa della sua migliore amica.
Erin è, probabilmente, la Serpeverde più imbranata della storia. Inciampa ovunque, e non importa quanto la superficie sia piana e priva di ostacoli: il suo equilibrio è praticamente inesistente. Violet ancora si sorprende del fatto che sia una delle due Battitrici della squadra di Quidditch. Da una che non è in grado di camminare in linea retta, ci si aspetta che non sia capace nemmeno lontanamente di stare in equilibro su una scopa, a quindici metri di altezza.
La porta dello scompartimento si spalanca di colpo ed Erin, con il suo metro e sessantadue, compie il suo plateale ingresso e, ovviamente, inciampa.
Si guarda intorno, lievemente preoccupata di essere entrata nello scompartimento sbagliato, poi riconosce Violet e lancia un urletto stridulo. Si alza in piedi e le si getta letteralmente addosso, allacciandole le braccia intorno al collo e stringendola fino a farle mancare il respiro.
«Sai che vergogna, se non fossi stata tu?» domanda, improvvisamente consapevole della pessima figura appena fatta.
Violet ridacchia, divertita, poi lascia un bacio sulla guancia dell’amica e torna a sedersi, facendole cenno di accomodarsi accanto a lei.
«Credo che ormai lo sappiano tutti, che non sei capace di stare in piedi.» replica, serena. Erin alza gli occhi al cielo e sbuffa, sollevando la frangia bionda.
«Non è colpa mia.»
«Certo che no.» la asseconda Violet. Erin ride, poi fa spallucce e circonda le spalle di Violet con un braccio.
«Allora, come stai?» chiede, improvvisamente seria. Violet sospira. Sapeva che Erin non ci avrebbe girato troppo intorno, ma sperava davvero che le avrebbe concesso più tempo. Così, come al solito, le risponde con una mezza verità.
«Sto.»
«Molto chiaro, grazie per la spiegazione.» celia Erin, seccata. Se c’è una cosa che non sopporta, è quando Vì comincia a parlare per enigmi. Il più delle volte – sempre, in effetti – non la capisce.
«Tu come stai?» Violet svia il discorso, portando l’attenzione sull’amica. Erin stringe le palpebre, indecisa sul da farsi. Da un lato vorrebbe insistere fino a che Violet non si decide a sputare il rospo, dall’altro sa che è meglio concederle il suo tempo: quando sarà pronta – se lo sarà mai – gliene parlerà di sua spontanea volontà. O almeno lo spera.
«Non mi lamento. Sono inciampata solo due volte e non mi sono ancora rotta niente. Certo, probabilmente mi sfracellerò al suolo, più tardi, ma per ora sono viva, e sto alla grande.» risponde, con la sua consueta parlantina.
Violet sorride, mettendo in mostra una fila di denti bianchi e regolari e due fossette appena accennate, ai lati della bocca. La parlantina di Erin, è una delle cose che più le sono mancate, quell’estate.
I silenzi, al Maniero, sono stati opprimenti, pericolosi e carichi di sensi di colpa. Così tanto opprimenti che Violet, alla fine, ha smesso di parlare per cercare di riempirli.
«Vì…» mormora Erin, dopo qualche secondo. Evidentemente, il sorriso di Violet non l’ha convinta.
«Tu stai bene, vero?» domanda, di nuovo. È preoccupata e non sa come comportarsi. Sa che qualcosa non và, ma non capisce cosa. Violet non parla e, in tutte le lettere che le ha mandato quell’estate, ha ripetuto sempre la solita cosa: “Qui va tutto a meraviglia.
«Non preoccuparti per me, Erin.» la voce di Violet è ferma, decisa e sicura, come sempre, ma le sue mani tremano – di nuovo – e gli occhi sono fissi sul sedile vuoto davanti a lei.
Erin sospira, per niente tranquillizzata. Lei, il tremore, l’ha notato eccome, per quanto Violet si sia sforzata di nasconderlo.
L’ennesimo – finto – sorriso, e il discorso è chiuso.
«Ti sono cresciuti i capelli.» commenta Violet. Non ne può più, del silenzio.
Stai andando a Hogwarts, Vì. E Hogwarts è casa.
Erin inarca un sopracciglio, osservando con aria scettica le punte dei capelli biondi. È un miracolo che riesca a vedersele, visto che a malapena arrivano a sfiorarle le spalle.
«Prendi per il culo?» domanda, quindi.
Violet ridacchia, poi scuote la testa.
«Sono cresciuti davvero. Prima ti arrivavano alle orecchie.»
«Sì, be’… forse hai ragione.» concede, divertita. Non dice che è stata tentata, più di una volta, di ricorrere ad un incantesimo per allungarli di qualche centimetro. Non dice nemmeno che ci ha provato, ma che i risultati sono stati più che disastrosi: ha avuto i capelli grigi per una settimana e da quel momento ha rinunciato a qualsiasi tentativo di velocizzare la crescita.
«Ti stanno bene.» si complimenta Violet, con un sorriso sincero. Erin arrossisce lievemente sulle gote, perché se Violet dice che sta bene, allora sta bene sul serio. Sa perfettamente che l’amica non è una che ama i mezzi termini. Dice le cose come stanno, senza preoccuparsi più di tanto dell’effetto che il suo pensiero può avere sugli altri.
«Ecco, ora mi vergogno.»
«Non ne hai motivo.»
Si sorridono ancora, poi Erin appoggia la testa sulla spalla di Violet e sospira.
«Me ne parlerai, prima o poi?» purtroppo, non riesce a far finta di niente. Sa che qualcosa non và ed è contro la sua natura – nonostante da una Serpeverde ci si aspetti ben altro tipo di comportamento – ignorare il problema. Non vuole nemmeno risultare oppressiva, sfacciata o pettegola, ma non ne può fare a meno.
«Te ne parlerò.» conferma Violet, distrattamente.
Anche perché, ormai, è difficile che qualcuno non sia a conoscenza di ciò che è successo alla famiglia McLeod, quell’estate.
I giornali ne hanno parlato per settimane e Violet ha avuto paura ad uscire di casa, come se la colpa fosse sua, come se lei avesse scatenato la tempesta mediatica che si è abbattuta sulla sua famiglia.
In realtà, è stupita dal fatto che nessuno degli studenti, ancora, l’abbia accusata di essere un’assassina.
Un altro fremito alle mani, questa volta completamente incontrollato.
Violet prende un respiro profondo, l’ennesimo, e congiunge le mani in grembo. Si è accorta che Erin ha seguito ogni suo movimento e si sforza più che può di apparire rilassata.
Erin apre la bocca un paio di volte, indecisa, poi sceglie di stare in silenzio, prende la mano destra di Violet e la intreccia con la sua sinistra.
Violet le sorride, grata, e chiude gli occhi.
Stai andando a Hogwarts, Vì. E Hogwarts è casa.
La porta si apre silenziosamente e, all’interno dello scompartimento fanno la loro comparsa Albus e Scorpius.
Il primo, che durante l’estate sembra cresciuto ancora di qualche centimetro, si accomoda in silenzio nel posto davanti a Violet e la osserva di sottecchi. Lei continua a tenere gli occhi chiusi, consapevole di avere addosso anche il suo sguardo. Se c’è qualcuno che ha tutto il diritto di avercela con lei, be’, quello è proprio Albus.
«Non hai per niente una bella cera, stai bene?» domanda Scorpius, rompendo il silenzio.
Violet annuisce, lo sguardo basso, puntato contro i mocassini neri. Non riesce nemmeno a guardarli in faccia. Come ha potuto pensare che sarebbe riuscita a far finta di niente? Ha sbagliato su tutta la linea ed ora si ritrova in completo imbarazzo, senza nemmeno sapere cosa può dire e cosa, invece, no.
«Lei sta.» bercia Erin, infastidita. Per l’amor del cielo, non sopporta di vedere l’amica in quello stato. Apatica, silenziosa e fredda come un ghiacciolo.
Certo, Violet non è mai stata l’anima della festa, ma tra di loro, almeno, era di compagnia. Ed ora, invece, sembra un corpo senz’anima.
«Erin…» la ammonisce Albus, con il suo solito tono di voce pacato.
«Erin un bel niente! Lo sappiamo tutti, che quella Babbana non l’ha uccisa lei!» sbotta.
Il silenzio cala improvvisamente, pesante, gelido e spesso come una cortina di nebbia. Dopodiché, Violet si alza, si rassetta la gonna con le mani, chiede scusa ed esce dallo scompartimento.
Il corridoio è vuoto, silenzioso e lei è finalmente libera di tremare, indisturbata. Raccoglie le mani al petto, respira profondamente, chiude gli occhi. Ma niente riesce a toglierle dalla testa quell’immagine. Niente.
Vorrebbe urlare, piangere, rifugiarsi tra le braccia di qualcuno – chi? Chi sarebbe disposto ad accogliere una come lei? – picchiare e spaccare tutto, ma non lo fa.
Mantiene la sua aria algida e fredda, come se allontanare chiunque fosse la soluzione migliore. È quello che ci si aspetta da una Serpeverde, no? Che non sia capace di provare sentimenti.
«Come osi tornare a scuola, dopo quello che hai fatto?»
Perciò era in quel modo, che sarebbe andata? Sarebbe stata additata, insultata e aberrata, a causa di una colpa che non aveva, ma di cui sentiva il peso.
Rivolge un’occhiata fredda a Terence Pearson, che abbassa improvvisamente lo sguardo e si dilegua lungo il corridoio. Probabilmente, le parole gli sono uscite di bocca prima ancora di rendersi conto della persona a cui sono state rivolte.
In un’altra occasione, Violet sa (e probabilmente lo sa anche Terence) che non avrebbe mai avuto il coraggio di rivolgersi a lei in quel tono.
«Minacciosa, non c’è che dire.»
Violet sospira, incrocia le braccia sotto il seno e si volta verso destra.
James Potter non le piace. Per niente.
È arrogante, sfacciato e insensibile almeno per ventitré ore al giorno. Supponente, offensivo e un po’ troppo spregiudicato, è una di quelle persone che Violet non sopporta. E non solo perché, al contrario del fratello, è un idiota, ma anche perché non si lascia sfuggire occasione per dimostrarlo.
È carino, quello sì. Ma il bell’aspetto non mitiga di certo l’elenco più che infinito dei suoi difetti.
«Non è aria, Potter.» sibila, senza nemmeno rivolgergli uno sguardo. Non vuole parlare con lui, non vuole leggere l’accusa nei suoi occhi. Non vuole che le rinfacci, ancora una volta, quanto il suo sangue sia macchiato.
«Per me sì.» ribatte semplicemente lui.
Tremore alle mani, ansia e fiato corto.
Violet si sente in trappola e le manca quasi il respiro. Spera solo di non andare in iperventilazione, come le è già successo quella mattina. Teme che, se svenisse, James la butterebbe giù dal treno senza troppo riguardo.
«Allora parla da solo. Io me ne vado.» mormora, dandogli le spalle. La separano pochi passi dal suo scompartimento, ma James le impedisce di compierli e la afferra per il polso, un po’ troppo forte.
Mugugna, infastidita e si scosta bruscamente. James la lascia all’improvviso, come se si fosse appena reso conto di averla sfiorata. La conosce appena, e quel poco che sa di lei arriva dalle descrizioni di Albus, che comunque non si sbilancia mai troppo quando parla.
Non sa nemmeno perché l’ha bloccata, visto che – a tutti gli effetti – di lei non gli importa assolutamente niente. Perciò fa un passo indietro, scuote la testa e le rivolge un’occhiata astiosa.
«Stammi lontana.»
«Fino a prova contraria sei stato tu, ad avvicinarti. E comunque non c’è pericolo. Non ti vedo neanche.» replica Violet, indispettita. Sapere che è ancora in grado di essere acida, le è in qualche modo d’aiuto. Forse, da qualche parte, nascosta sotto le mani che tremano e i respiri affrettati, c’è ancora la vera Violet.
Mentre James si allontana, Violet guarda fuori dal vetro. È leggermente appannato, così lo pulisce con il palmo della mano e resta senza fiato. Oltre il binario e oltre la foresta, si staglia la figura imponente e familiare del castello.
Violet sorride.
Sei a Hogwarts, Vì. E Hogwarts è casa.
 
 
 
 

 




Ehm, ciao a tutti.
Sono un po’ emozionata, a dire il vero, perché è da tanto tempo che non pubblico niente nel fandom di Harry Potter. Ma un po’ di ansia è giustificata, vero?
Comunque, c’erano un sacco di cose che avrei voluto dire, ma al momento, purtroppo, non me ne viene in mente nemmeno una.
Ah, ho evitato di mettere “OOC” tra gli avvertimenti, perché dei personaggi della nuova generazione si sa così poco che ho pensato fosse lecita una libera interpretazione.
E niente, se aveste qualche domanda, qualche dubbio o qualcosa fosse poco chiaro, chiedete pure, sono qui apposta.
Mi piacerebbe avere qualche parere, anche negativo, se vi va, tanto per capire se è il caso di darmi al giardinaggio o se la storia un pochino vi piace.
In ogni caso, grazie anche per aver letto e basta.
Con affetto,
Fede. 
   
 
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