Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Ivola    21/09/2013    3 recensioni
Le storie di Panem sono varie e numerose. Avete mai sentito parlare dei promessi del Distretto 6, quei due ragazzi che avrebbero fatto di tutto pur di ammazzarsi a vicenda e non sposarsi? Loro sono solo una sfocatura, come tanti altri.
Klaus e London. London e Klaus.
Un altro matrimonio combinato, le persone sbagliate, un cuore solitario, e tutto ciò che (non) può essere definito amore.

▪ VI: « Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. [...]
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. Non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. « Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso London avesse deciso di parlare ancora.

▪ XIII: « Perché lo state- no, perché lo stai facendo? »
L’altro lo guardò bene negli occhi, con un’espressione che Klaus non seppe decifrare.
[...]
« Mert szeretlek » rispose Ben semplicemente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note: No, il decimo capitolo davvero non mi convince.
Mi sa troppo di sintetico e banale, ma lo posto comunque perché l'ho scritto in vacanza e questo ne è uscito fuori.
Avrei tante cose da dire e me le sto già scordando, quindi: alla fine del capitolo, se si dovesse notare, ho sperimentato un po' il PoV "incrociato", se così si può chiamare, perché in quel momento mi serviva che voi capiste le intenzioni/emozioni/sensazioni di entrambi, ma forse è molto da schifus, quindi perdonatemi in partenza.
Diciamo che queste scene sono più alla ricerca del dettaglio, descrittive e dialogiche, perché volevo concentrarmi di più sul contatto fisico e sul fatto che Klaus e London stiano imparando per la prima volta in ventun'anni di vita a conoscersi un pochino. Almeno fisicamente, intendo, il resto poi verrà.
Potrebbe sembrare un capitolo di passaggio, con vaghe scene quotidiane, ma in realtà ha la sua importanza nel loro processo psicologico (quanto fa figo dirlo! °w°). E poi dal prossimo - che non sarà aggiornato proprio prestissimo - cominciano i guai, quelli seri.
All'inizio il titolo era un altro, ma poi l'ho cambiato perché "Make every touch electrical" ("Rendi ogni tocco elettrizzante"; la traduzione ci voleva, già) era infinitamente più azzeccato.
Ultima cosa: scusate se da due/tre capitoli non sto rispondendo alle recensioni (che ho letto con molta commozione, seriamente), ma è una delle tremila cose che mi sono ripromessa di fare presto. Però devo finire prima il capitolo de "Il sangue del vicino è sempre più rosso" con la mia Mitogna. In ogni caso, ringrazio vivamente e di cuore Ribes e radioactive che hanno recensito il nove. Sappiate che ho riletto le vostre recensioni tipo duemila volte. Non potevate farmi regalo migliore, davvero! Grazie, grazie, grazie.
Credo di aver finito. Maybe.

Buona lettura ♥

Il titolo del capitolo viene da "Easily" dei Muse.

Il banner appartiene a pandamito ♥









 

Gretolla e Gretuzza, che sono due tesori ♥









 

Image and video hosting by TinyPic








Blur

(Tied to a Railroad)






010. Tenth Chapter – Make every touch electrical.




« Mi ascolti o stai dormendo? » domandò piano.
« Sto dormendo » borbottò la ragazza. « In teoria. »
Klaus scosse la testa e si girò verso di lei, che gli dava le spalle dal suo lato del letto. « E, sentiamo, che cosa stai sognando? » le chiese, alzandosi su un gomito.
London mormorò qualcosa contro il cuscino, poi si voltò, ritrovandosi il suo viso di fronte, non molto lontano dal proprio. 
« Sto sognando di prenderti a calci » disse con un sorriso furbesco. « E’ un sogno bellissimo. »
Klaus alzò gli occhi al cielo. « Non lo vorresti. »
« Tu dici? » rimbeccò lei, stringendosi nel lenzuolo e tirandogli un calcio tra gli stinchi con una risata maliziosa.
« D'accordo » bofonchiò il ragazzo con un verso di dolore. « Ma pensavo che i tuoi sogni fossero più selvaggi. »
« Di certo non vengo a raccontare a te i miei sogni più selvaggi, idiota. »
« Forse perché riguardano me? » domandò con un sorriso sornione.
Fu London stavolta ad alzare gli occhi al cielo. 
« Come no, Klaus. Adesso lasciami dormire. »
« Ah, devo lasciarti dormire? » ripeté, sarcastico. Le sfiorò piano le clavicole con le dita e risalì sino alla sua mascella. Lei chiuse gli occhi, rilassata da quel contatto che di norma l'avrebbe infastidita parecchio, e sussurrò lievemente: « Magari non ancora. »

Quando London si svegliò, quella mattina, si ritrovò ancora nuda tra le lenzuola e leggermente sudata. Si alzò a sedere stropicciandosi gli occhi, sorpresa di scoprire che Klaus era già sveglio, seduto sul bordo del materasso, intento a rivestirsi.
« Buongiorno, eh » gli disse ironica, incrociando le braccia.
Stava per innervosirsi, notando che lui non rispondeva né la degnava di un po' d'attenzione, quando si accorse che forse qualcosa non andava. Non riuscì a trattenersi dal domandargli bruscamente: 
« Che hai? »
Klaus si girò di poco nella sua direzione, guardandola da sopra una spalla con occhi seri e freddi. Uno sguardo talmente diverso da quello della notte precedente che fu capace di gelarla sul posto. « Niente » decretò, alzandosi.
London provò a dire qualcos'altro, ma quando il ragazzo gemette debolmente nello stiracchiare le braccia, capì al volo. 
« Le bende. Devi cambiarle. »
Klaus si diresse verso il bagno, la maglietta del pigiama appallottolata tra le mani. « Lo so. »
« E come te le cambi da solo? » chiese, ma il marito se n'era già andato senza controbattere. London normalmente si sarebbe domandata che cosa l'avesse reso così scorbutico, ma si rese conto di provare pena per lui, perché non doveva trovarsi affatto in una bella situazione.
Scacciò immediatamente quella sensazione, indossando della biancheria intima pulita. Provare pena per Klaus le suonava particolarmente strano.
Uscì dalla camera da letto e bussò alla porta del bagno. Nessuna risposta.

« Avanti, fammi entrare » disse alzando la voce e bussando di nuovo con più insistenza.
« Dovrei risponderti che non puoi, ricordi? »
London alzò gli angoli della bocca verso l'alto, inconsapevolmente. L'ultima volta che avevano vissuto quella scena era stato due anni fa e lei gli aveva risposto esattamente così quando lui aveva cercato di entrare.
Klaus aprì la porta con uno sbuffo. 
« Ti serve il bagno? »
La ragazza scosse la testa. « Ti devo cambiare queste fottute bende. »
« E perché mai? » chiese lui.
London non capiva perché d'un tratto fosse diventato così scontroso, ma forse c'entrava con il dolore delle piaghe, o magari con quella sensazione di impotenza che non gli permetteva neanche di fasciarsi autonomamente.

« Perché me l'ha chiesto Ben » replicò, determinata, alzando il mento. « Forza, siediti » continuò, mentre gli indicava uno sgabello accanto alla vasca.
Klaus si arrese con una smorfia infastidita e London si chiese anche perché fosse diventato così arrendevole.
Il ragazzo si sedette come richiesto, mentre London recuperava l'attrezzatura da un cassetto sotto al lavandino: ovatta, disinfettante e fasciatura. Non era un asso nel pronto soccorso, ma suo fratello le aveva spiegato come fare, quando Klaus era crollato addormentato sul divano.
Sorrise, al pensiero del gemello, che sembrava sapere sempre cosa fare in ogni occasione. Eppure ad un tratto il suo stomaco si contorse.
L'aveva fatto di nuovo, l'aveva tradito di nuovo. Quella consapevolezza la lasciò spiazzata per qualche momento buono e, nonostante fosse impallidita, tentò di non darlo a vedere così facilmente, perché sapeva quanto Klaus fosse un attento osservatore. In realtà, lei pensava che in generale non fosse poi molto perspicace, ma per qualche assurdo motivo riusciva a cogliere ogni sua più piccola reazione, e la cosa la metteva incredibilmente a disagio. Solo Ben, d'altronde, poteva comprenderla del tutto.
Senza una parola cominciò a togliergli le bende, lentamente, e ogni volta che sfiorava la sua pelle calda e provata con le dita, il senso di colpa saliva sempre più a galla.
Si disse che era stata a letto con Klaus soltanto per la questione dell'erede, ma poi si ricordò che lui le aveva chiesto di accantonarla in un angolo, per quella volta. Rimase sovrappensiero per qualche istante. Perché, effettivamente, erano andati a letto insieme?
London si stava applicando per trovare una risposta soddisfacente, ma Klaus la riscosse dai suoi pensieri. 
« Cazzo, puoi fare più piano? »
Lei sciolse l'ultima benda, facendola cadere ai suoi piedi. « Dovresti ringraziarmi. »
« Sì, magari dopo » ribatté lui.
Perse un secondo a riflettere quanto entrambi non amassero usare le parole “grazie”, “scusa” e “per favore” soltanto a causa del loro orgoglio smisurato, dopodiché abbassò gli occhi sulla schiena di Klaus e il respiro le si mozzò in gola. Dimenticò i ragionamenti, il senso di colpa e tutto il resto, soffermandosi sulle ferite rosse e accese del marito. Forse avrebbe dovuto disinfettarle meglio.
Adesso capiva perché Ben le dicesse di dover sempre mantenere la calma.

« Entra nella vasca » disse sbrigativamente.
« Perché? »
« Oh, entra e non fare storie! » esclamò lei, aprendo il rubinetto della vasca per riempirla d'acqua.
Klaus la fissò interdetto per qualche istante, poi cominciò a spogliarsi e London, quasi di riflesso, si voltò dall'altro lato.
Che cosa mi prende?, si domandò, sentendosi le gote leggermente accaldate.

« Guarda che non c'è bisogno che tu faccia la pudica » disse allora il ragazzo, riprendendo un po' del suo umorismo.
London tornò a girarsi, innervosita. 
« Non sto facendo la pudica! » protestò, con le mani sui fianchi.
Klaus entrò nella vasca, con l'acqua a lambirgli le cosce e i fianchi. 
« Certo. La piccola Londie non vuole vedere il Big Ben di Klaus, perché ne ha già un altro a cui pensare. »
La ragazza sgranò gli occhi, incapacitata. « Se fossi stata così frigida, stanotte- »
« Stavo scherzando, stavo scherzando » fece, alzando le mani. « Rilassati. »
London strinse la presa sui propri fianchi. Cosa diavolo gli faceva cambiare umore così velocemente, quel giorno?
« Tu scherzi troppo, per i miei gusti » ribatté quindi. « Prenditi una vacanza. »
Klaus giocherellava passivamente con l'acqua intorno ai propri piedi. « E perdermi il tuo faccino imbronciato? No, grazie. »
London decise di ignorarlo e si sedette sul bordo della vasca, per poi immergere le caviglie nell'acqua. « Stai fermo » gli intimò, prendendo il soffione e cominciando a bagnargli le spalle un po' alla volta.
Il ragazzo s'irrigidì; involontariamente strinse i denti e mugugnò qualcosa quando l'acqua fresca cominciò a pulirgli le ferite non ancora rimarginate.

« Troppo fredda? » chiese lei. Klaus scosse la testa ma non si rilassò neanche di poco.
London, allora, nonostante non riuscisse a vederlo in faccia perché di fronte a sé aveva la sua schiena martoriata, tentò di distrarlo – e di distrarsi – avviando quella che le sembrava una conversazione normale ed innocente. 
« Quindi ti piace la marmellata di mia mamma? »
Klaus per poco non scoppiò a ridere. « Sì, la marmellata di tua mamma, certo. »
« Sono seria! » obiettò lei. « Non pensare subito a male. »
« Diciamo che qualsiasi cosa è meglio della tua cucina » affermò, convinto. « E diciamo anche che non avrei mai immaginato di associare la marmellata a certe situazioni. »
London gli diede uno scappellotto. « Sei proprio un… »
« Porco bastardo? » suggerì lui.
« Sì, forse rende bene l'idea. »
« Ma se hai cominciato tu, ieri! » contestò Klaus, sottolineando quella che gli sembrava la pura ovvietà. London non poteva vederlo, ma un sorriso quasi soddisfatto gli increspava le labbra. « Come dovrei chiamarti, allora? »
« Londie basta e avanza » sbuffò lei, continuando a sciacquargli la schiena. « E poi ho perso il conto di tutte le volte in cui mi hai chiamata "stupida puttana"; sei banale. Senza contare che non ho cominciato io, ieri, perché sei stato tu a provocarmi, come al solito. »
« Oh, Londie-Basta-E-Avanza, io ti ho semplicemente dato corda » precisò Klaus. « Lo so che non vedevi l'ora di sbattermi al muro e- »
« Non continuare » lo ammonì, sentendosi di nuovo il viso accaldato. « Ché anche tu non ne vedevi l'ora. »
Il ragazzo non provò neanche a smentirlo e lei si sentì stranamente delusa di aver avuto l'ultima parola. In genere le provocava una sensazione di trionfo.
Passò qualche istante di silenzio, interrotto solo dallo scrosciare dell'acqua.

« Credo di stare rivalutando l'opzione dell'erede » rivelò infine Klaus con un tono a metà tra l'ironico e il riflessivo.
London rise, d'istinto. 
« Allora ammettilo che ti è piaciuto. »
« Io non l'ho mai negato » replicò il ragazzo tranquillamente. « Sei tu la bugiarda tra noi due. »
La risata le morì in gola velocemente. La stava mettendo in difficoltà, perché da un lato era vero che lei sapesse mentire abilmente e lui fosse meschinamente onesto. « Senti, io dico quello che mi pare. »
« E quindi ammetti entrambe le cose: che sei una bugiarda e che è piaciuto anche a te. »
« Io non ammetto un bel niente! » dissentì lei, alzando la voce di qualche ottava.
Klaus sospirò, mentre London chiudeva il getto dell'acqua, e borbottò: 
« Sei un controsenso vivente. »
« E con ciò? »
« E’ inutile parlare con te. »
« Guarda che è colpa tua se siamo passati dalla marmellata a questo! » affermò, indispettita.
« Ma non è colpa mia se sei- » tentò di dire Klaus, ma London lo precedette.
« Una fottuta puttana vigliacca e bugiarda? » suggerì, come aveva fatto lui prima.
« Stavo per dire soltanto "vigliacca" » ridacchiò, « ma forse hai ragione tu. »
London gli schizzò dell'acqua con le mani, ma per qualche strana ragione ricominciò a ridere. Di norma non avrebbe mai immaginato di finire in una scena del genere. Con Klaus, per di più.
Lo fece appoggiare con le spalle alla parete della vasca e si posò la sua testa in grembo. Il ragazzo all'inizio bofonchiò qualcosa, ma poi si rilassò, mentre lei gli passava distrattamente ma delicatamente le dita tra i capelli.
Klaus allora le accarezzò le caviglie immerse nell'acqua e poi reclinò la testa, per guardarla meglio. Era concentrata sul suo viso e continuava a sfiorargli le orecchie e il collo lentamente.
Entrambi non seppero dire quanto tempo passò, perché lo trascorsero lì, silenziosamente, a studiarsi placidamente l'un l'altro con l'unica compagnia dell'acqua a carezzare la loro pelle.

 
*


« Allora? » Una domanda repentina e inattesa, che quasi sembrò sfuggirgli dalle labbra.
« Allora cosa? »
« Non sei incinta? »
Qualche istante di silenzio che si perse nel vuoto. « No. »
Klaus arricciò le labbra e non aggiunse altro. L'aveva buttata lì, sul vago.
« Ma tu non eri quello che non voleva un figlio da una puttana? » chiese la ragazza acidamente. « Cos'è cambiato adesso? »
« Volevo solo sapere. E poi ti avevo detto che ci stavo ripensando » precisò, pur non guardandola negli occhi.
London si legò i capelli in una crocchia disordinata davanti allo specchio sul comò, osservandolo attraverso il riflesso. 
« Già, tanto non avrai tu la parte difficile, anzi»
« Senti, io non ti sto obbligando a- »
« No, non mi stai obbligando a venire a letto con te. E ci mancherebbe. Ma dobbiamo prendere una decisione da persone… mature » ribatté lei, mettendosi il pigiama, che comprendeva comodi shorts e canotta attillata.
Klaus, già steso sul letto, sbirciò i suoi movimenti per qualche istante: London ripiegò la camicetta in un cassetto e si tolse una sottile catenina che aveva al collo. Sentendosi osservata e non ricevendo una risposta, però, si voltò verso di lui. 
« Che c'è? »
« Persone mature, dici? » ripeté. « Mi sembra un po' difficile. »
« Certo » sbuffò lei, scostando il lenzuolo e stendendosi accanto a lui, in modo però che le loro pelli non si sfiorassero neanche. « Dopotutto tu sei così infantile… »
Klaus le lanciò un'occhiata accusatoria, che lei fece finta di non cogliere.
Nessuno dei due ricordava, di preciso, quando avessero stabilito di poter tornare a dormire in camera insieme. Come se fosse stata una cosa spontanea, quella di tornare a condividere lo stesso letto. Troppo spontanea.

« Proprio non ci riesci a non insultarmi per qualche secondo? » sbottò Klaus, girato su un fianco perché dormire sulla schiena gli era ancora impossibile.
« No » sorrise genuinamente la ragazza. « Mi viene naturale, sai? »
Lui la fissò con cipiglio stranamente serio. « E poi vieni a parlare a me di maturità. »
London s'indispettì e lasciò perdere il discorso, per ritornare alla questione principale. « Quindi che cosa facciamo? Erede o no? »
Klaus non rispose subito, continuando a far scorrere lo sguardo sul suo viso e sul resto del corpo lasciato scoperto dal lenzuolo. In quel momento la soluzione gli sembrava più che fattibile, ma London probabilmente non era della stessa opinione e forse era davvero combattuta. Si chiedeva ancora perché, da un lato, avesse deciso di aiutarlo. Dalla sua bocca, come se avessero avuto vita propria, uscirono parole che neanche aveva intenzione di pronunciare; non in quel momento almeno. « Perché ti sei presentata all'altare, il giorno del matrimonio? »
London assorbì la domanda per qualche secondo buono, mutando di poco la sua espressione lievemente crucciata. « Ben mi ha convinto. »
Klaus non faticò a crederci; in quel momento gli sembrava onesta, perché sapeva bene che lo stesso Benjamin era riuscito a convincere anche lui. Tentò di abbandonare l'argomento, ma la moglie gli rigirò la domanda.
« Ha convinto anche te, vero? »
Il ragazzo annuì distrattamente, prendendo a guardare il soffitto. Per un istante la stessa parola aleggiò nelle loro menti: Perché?
Perché aveva insistito fino al punto di averla vinta?
Klaus pensò che doveva avere i suoi buoni motivi… ma proprio non riusciva a trovarne.

« Come ti ha convinto? » chiese allora London, corrugando la fronte. « Insomma, Ben è… bravo con le parole, d'accordo, ma… mi spieghi come ha fatto? »
« Non è importante il come » ribatté prontamente Klaus. Si aspettava una domanda del genere e lui non aveva affatto intenzione di rivelarle la verità. « Piuttosto, non ne ho capito il senso. »
« A me ha detto che meritavo di essere felice » rifletté la ragazza ad alta voce, gli occhi rivolti in un punto impreciso della stanza. « Ora mi sembra la cosa più assurda del mondo, ma allora per qualche assurda ragione mi parve sensato, non so perché. »
« E così ti sei presentata all'altare » finì lui al posto suo. « Che atto coraggioso » aggiunse sarcasticamente.
London gli diede uno schiaffetto sul braccio, e da quel piccolo gesto le parve una brutta idea quella di mantenere le distanze come poco prima. 
« Anche tu ti sei presentato » precisò, avvicinandoglisi casualmente e di poco.
« Non avevo nulla da perdere. Non dopo aver partecipato ai Giochi. »
« E adesso? Te ne penti, vero? »
Klaus riprese a guardarla in volto, cercando di capire dove volesse andare a parare; aveva la classica espressione di una bambina pronta ad ottenere ciò che vuole.
« Non del tutto » rispose, sul vago. London a quella risposta sgranò leggermente gli occhi. « Ha i suoi vantaggi: ho una casa tutta per me, no? »
La moglie cambiò immediatamente espressione e alzò gli occhi al cielo. « Due anni fa non avrei mai immaginato che ci saremmo sposati sul serio. E ora grazie a te mi ritrovo in questa spiacevole situazione. »
Klaus alzò un sopracciglio e le riservò un'occhiata eloquente. « Spiacevole? » rincarò, in un soffio, vicino al viso dell'altra.
London si ritrasse di poco, spostando lo sguardo altrove. 
« Spiacevolissima. »
« Sai? Mi dai sempre più ragioni per credere che tu sia davvero una bugiarda, oltre che una pessima attrice » replicò il ragazzo, scostandole un ciuffo più lungo della frangia dalla fronte. Era passato solo un giorno dalla prima volta che avessero fatto sesso in due anni e già era in astinenza della sua pelle.
« Oh, smettila » sbuffò lei, fintamente irritata da quel contatto. « Sei ripetitivo. »
« E io non ti credo. »
« Non m'importa » lo liquidò London.
Klaus scosse la testa e sorrise sarcasticamente. 
« Come devo fare con te, piccola Londie? »
La ragazza gli diede un altro schiaffo, ma stavolta non staccò la mano dal suo braccio. « Non chiamarmi così! »
« Oh, giusto. Londie-Basta-E-Avanza, l'avevo dimenticato » ridacchiò l'altro.
« Maturità, ricordi? » rimbeccò lei.
Klaus tentò di tornare serio, ma un ultimo sorrisetto gli scappò lo stesso. 
« Certo, certo… maturità. »
London abbandonò il discorso e, quasi senza accorgersene, prese a far scorrere lievemente i polpastrelli sul suo avambraccio, tracciando un percorso immaginario fino a giungere alla sua mano, grande quasi il doppio della propria. Giocherellò con le sue dita, notando che non erano tozze o callose, ma affusolate quanto basta per una mano maschile, e si concentrò sull'anulare, dove ci sarebbe dovuta essere la fede. Nessuno dei due la portava.
Klaus la osservò mentre esplorava il suo palmo e si rilassò a quel tocco delicato.

« Continua » le disse a bassa voce, chiudendo gli occhi.
London si fermò per un attimo, poi riprese a tracciargli linee invisibili sul dorso della mano, poi sul polso, con il pollice che accarezzava esattamente la parte più sporgente dell'osso. Risalì piano lungo il braccio, fino a raggiungere la spalla, dove incontrò il bordo della maglietta del pigiama. Vide bene che tutto ciò lo stava rilassando e da un lato si sentì soddisfatta di avere questo potere su di lui.
Osservò il suo volto rilassato e per un istante credette che si fosse addormentato; poi lui sussurrò piano. 
« Già finito? »
A London sfuggì una risata divertita. « Ti piace? » gli chiese, accarezzandogli stavolta una guancia con la punta dell'indice, proprio come aveva fatto qualche sera prima – solo che adesso Klaus era più che cosciente delle sue azioni.
« Da morire » ammise lui con voce roca.
La ragazza sentì dentro di sé come una scarica elettrica, una scossa pericolosa che la fece avvicinare alle labbra di Klaus più del previsto, quasi senza che se ne rendesse pienamente conto.
Troppo vicini, troppo vicini!, sbraitò una voce nella sua testa, ma ormai era già troppo tardi.
Lui tenne gli occhi chiusi, ma sentì benissimo i loro nasi che si sfioravano le la bocca di lei che si poggiava flebilmente sulla propria, come a voler promettere qualcosa di troppo pericoloso per essere pronunciato. London non lo baciò subito, aspettando una sua reazione, ma Klaus alzò semplicemente gli angoli delle labbra e rimase fermo. Nelle sue mani.
London credette che fosse tutto uno stupido gioco, ma in quel momento si sentì incredibilmente allettata di poter giocare con Klaus. E tormentarlo – come aveva sempre fatto, d’altronde, solo in altri ambiti – alla sua maniera. Qualche provocazione non gli avrebbe fatto male, decise.

« E questo ti piace? » chiese piano, soffiando sulla sua bocca e infilando una mano sotto la sua maglietta, lenta e felina.
Klaus non rispose e socchiuse le labbra, e London pensò che fosse il momento adatto per baciarlo; lo fece con lentezza, insinuando la lingua tra i suoi denti. E lui rispose all’istante con altrettanto trasporto, cercando istintivamente il contatto dei loro corpi.
Le strinse una mano su un fianco, attirandola di più a sé e facendo combaciare i loro petti, il seno morbido di London premuto contro i propri pettorali poco accentuati – alla fin fine Klaus non aveva mai avuto un fisico memorabile, a dir la verità… sempre che a lei fosse importato, in quel momento.

« Non mi rispondi? » gli domandò ancora, salendo piano a cavalcioni su di lui ed ergendosi in tutta la propria altezza, per volergli dimostrare che quella volta si sarebbe voluta divertire un po’ con lui, prima di arrivare al dunque. Il marito si alzò a sedere e le avvolse le braccia intorno alla vita, affondando il volto tra la sua spalla e il collo. Mentre percorreva con le labbra quel tratto di pelle candido e liscio, con un veloce gesto della mano le sciolse i capelli, che le ricaddero scompostamente sulle scapole. London borbottò qualcosa in merito, ma lasciò perdere subito, lasciandosi baciare.
« Sì, Londie » sussurrò di rimando Klaus, abbozzando un sorrisetto soddisfatto. « E’ divertente. Però tu resti sempre insopportabile. »
« E tu un maledetto idiota » ribatté la ragazza, spingendo il bacino verso di lui, anelando a un contatto più profondo.
Il moro invertì le posizioni dopo pochi istanti, stendendosi su di lei pur senza gravare sul suo corpo con il proprio peso. Scese con la bocca sul suo seno ancora coperto dalla canotta aderente che lasciava poco all’immaginazione – quella di Klaus in particolare – e lambì con le labbra umide quella parte di pelle risparmiata dalla stoffa, poco vicino all’orlo della suddetta canotta.
London borbottò giusto che quella volta sarebbe dovuto toccare a lei il ruolo di dominatrice, che Klaus ridacchiò beffardamente e la zittì con un bacio possessivo.
La ragazza pensò che fare sesso con lui e fare l’amore con Ben fossero due cose completamente diverse, eppure complementari. Era come comparare amore e lussuria, ragione e istinto, virtù e peccato.
Per una volta – una volta che sapevano entrambi non sarebbe stata soltanto una nell’esatto senso del termine – London decise di affidarsi al torto e diventare ciò che aveva sempre temuto: schiava di una ragnatela, di un circolo vizioso e pericoloso.
E, in fondo, a nessuno dei due sarebbe dispiaciuto esserlo. Che si trattasse di eredi, maturità, desiderio o principio di un’ossessione non aveva importanza.
Forse sarebbero riusciti a cavar fuori qualcosa di buono da quello schifo di vita matrimoniale, qualcosa che comprendeva arrendersi momentaneamente e agire senza ripensamenti.

 















   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Ivola