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Autore: Yuchimiki    22/09/2013    2 recensioni
"E quando intendi fare tutto ciò?" Lo guardò incerta, con lo sguardo di chi non capisce.
"Come quando?" Arruffò le ali.
"..."
"Il tempo non conta e il mio si è fermato da tanto. Anzi, non è mai partito." Si strappò una manciata di piume, osservando come ricrescevano, non provando alcun dolore. Ne aveva dimenticato il sapore.
"Il tempo non conta." Se non lo conoscesse, avrebbe giurato che si era offeso.
"Non per me."
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mephisto Pheles, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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MOCHI

Capitolo 1 – Di sigarette e fumatori incalliti





 

La solitudine per molti aspetti è come il buio. Nessuno ammette di averne paura, ma infondo al cuore tutti sappiamo che è dietro all’angolo, pronta a inghiottirci e non a lasciarci più andare.
Ciò che ci distingue è come la combattiamo.

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Alla fine era successo.  
Come i suoi predecessori, anche lui se ne era andato.

Erano passati mesi dall’ultima volta che aveva visto Shiro Fujimoto; ora, più che mai, si pentiva di tutto quel tempo trascorso a vuoto. Si pentiva di non averlo ringraziato l’ennesima volta di esserci stato quando nessun altro c’era. Quante cose avrebbe voluto dirgli, magari dimostrare una volta per tutte che ci teneva per davvero, ma non l’aveva fatto.

E cosa aveva concluso nel mentre? Risolto le solite fesserie?
Ora era morto. Troppo tardi per pentirsi… ma non per questo faceva meno male.

La concezione della sua morte giunse solo quando acquistò un pacchetto di quelle sigarette che tanto gli piacevano, in una tabaccheria sulla via del cimitero. Si rinforzò quando pagò un mazzo di gigli bianchi, che non avrebbe preso se la scelta non fosse stata così limitata; erano gli unici fiori bianchi disponibili. Ne prese venti.

Il cielo era coperto e pioveva a dirotto da prima che arrivasse in città, solo qualche ora prima. La notizia era giunta alle sue orecchie per via telefonica la notte prima, mediante un conoscente comune; aveva prenotato per il primo volo disponibile, pochi minuti dopo la rivelazione. Non pensava ad altro.

Quando giunse al cimitero, solo l’ombrello a evitare che s’inzuppasse, notò che c’era un piccolo gruppo di persone vestite di nero, preti per lo più. Alcuni piangevano, altri li consolavano.
Non aveva nessun desiderio di parlare con loro. Il contatto umano, in qualsiasi forma si presentasse, era l’ultima delle sue priorità. Cercò un’entrata laterale.

Non impiegò molto tempo a trovare la sua tomba.



 
Qui giace
Shiro Fujimoto

Caro amico e beneamato padre
Non sarà dimenticato


 

Sospirò.
Allora era vero, non che ne avesse dubitato. Aveva sempre preteso che informazioni del genere fossero attendibili. Su certe cose non si scherzava.

Posò il mazzo di fiori accanto a quelli che già c’erano.  Ripiegate le gambe, accese una sigaretta per sé e un’altra la adagiò sulla tomba dell’amico, coprendola con l’ombrello, affinché non si spegnesse.
Inspirò profondamente. Erano anni che non se ne concedeva una.

Possibile che fosse sempre la stessa storia? Che cosa avrebbe dovuto fare, negarsi il piacere della compagnia? La solitudine era oltremodo soffocante e la pazzia sempre all’erta, fin troppo vicina. L’ultima volta che una cosa del genere era accaduta, aveva quasi perso la ragione.

“E così è arrivata anche la tua ora, eh, vecchio caprone?” Non ricordava neanche l’ultima volta che avevano fumato assieme. Il tabacco era una bomba a orologeria dopotutto.
Shirou aveva smesso quando aveva portato a casa con sé due marmocchi, quindici anni prima. Aveva seguito il suo esempio pochi mesi dopo.

Gli anni erano volati via troppo velocemente.
A volte lo scorrere inesorabile del tempo provocava nella sua anima un terrore che, se paragonato a quello della paura della solitudine, era niente. Possibile che fosse così sfuggevole?

“Ti avevo giurato che qualsiasi cosa fosse successa, se avessi avuto bisogno di aiuto, di chiamarmi. Dannato cretino.” Finita la sigaretta, anche se solo a metà a causa dell’acquazzone, la butto via, rialzandosi da terra. In lontananza un tuono rimbombò. Il temporale non accennava a miglioramenti.
Aspettò che anche quella di Shiro finisse. Con lo sguardo seguì gli ultimi rivoli di fumo, chiudendo gli occhi e lasciando che la pioggia bagnasse il suo volto, portando via anche le ultime tracce del suo dolore.


“Quando morirò, fammi una promessa. Piangi per me.” Quasi sputò il suo thè. Ecco una cosa che non si aspettava. Ma da dove se ne usciva con quelle pretese assurde?
“Cosa sono queste richieste di punto in bianco, eh? Paura di morire da solo, vecchio caprone?” Lo prese in giro, non sapendo in che altro modo reagire.
“Oh, per l’amor di- la smetti con questa storia del caprone?! Sono anni che mi chiami così! E prendimi sul serio una volta tanto.” Sbuffò come un bambino, anche se il fumo che esalò dalla bocca lo fece sembrare tanto un draghetto irritato. Con un pizzetto. Un draghetto con un pizzetto, faceva pure rima!

“Io ti prendo sempre sul serio, draghetto col pizzetto.” Bevve un altro sorso di thè, mentre Shiro s’irritò ancor di più.
“E questo nomignolo da dove è uscito?”
“Dallo stesso luogo da cui sei uscito tu.” Quello l’avrebbe fatto imbestialire.
“Ma cosa- ma come ti permetti! Vieni qua che ti distruggo!”



“Io mantengo sempre le mie promesse, draghetto.” Posò il pacchetto di sigarette sulla tomba, sorridendo amaramente. Prendersi in giro era stato sempre un passatempo come un altro per loro, anche darsele di santa ragione aveva fatto bene al loro rapporto di tanto in tanto.
Ora non aveva nessun altro.
Di nuovo.

“Mi ricorderò di te, lo prometto. Ricordo tutti quelli che se ne vanno.”

Lasciò l’ombrello lì dov’era, senza preoccuparsi della fine che avrebbe fatto; era l’ultimo dei suoi problemi.
Intraprese la stessa stradina di prima, che portava al cancello laterale, volgendo le spalle alla tomba del suo amico.
La ferita riaperta si stava già cicatrizzando, ma solo il tempo avrebbe alleviato il dolore. Peccato che la ferita peggiorasse di volta in volta. Il prossimo fendente sarebbe stato quello finale? Quanto doveva aspettare ancora?

Chi sarebbe stata la prossima vittima della sua solitudine?

“E tu chi diavolo sei?”
Si voltò di scatto, trovandosi davanti a un ragazzo con gli occhi dell’azzurro più intenso che avesse mai visto. Notò subito i suoi canini ,troppo appuntiti per poter essere quelli di un umano, come anche le orecchie. E quel volto, dove l’aveva già visto? Era così famigliare…
Uscendo dalla trance, si rese conto che aveva in mano una spada, puntata nella sua direzione, benché ancora nel fodero.
Demone, arrogante, moccioso, umm… sarà uno dei figli di Shiro? Aspetta… ecco a chi somiglia!
Ma non erano adottati? 


“Potrei farti la stessa domanda, marmocchio impertinente. Dov’è andato a finire il rispetto dei giovani oggigiorno?” Si passò una mano tra i capelli con finta nonchalance, per togliersi quelle ciocche che si erano appiccicate alla sua fronte, senza mai distogliere lo sguardo dal ragazzo. Almeno aveva abbastanza fegato per andare contro qualcuno più grande e alto di lui. O forse era semplice stoltezza?
Avrebbe riso, se solo avesse abbassato l’arma.

“Scommetto che sei uno di quei demoni di ieri! Sei venuto a finire il lavoro?!” Gli urlò contro il ragazzo, non fidandosi. Però dietro alla rabbia che permeava la sua voce c’era dolore e rimorso, lo stesso che aveva sentito dentro sé da sempre. Come si faceva a rimanere arrabbiati in una situazione del genere? Cosa si dice a una persona che ha appena perso il suo caro?
Che cosa aveva sempre voluto che dicessero?

Il suo silenzio sembrò irritarlo.
“Moccioso, io-” Non ebbe neanche l’occasione di spiegarsi.
“Voi demoni sapete solo mentire!” Di colpo dovette parare un fendente di spada, alzando l’avambraccio. Avrebbe tanto voluto dargli un pugno sul naso, per mostrargli le stelle e per vedere di che colore era il suo sangue, ma si accontentò di fargli lo sgambetto e di farlo cadere a terra. Poi brandì la sua spada, puntandogliela contro la testa.
Poteva anche provare pena per lui, ma l’occhiataccia non gliela risparmiò.

“Su, Rin, ti sembra questo il modo di trattare un amico di tuo padre?” Quella era una voce che non si aspettava di risentire. Riportò alla luce solo rimorsi, riaprendo la ferita.
A pochi passi da loro, sotto un ombrellino osceno, che ricordava tanto quello di Hagrid, si riparava un uomo dall’aspetto eccentrico. In faccia aveva quel sorrisetto insopportabile dell’ultima volta.
Chi si vestiva in un modo simile a un funerale? Shiro aveva ragione quando parlava di stramberie da evitare, ma quel giorno il soggetto in questione aveva un aspetto stranamente più serio, se confrontato a quello rilassato del loro primo incontro.

“Che-” Il mezzo demone sobbalzò, non aspettandosi che qualcuno gli arrivasse alle spalle, per poi girarsi di nuovo nella direzione di Agi, gli occhi sgranati. “Vi conoscete?” Oh, che voce incredula, musica per le sue orecchie.
Ma stentava a credere sua volta di conoscere Johann Faust. Ne aveva viste di persone strane nel corso della vita, ma lui batteva tutti.
“Faust, è un piacere rivederla. A cosa devo l’onore?” Se solo si fosse fatto vivo un po’ prima, forse il moccioso avrebbe mostrato più discrezione, magari rispetto nei suoi confronti. Tuttavia non poteva lamentarsi, alla fine la scocciatura gliel’aveva rimossa.

“Signor Ruze, perdoni i modi barbari di Rin, è solo provato dalla perdita di suo padre. Come noi tutti.” Avvicinandosi al giovane, Mephisto lo invitò a rialzarsi in piedi, mentre la spada puntava ancora al suo naso; la maschera impassiva che Agi aveva assunto alla vista del terzo, tutt’altro che incomodo in quella circostanza, non mutò di una virgola. Nonostante le precedenti osservazioni, solo quel sorrisetto menefreghista sul suo volto provocò ad Agi qualche problema a credere al suo dispiacere.

La pioggia continuava a scendere silenziosa mentre i due si osservavano, il figlio di Shiro dimenticato.
Giunse a una conclusione. Perché portare il cilindro essendo già uno spilungone di proprio? Certo, Agi non aveva nulla da invidiare, benché gli arrivasse solo al mento, ma ai suoi occhi la cosa risultò lievemente strana.

Rin, sentendosi il terzo incomodo in quella situazione, non seppe come reagire, finché Agi non gli lanciò contro la spada. “Prenditene maggiore cura e impara a usarla prima di puntarla contro qualcuno, o finirai col farti male con le tue mani.” Sembrò un pesce fuor d’acqua, annuendo a mo’ di sì. Quel gesto era così simile ai modi di fare di Shiro in quelle occasioni (non che lo avrebbe mai confessato) che quasi rise. Quasi.
Riassunse un’aria seria.

“Mi dispiace per tuo padre. Se mai ti servisse qualcosa, fammi uno squillo. Vedrò cosa posso fare.” Il modo in cui arrossì quando Agi gli scompigliò i capelli riportò sul suo viso quel sorriso che tanto aveva cercato di nascondere. Dopotutto c’era ancora del buono su quel pianeta, qualcosa per cui valeva la pena lottare. E non era il tipo da sorridere molto.

“Faust, dubito ne necessiti, ma la proposta è valida anche per lei. Ora, se non vi dispiace, me ne torno da dove sono venuto.” Gli affari non aspettavano nessuno, soprattutto quelli che Agi risolveva quotidianamente da ormai una vita. In particolar modo quando provocavano emicranie degne di tale nome.

“Non mi lascia neanche un numero?” Ai matrimoni si piange, ai funerali si ride, e Faust, con quell’onnipresente sorriso, doveva saperlo di certo.
“Non le ha mai detto nessuno che, chi cerca, trova?” Con un cenno li salutò e andò via.



“Okumura, perché non torni dentro? Ti raggiungo subito.” Rin non se lo fece ripetere due volte, incamminandosi velocemente al riparo dalla pioggia e brontolando su quanta gente strana aveva conosciuto ultimamente.
Lui restò lì a guardare la figura del cuoco che si allontanava.

Quel Ruze aveva qualcosa di strano. In genere, incontrando nuovi umani, risultavano tutti un libro aperto ai suoi occhi, nient’altro che delle pedine nel gioco che conduceva da secoli. Ma Ruze no. Quel giovane aveva lo sguardo di qualcuno che era stato all’inferno e ne era uscito e che la perdita dell’amico non fosse altro che un nuovo foro sulla sua cinta.
Non aveva visto altro, neanche la volta prima, se non l’affetto per il deceduto paladino.
I suoi occhi erano fredde pietre. Erano occhi di chi non si faceva scrupoli.
Umani di quel genere erano una rarità.

Ponderando su queste cose, fu un caso che notasse l’ombrello adagiato sulla tomba. Mephisto non era un tipo da colori cupi, preferiva dare vivacità a ciò che lo circondava, ma il bianco candore dei gigli attirò la sua attenzione. Solo allora vide il pacchetto di sigarette posate accanto a un mozzicone ormai spento; ne vide un altro ai piedi della tomba.

Erano quindici anni che il paladino non toccava una sigaretta. Lo sapeva meglio di chiunque altro, era presente nel momento della fatidica decisione.

Si voltò, cercando qualche segno dell’indugio di Agi Ruze, ma non ne era rimasto alcuno, portato via dalla pioggia.
Sorrise.

Come faceva a saperlo?



Non le ha mai detto nessuno che, chi cerca, trova?



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C’è chi la ignora, la solitudine, ritenendola inutile.
C’è chi si arrabbia, non capendo perché sia proprio lui o lei a doverne cadere vittima.
C’è chi, non sapendo come reagire, semplicemente si pone altre domande, distogliendo inconsciamente la propria attenzione. 









Salve! 
Come da promesso, torno con il secondo capitolo circa una settimana dopo, strano eh? Di solito sono una persona puntuale, ma nello scrivere non tanto.
Passando ad altro... si, lo so, qui Agi è deprimente. Se proprio devo dirlo, Agi è la personificazione di deprimente in certe situazioni, ma di solito ha solo una faccia di bronzo impressionante. Faccio fatica a mantenere una personalità simile, ma ne vale la pena a mio avviso. 

Sono rimasta molto sorpresa e gratificata dal fatto che due persone abbiano aggiunto la storia alle seguite (Black Air e Lulosky), due tra le preferite - Gasp! (Angel of hope e Zefiria BlackIce) e due abbiano commentato (Lulosky e XAniueX-lol). Davvero, mi avete riempito il cuore di felicità! Spero che sarete soddisfatte da come andrà avanti il tutto.

Angolo curiosità:
- Vivo con dei fumatori, quindi so per esperienza che smettere di fumare è difficile e che ricaderci è facile. Agi in particolare non deve vedere nè sentir parlare di tabacco altrimenti non riesce a resistere.
- Da dove vengo io, portare sulla tomba di un caro qualcosa che lo ricordi (giocattoli, cibi o sigarette in questo caso), insieme a un numero pari di fiori (dispari per i vivi) è comune. Per questo sono venti gigli bianchi.
- Le persone con gli occhi grigi si ritengono estremamente movimentate. Di solito non mi affido a cose simili, ma Agi sembra la personificazione di quest'affermazione.

Ringrazio ancora quelli che mi concedono qualche minuto del loro tempo.

Alla prossima!
  
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