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Autore: ART RevolveR    20/09/2013    4 recensioni
[“Frank...” chiamò, la voce incerta a causa del leggero tremito che si era impadronito di lui “Frankie... Hai visto anche tu...?”
“Che cosa?” domandò candidamente il piccoletto, sfoderando uno dei suoi sorrisoni che avrebbero fatto sciogliere l’intero ghiacciaio del Monte Bianco in cinque nanosecondi.
“Quella... Quella cosa...” Di fronte alla sincera espressione interrogativa di Frank, aggiunse parole sconnesse per tentare di spiegarsi. “L’ombra... Lo specchio... Oddio...”
”Quello specchio?” chiese Frank tranquillo, indicando l’oggetto incriminato ed avvicinandosi di qualche passo per osservarlo con maggiore attenzione tramite i suoi grandi occhi di quel colore non ben definito tra il verde ed il nocciola. “Ma io non vedo niente. Guarda!”]
Paramour Mansion, California. I MCR sono tornati nella villa per incidere delle B-sides. Ma Gerard è inquieto. Vede cose che gli altri non vedono. Riflessi, ombre. Cosa succede? Sta impazzendo? Oppure... Possiamo difenderci da ciò che vediamo, per quanto spaventoso esso sia... Ma come affrontare qualcosca che non puoi vedere?
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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WARNING: colpo di scena a fine capitolo!!! °^°



CAPITOLO 3: “And if they get me...”

Quella notte Gerard non chiuse occhio.
Non sapeva per quanto tempo fosse rimasto abbracciato a Frank la sera prima. Sapeva solo che erano trasaliti entrambi quando l’orologio a pendolo aveva iniziato improvvisamente a rintoccare, segnalando la mezzanotte.
Non sapeva nemmeno con quale sovrumana forza di volontà aveva trovato il modo di sciogliere l’abbraccio e di salutare Frank per poi dirigersi verso la propria camera. L’aveva salutato sottovoce, come se temesse che anche il più piccolo sussurro potesse metterli in pericolo.
Ma l’inquietudine e la sensazione istintiva di essere osservato non l’avevano mai abbandonato. E poi c’era quel silenzio. Completo. Pesante. Quasi tangibile.
Lo detestava.
Doveva assolutamente colmarlo con qualcosa. Colmare quel vuoto sonoro che tanto lo spaventava.

Non appena si chiuse la porta della camera alle spalle, ansimando per la corsa e la paura, si cambiò ed indossò il suo adorato pigiama dei Misfits il più in fretta possibile, come se ogni secondo perso fosse un secondo in meno di vita.
Una volta sotto le coperte, tentò di rilassarsi e di scacciare il silenzio ascoltando un po’ di musica attraverso gli auricolari dell’iPod, in modo da calmare i nervi ed assopire la mente, scacciandone tutti i pensieri negativi... Ma anche dopo un’ora ininterrotta di musica, Morfeo sembrava ben lontano dall’essere disposto a scendere a fargli visita.
Decise dunque di levarsi le cuffie per lasciarle sul comodino accanto al letto e tentare di addormentarsi nel silenzio che regnava incontrastato sulla casa di notte.
Ma era il silenzio stesso a spaventarlo.
Temeva di udire un rumore, anche piccolissimo, da un momento all’altro, a tradire la presenza di quella ‘cosa’ nelle vicinanze. Quando sei immerso in un completo ed innaturale silenzio, speri con tutto il cuore che quella situazione finisca. Ma allo stesso tempo sei terrorizzato all’idea di un qualsiasi rumore che potrebbe infrangere quella stasi.
Gerard rabbrividiva persino per i lievi fruscii che la stoffa produceva ogniqualvolta si rigirava nel letto, incapace di trovare una posizione comoda.
E temeva che quella creatura misteriosa, qualsiasi cosa essa fosse, si nascondesse nelle tenebre proprio di fronte a lui. Si sentiva come osservato e  non era in grado di comprendere se lo fosse stato realmente o se si trattasse solamente di una sua sensazione sgradevole.

Aveva passato l’intera notte così, con l’inquietudine che possedeva il suo animo e gli incatenava i pensieri, senza lasciarlo dormire.
E non era preoccupato esclusivamente per se stesso e la propria salute mentale. Ammesso che lui stesso non fosse uscito di testa completamente, era comunque evidente il fatto che fosse l’unico in grado di vedere quella ‘cosa’. Se mai avesse deciso di attaccare gli altri, loro non se ne sarebbero nemmeno accorti...
Se lui era davvero l’unico in grado di vederla doveva proteggerli. Doveva essere lui a farlo, perchè gli altri, ignorandone l’esistenza, non sarebbero mai stati in grado di difendersi dal soli.
Ma, davvero, come affrontare un essere che non sai cos’è e non puoi nemmeno fottutamente vedere?
Tormentato da questa domanda, Gerard continuava a rigirarsi nel letto, le lenzuola che gli sembravano pesare addosso come una cotta di maglia anzichè del morbido tessuto.

‘Ma...’ riflettè tra sè e sè, in  preda ad una improvvisa illuminazione ‘Sono davvero l’unico in grado di vedere quella cosa...?
Non l’aveva mai vista prima di allora. Non prima di aver messo piede nella casa, ormai due giorni prima...
Ciò poteva significare che forse quell’entità si trovasse esclusivamente in quella villa coloniale...
...e che, molto probabilmente, vagava lì dentro fin da prima dell’arrivo della band.
Se davvero quella cosa era lì da tanto era impossibile che lui fosse l’unica persona in grado di vederla.
Forse la casa era davvero stregata come dicevano...
E, se c’era una cosa che Gerard aveva imparato dalle innumerevoli nottate passate sul divano di casa a guardare film horror con Mikey (e a volte anche con Frank, che si autoinvitava sfacciatamente a casa Way non appena sentiva la parola horror fuoriuscire dalle labbra di uno dei due fratelli) quando una casa è infestata, sicuramente c’è più di una persona in grado di vedere i fantasmi o comunque gli esseri sovrannaturali che vi dimorano. E, soprattutto, se una casa è infestata, il motivo è da ricercare nella storia della casa stessa. Il che a volte, permette anche di indagare la natura e l’origine delle presenze che la infestano.
Quindi la cosa migliore da fare era scoprire qualcosa di più su quella casa...

Gerard raccolse tutto il coraggio di cui disponeva ed estrasse il braccio destro dalle coperte per poi estenderlo nel buio pesto verso il muro per cercare a tentoni l’interruttore.
Gli ci volle qualche secondo, ma infine il tasto scattò con un sonoro schiocco e la luce improvvisa gli trafisse dolorosamente le cornee.
”Ggggh...” si lasciò sfuggire, parandosi inizialmente il viso con la mano, per poi ammutolire immediatamente e portarsi il palmo davanti alla bocca, timoroso che anche quel minimo gemito potesse aver portato la misteriosa creatura fin da lui.
Passò qualche secondo ad osservare febbrilmente ogni piccolo angolo della stanza, le pupille che dardeggiavano in tutte le direzioni, ma non vide nulla che potesse tradire la possibile presenza della ‘cosa’ e si tranquillizzò leggermente.
Si sporse verso il comodino al fianco del letto. L’antina di legno si aprì con un cigolio sinistro quando ne afferrò la maniglia, ma Gerard ingoiò un respiro e decise di non badarci. Tirò fuori con cautela la custodia del computer portatile e se la posò sulle gambe.
Decise comunque di non richiudere l’antina: meno rumore faceva e meglio era, o almeno così pensava.
Il pc si accese con un ronzio basso, il piccolo schermo che gli inondava il viso di luce, conferendogli un malsano pallore verdognolo.
Aprì immediatamente la homepage di Intenet, impostata su Google e posò le dita sulla tastiera, digitando lieve, in modo da non fare troppo rumore:

Paramour Mansion

Osservò per un momento le lettere nere risaltare sullo schermo bianco, poi premette “invio” e attese che il motore di ricerca facesse il suo lavoro...
...e non trovò un gran che, a dir la verità.
Giusto un paio di informazioni su Wikipedia: Paramour Mansion non era il nome originario della villa coloniale, bensì Canfield-Moreno Estate, appartenuta ad un certo Antonio Moreno, e sua moglie Diasy Canfiled. Ma la pagina parlava anche della morte di Daisy nel 1933, in circostanze poco chiare... Qualcosa che aveva a che fare con un incidente d’auto.
Quando però cercò delucidazioni si questo fatto non trovò altro e la cosa lo insospettì.
Tornò a studiare la storia della casa sulla pagina di Wikipedia: apparentemente aveva passato diversi proprietari. Prima era divenuta proprietà dell’erede di Daisy, una certa miss Chloe P. Canfeild, che l’aveva trasformata in un istituto per ragazze per bene.
Gerard sbuffò.
Ecco! Se la cosa si fosse venuta a sapere chissà quanti altri epiteti femminili saprebbero piovuti su di lui e sulla sua band! Come se già non ne avessero ricevuti abbastanza...
Tirò un lungo sospiro, pensando al fatto che effettivamente nessuno di loro era propriamente uno stereotipo di virilità, e tornò a piantare gli occhi sullo schermo del pc.
Dopo essere diventata un collegio per Signorine, la villa era stata venduta alle suore e trasformata in convento.
Di male in peggio! Per un momento Gerard ebbe una fugace visione di tutti i componenti della band vestiti da suore, con tanto di abito nero ampio e velo bianco.
Inorridito, scacciò l’immagine dalla mente e riprese a leggere: nel 1987 un violento terremoto si era abbattuto sulla California ed aveva danneggiato seriamente la casa, costringendo le suore a venderla e poi...
Nulla.
Assolutamente nulla!
Undici anni di vuoto totale.

Il cantante si stropicciò gli occhi per la stanchezza dovuta alla mancanza di sonno e gettò uno sguardo alla finestra, dalla quale cominciavano a fare capolino i primi bagliori dell’alba, mentre il cielo aveva assunto una morbida sfumatura rosata. Tornò a concentrarsi sullo schermo del pc, sapendo che tra non molto avrebbe dovuto alzarsi comunque e che quindi a questo punto tanto valeva tirare avanti fino a quel momento.
Le notizie sulla villa riprendevano dal 1998, quando era stata acquistata da una certa Ms. Dana Hollister, che aveva ristrutturato la proprietà e ne aveva fatto uno studio di registrazione.
Ma che cosa diamine era successo in quegli undici anni?
Gerard provò a setacciare Google, alla ricerca di informazioni, lessandosi gli occhi a furia di fissare lo schermo del computer, ma non trovò assolutamente niente.
Era come se la casa fosse letteralmente sparita per undici anni...

 
***

Erano ormai le sette quando Gerard decise che era stufo di stare in camera propria incollato allo schermo del pc e si trascinò stancamente fuori dal letto e verso l’armadio per raccattare qualcosa da indossare quel giorno. Aprì l’antina e trovò ad accoglierlo una vasta gamma di felpe, giacche e t-shirt, tutti rigorosamente neri.
‘Certo che sono diventato proprio qualcosa di deprimente.’ Riflettè amaramente. ‘Non che prima non fossi di certo più allegro: il nero è sempre stato il mio colore. Però almeno qualche elemento di rosso lo indossavo. Ultimamente ho iniziato a vestire esclusivamente di nero, quasi senza accorgermene...’
Scelse un paio di jeans attillati e una maglietta senza porvi troppa attenzione e  poi aprì il cassetto della biancheria per estrarne un paio di boxer e uno di calzini. La visione che gli si presentò  aprendo il cassetto fu nuovamente completamente nera.
‘Sono depresso persino nei paesi bassi!’ ridacchiò tra sè e si domandò se anche il resto della band fosse stata influenzata da The Black Parade ad un livello così profondo. ‘Questa faccenda della Parata Nera ci è seriamente sfuggita di mano. Chissà se anche gli altri indossano solo biancheria nera...”
L’improvvisa visione di Frank che vagava per la camera con addosso esclusivamente un paio di boxer neri aderenti gli invase completamente e repentinamente la scatola cranica, scacciando qualsiasi altro pensiero.
Si sentì avvampare e cercò invano di scacciare quell’immagine dalla mente, mentre si dirigeva verso il letto e cominciava a vestirsi stancamente.
Beh, quella volta Frank indossava sicuramente dei boxer neri, ma solitamente il chitarrista portava i jeans moooolto bassi e, beh... Effettivamente lo aveva visto portare anche boxer bianchi o grigi, forse blu una volta. Non che gli guardasse il culo ogni due per tre, eh! No, non era così! Davvero!
E’ che l’occhio cade su certe cose, capite...
Scosse la testa rendendosi conto di quanto sembrasse un cacchio di vecchio pervertito in quel momento. Quando gli sembrò di essersi ricomposto abbastanza, indossò una leggera felpa col cappuccio – ovviamente nera – lasciando la zip aperta, perchè non faceva poi così fresco per essere ottobre, ed uscì dalla propria camera.

‘Come prima cosa ci vuole un caffè.’ Stabilì, avviandosi con decisione verso la cucina, per prepararsene una caffettiera intera. Il che non era molto diverso dal primo pensiero che gli si affacciava alla mente ogni mattina, di solito.
Quando si fu finalmente colmato una grande tazza di ceramica dell’amaro liquido scuro e d averlo allungato generosamente con del latte, decise che non aveva intenzione di starsene in cucina, ma che sarebbe stata un’ottima idea andare a sorseggiarlo fuori, nel patio, lasciandosi carezzare il volto dai primi raggi del sole e godendo del fresco mattutino.
Fu mentre apriva la porta a vetri ed usciva in cortile, accolto immediatamente da una folata di vento gelido – okay, non faceva poi così fresco, ma non faceva nemmeno caldo, dopo tutto - e da qualche foglia secca, che vide il custode.
Si trovava all’angolo opposto del cortile, oltre la piscina, e stava raccattando pigramente le foglie cadute con una scopa di saggina. Non sembrava essersi accorto dell’inusuale presenza di Gerard così presto la mattina.
Il cantante appoggiò la tazza fumante su un tavolino di metallo verniciato di nero vicino all’ingresso e si allacciò la felpa fino al collo per proteggersi dall’aria frigida, poi riprese la tazza ed iniziò a sorseggiarne il caldo contenuto, continuando ad osservare il custode e riflettendo tra sè.
Quell’uomo...
Sembrava saperla lunga.
Indubbiamente non era per niente giovane, o almeno portava male la sua età. Inoltre sembrava essere in quella villa da molto molto tempo...
Quindi se c’era qualcuno che poteva sapere qualcosa in più su quella casa, qualcosa che non si trovava su internet, era indubbiamente lui.

Gerard finì di bere il caffelatte e, dopo un momento di esitazione, decise di abbandonare semplicemente la tazza sul tavolino, poi si avvicinò cautamente all’uomo, che stava ancora spazzando stancamente le foglie secche, ammucchiandole in tanti piccoli cumuli.
“Ehm... Mi scusi...” tentò di approcciarlo timidamente Gerard.
”Cosa c’è!?!” sbottò secco il custode, sollevando la testa di scatto con aria ostile. Poi, sembrò come mettere a fuoco la figura di Gerard e cambiò atteggiamento.
”Ah, è lei.” Disse, cercando di mascherare con un sorriso cordiale un’espressione di sincero disappunto. “Come mai già in giro a quest’ora del mattino?”
”Uh, io... Non riuscivo a dormire e mi sono alzato per farmi un caffè.” Tentò di giustificarsi Gerard, un po’ a disagio, sentendosi squadrato da capo a piedi da quell’uomo.
“Ehm... Ecco io avrei una domanda da farle, se non la disturbo.”
“Affatto.” Rispose il guardiano, posando a terra la scopa ed osservandolo in attesa. “Domandi pure.”
”Dunque, io mi chiedevo se lei saprebbe dirmi qualcosa in più su questa casa...” chiese Gerard, sperando con tutto il cuore che il custode fosse disponibile a fugare i suoi dubbi.
”In che senso?” domandò l’uomo, evidentemente colto alla sprovvista da una richiesta del genere “C’è qualche sala in particolare che vorrebbe visitare o ha qualche dubbio sulle condizioni di affitto poste agli artisti per quanto riguarda lo studio?”
”No. No. Non intendevo in quel senso!” si affrettò a precisare gerard, agitando le mani davanti a sè e dando più enfasi al diniego “Io mi chiedevo se lei potesse raccontarmi qualcosa proprio su questa villa... Che so... Sulla sua storia, sui proprietari del passato...”
”E’ la prima volta che qualcuno mi chiede una cosa del genere! Come mai questo interesse per il passato della villa?” gli chiese il custode, osservandolo con sospetto.
”C’è... C’è una cosa che vorrei capire. E forse saperne di più su questo luogo potrebbe aiutarmi...”
”Quanto sa lei già della storia di questa casa? C’è qualcosa in particolare che vorrebbe sapere?”
“Veramente ho già fatto qualche ricerca. Ma non ho trovato molto... Cosa sa dirmi dei primi proprietari? Intendo dire...” e qui prese un profondo respiro “...Daisy Canfileld.”
“Mi sta chiedendo... della sua morte?”
“Si.” Rispose Gerard, in un soffio.
“Ebbene, immagino lei sappia com’è venuta a mancare la signora Canfield.”
”So che è stato un incidente d’auto. Ma c’è dell’altro vero? Le informazioni sono poche e confuse...”
”Infatti è sicuramente successo qualcosa. Deve sapere che quella sera del 1933, Daisy non era in macchina da sola, ma stava tornando verso questa casa dopo essere stata ed un party insieme ad un’amica, una certa Rene Dussac. Quella donna è sopravvissuta all’incidente che ha ucciso la signora Canfield, ma i suoi racconti dell’accaduto sono sempre stati piuttosto confusi, sa...”
Gerard trattenne il respiro e tenne gli occhi incollati sull’uomo, aspettando che continuasse a raccontare.
”Secondo Rene, comunque, pare che quella tarda sera di febbraio ci fosse una fitta nebbia, che rendeva molto difficile vedere la strada e pericoloso mettersi alla guida. Ma Daisy aveva insistito molto per tornare verso casa, perchè diceva di non sentirsi bene, quindi, nonostante le continue proteste dell’amica, si era messa alla guida...
Ma, mentre stavano percorrendo Mulholland Drive, la povera Daisy ha perso il controllo della macchina e il veicolo è volato per un centinaio di metri giù dalla curva panoramica...
L’amica si è miracolosamente salvata, anche se è rimasta gravemente ferita. Per la povera donna invece non ci fu nulla da fare: aveva il petto schiacciato ed i polmoni spappolati dalle lamiere dell’auto.”
L’uomo fece una pausa drammatica e si lasciò andare ad un sorrisetto compiaciuto nel vedere l’espressione sconvolta dipinta sul viso di Gerard, che si era fatto, se possibile, ancora più pallido del suo naturale biancore malaticcio.
”Secondo l’autopsia non aveva contusioni in testa. E’ molto probabile che la donna sia morta dopo una lenta agonia, per soffocamento, dato dallo schiacciamento dei polmoni.”
”Oddio...” gemette Gerard, portandosi una mano alla bocca, sconvolto al solo pensiero di una morte tanto orribile. Sentiva la nausea nascere dalla profondità delle viscere e crescere lentamente fino ad arrivargli alla gola.

“Ma non è finita qui!!” esclamò il custode senza preavviso, facendo prendere letteralmente un colpo a Gerard, che per poco non fece un salto all’indietro dallo spavento, il che lo avrebbe portato a ruzzolare dritto nella piscina che si trovava alle sue spalle.
“C-c’è dell’altro...?” domandò il cantante, una volta ripreso l’equilibrio, per quanto in cuor suo sapesse già che la risposta sarebbe stata affermativa.
”Certamente.” Riprese l’uomo, con un’espressione estremamente seria in volto.
“Come ho detto prima l’amica di Daisy si è salvata. Ma quando finalmente riuscirono ad estrarla dalla carcassa dell’auto era in un profondo stato confusionale. Dai pochi brandelli di frasi comprensibili che sono riusciti a cavarle di bocca, si è scoperto che la donna avesse cercato di aumentare la luminosità dei fari, per vedere meglio attraverso la fitta nebbia... Ma quando la polizia analizzò l’auto, scoprì che al momento dell’incidente i fari erano spenti. Mentre, invece, l’interruttore era posto sui fendinebbia...”
”Oh!” si lasciò sfuggire Gerard, con un’esclamazione acuta che stentò a riconoscere come la propria voce.
“E’ per questo che c’è chi dice che non si sia trattato di un semplice incidente, ma di un omicidio. Alcune persone insinuarono che potesse essere stato lo stesso marito do Daisy, l’attore Antonio Moreno, a sabotare l’auto. Anche perchè la morte avvenne giusto un paio di settimane dopo la fine del loro matrimonio. Ma,ovviamente, la cosa non fu mai provata.”
“E l’amica? Rene...? Che fine ha fatto?”
”Non si è più ripresa. Anche se le sue ferite sono guarite lentamente nel corso degli anni successivi, è rimasta in uno stato mentale confusionario molto a lungo...”
”E ora dove si trova?”
”E morta nel 1985 in manicomio. Aveva quasi 100 anni. Ha trascorso tutta la vita là dentro.”


***

 La conversazione di quella mattina presto lasciò a Gerard un turbamento profondo, che lo accompagnò nel corso di tutta la giornata.
Continuava a ripensarci, il che lo portava ad essere sempre distratto o assente, con conseguenze disastrose sulle registrazioni, visto che non riusciva a cantare come avrebbe dovuto, mancando di concentrazione. Tutte le parti vocali registrate quel giorno, vennero cancellate, perchè non ritenute sufficientemente valide nemmeno per delle B-sides.
A nessun componente della band sfuggì il suo comportamento insolito, ma ogni volta che qualcuno gli si avvicinava per chiedere spiegazioni, Gerard lo scacciava in malo modo. Scacciò involontariamente anche Frank, allo stesso modo e l’espressione ferita che gli restituirono gli occhioni del chitarrista bastò a farlo sentire tremendamente in colpa per tutto il resto della giornata.

S’era fatta ormai sera inoltrata quando stava andando in cucina per prepararsi una tazzona di tisana. La carenza di sonno si faceva sentire con tutti i suoi fastidiosi effetti collaterali. Stanotte doveva assolutamente riuscire a dormire o sarebbe sicuramente collassato il giorno successivo. E forse una buona tazza di camomilla lo avrebbe aiutato a calmare i nervi e a prendere sonno.
Stava nuovamente percorrendo il largo corridoio al pianterreno della villa quando adocchiò il grande specchio dove aveva visto comparire la cosa per la prima volta.
Aveva una fottuta paura a passarci nuovamente davanti, ma era l’unico modo per raggiungere la cucina. Per un momento, soppesò mentalmente l’idea di rinunciare alla tisana e ritornare sui propri passi, ma infine si decise a muovere qualche passo avanti.
E quando gettò un’occhiata timorosa nello specchio...

...la cosa era di nuovo lì!

Fluttuava nell’aria proprio alle sue spalle, senza agire, senza toccarlo in alcun modo, ma era lì. Era fottutamente lì, vicinissima a lui, riflessa nel grande specchio.
A Gerard si mozzò letteralmente il respiro e passò quella che credette essere un’eternità, pietrificato, ad osservare il proprio riflesso pallido come un cencio nello specchio e la cosa che continuava a fluttuare direttamente alle sue spalle. E sembrava nuovamente osservarlo con quelle sottospecie di punti luminosi, al centro della massa di fumosa oscurità...

“Gee?”
La voce di Frank gli giunse dal fondo del corridoio, liberandolo dalla paralisi.
Bastò la frazione di secondo in cui aveva spostato lo sguardo sul proprio chitarrista, che stava giungendo tranquillamente dal fondo del corridoio, e poi nuovamente sullo specchio, a far sparire la cosa dalla sua vista.
Di nuovo. Come l’altra volta, non appena aveva chiamato Frank, la cosa era sparita.
Cosa significava?
”Gee, che succede?” domandò il ragazzo, ormai ad una decina di passi da lui.

Senza nemmeno avere il tempo di pensarci razionalmente, Gerard si era fiondato tra le sue braccia. Lui stesso se ne rese conto ad azione avvenuta, quando avvertì il calore del piccolo corpo di Frank contro il proprio ed il profumo dello shampoo che aveva utilizzato emanare dai capelli morbidi, che ora gli stavano solleticando il volto.
Ma era così spaventato... Troppo per lasciare andare quel piccoletto, che aveva l’incredibile potere di tranquillizzarlo con la sua semplice presenza.
Sentì Frank irrigidirsi inizialmente in quell’abbraccio inaspettato, ma dopo qualche istante le mani del chitarrista scivolarono sulla sua schiena e ricambiò la stretta.
“Gerard...?” pronunciò nuovamente il suo nome, quasi in un sussurro.
Per tutta risposta il cantante lo strinse un po’ di più a sè.
"Gee, che cos'hai..?" chiese di nuovo Frank, questa volta con un tono molto preoccupato.
"Io... Io non lo so." riuscì finalmente a trovare la voce Gerars, continuando a tenersi stretto a Frank. "Non capisco più niente. Forse sto davvero impazzendo..." gemette, ormai sullìorlo di una crisi di panico. Non riusciva a calmarsi, nonostante stesse stringendo Frank tra le braccia. Non appena si rese conto che nemmeno quella che pensava essere la sua unica speranza sembrava funzionare in alcun modo, si agitò ancora di più. Cosa cacchio stava succedendo?
"Gee... Gee... Gerard!" Esclamò infine il piccoletto, facendo forza dulle braccia per allontanarlo a fatica da sè, giusto quanto bastava per poterlo scrutare in viso. E quello che vide non gli piacque: era pallico come un cencio e gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte. Gli occhi erano spalancati elucidi, tanto che pareva potesse scoppiare a piangere da un momento all'altro.
Fu questa la patetica immagine che Gerard vide specchiarsi negli occhi di Frank. Patetico. Era patetico. Non poteva mostrarsi in quello stato pietoso. Non così. Non da lui.
Si strofinò una mano sul viso, tentando di ricomporsi un minimo e dischiuse le labbra per cercare di mettere in fila due parole, in modo da formare almeno una frase di senso compiuto.
"Frank, io... I-io ho visto di nuovo quella cosa. Nello specchio e- Oddio, non so cosa fare... Che cos'è? Perchè la vedo soltanto io?"
Frank aggrottò le sopracciglia, in un'sepressione preoccupatissima, che Gerard giurava di non avergli mai visto in viso, come se ci fosse dell'altro dietro. Come se non fosse preoccupato esclusivamente per le sue condizioni pietose, ma ci fosse qualcosa di più grande, che a lui ancora sfuggiva.

Sentì il chitarrista stringere un po' di più le mani sulle sue spalle, come a volergli dare un segno tangibile della propria presenza, del fatto che fosse lì con lui, in quell'esatto momento.
"Gerard... Gerard, calmati." Mormorò, scuotendolo leggermente e cercando di farsi guardare in faccia "Gerard, guardami, ehi! Va tutto bene, ma devi calmarti adesso. Ci sono io con te, quindi calmati..."
"Non ci riesco... Non ci riesco!" sbottò Gerard all'improvviso, spaventando Frank che fece un piccolo passo indietro "Sono così confuso... Non capisco più niente... E quella cosa mi preoccupa." si lamentò, prendendosi la testa tra le mani, tirando ciocche di capelli neri, che stavano finalmente ricominciando a crescere.
Frank cercò nuovamente di rassicurarlo ”Secondo me sei solo molto stanco. In queste notti non stai dormendo quasi per niente, vero? Come quando sei venuto da me l'altroieri...Sei sicuramente molto stanco. E forse i vari impegni della band ti stanno stressando. Stiamo facendo davvero un sacco di cose ultimamente. E tu stai anche lavorando ad un fumetto. E’ più che comprensibile che tu sia stanco.
Hai solo bisogno di distrarti un po’.” Concluse sorridendogli dolcemente.
”E se vuoi... Posso fare io qualcosa per distrarti.” Sussurrò Frank al suo orecchio con voce sottile, sottolineando l’ultima parola e facendo scorrere una mano dal petto di Gerard lungo la sua pancia fino a fermarsi a giocare col bottone dei suoi jeans.
Al cantante qusi prese un colpo. Frank non s'era mai comportato così da sobrio. ”F-Frankie... Veramente non mi sembra il momento. Davvero non capisci? Ho troppa paura. Ho paura che quella cosa ritorni.”
Frank sospirò, evidentemente deluso dalla non-reazione di Gerard, anche se poi gli dedicò un'occhiata se possibile ancora più preoccupata delle precedenti. Solo che questa volta c'era qualcosa in più dentro. Sembrava... tristezza?
”Ehi... Ma non eri tu quello che adorava i vampiri ed i mostri? Li disegni sempre, praticamente ovunque! Com’è che adesso sei così spaventato, Gee?” provò a riprendere, con tono scherzoso, aggiungendo una delle sue tipiche risatine acute alla fine della frase. Solo che questa volta la sua risata, solitamente coì cristallina e spontanea, sembrava fredda e forzata in mezzo a quell'atmosfera pesante.
”L-lo so, ma.... Ah! Aaaaaaaah!” Gerard si allontanò di scatto, lasciandosi sfuggire un urlo strozzato, gli occhi spalancati dal terrore. Quella cosa. Quella cosa era visibile ad occhio nudo ed era alle spalle del suo amico. Così vicina a lui, che alcune sue propaggini quasi lo avvolgevano, ondeggiando leggere nell’aria come fanno i capelli lunghi sott’acqua.
”E-ehi? Cosa... Cosa succede, Gee...?” chiese, raggelando.
Ma il cantante non riusciva a parlare, schiuse le labbra, boccheggiando senza emettere suono. Alzò lentamente un braccio, puntando un dito tremante verso la creatura.
”Ge-Gerard...? S-se mi stai prendendo in giro non è divertente, smettila subito...”
Adesso la sentiva anche lui la paura. Oh sì che la sentiva, ghermirgli il cuore in una morsa con i suoi freddi artigli.
”C-c-c’è qualcosa dietro di me?” chiese, aspettando una risposta che non arrivò.

Si voltò lentamente per guardarsi alle spalle e Gerard lo vide chiaramente fare un salto all’indietro per lo spavento, alla vista della fumosa creatura fluttuante.
“C-cosa... Cosa sei? Cosa vuoi da me?” domandò in uno squittio terrorizzato il chitarrista, muovendo un piccolo passo cauto all’indietro, verso Gerard.
Bastarono quelle poche parole a colpire Gerard come una frustata: Frank stava parlando con quella cosa! Frank la vedeva!
Com’era possibile? Per tutto quel tempo aveva sempre pensato di essere l’unico a vedere e percepire la sua presenza. Ma allora...
”N-non avvicinarti... Vattene via!” intimò arretrando ancora di un paio di passi, quando la creatura si avvicinò fluttuando a lui.
Gerard si trovava ancora a quattro o cinque passi da lui, senza poter fare altro che osservare la scena, pietrificato dalla paura. Perchè la cosa era visibile, adesso? E soprattutto perchè se la stava prendendo con Frank?
“Aaaah! No! Vattene!” quasi urlò il ragazzo quando l’essere si avvicinò nuovamente a lui, allungando una propaggine di foschia oscura verso il suo viso.

Gerard visse gli attimi successivi in maniera molto confusa. Avvertì il proprio braccio scattare in avanti, anche se non ricordava di aver pensato in alcun modo di farlo e spiccò una specie di salto verso Frank. Afferrò il polso del suo compagno e con uno strattone improvviso se lo tirò addosso, allontanandolo da quella cosa, e  lo abbracciò strettissimo. Lo strinse a sè con tutta la forza che aveva, come se fosse stato il tesoro più prezioso al mondo, come se ne andasse della sua stessa vita.
Probabilmente lo stava stringendo così forte da fargli male o impedirgli di respirare, ma lui stesso non si rendeva quasi conto di cosa stesse facendo. Sapeva solo che quella cosa stava per fargli qualcosa e lui doveva proteggerlo.
O almeno provarci.
Ma la cosa era ancora lì di fronte a loro, lui lo sapeva. Lo percepiva, anche se non aveva il coraggio di guardare, perchè aveva serrato strettamente le palpebre non appena si era ritrovato Frank contro il petto e tra le braccia.
Era letteralmente terrorizzato da ciò che sarebbe potuto succedere di lì a poco, anche se non ne aveva davvero la più pallida idea. Riusciva solamente a immaginare che sarebbe stato qualcosa di orribile e tutto ciò che riusciva a fare era respirare a fatica e tenersi stretto il piccolo chitarrista.
Non l’avrebbe lasciato andare per nulla al mondo.
Non sapeva se la cosa era interessata ad entrambi o esclusivamente a lui, ma qualsiasi cosa fosse successa, l’avrebbero affrontata insieme.
Strinse le palpebre così forte da veder spuntare tante piccole stelline all’interno delle orbite ed attese...

Attese per quella che gli parve un’eternità, ma non successe proprio nulla.
Udì un piccolo gemito soffocato provenire da qualche parte all’altezza del proprio petto, dove stava ancora premuto il viso di Frank ed iniziò a schiudere cautamente gli occhi, ancora molto timoroso di qualsiasi scena gli si sarebbe potuta presentare davanti...
...invece trovò solamente il largo corridoio deserto e scarsamente illuminato ad accoglierlo.
La cosa era sparita nuovamente. Misteriosamente come era comparsa.

Quasi trasalì quando una sottospecie di rantolo gli giunse alle orecchie ed abbassò lo sguardo su Frank.
”Gee... Gee, non respiro...”
“Wah! S-scusa!” esclamò il cantante, allentando la presa. Ma solo un po’, quel tanto che bastava per lasciar emergere il viso di Frank dal proprio petto. Non si sentiva per niente al sicuro, quindi non aveva ancora intenzione di lasciarlo andare.
Il piccoletto emerse dal suo abbraccio, inalando avidamente l’aria che gli era mancata fino a quel momento.
“Frankie? Stai... Stai bene?”
E si sentì stringere il cuore in una morsa quando finalmente incontrò gli occhi del chitarrista: erano enormi e spaventati...
Ma fu lo sguardo ciò che lo colpì di più. C’era una muta richiesta di aiuto in quegli occhi così grandi, nei quali si stava specchiando e per un attimo temette di annegarci letteralmente dentro.

“Gerard... Io...” disse Frank in un gemito appena udibile, abbassando lo sguardo, “C’è una cosa che devo raccontarti...”

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Buonsalve, lettori! =D
Speravo davvero di riuscire a pubblicarvi questo capitolo entro la settimana scorsa, ma per una serie di contrattempi e incasinamenti ho dovuto rimandare di una settimana, sigh...
Comunque la cosa è ricomparsa, visto?!?
Questo è un capitolo molto molto denso, ed importante per la storia. Anche la prima parte, per quanto magari possa sembrare un po' lenta (e temo sia anche un po' pesante, scusate! ^^'), in realtà sarà molto importante e più avanti scoprirete il perchè.
Una cosa: tutte le informazioni sulla storia della Paramour Mansion che trovate in questo capitolo sono VERE.
Sono tutte vere, dalla prima all'ultima. Mi sono documentata e ho fatto ricerche prima di scrivere questo capitolo... Anche la vicenda della misteriosa morte di  Daisy Canfield. L'unica informazione inventata è quella sulla fine di Rene, sulla quale non ho trovato nessuna informazione in giro. Ma anche questa sarà funzionale alla storia, come vedrete...
Comunque TAN-TAN-TAAAN!!! Colpo di scena, visto??? =)
Il FrankoH sa più di quanto paresse, uh!
Quanti se l'aspettavano?
E secondo voi che cosa dirà Frankie a Gee nel prossimo capitolo?
Ci saranno grandi rivelazioni!
E, forse, ci avvicineremo un po' di più alla risoluzione di questo mistero...
Vi ringrazio per la vostra pazienza se mi state seguendo ancora nonostante i miei tempi biblici nell'aggiornare.
Se vi va, fatemi sapre che ne pensate di questo capitolo e cosa vi aspettate dai prossimi!
A presto! ^^

Keep running. Keep shinig. Mean something.

xoxo


   
 
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