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Autore: RedLinus    19/09/2013    2 recensioni
Che cosa accadrebbe se una ragazza normale entrasse la vita dello Zaoldyeck e della sua famiglia stravolgendola? Perchè Illumi, dopo averla incontrata, perde la sua impassibilità? Spero di avervi incuriosito. Buona lettura!
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Illumi Zaoldyeck, Kikyo Zaoldyeck, Killua Zaoldyeck, Nuovo personaggio, Silva Zaoldyeck
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di tutto vorrei ringraziare coloro che recensiscono e porgere le mie scuse a coloro che seguono la storia. Avevo questo capitolo già in testa ma non riuscivo mai a trovare il tempo per aggiungero. Ancora grazie a chi mi segue e buona lettura!!!

 

 

3.      Incontri e confusione

 

 

 

Come avevo previsto, la scuola chiuse il giorno seguente. Mia sorella non si era ancora ripresa dallo shock e facevo di tutto per distrarla. Il lavoro mi aveva dato le ferie, quindi avevo un sacco di tempo libero. Avrei potuto fare le faccende domestiche che continuavo a rimandare da settimane. Per non parlare degli armadi da svuotare e del cambio di stagione. Lo avevo già fatto ma mancava lo stesso qualcosa da risistemare. Fu così che passai la mattinata, a mettere via maglioni e trapunte e a sistemare vestiti più adatti nell’armadio, ascoltando musica dagli auricolari a tutto volume cantando mentre lo facevo, beccandomi un’occhiata di rassegnazione da Prim, ormai era abituata alle mie stranezze, eppure dicono che ho una bella voce. Prim non aveva nulla da fare come me, le maestre non avevano ancora preparato la lista dei compiti ma li avrei trovati in segreteria la settimana seguente. Nel frattempo mi aiutava scegliendo i vestiti da indossare. Non passavamo un giorno intero assieme da mesi e volevo godermelo.

 

Andammo in giro per negozi, visto che era il tempo dei saldi ne approfittai per rimpolpare i nostri guardaroba. L’unico compito che le insegnanti di Prim erano riuscite ad assegnare prima dell’incendio era una ricerca su un reperto archeologico a scelta, perciò andammo anche al museo di archeologia a vedere le dodici tavolette in rame, un reperto di inestimabile valore su cui gli antichi del loco scrivevano le prime forme di leggi che regolamentavano la vita del cittadino. È il reperto più importante e prezioso del museo, scritte in una lingua antica che pochi anni fa fu scoperta da alcuni archeologi. Solitamente non si potevano fare foto ma io al museo ci lavoravo quindi forse avrebbero chiuso un occhio.

 

Infatti fecero così.

 

Il museo vantava molti reperti con caratteristiche uniche che sapevo ormai a memoria. Le tavolette erano il mio reperto preferito, le adoravo in tutti i sensi e il mistero attorno ad esse le rendeva ancora più interessanti. Dopo avere scattato foto abbastanza decenti e scritto tre pagine sulla loro orine ed importanza, avevamo finito. Quello fu l’unico argomento interessante dei primi cinque  giorni di ferie che avevo. Il resto lo passavo a leggere a casa o a fare le faccende domestiche, provando decine di piatti diversi, per poi testarli su Prim quando la andavo a prendere da Beth o da casa di altre sue amichette, che essendo sempre libere non facevano altro che giocare.

 

A sei giorni dall’incidente si verificò un altro evento sfortunato, come se da quel giorno me ne capitassero di tutti i colori.

 

Ero sovrappensiero mentre andavo al mercato, camminando e leggendo il giornale nello stesso momento. Nulla di eccezionale, (questo periodo dell’anno è piuttosto tranquillo). In prima pagina però c’era la foto di un uomo sulla sessantina, deceduto, il corpo ritrovato dai domestici nella sua villa a Kakin. Strano che un plurimiliardario si suicidi. Ero talmente persa nei miei pensieri che mi accorsi troppo tardi dell’ uomo tarchiato vicino a me. In un attimo mi prese la borsa e cominciò a correre tra la folla, facendomi cadere il giornale dalle mani che si sparpagliò per terra. Urlai tra la gente cercando di fermarlo ma niente, presto lo persi di vista. Corsi a perdifiato per minuti cercandolo con lo sguardo, ma era scomparso. Affranta come non mai, mi avviai verso il parco. Non ero mai stata scippata prima d’ora. Mi aveva preso tutto, la borsa, il portafoglio con soldi, documenti e soprattutto la foto di me, Prim e i nostri genitori. Ci ero affezionatissima, a quell’uomo non sarebbe importata e l’avrebbe buttata da qualche parte e ciò mi infastidiva, spaventava e offendeva.

 

“accidenti…perché..?” mi sedetti su una panchina, anzi La panchina, la stessa dove il ragazzo misterioso mi aveva adagiata dopo l’incidente. Da quel giorno era diventato il mio posto personale e ci andavo per leggere un libro o a rilassarmi. Mi coprii il volto con una mano, sentendo gli occhi lucidi. Dall’incidente avevo ricominciato ad avere gli incubi, ma non pensavo che potessero tormentarmi anche da sveglia.

 

Alzai lo sguardo solo quando sentii una mano sulla mia spalla, e un fortissimo odore di alcool.

 “ma guarda che bella sciorpresciiina” quasi urlò l’uomo nel mio orecchio. Era biondo con la barba incolta, vestito in modo trasandato, un ubriacone insomma.

 

“che ci fai qui tutta sola? Eh?” avvicinandosi di più e squadrandomi in un modo orrendo. Perché? Pensai. Prima l’incidente, poi lo scippo e ora…sentii gli occhi annebbiarsi dalla rabbia. Cercai di fare subito dietrofront, ricordandomi solo dopo di essere seduta. Cercai di liberarmi dalla sua presa ma fu inutile. Potevo solo chiedere aiuto, ma la voce non voleva uscire.

 

Lo spray al peperoncino l’avevo nella borsa, il parco era deserto e non c’erano sassi abbastanza grandi da tirargli contro e farlo svenire, o altro che potesse aiutarmi ad allontanarlo da me. Optai per il mezzo più istintivo e doloroso: lo spinsi improvvisamente alzandomi, lui barcollò pericolosamente ma non cadde, e con tutta la mia forza gli tirai un calcio in mezzo alle gambe.

 

Fu istintivo, quando avrei ripensato a quei momenti di paura e rabbia mi sarei vergognata di me stessa, ma in quel momento non m’importava più di tanto. Con un tonfo cadde a terra come un sacco di patate, dal volto scaturiva tutto il dolore appena inflittogli dalla sottoscritta.

 

Cominciai a correre più in fretta che potevo senza voltarmi, verso il centro della città. Mi appoggiai al muro di un vicolo, ansimante, lasciandomi cadere a terra. Ancora scombussolata tentai di regolarizzare il respiro, inspirando ed espirando profondamente mentre il tremolio alle gambe affievoliva. Ripensai all’ubriaco e scossi la testa, se l’era meritato. Mi toccai la fronte con la mano, sudava, sicuramente ero un disastro: il leggero abito malva che indossavo era spiegazzato, e mi aderiva al corpo come una seconda pelle per il sudore, i capelli, tenuti legati da un fiocco panna, si erano sciolti ricadendo sulla schiena e mi coprivano il volto come tende, ostacolandomi la visuale.

 

Dovevo tornare a casa, Prim era a casa sola e probabilmente si era svegliata. Le avevo sì lasciato un biglietto dove le dicevo che ero al mercato ma…e non avevo nemmeno il cellulare, appena sveglia mi avrebbe sicuramente tempestata di chiamate per sapere dov’ero e che facevo, da brava sorellina iperpreoccupata che era.

 

 

“signorina” una voce sconosciuta mi ridestò dallo stato catatonico. Alzai timidamente lo sguardo, incrociando un fiore stilizzato di feltro porpora, uguale a quello fatto da Prim per la mia

 

“la mia borsa” sussurrai incredula.

 

A bauletto, color marrone avana. Il fiore fatto da mia sorella spiccava, attaccato ad uno dei manici metallici.

 

Alzai di più lo sguardo, cercando di tirarmi in piedi, quando mi accorsi della persona più…particolare che avessi mai visto, e le parole mi morirono in gola. Pantaloni scuri, felpa verde con cappuccio, capelli lunghi e neri, occhi grandi e neri mi scrutavano intensamente. Occhi che avevo già visto. Trattenni il respiro, non potevo crederci. Il ragazzo. Che mi porgeva la mano.

 

Rimasi a fissarla per cinque secondi abbondanti prima di afferrarla. La sua mano era callosa e tiepida. Mi aiutò a rialzarmi, per poi porgermi la borsa.

 

“emh…grazie” blaterai afferrandola con mani tremanti. Niente. Nessuna reazione. Abbassai gli occhi, a disagio.

 

“ci siamo già visti da qualche parte?” chiesi alzando nuovamente lo sguardo, timorosa di aver sbagliato. Lui annuì, continuando a fissarmi, inespressivo.

 

“ero nei paraggi dell’incendio di qualche giorno fa” disse con voce incolore, ma calda. Eppure per un attimo vidi i suoi occhi schiarirsi. Dovevo capire, ma ero troppo imbarazzata, nel parlare si era avvicinato tantissimo al mio viso. Indietreggiai, urtando il muro. Il ragazzo doveva aver percepito il mio imbarazzo, perché si allontanò leggermente da me.

 

“g-grazie per la borsa…e per il resto” abbassai nuovamente il volto nascondendolo dietro i capelli, sentendo il viso caldo. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo per più di dieci secondi, patetico.

 

“non c’è di che. L’ho fatto con piacere” disse, spiazzandomi. Ero ancora più confusa di prima, ma sentivo che era lui.

 

“sul serio, mia sorella è la cosa più preziosa che ho…senza di lei…se voi non foste…”

 

“dammi pure del tu. Come ti chiami?” mi chiese scrutandomi.

 

“Isobel” sussurrai, mi sentivo strana, un calore fortissimo mi pervadeva, mentre la razionalità mi urlava di scappare. Beth aveva ragione, emanava…qualcosa di indefinibile. Ma non ci feci quasi caso.

 

“Isobel” ripeté assorto. Lo sguardo perso nel vuoto.

 

“Mi chiamo Illumi” mi svelò ricominciando a guardarmi.

 

“Illumi, davvero, non potrò mai sdebitarmi per quello che hai fatto. Grazie” lo guardai felice e colma di gratitudine e dolcezza. Lui spalancò impercettibilmente gli occhi.

Lo capivo, i miei cambi di umore erano strani, molto strani. Se un attimo prima ero imbarazzata, quasi timorosa di parlare con lui ora ero totalmente a mio agio.

 

“emh” chiedere, solo chiedere “pos-so offrirti almeno un caffè?” chiesi cauta evitando accuratamente di guardarlo in viso, concentrandomi sulla felpa.

 

“……no” rispose dopo una decina di secondi

 

“oh” delusione. Cosa mi aspettavo, in fondo?

 

“non che io non voglia, ma…mi sento strano. Tu mi fai sentire strano” boccheggiai. Cosa?

 

“perché non penso altro che a te da quando ti ho vista? Perché ti ho salvata? Perché…? Cosa mi hai fatto?” mi allarmai, sembrava uno squilibrato. Non mi guardava, fissava il terreno parlando da solo. Neanche a volerlo, alzò lo sguardo verso di me proprio mentre lo fissavo beccandomi in pieno. Arrossii, soprattutto perché si era avvicinato ancora di più a me. Ma che ci facevo lì? Una persona sana di mente avrebbe già mollato uno schiaffo e girato i tacchi. Eppure…quel ragazzo mi intrigava ma…non resistevo più, dovevo chiederglielo.

 

“Signor Illumi, perché mi guardate…così?” mi sentivo tremendamente in imbarazzo, mi scrutava come se cercasse qualcosa in me, ma che non trovava.

 

“perché mi piace guardarti” rispose semplicemente.

 

  
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