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Autore: Niere    21/09/2013    1 recensioni
Livia e Gianluca, in passato, erano una coppia affiatata, ma la vita li ha cambiati e tutto ciò che è rimasto del loro amore è un bambino di quattro anni e tanto rancore. Il rancore però annebbia la ragione ed entrambi si ritroveranno a mettere in dubbio le scelte fatte, le loro convinzioni e i loro sentimenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non si arrenderà mai - POV Livia

Quella mattinata, arrivai in ufficio agitata e nervosa. Avevo studiato il discorso più e più volte, mentre guidavo per le strade di Roma. Dovevo essere convincente con Fabrizio, perché avevo promesso a Gianluca che avrei risolto tutto al più presto. Timbrai il mio badge all’ entrata dell’ edificio e posai la borsa nel mio piccolo ufficio. Guardai l’ orologio: erano le otto e mezza. Avevo esattamente mezz’ora di tempo.
Mi avviai all’ ufficio di Fabrizio, certa di trovarlo già lì. Bussai e la sua voce mi invitò ad entrare. Presi un bel respiro profondo ed entrai, chiedendomi che fine avesse fatto tutta la sicurezza che credevo di possedere fino a pochi secondi prima. Entrai e richiusi la porta alle mie spalle. Con una voce abbastanza decisa, dissi: “Buongiorno, Fabrizio.”.
Lui alzò lo sguardo da alcuni documenti e lo posò su di me. Portava i suoi immancabili occhiali con la montatura scura, che lo facevano sembrare un meticoloso studente universitario. Mi sorrise, sicuro di sé, e mi disse: “Buongiorno Livia, sono contento di vederti. Ti prego, siediti.”.
Seguii il suo invito, studiandolo per pochi secondi. Era un ragazzo d’oro e non volevo farlo soffrire. Poteva avere qualsiasi donna, perché aveva scelto proprio me, che ero così problematica?
Iniziai a giocherellare con il braccialetto che avevo indossato: “Hai qualche minuto per me? Ho bisogno di parlarti…”.
Poggiò i gomiti sulla scrivania e si sporse più avanti, come per accorciare la distanza che ci separava: “Lo so e prevedo che quello che hai da dirmi non sia positivo.”.
Lessi il dispiacere nei suoi occhi. Perchè era tutto così difficile? Perché, nella mia vita, non riuscivo a trascorrere una giornata senza problemi o sensi di colpa? Mi morsi un labbro: “Purtroppo è così. Sai, sto vivendo una situazione un po’ delicata. Ho appena deciso di riallacciare i rapporti con mio marito e sembra che le cose stiano procedendo bene.”.
Il suo solito sorriso cordiale sparì e i suoi occhi penetranti iniziarono a studiare ogni dettaglio del mio viso. E nuovamente, mi mise a disagio. Era un attento osservatore, nulla sfuggiva al suo sguardo, sembrava essere sempre in simbiosi con la gente che lo circondava. Forse, se si fosse dato alla psicologia, avrebbe potuto fare grandi cose. Avevo paura che dal mio volto potesse leggere qualcosa che perfino io ignoravo. Era un’ idea stupida, ma mi martellava in testa e annebbiava quel poco di buon senso che mi era rimasto. Si passò una mano sul mento, come per riflettere, poi disse: “Siete tornati insieme?”.
“Non ancora, ma probabilmente succederà. E’ giusto così, vogliamo darci una seconda possibilità.”.
Cambiò posizione, buttandosi all’ indietro sulla sedia. Con aria terribilmente seria, replicò: “Tutta questa storia sembra una minestra riscaldata. E tu meriti più di questo.”.
Mi sentii offesa da quelle parole, lui non conosceva né il mio passato, né Gianluca, e, soprattutto, non mi conosceva a fondo. Lui conosceva la Livia professionale, quella che arrivava puntuale in ufficio, che controllava meticolosamente ogni documento, che rispettava ogni scadenza, che sapeva essere diplomatica con tutti. Ma io non ero solo questo: ero una figlia incompresa, una madre che adorava il suo bambino, una donna che era cresciuta troppo in fretta e che aveva affrontato tante avversità da sola, una ragazza che credeva ancora nell’ amore e che voleva tornare a sorridere. Fabrizio non poteva conoscere tutto questo di me. Aveva potuto vedere solo una piccola parte della mia personalità, un pezzo di puzzle della donna che si era formata nel corso di venticinque anni. Ma non aveva una mia visione completa.
Con tono più freddo di quanto avessi voluto, replicai, decisa: “Non sono venuta qui per sentire la tua opinione. In realtà volevo solo mettere in chiaro che tra noi non potrà mai esserci niente.”.
Credevo di essere stata chiara, che non potesse porre obiezioni, perciò mi stupii quando mi chiese: “Perché?”.
Come perché? Era evidente. Sospirai: “Fabrizio, dico sul serio. Io riesco a vederti solo come un amico e mi dispiace se, involontariamente, ho alimentato in te false speranze.”.
Mi alzai dalla sedia, non avevo altro da aggiungere. Mi voltai, pronta a lasciare la stanza, quando Fabrizio mi raggiunse e mi bloccò per un braccio. Mi voltai, per studiare la sua espressione seria. Fu lui a parlare per primo: “Tu lo ami ancora?”.
Dovevo essere sincera con lui: “Si, ma ho tanta paura. Non sono una stupida, so che c’è una buona probabilità che le cose non funzionino. Ma so anche che se non colgo questa seconda opportunità, me ne pentirò per il resto della mia vita.”.
Fabrizio si allontanò di qualche centimetro: “Lo sai che io non ti farei mai soffrire?”.
Scossi la testa: “Dite tutti così, all’ inizio…”. Mi morsi un labbro: “Ti prego, non rendere ancora tutto più difficile…”.
Si mise le mani in tasca e mi guardò con aria di sfida: “Va bene, mi arrendo, per il momento. Ma quando tuo marito ti deluderà nuovamente, ricordati che io sarò ancora qui ad attenderti.”.
La sua aria strafottente mi irritò in maniera indescrivibile. Avrei tanto voluto urlargli in faccia che era un pallone gonfiato, ma mi imposi di controllarmi. Replicai, indifferente: “Non abbiamo più niente da dirci.”.
Uscii da quel maledetto ufficio, sperando di non doverci rientrare per almeno un paio d’ore. Fabrizio si era bevuto il cervello. Non c’era altra spiegazione plausibile. Speravo solo che si dimenticasse al più presto di me e che mi facesse lavorare in tranquillità. Non potevo avere distrazioni in quella società.
Entrai nel mio ufficio, contenta di trovarvi già Alessandra. Aveva un anno in più di me e sembrava non conoscere preoccupazioni. Lei viveva in un mondo fatto di serate con gli amici, di messaggi sui social network, di litigate con il suo ragazzo che venivano dimenticate nel giro di poche ore. Sembrava che il mondo le andasse bene anche se non era perfetto. Un po’ la invidiavo, perché non ero mai stata così spensierata, nemmeno da adolescente. Cercai di sembrare tranquilla. Le sorrisi cordiale e dissi: “Ciao Ale, tutto ok?”.
Indossò gli occhiali e prese posto sulla sua scrivania: “Si, tutto bene, sono solo un po’ assonnata. Sai, ieri era il compleanno di una mia amica e ho fatto le tre di notte. A te invece come è andato il finesettimana?”.
Da dove cominciare? Avevo ricevuto quei messaggi di Fabrizio, ho notato che Matteo sembra più sereno da quando io e Gianluca andiamo di nuovo d’ accordo, ho rischiato di perdere la fiducia di mio marito per colpa di un collega troppo invadente. Potevo parlarne con lei? Forse si, ma non avrebbe capito. E poi, perché assillare con le mie preoccupazioni proprio lei che non era stata ancora a contatto con le avversità del mondo? Sfoderai il mio sorriso migliore, quello che ci si stampa sul volto durante i matrimoni, nonostante i piedi siano stretti nella morsa infernale delle scarpe nuove, comprate quasi per errore. Mi limitai a rispondere: “Tutto bene. Sono stata ad Anzio insieme a mio figlio, per un week end in famiglia.”. Si, così suonava meglio.
  
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