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Autore: BlackEyedSheeps    22/09/2013    3 recensioni
Clint Barton e Natasha Romanoff hanno appena portato a termine la loro prima missione insieme. Una raccolta di one-shot, legate l'una all'altra da un sottile filo conduttore, vedrà mutare e crescere il loro rapporto attraverso nove città e due punti di vista, fino agli eventi di The Avengers. [Clint/Natasha]
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compromised'
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CAPITOLO 3

Dublino

 

Ce li hai ventun anni?”

 

L’alito di quell’uomo era mefitico quanto il puzzo del club privato. C’era da chiedersi quanti ispettori sanitari avessero corrotto per riuscire a tenerlo aperto fino a quel giorno.

Clint si limitò a rispondere con una scrollata di spalle. Fingere di essere un silenzioso professionista della sicurezza, era una delle coperture che meno gli si addiceva.

“E allora bevi, amico mio, bevi!” il grassone (conosciuto come Big Paul) gli piazzò una manata sulla schiena, proprio al centro delle scapole, che quasi lo fece andare a sbattere contro il tavolo. Essì che Clint non si era mai considerato fragile.

“Non bevo mai quando sto lavorando”, si limitò a rispondere asciutto, il cipiglio ostile. Gli bastò ricordare come lo guardava Natasha, di tanto in tanto, per riuscire a comportarsi di conseguenza.

Solo ieri discutevano su come dividersi i compiti e la sera successiva si trovava a prendere accordi con uno dei contatti di una delle organizzazioni criminali del luogo.

Doveva solo farlo cantare. Un paio di nomi erano tutto quello che gli serviva.

Contrabbando, droga, prostituzione, l’organizzazione di cui Big Paul faceva da tramite aveva un gran bel curriculum sul groppone. A quanto pareva, adesso sembrava aver garantito protezione a un soggetto decisamente fuori dalla loro portata. Qualcuno che persino lo SHIELD stava cercando. Uno scambio di favori che però collimava con interessi di sicurezza nazionale.

Clint sapeva che la missione aveva a che fare con qualcuno di quei folli che se ne andavano in giro in costume, uomini che la gente amava chiamare supereroi.

Qualcuno come quello Stark, che dominava la città di New York dalla sua torre, che aveva fatto furore con le sue dichiarazioni solo qualche mese prima, o come quel tizio che aveva riacceso l'orgoglio nazionale durante la seconda guerra mondiale e di cui Coulson era un fan sfegatato.

“Ma non stai lavorando adesso”, la voce dello sgradevole individuo a distrarlo dalle sue elucubrazioni “è una chiacchierata, amico mio, un’amichevole chiacchierata.” La risata grassa, catarrosa, filtrata dall’odore del suo alito dall’alto tasso etilico gli procurò un moto di nausea, riportando alla memoria spiacevoli ricordi.

Non poteva almeno smetterla di chiamarlo amico?

“Io sto sempre… lavorando”, dichiarò intransigente. Da dove gli fosse uscita non ne era certo, ma si complimentò con se stesso e le sue serate solitarie a guardare filmetti da quattro soldi con Bruce Willis o qualsiasi altro mascellone Hollywoodiano.

L’omone lo guardò perplesso per un istante e poi giù di nuovo a sperperar risate non richieste.

Era l’alcool a renderlo così allegro o era stupido di natura? Propendeva per una soluzione di mezzo.

“Vorrà dire che berrò per tutti e due, allora.”

Lo vide far cenno alla cameriera che, capendo al volo, portò due grossi boccali, traboccanti di birra.

Clint represse un moto di fastidio.

“Torniamo a noi, bel fusto”, lo apostrofò l’uomo, senza perder tempo a tracannare almeno un terzo del bicchiere, mentre la birra gli rotolava fra i peli della barba rosso acceso e poi giù dal mento adiposo, lasciando, tra i baffi, una bava di schiuma. “Parliamo di affari”.

Finalmente.

Clint non chiedeva altro che di arrivare al punto.

Avrebbe solo dovuto prendere accordi su una serata al club che avrebbe visto partecipi un presunto politico e il suo staff, accertarsi che fosse mantenuto il massimo riserbo e avere le dritte necessarie per garantire massima sicurezza al luogo, in quanto responsabile del gruppo di bodyguards che li avrebbero accompagnati.

Con la scusa di prendere visione del locale, avrebbe agganciato una conversazione, attirato l'uomo nella trappola e ottenuto le sue informazioni, con le buone o con le cattive.

Natasha lo aspettava fuori.

Tutto quello che doveva fare era risultare credibile; non gli era sembrato un compito troppo difficile, all’inizio.

Non prima di aver capito con che razza di individuo avrebbe dovuto avere a che fare. Non prima di rendersi conto che quel locale gli ricordava qualcosa di già visto e vissuto. Di riportare alla mente incubi ricorrenti, amplificati dalla musica ritmata a tutto spiano, che rimbalzava fra quelle pareti di un rosso cupo.

La birra di fronte al suo bicchiere oscillava ad ogni sussulto dell'uomo, la schiuma si scioglieva lentamente nel boccale, lasciava gocce di condensa sulla superficie trasparente. L’insieme gli procurò, inizialmente, un vago malessere.

Cominciò ad avere difficoltà a focalizzare.

La conversazione, già ampiamente avviata e arrivata a un punto di svolta, si fece confusa, un sottile strato di sudore gli velava la fronte; il sentore di una tachicardia incipiente, il respiro affettato, la salivazione azzerata. Improvvisamente gli fu chiaro quello che stava accadendo, e per la prima volta, dopo anni, ebbe paura.

Socchiuse gli occhi, inspirò a fondo, il caldo soffocante del locale non lo stava aiutando per niente, l'adrenalina non faceva che triplicare le sensazioni, opprimendolo.

“Ehi, amico ti senti bene?”

L'uomo lo aveva avvicinato quel tanto che bastava per fargli avvertire di nuovo quell'odore nauseabondo di carne rancida e alcool.

L'effetto fu devastante. Si alzò in piedi come colpito da una scossa.

Vide lo stupore di Big Paul tramutarsi in sospetto, un paio di buttafuori avanzare cauti verso il loro tavolo.

“Perdonami, amico, credo che quel maledetto sushi del locale qui all’angolo, stia facendo effetto” smozzicò Clint. Non gli ci vollero grandi doti interpretative per recitare la parte di chi è affetto da dolori lancinanti. Stava male davvero. “Il diavolo mi prenda se mangerò più qualcosa da quei musi gialli.” E nel dichiarare ciò si portò saldamente le mani al ventre, come scosso da contrazioni intestinali.

Big Paul gli scoccò un’ultima occhiata sospetta, ma aveva già alzato la mano per sedare gli animi dei gorilla in allerta: il pericolo sembrava scampato. Per il momento.

“I bagni sono in fondo a destra”, lo sentì dire, mentre si passava le mani grassocce sui pantaloni eleganti di un completo di dubbio gusto.

Clint annuì come a prenderne atto (I bagni sono sempre in fondo a destra) e si trascinò rapidamente lungo il corridoio, fuori dalla portata del suo uomo. E dai buttafuori che, era certo, lo avrebbero seguito di lì a poco.

Individuò i bagni degli uomini, spinse la porta con forza, trovandosi solo, in un locale che odorava di piscio e detersivo. Un aroma che di certo non faceva alcun favore al suo disturbo.

Individuò la finestra che dava sul retro del locale (un po’ stretta ma avrebbe potuto passarci agilmente, trattenendo il fiato) e dopo qualche istante era di nuovo fuori, a respirare.

 

Natasha comparve come un'ombra fra la seconda e la terza boccata d'aria fresca.

“Che è successo?” la sentì domandare, una malcelata preoccupazione nella voce.

Si rimise in sesto il più rapidamente che poté.

“Ho dei nomi, p-possiamo andare.”

La donna non fece altre domande. Clint non seppe dire in che modo aveva accolto l'episodio ma cercò di dare priorità alla missione. Prima avrebbero concluso quella faccenda, più tardi il ciccione sospettoso avrebbe potuto dare l'allarme. Sperò solo che l'uomo fosse convinto di aver avuto a che fare con un ispettore sanitario sotto copertura.

 

***

 

Big Paul si era rivelato per l'imbecille che era, non sembrava aver capito un bel niente, e probabilmente si sarebbe limitato a tenere un basso profilo per i giorni a venire.

Clint aveva lasciato a Natasha il compito di svolgere le ultime ricerche e contattare lo SHIELD per dare le comunicazioni riguardo le ultime svolte della loro missione.

Aveva preso un'aspirina e si era chiuso in un innaturale, ostinato silenzio. Raggiunto il tetto dell'edificio che li avrebbe ospitati per le prossime ore, osservava la città di Dublino, godendosi il vento freddo di ottobre.

Cercava di schiarirsi le idee ma, per quanto ci provasse, i suoi pensieri continuavano a tornare lì dove non avrebbe dovuto, a racimolare informazioni sulle cause di quello che era appena successo. A non trovarne il senso, dopo tutti quegli anni.

“Dicevi davvero dei tetti.”

Natasha, silenziosa e inattesa come al solito. Lui si limitò a scoccarle un'occhiata da sopra le spalle.

“Potresti almeno fare un po' di rumore per annunciarti”, fu la stanca risposta.

La donna esitò solo un istante, forse sorpresa dalla totale mancanza di ironia nel suo tono. Decisamente qualcosa a cui non era abituata.

Non si lasciò intimorire però, e Clint lo capì, per questo lasciò che fosse di nuovo lei a parlare.

“Devi dirmi che cosa è andato storto stasera.”

Lui aggrottò la fronte.

“Non mi pare che niente sia andato storto. Abbiamo i nomi. Fat Pauly ha creduto fossi solo un tizio che voleva fargli chiudere il locale.”

“Non era questo che dovevi fargli credere.”

“Dobbiamo proprio stare a sindacare sui miei metodi?” la protesta era arrivata più aggressiva di quanto si aspettasse.

Natasha non si mosse, continuava a fissarlo.

Si sentì addosso il suo giudizio o la silente aspettativa di chi continua ad attendere risposte.

Socchiuse gli occhi, un po' per placare il nervosismo, un po' per valutare se fosse il caso di darle corda, il respiro che si condensava di fronte alle sue labbra.

“Credo di aver avuto un attacco di panico”, lo aveva pronunciato con rapidità e noncuranza, come se fosse una cosa di poco conto.

Natasha ora gli sedeva di fianco.

“Scatenato da cosa?”

“Non lo so...”

“Lo sai.”

Clint si volse indispettito, scontrandosi con l'implacabilità della donna.

La scrutò per un solo istante, sicuro di poterla affrontare con la stessa determinazione. Sostenne il suo sguardo per quella che gli parve un'eternità... ma no, lui non era quel tipo di persona e il senso di colpa per come stava affrontando la conversazione si fece rapidamente sentire. Si vide costretto a scappare in ritirata, abbassare gli occhi, mostrare il suo lato più remissivo.

“Non funziona se non mi dici che succede”, riprese lei.

“E' una cosa che riguarda solo me”, ribatté, lasciando trapelare solo un'accennata protesta.

“Non se mette in pericolo entrambi.”

Rialzò gli occhi per scrutarla. Sapeva che aveva ragione, ma non era sicuro che il loro rapporto lavorativo avesse bisogno di quel tipo di svolta.

Quelle confessioni che arrivano a ciel sereno e sconvolgono l'armonia professionale.

Però continuava ad avere ragione. Se solo Big Paul si fosse scoperto più furbo, probabilmente non si sarebbero ritrovati sul tetto di quel palazzo, in quel momento, ma in fuga dall'ira di un'organizzazione criminale di tutto rispetto.

Inspirò a fondo, trovando rinfrancante l'aria gelida. Schiariva le idee, ritemprava.

Il resto venne da sé.

“Quando ti dicevo che ero parecchio incasinato, prima di essere reclutato dallo SHIELD, non scherzavo.”

Si fermò solo un istante per raccogliere le idee.

Natasha restava in silenzio a scrutarlo, forse, per una volta tanto, incuriosita.

“Ero appena stato congedato dall'esercito, di ritorno dall'Iraq, troppo giovane per affrontarne da solo le conseguenze, troppo stanco anche solo per sfiorare l'idea di cercare una nuova occupazione.”

Sbuffò una risata tutt'altro che divertita.

“Una persona assennata avrebbe affrontato la cosa accettando di avere un problema. Chiedendo aiuto. Un ragazzo stupido cerca solo di dimenticarlo e reprimerlo con qualcos'altro.”

Lo sguardo vagava adesso sui tetti delle case e dei palazzi, oltre le luci che si specchiavano nel Liffey, infrangendo l'armonia delle sue acque scure, oleose.

“L'alcool è un potente lenitivo. Annebbia la mente, rallenta i sensi. Sembrava una grande idea, all'inizio. Non c'era sera che non mi sfondassi lo stomaco con quella robaccia. Il giorno mi trascinavo abbastanza nauseato dall'universo per restare chiuso in casa a dormire, guardare la tv e deprimermi sull'inutilità della mia esistenza.”

Non era sicuro di volerla guardare adesso. Aveva paura di trovare del giudizio, nel suo sguardo. O peggio, divertita compassione. Natasha doveva aver attraversato sentieri ben più tortuosi dei suoi, ben poca cosa la sua fragilità giovanile, a confronto.

Non si fermò.

“Non sono mai arrivato ad essere un vero e proprio alcolizzato, troppo breve la mia dipendenza, poco sottile e continuativa. Ne sono uscito perché qualcuno ha avvertito il mio muto grido d'aiuto”, chiarì. “Ma ci sono incubi che ti si agganciano addosso e non se ne vanno. Momenti in cui tornano a farti visita, quando meno te lo aspetti... scatenano reazioni che non potevi prevedere.” Sorrise. “Il cervello umano è misterioso. Non mi capitava da anni.”

“E perché credi sia successo proprio stasera?”

La voce di Natasha lo costrinse a guardarla. Si stupì nel non trovare nessun accenno di turbamento nella sua espressione.

Scosse la testa.

“L'atmosfera del locale, la puzza di alcool, la musica... vallo a sapere. Ho passato troppo tempo in bettole come quelle per averne buoni ricordi.”

Non era sicuro di sapere perché, ma si sentì liberato da un peso, che tempo prima aveva imparato a gestire solo con l'aiuto dell'unica persona che era riuscita a vedere il peggio di lui. L'unica persona ad avergli sventolato in faccia il problema, ad averlo costretto ad affrontare la realtà. Uno sconosciuto che si era preso a cuore la sua causa, restituendogli la dignità.

“E la mancanza di sonno?” Clint la guardò perplesso. “La mancanza di sonno può provocare disturbi di percezione e allucinazioni. Sono tre giorni che praticamente non dormi.”

Natasha parlava come qualcuno che conosceva alla perfezione l'argomento.

“Forse...” ora si sentiva stupido. Le aveva fatto quella confessione, toppando clamorosamente la diagnosi dei suoi cinque minuti di paura?

Lei però continuava a esaminarlo con quel modo tutto suo di dimostrarsi interessata. I grandi occhi verdi a scrutarlo, come se gli potesse guardare attraverso, attenta a seguire ogni dettaglio, pronta a carpirgli ogni più intimo segreto.

“E' stato Coulson, vero?” la domanda arrivò inaspettata.

“A... fare cosa?” le domandò, cercando di capire dove volesse andare a parare.

“A darti una mano. A riportarti sulla retta via. Ad indirizzarti allo SHIELD.”

Clint continuava a non capire il senso della domanda ma annuì.

E lo stesso fece lei, come a prenderne atto.

Improvvisamente gli fu chiaro che Natasha si era scoperta solo curiosa. Curiosa di conoscerlo? Conoscere i suoi trascorsi. Da che ricordava, non avevano mai affrontato argomenti troppo intimi. La loro conoscenza si misurava in episodi, piccoli dettagli, niente di troppo specifico.

La porzione d'esistenza che Clint le aveva appena mostrato, confessato, doveva aver scatenato la sua curiosità. Aperto un mondo a cui forse credeva di non avere accesso.

Clint quasi sperò che continuasse a fargli domande.

Occhio di Falco te lo ha affibbiato lui?” Natasha non lo deluse.

Non riuscì a impedirsi di sorridere. Non si era affatto sbagliato.

“No, quello l'ho ereditato al circo dove lavoravo.”

L'espressione di Natasha, per qualche frazione di secondo, fu impagabile.

“Il Carson Carnival of Traveling Wonders”, citò, “cerca informazioni. Sono sicuro esistano ancora articoli di giornali da qualche parte.”

La sua penetrante curiosità adesso si era trasformata in dissimulata meraviglia. Natasha gli ricordò una ragazzina a cui veniva raccontata una storia della quale non vedeva l'ora di ascoltare la fine.

La Vedova Nera non doveva aver mai avuto la sua favola della buona notte. E probabilmente nessuno che decidesse spontaneamente di raccontarle qualcosa di sé, senza dover essere circuito da un bel paio di labbra e la promesse di dolci oblii.

Si scoprì intenzionato a non deluderla, né perdersi il momento.

Prese un profondo respiro e in quella fresca notte di ottobre cominciò a raccontare.

L'avventura di due fratelli, dello spadaccino che li aveva raccolti dalla strada, del malvagio Trick Shot e di quel ragazzino che imparava a diventare un uomo, catturando foglie al volo, con la frustata di una freccia argentata.

 

Sentire su di sé la profondità di quegli occhi non era mai stato tanto confortante.

 

 
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N.d.A.: grazie ancora a chi continua a leggerci & recensirci! Al prossimo capitolo :)
  
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