Frammentari e nostalgici ricordi
E’ un
qualsiasi pomeriggio di fine novembre. Domencia mi pare di ricordare. Oh,
quante belle cose accadranno tra meno di un mese! Il Natale, i regali, si è
tutti più buoni…
Stronzate.
Ricordo,
ricordo Lucrezia, non posso dimenticare ciò che mi hai fatto.
Non posso
scordare con quanta cattiveria mi hai abbandonato sul lastrico.
Eppure,
quando ripenso a te, è il ricordo più dolce ed amaro che possa
custodire nel mio cuore.
“Il mio
cuore è in pena per amor tuo: non posso nè odiarti nè amarti e capisco com`è
difficile odiare quando c`è un vincolo d`affetto, ma
com`è difficile amare chi rifiuta.”
Caro,
vecchio beato Teognide.
Questa
frase la rileggo proprio ora nel mio diario dell’anno scorso, in un mesto ed
insopportabile febbraio, passato a compiangermi, a lamentarmi della tua folle
ed improvvisa ritirata nei miei confronti.
Anche
ora, non capisco davvero cosa ti ho fatto. Eravamo una coppia
affiatata, te lo ricordi? Eppure a te non
importava, tu ti preoccupavi della distanza, ti seccava di non potermi scopare
ogni volta che volevi.
Dopo aver
passato in rassegna un po’ di insulse canzoni nell’
I-pod – alcune le dovrò cancellare a breve – mi fermo su una in particolare.
Resto ad ascoltarla per qualche istante, rileggo titolo ed autore più e più
volte.
“If I was your vampire”, Marilyn
Manson.
Non che mi
faccia impazzire questo cantante, però la canzone mi era piaciuta fin da
subito, fin dalla prima volta che l’avevo sentita, che me l’avevi passata via MSN.
“Cosi
delicato e tragico,
come un mattatoio.
Spingi il coltello contro il tuo cuore
e dici ‘Ti amo cosi tanto che mi devi uccidere ora’”
Me lo
dicesti, una mattina di settembre, ero ancora a casa, mancavano pochi giorni
che rientrassi a scuola.
Me lo
sussurrasti al telefono, con quella tua voce stupenda, con quel
tono suadente ed orgasmico, da far accapponare la pelle.
Mi hai rubato la passione, Lucrezia, mi hai rubato i
sentimenti, mi hai tolto la vitalità. Hai risucchiato tutto di me, crudelmente,
hai divorato il mio cuore e poi l’hai gettato via come
un oggetto consumato.
“Se
fossi il tuo vampiro.
Inevitabile come la Luna.
Invece di ammazzare il tempo,
avremmo l'un l'altra fino all'alba”
E questo pezzo? Te lo dissi io invece. Sul letto della camera
dei tuoi, quel sabato mattina, il giorno in cui dovevo partire, tornare a casa,
dopo una delle mie innumerevoli visite a Milano. Ti
baciai la guancia, e ti donai la mia esistenza. Tu sorridevi,
eri felice di sentirtelo dire. Eppure, eppure…
E’
finita, ormai, e non ci voglio più pensare.
Sei
stata l’unica storia seria, l’unico vero amore che
abbia mai provato per una ragazza. E poi, l’oblio.
Decido di
staccare un po’ dalla monotonia delle pallosissime orazioni di Demostene,
rifugiandomi nel freddo e virtuale mondo di internet. Accedo al mio blog, e, tra i vari complimenti che incasinano
la mia galleria, ne noto uno che mi colpisce particolarmente. Liquido tutti gli
altri con un misero “Grazie”, o una faccina altrettanto idiota, e subito mi
soffermo su ciò che è stato scritto da un certo Ziggy_Stardust, alle quattro di
notte.
Porca
miseria, certo che certa gente non c’ha di meglio da
fare a certe ore. ( tengo il polpitoto, chissene)
Ad ogni
modo, mi sorprende la sincerità con cui ha espresso il suo parere.
Commentandomi la foto del gatto, quello che guarda in alto, coi
baffi ritti ed argentei, una foto che ho scattato di sfuggita quest’estate, mi
viene quasi una stretta allo stomaco. Il commento non è molto lungo, però
racchiude in sé un qualcosa che mi sconvolge.
“Sembra un animale libero, fiero
della sua natura, un animale che guarda con fiducia al futuro. Eppure, allo stesso tempo sembra pensare al suo passato, ad
una nostalgia lontana che lo opprime ancora adesso.
Non so quanto ciò possa
azzeccare con la foto, ma sentivo di scrivere questo.”
Spalanco la
bocca e gli occhi contemporaneamente. Resto imbambolato a riflettere sulle sue
parole. Accidenti, c’ha beccato in pieno, altrochè. E’
la prima volta che mi capita una cosa del genere, di sentirmi dire da un altro
quello che anch’io in fondo penso.
Una
sensazione comune, una fugace empatia c’ha legati
nella stessa maniera.
Un po’
incerto, rispondo al suo commento, tentando di mantenere un tono serio e
meditante. Viene fuori una schifo di replica, ma per
ora è il meglio che il mio cervello riesce a produrre.
Di
conseguenza, sempre più incuriosito, vado a sbirciare sul suo di blog,
scoprendo qualcosa in più su di lui. Leggo i vari post che ha lasciato,
riconoscendo così un ragazzo abbastanza malinconico ed insoddisfatto, che s’è
rotto le scatole del mondo che lo circonda. I suoi sono argomenti profondi, non
come i soliti tizi che si mettono a scrivere cagate o
copiaincollano stupidissimi test del cazzo.
Lui riversa
in maniera originale ed aggressiva le sue emozioni, schietto e spontaneo come
non mai. Mi fa piacere leggergli l’anima, quello che gli passa per la testa.
E così,
decido di aggiungere il mio contributo ai commenti già abbondanti. Inoltre,
commento con una certa simpatia il nickname che s’è scelto,
essendosi piacevolmente rifatto a David Bowie, musicista che apprezzo molto.
Poi, ripenso al dovere che mi chiama, a quelle sette righe
di versione greca che mi attendono. Quindi spengo in
fretta e furia il computer, ritornando a tradurre. Tuttavia
non sono più concentrato come prima, e cerco nel vocabolario parole e strutture
grammaticali a caso.
Quel ragazzo ha risvegliato in me qualcosa che s’era sopito
da tempo ormai, ma non saprei ancora precisare di cosa
si tratta.
La serata passa tranquilla. Di solito
mamma si diletta a tirare fuori pizzette surgelate e a rimpinzarle di
ingredienti assurdi, ma che tutto sommato fanno risultare qualcosa di
commestibile come cena. Anche oggi è così. Mia sorella
è fuori col suo ragazzo, persona che ai miei non va molto giù. Dicono che non
fa al caso suo, che sono troppo diversi. Io non
commento mai, sebbene me lo richiedano spesso.
Alle nove, come regolarmente accade ogni benedetta domenica,
mi chiama Angelica, a scaricarmi addosso i suoi nuovi,
entusiasmanti (si fa per dire ovviamente) problemi amorosi. Angelica è la mia
migliore amica: ci conosciamo da quando avevamo sei
anni, avendo frequentato assieme le stesse scuole elementari e medie. Ora lei
va al liceo scientifico, ma tuttavia non abbiamo perso i contatti, e ciò mi fa
molto piacere. Mi tira su di morale quando sono
depresso. Ormai siamo come due anime gemelle, ci raccontiamo tutto, ed amiamo
sparlare degli altri; proprio due vecchie decrepite comari. Mi saluta tutta
agitata, parlandomi mezza in russo e mezza in italiano,
con quel suo accento moscovita che mi fa sempre sorridere. Poi prosegue con una
serie di parolacce, maledicendo continuamente Andrea, il tipo che s’è fatta sabato sera, e che subito dopo è andato a pomiciare
con un’altra. Tra le varie imprecazioni, emergono i fatti successivi a quello principale, ossia un fitto scambio di messaggi tra
sabato notte fino a poco prima. Nel frattempo che lei mi racconta tutto questo,
tra uno sbadiglio ed un altro accendo il computer,
collegandomi a messenger. Lo stato di Angelica è “Al
telefono”, ahah, chissà perché. Ci stanno altri amici in linea, tra cui anche
Leonardo. Lo contatto, gli mando un trillo e lui mi risponde subito tutto
entrusiasta, inizia a parlarmi della scopata megagalattica fatta con la sua
fidanzata oggi, descrivendomi pure i particolari, sui quali io tronco
immediatamente. Mentre ascolto e non ascolto Angelica sbraitare, mi collego al
mio blog, provando quasi una sorta di apprensione;
chissà se quel ragazzo ha scritto qualcos’altro. Accedo
alla mia galleria, il cuore mi batte leggermente più veloce. Guardo: ci sono
altri suoi commenti. Li leggo con avidità, me ne nutro
desideroso ed affamato. Ma non per riempirmi la testa di autostima
e vanità, come mi succede con gli altri commentatori, quando per verificare se,
ancora una volta, è riuscito ad esprimere ciò che era già intriso nel mio
cuore, l’idea o la sensazione primordiali che ho cercato di trasmettere in ogni
scatto, nel mio muto linguaggio, e che molte persone non hanno mai, purtroppo,
saputo cogliere. Angelica non si ferma nella sua tiritera; eppure io non la
sento più. Appoggio la cornetta del telefono sul tavolo accanto al computer,
lasciando la mia amica parlare a vanvera, non mi interessa.
“Mi ricorda la poesia
‘Mattino’ di Ungaretti. Chi guarda quest’alba viene colpito anzitutto dai colori vivaci che
l’abbelliscono, e subito dopo si accorge della luce che il sole emana, che a me
pare quasi divina, un miracolo mandato a rischiarare questo mondo morto”.
Serro le labbra, rimango immobile per qualche istante. Cerco
un modo per distrarmi, e torno a controllare Messenger: Angelica mi ha inviato
una marea di trilli, chiedendomi inoltre che fine abbia fatto. Allora afferro
la cornetta, ma lei ha già riattaccato. C’era da aspettarselo, data la sua
impazienza congenita. Le rispondo, mi invento una
bugia. Lei mi fa delle faccine imbronciate, ma alla fine accetta la mia
giustificazione. Così, la liquido con un’altra scusa, preso
dalla morbosa voglia di rispondere ai commenti che quel ragazzo ha lasciato.
Imposto lo stato su “Non al computer”, iniziando a riflettere
su una possibile replica. Per concentrarmi, metto su un po’ di musica,
“Dead Souls”, ma rifatta dai Nine Inch Nails. La voce calda e sensuale di Trent
mi rilassa sempre, anche nei momenti di maggior nervosismo e frustrazione. E le dita vanno da sé, autonomamente paiono congiungersi al
pensiero espresso da quelle altrui. Come un giunco. E’ difficile da descrivere,
ora come ora, ma mi viene subito in mente quell’immagine, come un fulmine. Quindi,
mi cimento in un insolito virtuosismo linguistico, prodigandomi al massimo a
comunicargli la mia grande sorpresa nel constatare che
esiste qualcun altro a questo mondo che la pensa come me. Sono già le dieci e
mezza. Diamine, non credevo che fosse passato tutto questo tempo. Soddisfatto
della mia risposta, mando la buonanotte ad Angelica e Leonardo, e poi mi disconnetto da Messenger, spegnendo infine il computer. Da
tecnologia a tecnologia, salto dal PC al cellulare.
Toh, un messaggio. Apro, e scopro che è Jejè: “Ho voglia di scopare”. Ma che novità. Non le rispondo, non ne ho
la minima voglia. Lancio poi un’occhiata al libro di storia, e mi viene un
senso di forte nausea. La storia può
aspettare, dopotutto, la storia si ripete. Cosa
serve dunque studiarne le date? Sebbene sia altamente
probabile che il giorno dopo mi interroghi quel caro professore, che, con
quella sua faccia giovane e gioviale non promette comunque nulla di buono, al
posto della solita ansia si sostituisce una specie di calma piatta, quasi non
me ne importasse più nulla, quasi volessi momentaneamente tralasciare tutto il
resto. Preparo di malavoglia lo zaino, ci ficco dentro
libri e quaderni a caso, senza pensarci troppo su. Mi spoglio, mi infilo il pigiama: insomma, compio i soliti gesti
quotidiani della sera. E poi, adorato letto, mi ci
butto a capofitto, nel vero senso della parola. Dovrei finire di leggere “I
fratelli Karamàzov”, in fondo mancano poche pagine per concludere
il primo libro. Invece sospiro, e m’addormento come un sasso. Il giorno dopo mi
sveglio a fatica e con un grande senso di stanchezza
addosso, ho un sonno bestia. Strano, eppure ho dormito continuativamente e per
molte ore. Faccio colazione, mi lavo, mi vesto, piglio lo zaino ed esco di
casa, che è ancora deserta, la mia famiglia dorme. Beati
loro. Fuori fa un freddo cane, ma il mio cappotto nero
e lungo riesce in qualche modo a riscaldarmi. Prendo per un
soffio l’autobus, arrivo dopo un quarto d’ora a scuola. Entro in classe,
mi sdraio sulla sedia con la testa all’indietro. Pippo subito mi squadra da
capo a piedi, nota la mia cera particolarmente pallida, l’espressione da
drogato cronico. Ma, stranamente, non commenta.
Probabilmente tira una bestemmia tra sé e sé, sapendomi ridotto a questo stato
d’apatia e rincoglionimento totali. La prima e la seconda ora passano abbastanza in fretta, arte ed inglese sono sempre
molto tranquilli, ed oltretutto sono già stato interrogato in entrambi. La
terza ora è quella fatidica di storia. Falduti entra in classe, con quel suo
solito sorrisino arrogante, da professore carogna. Fortunatamente però questa
volta ha deciso di non interrogare, ed anzi, più calmo che mai si mette a
spiegare il nuovo capitolo. Io ovviamente non l’ascolto:
trovandomi all’ultimo banco, passo le giornate a schiacciare pisolini a manetta.
Tuttavia questa volta non riesco a riposarmi, nonostante
abbia così tanto sonno. Ripenso a quel ragazzo, non
riesco a farne a meno. Mi verrebbe voglia di conoscerlo meglio, di farci
amicizia, mi piacerebbe molto scambiare altre opinioni e pareri, anche solo per
sapere se siamo affini in altri campi. Pippo, con la sua delicatezza di sempre,
mi strattona il braccio, portandomi al mondo della realtà. Vuole giocare a
tris. E sia.
Dopo due
estenuanti ore di educazione fisica me ne torno
finalmente a casa. Sono da solo, mia madre ha il tempo pieno coi
bambini fino alle quattro, mia sorella lavora via come impiegata, mio padre
tornerà la sera tardi. Accendo il computer di camera mia –
poiché ne esiste un altro, ma di famiglia, in taverna – mi connetto a
Messenger ed accedo anche al blog, in un riflesso incondizionato. Chissà se… mi
preparo da mangiare, gli avanzi di uno, due giorni
prima. Ma a me va bene così. Dopo aver tranquillamente
pranzato, abbandonandomi alla musica commerciale che trasmettono per la radio, sparecchio la tavola, e mi appolipo al PC. Trovo con piacere
un commento da parte di Ziggy_Stardust, e poi un suo messaggio privato: mi
chiede il contatto MSN. Sgrano gli occhi, un po’ incredulo, ma in fondo
compiaciuto. E’ come se il desiderio di stamane si fosse improvvisamente
avverato. Glielo passo, e ad un certo punto s’attiva la finestrella di un nuovo
contatto che desidera aggiungermi. Accetto la richiesta, ed è lui a cercarmi
per primo. Così, cominciamo a presentarci, e scopro che si chiama Gabriele,
abita “in uno dei tanti paesini del cazzo che fanno da intermedio tra Perugia e
Terni”, non ha voluto specificarmi dove, e io non indago oltre. E’ un emo, ma
si giustifica subito dicendomi che gli piace lo stile musicale e della moda,
non di certo la mentalità. Parliamo un po’; è divertente ridere, scherzare e
scambiare opinioni con un ragazzo che abita nella parte quasi diametralmente
opposta alla mia. Nel frattempo, metto su un po’ di Vision Bleak, del sano
black metal. Lui mi chiede chi siano, che genere
fanno: decido di passargli qualche canzone. Li apprezza, dice che sono
aggressivi e malinconici allo stesso tempo, e che ci farà su un pensierino a
scaricarseli da Emule. Sono contento di aver conosciuto questo Gabriele, mi
pare un tipo con la testa a posto, talmente semplice e genuino che io non devo
usare termini troppo altolocati con lui. Mi ci posso sfogare tranquillamente,
pur mantenendo un certo distacco, quello che mi caratterizza. Con lui ritrovo
una strana serenità: ed è inconsueto, poiché è la prima volta che ci parlo. Non
so cosa mi succeda, solo che non riesco a staccarmi da quella maledetta
finestra di conversazione. Ci parlerei ininterrottamente. Eppure,
non è il caso di abbandonarmi a questi sentimentalismi. Per
adesso, voglio restargli un semplice amico occasionale, anche se la tentazione
di conoscerlo meglio è forte. Forse, la cosa in futuro si evolverà con
più intensità. Non voglio illudermi, non voglio
rischiare di soffrire un’altra volta ed in maniera così straziante. Lo saluto rapidamente, spengo quest’aggeggio elettronico e
dannatamente ammaliante. E decido, con
rammarico e riluttanza, di buttarmi sul divano, a guardare la tv. Per non
pensarlo più, o almeno, provare a farlo.