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Autore: crazyclever_aveatquevale    22/09/2013    4 recensioni
Dalla storia:
La prima volta che Arthur e Merlin andarono in campeggio avevano otto anni. Un pomeriggio di maggio fecero sedere i genitori di entrambi sul grande divano di casa Pendragon e presentarono la loro richiesta di dormire da soli in un bosco, dentro le tende e riscaldati dal fuoco – Come i veri cavalieri! aveva detto Arthur – dato che ormai, alla veneranda età di otto anni, erano grandi.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Aiutooooooo

Beh, sono sfinita, questa settimana è stata un vero e proprio incubo: ho dormito poco (00.30-06.30 più o meno a notte), ho un mal di schiena tremendo e con le poche forze che mi rimangono vorrei costantemente prendere a pugni ogni professore che crede che leggere il libro in classe sia “spiegare” e si arrabbia se tutti gli alunni fanno altro! (Perdonate lo sfogo ma non potendolo dire ai suddetti lavoratori –poi uno si chiede perché in Italia l’istruzione fa schifo: si badano ai soldi, non ai contenuti!- lo ripeto al mondo intero!)

Vaa beene… Vorrei dire che questo capitolo è stato scritto con tranquillità e nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, ma mentirei, quindi dico solo che questo è il capitolo di svolta e che non doveva esserlo, perciò non prendetevela con me ma con la storia che ha voluto questo svolgimento!

Voglio fare un ringraziamento speciale a Rosso_Pendragon, che ha recensito i tre capitoli precedenti, e ai 15 che seguono questa storia e ai 4 che la preferiscono!

DISCLAIMER: L’Asino Reale, l’Idiota e tutta la combriccola non sono miei; non scrivo a scopo di lucro ma solo per puro piacere personale.

 

Di campeggio, stelle e primi baci
 
Capitolo 4

Merlin aveva sbattuto. Cadendo su Arthur, aveva puntato per terra il polso sinistro per evitare di gravargli addosso con tutto il peso e ora aveva serie difficoltà a muoverlo, e stava lentamente ingrossandosi. Tuttavia non voleva apparire debole, perciò vi mise un po’ di pomata per storte e, stringendo i denti quando il dolore si faceva più forte, lasciò perdere. Stava appunto rimettendo la pomata nello zaino quando nella tenda entrò Arthur, senza nemmeno chiedere il permesso.

«Merlin, senti… Ho parlato con Percy e vorrei che vi scambiaste di posto per stanotte… Ho scoperto che russa e quindi vorrei evitare… sai… di passare la notte in bianco».

All’inizio, Merlin fu sorpreso, un po’ per l’intrusione, un po’ per il discorso, ma poi capì. E sospirò. «Gwaine me l’ha detto, Arthur, che vi siete parlati». Voleva essere scherzoso ma la frase gli era riuscita troppo dura, proprio non ce la faceva a fare finta di nulla. E, come se non bastasse il dolore al cuore, il polso continuava a mandargli quelle fitte… Si voltò, per nascondere una smorfia.

Fu per quello che non vide Arthur sbiancare. Tuttavia, udì distintamente il suo balbettio:  «Cos- Cosa?? E che ti ha detto Gwaine? No perché probabilmente ha frainteso…», a cui tuttavia non seppe dare un senso.

«Frainteso? Ma che dici Arthur! Era chiarissimo, l’avevo capito perfino io, per quanto era evidente! Solo un asino come te non poteva arrivarci!»

Arthur si sentiva svenire. «Ma-Ma io… Tu… Tu l’avevi capito?»

«Non c’è molto da fraintendere quando quei due si saltano addosso l’un l’altro ora minuto e momento… Vuoi mettere quando si parlano in quel modo tutto loro o si mandano frecciatine e provocazioni? O quando si lanciano quegli sguardi di fuoco che l’unica cosa che vorresti fare è teletrasportarti nella stanza affianco (anche se pure lì, non te lo consiglio!) ma alla fine basta passare dalla porta perché tanto non si accorgono della tua assenza? Era chiaro come il sole, ti dico!» Nonostante il tono fintamente esasperato, Merlin era entusiasta per gli amici, si vedeva da come gli brillavano gli occhi. Arthur lo amò, se possibile, un po’ di più.

Intanto, il suo segreto era salvo. E non gli andava proprio di sentire i particolari sulla relazione degli amici. «Okay, okay, basta. Ho capito il concetto. Quindi… tutto risolto, no? Se vuoi ti aiuto a spostare le tue cose»

Merlin diventò color peperone. «Oh, ehm, guarda, lascia perdere, ci penso io, è tutto in disordine… Dovrei prima riordinare… Non fa nulla, ci penso io più tardi.» Detto questo, lo cacciò letteralmente fuori dalla tenda.

Non l’avrebbe mai ammesso davanti a nessuno, ma non ritrovava una scarpa. Si era dato dell’idiota da solo più volte, ma l’unica cosa che sapeva, dopo una buona mezz’ora di ricerche, era che una delle due era finita sotto la tenda, in un angolo, mezza dentro e mezza fuori. Riguardo a dove si trovasse l’altra, non ne aveva la minima idea.

Rivoltò la tenda da cima a fondo, ma della sua scarpa neppure l’ombra. Si sedette sul letto, con la testa tra le mani. Cosa poteva fare? Ormai  non aveva più tempo: era stato precettato dalle ragazze per aiutarle a preparare i contorni e la frutta per la cena, mentre Lance, Percy e Leon si sarebbero occupati dell’arrosto, e Gwaine e Arthur avrebbero preparato la tavola.

Ora non solo doveva maneggiare coltelli con una mano fuori uso, ma doveva anche andare in giro scalzo! Oh, perché capitavano tutte a lui?? Ok, pensò, qualcosa si sarebbe inventato. Con fatica indossò un paio di calzini neri ed uscì dalla tenda, facendo il disinvolto.

Aveva fatto appena due passi quando un tornado biondo si abbatté su di lui, costringendolo a rientrare. Non poté dire nulla, perché una mano si era stretta attorno al suo polso e lo stava usando per tirare indietro tutto il suo corpo e lui era troppo impegnato a mordersi le labbra per non gridare dal dolore. Arthur, nel frattempo, del tutto ignaro delle pene dell’amico, lo spinse a sedere sulla sedia pieghevole e gli si piazzò davanti, con un’espressione tronfia sul viso.

A Merlin occorse qualche secondo per riprendere il controllo di sé e, massaggiandosi la parte lesa che pulsava da morire, guardò interrogativo il suo amico, che non accennava a spiegare il motivo di tutta quella furia. Ci pensò Arthur a spezzare il silenzio.

«Ah, dopo oggi, non potrai assolutamente dire di non essere una principessa: guarda un po’ qui cosa ho trovato!» disse, ghignando, sventolandogli una scarpa sotto il naso.

«Ehi, ma quella è mia! Si può sapere dove l’hai trovata? Io la stavo cercando!»

«Stavo per inciamparci. Così l’ho presa e ho subito pensato che dovesse essere tua: hai un piedino così piccolo!» Arthur ormai sghignazzava apertamente: adorava prenderlo in giro.

«Ma se porto un 40!» si difese Merlin, arrossendo per la battuta.

«Guarda che tra noi uomini tu hai il piede più piccolo, Merlin! Io porto un 44, e Percy un 50!»

«Sì, ma non puoi paragonarmi a Percy, lui è un gigante, mentre io sono magro di costituzione!» s’infervorò Merlin. «Non come un asino qui davanti a me…»

«Stai dicendo che sono grasso?»

«Non mi permetterei mai!»

«Mpf. Sarà meglio per te. Dai, allacciati le scarpe, e muoviti, che ci stanno aspettando.»

Merlin rimase spiazzato. Non avrebbe potuto allacciarsi le scarpe con il polso in quelle condizioni. Però non voleva neppure mostrarsi debole… Decise di provarci comunque. Stando attento a non sforzare il polso malandato, usò l’altro per reggere la scarpa mentre vi infilava il piede, ma non riuscì nell’impresa, non sapendo come fare per tenerla ferma con una mano sola. Continuò a provare per un po’, quando Arthur lo fece fermare, prendendogli il braccio e alzando la manica della maglia, per vedere la fasciatura, resa inutile dall’ormai evidente gonfiore del polso.

Merlin abbassò il capo, mortificato, già immaginandosi una sfuriata. Invece Arthur si inginocchiò davanti a lui, cercando il suo sguardo. «Te lo sei slogato quando siamo caduti, vero?»

«Io… Non volevo pesarti addosso, potevi farti male, già sei caduto di schiena…»

«Merlin, la devi smettere di preoccuparti per m- per gli altri, non pensando mai alle conseguenze per te stesso.» Con le sue conoscenze base di primo soccorso, sapeva che il polso dell’amico necessitava di impacchi freddi, quindi gli intimò di non muoversi, mentre lui si recava nella sua tenda a prendere il necessario. Corse come un matto e ci impiegò meno di un minuto per fare il tutto, tempo che Merlin impegnò nello stare immobile dove l’aveva lasciato l’amico, ricordandosi giusto ogni tanto di respirare. Arthur ritornò col fiatone e due buste di ghiaccio secco che posizionò immediatamente sul polso dell’amico, ordinandogli di reggerle con l’altra mano.

Poi, per stemperare la tensione, si inginocchiò di nuovo davanti a lui e gli infilò entrambe le scarpe, legandogli i lacci e non potendo trattenersi dal commentare: «Toh, calzano a pennello!».

«Sei veramente un asino» borbottò Merlin, dandogli uno scappellotto sulla testa. Poi, accorgendosi di avergli scompigliato i capelli, sorrise e allungò una mano per riordinarli.

A quel tocco gentile Arthur alzò la testa, sorridendogli, e di nuovo si perse a guardarlo negli occhi. Dio, la voglia che aveva di baciarlo… E lui non doveva avere certi pensieri proprio di fronte a Merlin. Abbassò lo sguardo, arrossendo, per non rimanere incantato dalle iridi dell’amico, e puntò lo sguardo dritto davanti a sé. Si rese subito conto di aver commesso un grave errore. Proprio all’altezza del suo viso vi era il cavallo dei pantaloni di Merlin, e solo allora lo colse la sconvenienza della situazione: inginocchiato davanti a lui, tra le gambe aperte di Merlin, con una sua mano fra i capelli.

Sentì i pantaloni farsi sempre più stretti. La parte razionale del suo cervello gli stava urlando di spostarsi, lo sapeva, ma tutto il resto del suo corpo aveva deciso di stare troppo bene in quella posizione per muoversi. In effetti, assomigliava ad alcuni suoi sogni, sebbene ci fossero troppi vestiti in mezzo a separarli… Un brivido gli scese lungo la schiena per terminare all’inguine.

All’improvviso, non percepì più la mano di Merlin fra i capelli e, quando alzò lo sguardo, vide che l’altro si era irrigidito, e fissava il soffitto.

Con una voce innaturalmente calma Merlin gli chiese: «Ti faccio davvero così schifo, Arthur?»

«Che dici Merlin? Sei il mio migliore amico, ci conosciamo da anni!»

«E allora perché mi stai sempre lontano? Perché prima sembra che vada tutto alla normalità poi prendi e scappi? Perché non mi guardi più negli occhi, da quando ti ho detto di essere gay? Non è una malattia, non sono contagioso, Arthur!» Adesso il tono era diventato quasi disperato, sebbene il viso fosse rimasto immobile, gelido.

Arthur era rimasto spiazzato. Certo, Gwaine gliel’aveva detto, ma non pensava che Merlin pensasse sul serio che lui pensasse quelle cose dell’amico.
Immediatamente si trovò davanti ad un bivio: rivelargli quello che provava, e spiegargli le sue motivazioni, o confermare le paure di Merlin proteggendo il suo segreto. Se la prima soluzione era rischiosa, perché avrebbe rischiato di perdere Merlin, se lo avesse rifiutato, la seconda era distruttiva, perché lo avrebbe perso definitivamente.

Non poteva perderlo. Non riusciva ad immaginarsi senza Merlin.

Poi si ricordò di una cosa che gli aveva detto Gwaine qualche ora prima (oddio, sembravano secoli!), cioè che Merlin era troppo buono per prenderlo in giro o lasciarlo da solo comunque e, perciò, decise di buttarsi.

«Hai ragione. - disse con un sospiro – ho cercato di evitarti per tutto questo tempo. È vero. Ma non è affatto per i motivi che pensi tu. Non mi fai schifo,
Merlin. Non potresti mai farmi schifo. È proprio questo il problema. I-io mi sono accorto che… Sì, insomma… che non posso fare a meno di te. Che… Io… Io… Potrei, ehm, ecco… Io…»

Merlin era in stato di shock. Arthur stava davvero cercando di dirgli quello che lui pensava stesse cercando di dirgli? Doveva star sognando. Strinse forte il polso, ricevendo in cambio una scarica di dolore che gli fece capire che sì, dannazione, era sveglio.

«Ecco, io…- ciarlava intanto Arthur, trovandosi nella più assoluta capacità di terminare la frase, nonostante constasse di esattamente cinque lettere. Merlin, intenerito e trepidante al tempo stesso, non gli lasciò finire la frase. Gli prese il mento costringendolo a voltare il capo verso di lui. Di nuovo si capirono senza parlare. Il “ti amo” e l’ “anche io” risuonarono forte nelle loro teste, mentre le bocche si trovavano e i fiati si univano.

Non fu come il loro primo bacio, naturalmente. Non poteva esserlo. Ma fu dolce, passionale, intimo. Rimasero a guardarsi negli occhi tutto il tempo, quasi temendo che, se li avessero chiusi, si sarebbero accorti di star sognando.
  
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