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Autore: Winchester_Morgenstern    21/09/2013    5 recensioni
La vera difficoltà non sta nel cambiare se stessi, ma nel riconoscere ciò che si è realmente e, soprattutto, nell'accettarlo.
IN REVISIONE - CAPITOLI RISCRITTI 4/X (DA DEFINIRE).
POST COG, POSSIBILE RIVISITAZIONE DELL'INTRODUZIONE.
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Clarissa, Izzy Lightwood, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Veritas filia temporis'
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— Oh, Clary! Non sai quanto sono felice per voi! — esclamò Isabelle: aveva gli occhi scuri illuminati di gioia, e Clary quasi poteva fisicamente sentirla immaginare di organizzare il matrimonio. Il suo aiuto sarebbe stato più che bene accetto, ovviamente - dopotutto, lei non era mai stata quel che si diceva l'emblema dell'eleganza, e a meno che non volesse decorare Idris a tema Star Wars per le nozze non sarebbe stata esattamente una cima nei preparativi - ma aveva come l'impressione che avrebbe finito per faticare più del dovuto, se non altro per contenere la tendenza all'eccesso di quella squinternata di una Lightwood e dell'esuberante suo compare, Magnus Bane, parlando per eufemismi.
— Lo so, Izzy, lo so. — rispose quindi la rossa ridendo: era almeno la centesima volta che l'amica si congratulava con lei, e adesso la sua eccitazione incominciava perfino a far voltare gli uomini d'affari, i pendolari e le patite dello shopping che passeggiavano lungo la Fifth Avenue. 
— Certo, ma non fa mai male ribadirlo — si difese tranquillamente la mora, svoltando l'angolo della strada con aria un po' affrettata e facendo dondolare sul polso le varie buste colorate che si trascinava dietro, come se pesassero meno di una piuma - e anche se oggettivamente parlando non era cosi, lei ovviamente le avvertiva come tali, considerata la pesantezza di alcune delle armi con cui si allenava.
— Forza, Clary! — strillò, praticamente, sporgendosi indietro e afferrando un braccio della povera malcapitata: — Ho voglia di un milkshake e c'è uno Starbucks proprio lì di fronte! 
Clarissa era passata decine di migliaia di volte per quella strada, o almeno lo aveva fatto fino a qualche anno prima, quando la vita soprannaturale non l'aveva ancora travolta investendola come un tir in corsa. 
Era un locale ampio, spazioso e pieno di luce, e così doveva essere, considerando che si trovava all'incrocio di alcune delle vie più trafficate di New York. Anche se era l'ora di punta, comunque, forse complice il cielo nuvoloso e carico di pioggia e la conseguente fretta dei passanti di ritornare nel calore delle proprie case, lo Starbucks sembrava del tutto vuoto, fatta eccezione per le due cameriere che s'intravedevano dalle vetrate del locale, costrette nell'abituale grembiule verde con tanto di cappellino coordinato.
— Okay — rispose quindi semplicemente la Nephilim, scrollando le spalle. Pur tenendo conto di tutte le belle novità accadute ultimamente, una bella ventata di cara e vecchia normalità non avrebbe fatto del male a nessuno.
 
 
 
 
L'interno del coffee shop (1) era esattamente come quello di tutti gli altri appartenenti alla grande catena sparsa per il mondo, banconi di legno ed espositori scuri e fornitissimi, e poco lontano una piccola schiera di poltrone e tavolini (2). Non aveva nulla di speciale, proprio per niente, e Clary si rese conto che aveva anche perduto il fascino del proibito che aveva quando lei e Simon ci andavano a poco meno di quattordici anni, saltando la scuola per bere caffè annacquato. 
Aveva diciott'anni, stava per sposarsi e nella maggior parte del suo tempo libero dava la caccia ai demoni e ai fuorilegge, e il suo migliore amico era un vampiro assetato di sangue. Be', forse sarebbe stato più appropriato dire il suo ex migliore amico: per quante volte avesse provato a chiamarlo, Simon non aveva mai risposto, e ogni volta che tentava di beccarlo a casa sua o alle prove della band - che a quanto pareva aveva lasciato - lui non c'era. Clary era preoccupata, e non poco, ma Jace le aveva appena fatto una proposta di matrimonio e riteneva che passare qualche giorno senza preoccuparsi degli altri non fosse peccato capitale. 
In ogni caso, Isabelle lasciò cadere borsa e buste accanto ad una poltroncina scura e la raggiunse alla cassa, dove Mary - o almeno questo era il nome appuntato sul cartellino che la ragazza portava appuntato al petto -, una graziosa adolescente dai capelli biondi raccolti in un morbido chignon basso prese le loro e ordinazioni - un milkshake al cioccolato e un frappuccino, riferendo per dovere di cronaca - e si voltò per comunicarle all'altra ragazza, Johanna. Benedette etichette con i nomi – non che a qualcuno importasse molto dell'identità della barman occasionale, comunque, rifletté Isabelle. 
 
 
 
— Allora, avete già deciso la data? — domandò la corvina, sfregandosi le mani e facendo scintillare la frusta che portava a mo' di gioiello sotto le luci soffuse della caffetteria.
— Ma ti pare, Iz? Abbiamo avuto a stento il tempo di dirvelo! — osservò Clary, occhieggiando con impazienza il bancone: erano le uniche due clienti lì dentro, per la miseria, quanto ci voleva a completare due ordinazioni, per la miseria?! 
Isabelle arricciò le labbra e giocherellò con la frusta, perfettamente in linea con i pensieri dell'amica: voleva soltanto un frappuccino, per Raziel. Aveva già abbastanza problemi a cui pensare, come l'improvviso silenzio radio di Simon, la stessa persona con cui avrebbe dovuto avere una tresca in corso, per quel che ne sapeva, oppure la quasi improvvisa elezione di suo padre come Inquisitore che l'aveva portato lontano dall'Istituto della Grande Mela, e il fatto che lei si sentiva quasi un mostro per essere praticamente felice di saperlo lontano: non avrebbe più costantemente litigato con sua madre, già abbastanza distrutta dalla morte di Max senza che anche lui s'intromettesse, perché se prima le cose in famiglia erano tese con la scomparsa del suo fratellino stavano letteralmente cadendo in pezzi. E sì, doveva per forza pensare in quei termini freddi al recente lutto che avevano sofferto, oppure sarebbe crollata in pezzi.
E poi, be', sapeva che anche Alec si sentiva più leggero nel sapere che loro padre era via: adesso, perlomeno, non aveva più l'aria di un ladro colto con le mani nel sacco quando si incontrava con Magnus.
— Hai ragione, ma dovresti incominciare a pensarci, sai, per non far passare troppo tempo. — sostenne comunque: — Pensa già a quanto perderemo per tutta l'organizzazione. Un anno, come minimo. 
Mentre Clary rifletteva sulle sue parole, lei s'illuminò alla vista di Johanna che si voltava verso di loro e mostrava le tazze che recavano i loro nomi scritti a pennarello in una grafia, be', orrenda. Le lettere sembravano più simili a scarabocchi imparentati col purgatico che all'alfabeto occidentale, in effetti, pensò ridendo mentalmente. 
Con aria estatica Clary afferrò il suo milkshake, girò bene con la cannuccia e ne prese un bel sorso fresco, la crema al cioccolato dolce e vellutata che le deliziava il palato. Fu solo dopo che il retrogusto amaro si fece strada nella sua bocca, qualcosa di decisamente troppo stonato per assomigliare anche solo lontanamente a latte o ghiaccio o cacao. 
Il suo corpo agì prima ancora che la sua mente capisse cosa stava succedendo: — ISABELLE, NON BERE! — urlò, cercando di gettare a terra il bicchiere dell'amica con una mano. L'unica cosa che riuscì a fare, però, fu barcollare in avanti e osservare tristemente la mora cadere a terra con un tonfo sordo.
 
 
 
Giro giro tondo, casca la terra, tutti giù per terra!
Clary sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco l'ambiente intorno a lei: non poteva essere passato più di qualche secondo, lo sapeva, Isabelle era ancora distesa di fronte a lei, ma Mary aveva oltrepassato il bancone e l'aveva afferrata per le braccia, trascinandola verso quello che sembrava un Portale, aperto proprio sull'unica parete che non era visibile dall'esterno.
Si slanciò in avanti e afferrò le caviglie dell'amica, col solo risultato di piombare a terra mentre la testa pulsava così tanto da darle l'impressione che stesse per scoppiare. Si sentì afferrare da dietro e si ricordò confusamente di una seconda cameriera di cui non rammentava il nome, perché tutto si stava facendo buio e sentiva degli artigli sulla pelle, una parte di sé più lucida del resto li riconobbe come quelli di un lupo mannaro. Racimolò tutta la forza che ancora aveva in corpo e si gettò all'indietro, crollando a peso morto su Joshie, no, June, no, uhm, Johanne, o qualcosa del genere. A chi fregava. Sentì la Nascosta cadere a terra, schiacciata dal suo corpo, e approfittò della situazione per salirle addosso, mentre questa scalciava e scalpitava e tentava di graffiarla ma senza esito, e poi estrasse l'unica arma che portava davvero sempre con sé: lo stilo.
Non era affilato ai bordi e certo non era un pugnale, e lei era un'artista ed avrebbe dovuto usarlo per creare Rune, ma tutto stava svanendo e sapeva che non avrebbe resistito molto, e in preda ad un istinto animale affondò la sottile barra d'adamas proprio nel punto in cui supponeva ci fosse il cuore della ragazza.
'Fanculo gli Accordi, pensò, erano state attaccate per prime, si giustificò, mentre si rendeva conto che Mary stava attraversando il Portale con Isabelle a carico. 
Oh merda. 
 
 
 
Fu il suono delle sirene di svariate auto a farla drizzare a sedere come una molla, la testa che sembrava pronta a staccarsi dal collo tanto faceva male e gli occhi che le bruciavano come non mai. 
Non riusciva a tenersi in piedi ma, come si soleva dire, pensò, barcollo ma non mollo. 
Le informazioni le rimbalzavano nel cranio come una pallina su un tavolo da ping-pong, era tutto confuso: le due cameriere, Isabelle a terra, il Portale, lo stilo, e adesso quelle fastidiose luci rosse e blu... 
Sgranò gli occhi e scattò in avanti, salvo poi rendersi conto che con le volanti della polizia davanti non poteva certo uscire come se nulla fosse, e poi un conato di vomito le stava risalendo in gola.
Con tutta la forza possibile s'impose di non crollare e soprattutto di non mettersi a dare di stomaco, si chinò e afferrò lo stilo ancora appiccicato nel petto di Johanne, rosso e appiccicoso e semplicemente disgustoso, ma era troppo importante e troppo incriminante per lasciarlo lì: con un po' di fantasia gli artigli della cameriera sarebbero sembrati il frutto di un'operazione chirurgica, ma come spiegare quella strana arma del delitto?
Ovviamente, quello fu un pensiero che fece dopo, a mente fredda, perché prima era occupata a scavalcare il bancone e fuggire nel retro del locale cercando un'uscita secondaria, proprio nel momento in cui i poliziotti facevano irruzione in quel caos soprannaturale. 
 
 
 
Izzy, Izzy, Izzy, Izzy!
Clary non riusciva a pensare ad altro mentre correva a perdi fiato lungo le strade di New York: l'Istituto era troppo lontano, raggiungere Jace le avrebbe fatto perdere troppo tempo fin troppo prezioso e che aveva già sprecato facendosi una dormitina sul pavimento, quindi l'unica altra opzione era Magnus. 
La città le correva accanto, o forse girava, oppure era lei a correre e girare, non lo sapeva, le persone stesse le sembravano solo macchie colorate e a stento distingueva le macchine che, per quanto bloccate nel traffico, sembravano tutte più che intenzionate a investirla – magari c'entrava qualcosa il fatto che le vedeva arrivare sempre troppo velocemente o, al contrario, in slow motion.
Cosa diavolo c'era in quel milkshake?
Era letale?!
No, non poteva esserlo, insomma, volevano rapire anche lei, non ucciderla, e poi se avessero voluto farla secca non avrebbe dovuto già restare stesa sul pavimento di quel dannatissimo Starbucks fino a quando qualcuno non l'avesse chiusa in un orribile sacco?!
Non lo sapeva, non riusciva a capirlo, niente di tutto quello che pensava o vedeva e aveva un senso, e ogni persona che le sfilava accanto sembrava avere il volto di un demone diverso, Vermithrall, Shax, Eidolon, sembrava una parata degli orrori e la realtà e l'incubo erano indistinguibili.
Si aggrappò al citofono di Magnus come un naufrago ad un'isola deserta, la testa ciondolava di nuovo e non riusciva a comporre frasi sensate.
— Chi diavolo osa interrompere il Sommo Stregone di Brooklyn? — strillò Magnus. In sottofondo Alec stava ridacchiando, ma  alla psiche di Clary sembrava più il riso malvagio di un dannato mostro.
— Magni-is... Ma-Magnus, a... A-a-aiu-aiuto! — biascicò, lasciandosi crollare sull'asfalto.
Si sentì il rumore di una cornetta di plastica che sbatteva contro il muro e poi un trambusto infernale lungo le scale, come una mandria di elefanti al galoppo, pensò la rossa, ridacchiando, allucinata.
Il portone di aprì con uno scatto, sbalzandola appena all'indietro, ma il dolore era l'ultima cosa che sentiva, in quel momento, la confusione la stava uccidendo: — Clary! — sentì urlare Alec.
— Hanno preso I-Isabelle! — riuscì a gracchiare: — Qualcuno ha p-preso Isabelle.
 
 
 
 
 
 
 
(1) = In America i bar sono quelli dove usualmente vengono serviti alcolici, per lo più, mentre i "nostri" bar vengono chiamati coffee shop, dove appunto si servono caffè, dolcetti e bevande varie.
(2) = Non sono mai stata in uno Starbucks, per l'aspetto mi sono basata su alcune fotografie viste nel web.
   
 
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