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Autore: lovemeswaggy    21/09/2013    3 recensioni
Jessica James è distrutta. Va male a scuola, è morta la sua migliore amica ed è appena stata arrestata di nuovo. I genitori ne hanno abbastanza del suo comportamento così la iscrivono in un collegio.
Justin Bieber. Un ragazzo d'oro esteriormente ma lacerato dal dolore emotivamente.
Entrambi si ritrovano ad affrontare ostacoli difficili, ma sapranno usar tutto a loro vantaggio.
Due vite, tanto misteriose quanto difficili.
Un amore, tanto semplice quanto improbabile.
***
"Non lasciarmi andare, ti prego!"
"No piccola, sto io qui con te."
"Prometti?"
"Prometto.. e io mantengo sempre le promesse."
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Jaden Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7. Passional…
 
 
 
Jess’ point of view
Le nuvole iniziarono ad affievolirsi mentre il color celeste del cielo incombeva sulle nostre teste. L’erba bagnata rendeva scivoloso il giardino, dove ci ritrovavamo in quel momento; chi seduto sulle panchine di legno scuro, chi invece seduto a terra o semplicemente rimasto in piedi.
Tutti lì ad attendere l’arrivo di qualche nostro parente… tranne io.
Non sapevo cosa aspettarmi sinceramente, dopo quell’unica parola uscita dalla bocca di mia madre non riuscivo nemmeno a credere al fatto che fossero venuti.
Mi rendeva felice poter riabbracciare mio padre, che in quell’anno era stato il mio secondo eroe, che era riuscito in qualche modo a farmi sorridere portandomi in un luogo o semplicemente raccontando barzellette sul divano con dei biscotti davanti.
Era mio padre, in fondo, così come lo era anche mia madre. Qualunque cosa loro avessero fatto, l’amore che provavo nei loro confronti avrebbe superato ogni delusione o male ricevuta, e li avrei perdonati anche all’istante. Mi avevano messo al mondo, erano la mia vita.
Smisi di pensare passando il peso del mio corpo da un piede all’altro, finché non guardai in alto, notando il cancello dell’entrata aprirsi piano, emettendo un suono metallico simile ad un cigolio, ma molto più forte.
Audi, Mercedes, Fiat; macchine di tutti i colori invasero il terreno della stradicciola che portava all’istituto, avvicinandosi man mano e venendo riconosciuti da alcuni studenti.
Blu, grigia, nera e di nuovo blu, e ne erano circa dodici di macchine parcheggiate adesso lì di fronte.
Scesi lentamente gli scalini enormi della scuola, finché non arrivai al suolo intravedendo la macchina di mio padre.
La fissai a lungo, come feci la prima volta che la vidi parcheggiata fuori la mia casa. Sembrava così nuova, eppure in quella macchina poteva esserci passato un uragano e magari anche uno tsunami talmente delle cose che avevamo fatto lì dentro.
Sorrisi involontariamente, mentre vedevo avanzare mia madre allegra con le braccia aperte a mo’ di abbraccio. Le corsi incontro, e che vi avevo detto? L’avevo perdonata, anche per una stronzata l’avrei fatto, sempre.
Mise la testa tra i miei capelli, ed io la mia sul suo petto, felice di percepir di nuovo il battito forte del suo cuore, il suo profumo mescolato al bagnoschiuma di lavanda, il mio preferito.
“Ma amore mio, sei diventata bellissima e mi sei mancata così tanto.”
“Ciao mamma.” Mi staccai dalle sue braccia snelli ma forti, ammirandola nella sua naturale bellezza.
Fece due passi verso destra, chinando la testa all’indietro per farmi fare lo stesso e intravidi un uomo sui quarant’anni, alto e robusto, due occhi grigi ad abbellire il viso rotondo e dei capelli biondi a ricoprirlo.
Mio padre.
Sorrisi correndogli addosso, mentre si girava per potermi prendere in braccio sulle spalle. Risi di gusto, una risata sincera e piena di vita, felice di essere in quel posto con la persona giusta, di non aver un passato pieno di errori.
Gli saltai addosso, facendolo avanzare di qualche passo e ridendo. La sua risata, un suono che poteva sembrare così semplice ma per me era diventato così fondamentale. Fondamentale come può esserlo un figlio per la propria madre, un migliore amico per una persona, l’ossigeno per gli esseri viventi.
Appoggiai i piedi sull’erba solo dopo alcuni minuti, dopo avermi fatto fare il giro della macchina con me in braccio. Mi ero dimenticata di quanto potesse essere forte da prendermi come fossi piuma. Lo guardai a lungo sorridendo prima di dargli un pugno sul braccio e circondarmi delle sue braccia.
“Ciao piccola, sai cos’ho?”
“Fammi pensare, un caricabatterie? Ho dimenticato il mio a casa, e ho il cellulare a terra.”
Si guardò intorno velocemente prima di abbassarsi alla mia altezza e “No, un’altra cosa” sussurrare vivacemente.
Ci pensai su, ma l’unica cosa che riuscivo a pensare era il caricabatterie. “Non saprei stupido, dai dillo.”
Si alzò di scatto, diventando improvvisamente serio, prima di urlare un “Esci.”
Mi guardai intorno, cercando di capire se aveva sbagliato a parlare oppure davvero faceva. Perche dovrei uscire, scusa? “Papà, ma dove devo uscire?”
E lo rifeci, guardandomi in giro e vedendo per la prima volta cosa succedeva intorno a me; ed erano quasi tutti gli studenti ad essere lì, abbracciati dai loro genitori mentre parlavano animatamente con i loro fratelli o sorelle maggiori.
Due braccia muscolose e abbronzate mi presero di sprovvista, facendomi urlare come un’oca. Misi una mano davanti alla bocca prima di rendermi conto davvero di chi avevo davanti.
Un ragazzo alto e muscoloso, un fisico da far paura con due grandi occhi verdi e dei capelli rasati ai lati e accompagnati da un ciuffo alto biondo tinto. Un biondo più forzato, come fosse platino.
“Jake?” sussurrai quel nome come fosse un urlo strozzato dal nodo in gola che mi si era formato.  Un angelo davanti al mio viso, per i miei occhi. La voce incapace di uscire mentre rimanevo immobile a fissarlo, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta.
“In carne ed ossa baby, più carne ultimamente.” Mi fece uno dei suoi sorrisini capaci di farmi andare in ospedale. Un sorriso sincero che concedeva solo a me, e io li custodivo tutti, come potrebbe far una ragazza ormai cresciuta che decide di conservare le sue bambole, perché in fondo avevano fatto parte della sua infanzia, brutta o bella che era. Come un’anziana che decide di tener tutta la sua vita con sé; tra gioielli e orologi a vestiti e scarpe, borse oramai consumate dal tempo, invecchiate con la padrona che l’ha comprate.
Presi forze e mi buttai su di lui, circondando il suo collo con le mie braccia e lui fece lo stesso col mio bacino. Urlai di gioia, una gioia che ormai credevo non ci fosse, una gioia che riscoprii solo in quel momento tra le braccia del mio migliore amico. Come se il cuore avesse ripreso a battere, dopo mesi e mesi di inquietante silenzio, come se il sangue iniziasse a scorrere veloce tra le mie vene e arterie, provocandomi un’ondata di calore improvvisa, facendomi rinascere.
E non so per quanto restammo abbracciati, ricordo solo che appena mi separai dal suo corpo scoppiai a piangere. E non era uno di quei pianti tristi, o troppo felici, ma un pianto liberatorio che volevo far cacciare mesi prima ma non ci ero riuscita. Mi sfogai sulla sua maglietta, come facevo quando eravamo insieme settimane fa, le mie dita chiuse in un pugno con la stoffa della maglietta di Jake tra di esse, i capelli davanti al viso mentre si bagnavano a causa di tutte le mie lacrime e lui con una mano sulla schiena ad accarezzarmela e l’altra tra i capelli, a strofinarli dolcemente. Per rassicurarmi.
“Ehi piccola, sono qui ora. Tranquilla.” E non riuscivo ancora a crederci, rigonfiando una bolla dove mi racchiusi solo io e lui, nessuno intorno a me, se non le sue braccia a proteggermi.
Chiusi gli occhi, asciugandomi il poco mascara che avevo messo e riaprendoli. Avevo il sorriso dei miei genitori, che avevano assistito la scena commoventi, e Jake, che mi guardava tra il divertito e il dolce. Un mix perfetto per le sue labbra e i suoi occhi.
Mi sentii richiamare, e girandomi mi accorsi solo allora che dopo settimane era la seconda volta che vedevo la preside.
Si avvicinò a noi entusiasta, sorridendo ai miei e a Jake, che strinse il mio fianco in un pugno.
E ormai non faceva nemmeno più male, talmente delle volte che l’aveva fatto. Sorrisi guardandolo, per poi rivolgere l’attenzione a Allie.
“Ciao Jessica, scusami se davvero non sono potuta venire a trovarti, ho avuto da fare!” mi abbracciò velocemente e fece lo stesso con gli altri.
Poi diventò seria con un sorriso che riprendeva solo le labbra e “Andiamo dentro, magari voi potete venire con me” consigliò ai miei “mentre tu potrai andar con Jessica” dire a Jake.
Lui annuì velocemente, mentre il giardino si spopolava e rimanevano solo un ragazzo e una ragazza.
Sorrisi ad entrambi non badando a chi fossero, prima di riconoscere da più vicino la chioma nera di Rose.
Mi corse incontro abbracciandomi forte, come se non ci vedessimo da una vita. Poi si staccò da me, rivolgendo un sorriso timido a Jake.
Presi sotto braccio il mio migliore amico, “Justin, Rose…lui è il mio migliore amico, Jake. Jake, loro sono due miei amici che ho conosciuto qui” presentandolo a loro.
“Oddio, Jess mi ha parlato così tanto di te, aveva ragione sul fatto che sei uno schianto” enfatizzò felice Rose, stringendo la mano di Jake.
“aveva ragione sul fatto che sei uno schianto.” Raddrizzai la schiena, togliendo del tutto il sorriso dal mio viso e irrigidendomi notevolmente. Cla, la sua frase preferita. Identica.  Guardai di botto Jake, che già mi fissava insistente, gli occhi spalancati e la bocca serrata in una linea dura, trattenendosi dal piangere. Ma avevamo già gli occhi lucidi…
Scossi la testa ricacciando indietro le lacrime, e forzai un sorriso stringendo il braccio del ragazzo al mio fianco.
“Davvero?” domandò impassibile, ancora.
“Scusatemi, un brutto ricordo” borbottò prima di ritornar a sorridere e allontanarmi dai miei amici.
 
 
Justin’s point of view.
La sala pranzo era piena di gente; tra studenti, insegnati, camerieri e parenti era difficile addirittura metter piede nella stanza.
Così mi beai della solitudine che poco concedeva il giardino sul retro, sempre affollato da alunni. Camminai avvertendo l’aria fresca sul viso e sulle braccia, facendomi venire la pelle d’oca. Gli occhi lucidi a causa del vento che mi veniva contro mentre camminavo da solo tra l’erba, non pensando a nulla di specifico. O forse sì.
E perché io non ero lì dentro, a poter festeggiare con i miei genitori, i loro visi ormai invisibili nella mia mente, le loro risate e voci ormai non udibili alle mie orecchie.
Credevo fosse impossibile dimenticare chi hai fatto morire; le loro facce e i loro corpi ma fu così in quel momento. Non riuscivo più  sentire la voce di mia madre, o vedere il viso di mio padre. E stava accadendo di nuovo, le lacrime che non solo offuscarono la vista ma anche la mente, annebbiandola come fosse fumo e rendendo tutto meno chiaro.
Fu in quella sera di fine agosto che piansi liberandomi per qualche minuto della tristezza, dell’odio verso me stesso e il mondo, della colpa che mi portavo dentro da tanti mesi. Mi liberai di me stesso, spogliandomi completamente di tutte le difese che mi ero costruito, approfittandone dell’allegria che girava nell’aria, causata da tutte le persone presenti in quella sala. Mi beai di quel silenzio inquietante tanto confortante, così simile ad un sogno, dove ci sei solo tu al mondo e nessun’altro.
E mi presi i capelli tra le dita, stringendoli forte per alleviare il dolore che si stava riformando al centro del cuore. Aprii la bocca per fare arrivare aria ai polmoni, cercando di respirare regolarmente e calmandomi dal pianto liberatorio che continuo a fare.
Dopo qualche minuto tutto svanì: le lacrime decisero di non uscire, e il respiro si fece regolare come lo era prima. Era passato un giorno intero, perché tutte quelle macchine parcheggiato sul retro erano lì da quella mattina, rimanendo immobili e dando spazio ai loro padroni di poter stare con i figli.
Ed io e Rose eravamo rimasti da parte, aspettando che questo piccolo incubo finisse, ritornando alla vita noiosa di prima.
Jaden era rimasto con le sue sorelle, e io gli avevo concesso un po’ di spazio perché lui almeno, una famiglia ce l’aveva ancora.
E invece Jess passò l’intera mattinata e pomeriggio in compagnia di Jake, un ragazzo bello quanto antipatico, almeno per me. E lui riuscì a capire subito perché non mi dava tanto a genio, ma il problema era che io in quel momento non conoscevo il motivo.
**
Un rumore fastidioso si insinuò nelle mie orecchie, rischiando di rompere i timpani come ogni santa mattina. Allungai la mano per prendere la sveglia e con un occhio aperto e l’altro chiuso, la spensi buttando la testa sotto il cuscino.
Aspettai giusto qualche minuto, per far abituare la luce agli occhi per poi scendere dal letto e avvicinarmi alla scrivania. Presi da lì un asciugamano appeso alla sedia e l’accappatoio appoggiato lì.
Uscii dalla camera verso le 6:40 beandomi del silenzio presente nel dormitorio, potevo essere considerato l’unico ragazzo che era in piedi a quell’ora, ma che ci potevo fare? Era una questione di abitudine, oramai.
Arrivai al bagno tranquillo, notando già qualche ragazza intenta a lavarsi i capelli o del vapore fuoriuscire da alcune cabine. Presi quella più lontano, appoggiando i vestiti e l’accappatoio con l’asciugamano sulla panchina lì accanto e aprii il getto dell’acqua, facendo scorrere gocce fredde su di me.
Ne uscii poco dopo, facendo entrar in contatto il caldo accappatoio con la mia pelle. Frizionai i capelli velocemente, asciugandoli con l’asciugamano e sistemandoli con del gel.
Alzai lo sguardo finalmente, ritrovandomi una marea di persone a far quel che facevo io poco fa. Sorrisi involontariamente, pensando a quanto nonostante tutte le litigate e i brutti giudizi eravamo sempre così uniti, ci volevamo bene come fossi una grande famiglia, e bella.
Vidi Kelly avvicinarsi furibonda, così mi girai di spalle ignorandola completamente. Ma si può mai competere con una donna arrabbiata? Penso di no. Con un solo movimento brusco mi girò verso di lei, mollandomi uno schiaffo dritto in faccia.
Questione di secondi, pochi secondi, prima che l’intero bagno si girasse verso noi. Un momento, ma cosa era successo, cazzo? La guardai impietrito, i pugni stretti facendo diventare le nocche bianche, le labbra tirate in una linea dura. No, ma come minchia si permette ‘sta qui?
La fissai senza proferire parola, che cazzo avevo fatto per meritarmi quello schiaffo? La vidi urlarmi contro senza riuscir a sentire nulla, poi mi spinse schioccandomi il medio e il pollice davanti alla faccia.
“..ma mi ascolti o no, brutto pezzo di merda? Ma chi ti credi di essere? Non sei mica Dio, come cazzo ti viene di far piangere la mia migliore amica? Sei solo uno stronzo che si diverte a prendere in giro delle ragazze, eh? Ma il rispetto te lo sei ficcato in culo tempo fa o cosa? Spiegamelo. No perché davvero.non.capisco! mollare Sammy per quella merda? Dimmi che scherzi stronzo!” La voce stridula di quella ragazza di sicuro non mi aiutò a ragionare.
La presi di spalle sbattendola al muro, sentii imprecare qualcuno alle mie spalle facendo finta di nulla poi mi avvicinai a lei il più possibile, chi troia potrebbe ragionare con un ragazzo così vicino a lei?
“Senti puttanella, ora o mi ascolti o mi ascolti. Innanzitutto, di sicuro sono migliore di te perché di certo ho del rispetto nei miei confronti a differenza tua che la dai al primo che capita senza importarti del tuo orgoglio femminile. Chi cazzo ho fatto piangere, scusa? Io “mollare?” io non ho mollato proprio nessuno, perché non sto con nessuno! Vai a chiedere a Sammy perché è voluta rimanere dopo che le ho detto chiaramente mille volte che la volevo solo per uno scopo! Ma questo lei non te l’ha detto, vero? E ora credi che sia io lo stronzo, giusto? E non lei che è identica a te, senza rispetto per se stessa e per i suoi sentimenti! Tu a me di certo non urli o mi chiami come cazzo ti pare, perché ti sono superiore! E non solo di età bambina, ma anche di cervello sicuramente! E non sono affari tuoi chi voglio scoparmi, ok? Se voglio scoparmi la James me la faccio senza problemi, ok? Fatti i cazzi tuoi per una volta! E non quelli degli altri…” le feci l’occhiolino fumando di rabbia, per il doppio senso che conteneva l’ultima frase che dissi. Mi allontanai bruscamente, notando solo allora le lacrime della ragazza che avevo di fronte, allontanai le unghie dai palmi delle mie mani, cercando di rilassarmi. Chiusi gli occhi per un po’, e intorno a me non regnava altro che i singhiozzi di Kelly.
Li riaprii e la guardai, quella gonna issata troppo in alto per mostrare le sue gambe snelle, la maglietta bianca più piccola di una taglia per farle risaltare il petto, i capelli sciolti che le arrivavano al sedere.
“Io… fatti pure chi ti pare, Bieber, ma non toccarmi Samantha, ok? Perché se vedo che ti avvicini a lei solo per chiederle altro sesso, giuro te lo spezzo quel pisello che ti ritrovi, intesi!” risultò più come un’affermazione anziché una domanda, aggrottai la frante ascoltandola.
“Inoltre… fatti i cazzi tuoi anche tu! Come tu hai il sesso per dimenticare i tuoi problemi, anche io ce l’ho! Fatti. Quei. Fottuti. Cazzi. Tuoi! Tu non sai un cazzo della mia vita privata, ok? E non giudicarmi solo dall’apparenza, ok? Vaffanculo Bieber, fatti pure la James ma povera lei che si ritroverà come tutte le ragazze che ti sei fatto qui dentro! che farai ora che le hai detto cose dolci? Ma che stupido, usi lo stesso metodo con tutte! Prima studiate insieme, poi vi avvicinate ancora di più diventando una specie di migliori amici e poi finisci col portartela a letto? Ma che gentiluomo Bieber, data la apparenza tu non devi neanche pensarci a giudicarmi! Vaffanculo” strizzò gli occhi, prima di urlar un “Levatevi dal cazzo” passando tra quella marea di adolescenti intenti ad ascoltar la mia chiacchierata. Se ne andò senza darmi il tempo di replicar qualcosa, e solo allora notai una ragazza bionda con gli occhi grigi, intenta a fissarmi con le lacrime agli occhi. Jessica.
Ci fissammo, incapaci di spiccicare una parola o muovere un muscolo. E la prima fu lei a fare qualcosa, si avvicinò a me velocemente, dandomi uno schiaffo a cinque dita aperte sulla guancia, una forza tale da farmi girare la testa di lato. Mi urlò contro qualcosa, ma non la sentii. Riuscivo solo a sentire un suono simile a mille pezzi di vetro caduti a terra, e solo dopo un po’ mi accorsi che si trattava del mio cuore.
 
 
Jess’ point of view
Mi girai di scatto, allontanandomi da tutti e trattenendo le lacrime che a stento riuscivo a sopportare.
“Prima studiate insieme, poi vi avvicinate ancora di più diventando una specie di migliori amici e poi finisci col portartela a letto? Ma che gentiluomo Bieber” le parole di quella ragazza risuonavano insidiose nella mia mente, distruggendo al loro cammino tutti i ricordi e i momenti passati con Justin, cancellando i sentimenti che provavo ogni volta che ero con lui. Come un tosaerba che elimina tutti i fili d’erba, ormai troppo alti e forti, e sentivo così la nostra amicizia, così forte e grande che sembrava indistruttibile ma poi ci vollero solo pochissime parole a spezzare quel filo, che ormai finiva di distruggersi in altri mille pezzi.
Arrivai nel dormitorio delle ragazze, e riuscivo a percepire i passi del biondino che mi stava urlando contro di fermarmi, con quella voce piena di speranza, ma non mi sarei fermata per vederlo ancora prendermi in giro. Per vederlo rompere in pezzi ancora più piccoli quel poco che mi restava di quel muscolo chiamato ‘cuore’.
Sentii delle dita sull’avambraccio destro, dita che ormai erano abituate a toccarmi in quel punto perché correvo sempre da una parte all’altra o perché non lo ascoltavo mentre lui mi parlava di qualcosa. Chiusi gli occhi maledicendomi di provare quella sensazione così benefica che avevo scoperto di possedere solo ieri, perché in quel momento dovevo essere arrabbiata, per forza!
Mi girò di scatto, fermandomi bruscamente e prendendomi entrambe le braccia per tenermi ferma. Lo guardai in quegli occhi che avevo imparato a conoscere ma non li conoscevo per davvero, ma sapevo solo che nascondevano dolore; un dolore immenso. E ricordo come un giorno mi promisi mentalmente di aiutarlo a superare quel dolore, perché magari aiutando lui avrei aiutato anche me.
Ma in quel momento non volevo altro che in quegli occhi ci fosse lo stesso dolore che vedevo ogni volta, solo quel dolore e nient’altro. La mascella serrata e le labbra schiuse, quelle labbra che mi accorsi di volere solo ieri grazie ai dubbi di Jake che mi aveva detto, perché era così; le volevo. Ma adesso invece desideravo vederle riempite di sangue… o premute sulle mie.
Chiusi gli occhi, perché non avrei mostrato a lui, in quel momento, il mio battito cardiaco accelerato, non per la rabbia. Li riaprii dopo un po’, calmandomi, e me lo ritrovai sempre lì in quella posizione, non vedendo un muscolo muoversi. Se non era per il movimento del suo petto, avrei pensato che qualcuno avesse scambiato Justin con una statua identica a lui.
Ma ovviamente solo io potevo pensare a queste cose, mentre lui era lì che mi aveva tradito.
“Non è così, Jessica.”
‘Non è così, Jessica.’ Jessica, Jessica, Jessica. Quel nome che odiavo risultò così dolce uscito dalle sue labbra che mi costrinsi a non piangere ancora di più. Perché sì, piansi in silenzio mentre lui mi sfiorò la guancia asciugando alcune lacrime.
“Tu. Non devi toccarmi, mai più.” E dove trovai il fiato per parlare? E ritornai al mio battito di prima, che batteva forte contro il tessuto di pelle.
“No Jessica, tu devi farmi parlare, per forza! Io non faccio così, se l’ha inventato solo perché doveva farmi un dispetto, perché era arrabbiata perché avevo fatto piangere Sammy!” mi urlò contro, lasciandomi e gesticolando mentre parlava, e non l’avevo mai visto così.
“Sì certo, avrai usato questa scusa anche con le altre, eh? Vaffanculo Justin.” Avvicinai il polso alla faccia asciugandomi il mascara che di sicuro ricopriva la mia guancia.
 Si può sapere perché stavo così male?
“Amore.” Dicemmo all’unisono, e lo guardai incredula. Adesso è anche una specie di vampiro stile Edward Cullen che entra nella mia mente? Piegai le labbra in un sorriso, incredibile che stava pensando alla mia stessa cosa? No, impossibile.
“Cosa?” domandai, guardandolo a bocca aperta assicurandomi col pensiero se quello che avevo davanti fosse davvero Justin e non stessi avendo un’allucinazione. Vi immaginate beccarmi per il corridoio mentre parlo e urlo piangendo da sola? Dio mio. Misi le mani davanti alla faccia, sperando che appena li avessi riaperti mi sarei ritrovata sola così da poter ritornare in camera e piangere.
Ma li riaprii, e vidi solo le sue labbra sulle mie. E la giornata non era di certo iniziata bene.
 
 
 
 
spazio autrice:
CHEEE RITAAAAAARDO ODDIO :O
scusatemi davvero scusa scusa scusa scusa :'o
in 'sta settimana sto piena di compiti,
e meno male che è la prima :o non sapevo fosse così
difficile la seconda ma ok HAHAHAHAH
anyway, com'è il capitolo? io lo trovo fantastico, cioè 
finalmente si baciano omg c': ma 
dobbiamo aspettar il prossimo capitolo per
saper cosa farà Jess. Voi cosa ne pensate?
Inoltre parliamo anche di Justin, che rimane a piangere
da solo lì sul retro...mi è venuto qualcosa al 
cuore mentre scrivevo :o
spero non ci siano errori, e che fili tutto liscio:')
buooonanotte belle, vado alla festa lol <3
xoxo, Angelica.
  
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