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Autore: Evelyn Doyle    22/09/2013    2 recensioni
Evelyn McKee.
Un semplice nome, non ci sono dubbi.
Ma la persona che lo porta, non è altrettanto semplice.
Lei ha quindici anni.
Ma non quindici anni, come immaginate voi, tra la scuola e gli amici.
Bensì quindici anni di studi in casa, tra la trigonometria e la letteratura inglese, tra il pianoforte e la geografia.
Senza affetto, per via del lavoro dei suoi genitori, spesso e volentieri non in casa.
Senza amici, grazie anche al suo carattere piuttosto superbo, saccente ed irrimediabilmente sarcastico.
Esattamente paragonabile alla soda caustica.
Un fato piuttosto avverso segnerà una nuova partenza dei suoi facoltosi genitori e la costringerà a trasferirsi per parecchi mesi in un bell’appartamento di lusso della city londinese e, di conseguenza, condividere il proprio spazio vitale con un certo Alexander Harrison, diciotto anni, figlio di carissimi amici di famiglia.
Ma Alexander Harrison, non solo è un viziato sicuro di sé e un bastardo all’ennesima potenza, ma ha anche “abitudini notturne” che la piccola McKee non gradisce granché, soprattutto per via della vicinanza delle loro stanze.
- Le Cose Che Non Sapete -
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Prologue.
 

"Se il destino di un uomo è annegare, annegherà anche in un bicchier d'acqua."
[Proverbio Yiddish
]




Esiste davvero il karma, il destino?
Perché ci rende spesse volte la vita impossibile?
Cosa abbiamo fatto di male per meritarlo?
Questo è ciò che spesso noi pensiamo e che, esattamente, pensava Evelyn McKee in quel preciso istante davanti a quella porta di quell’appartamento in quel palazzo di quella grande città, precisamente Londra.
Procediamo, però, per ordine: chi è Evelyn McKee?
Ottima domanda, cari lettori.
Evelyn McKee, o più comunemente detta Evie dall’unico amico di cui parleremo in seguito che ha per qualche strano miracolo della vita, è una normale quindicenne.
No, ma che dico? Lei è tutto meno che “una normale quindicenne”.
Perché?
Anche questa è un’ottima domanda, miei cari.
Evelyn McKee ha infatti dimostrato sin dai primi anni di vita un’intelligenza assai precoce: ha imparato da autodidatta a leggere, scrivere, contare all’età di due anni e mezzo.
A tre anni ha imparato a fare i calcoli matematici basici.
Sempre da autodidatta.
Così i premurosi e milionari signori McKee hanno iniziato a far studiare la piccola da privatista, chiusa in casa il più delle volte, tra la trigonometria e la letteratura inglese, tra il pianoforte e la geografia.
Questo è infatti uno dei tanti motivi per cui Evelyn non ha mai avuto amici né affetto, infatti anche i suoi genitori non hanno contribuito a darle l'amore, l'affetto che di solito si da’ ai propri figli, per via soprattutto dei rispettivi lavori che li costringevano a partire spesso per l’estero e a non vedere spesso la loro pargoletta.
Un altro motivo è il suo carattere, probabilmente sviluppatosi in questo modo spropositato conseguentemente alla mancanza di affetto: infatti, oltre che sviluppare una prematura intelligenza, anche una precoce arroganza e superbia hanno trovato posto in Evelyn, senza contare il suo tremendo vizio di fare del sarcasmo pungente per qualunque cosa.
Avendo iniziato a soli quattro anni gli studi e data la sua memoria e capacità di assorbire ogni informazione letteralmente come una spugna, Evelyn finì infatti gli studi a quattordici anni e mezzo.
Rimaneva però l’università da fare, ma per quella avrebbe dovuto affrontare una miriade di test, a causa della sua giovane età.

Passiamo ora alla prossima domanda... perché Evelyn si faceva tutte queste domande esistenziali?
Beh, piuttosto direi di partire dal principio... più precisamente da una settimana prima, quando i carissimi signori McKee, lui imprenditore famoso e l’altra pianista di successo, informarono Evelyn di dover partire - entrambi - per un viaggio di lavoro, di vitale importanza, in Francia.
Ormai Evelyn era abituata alle assenze dei genitori, solitamente infatti stava sempre da sola, ma questa volta i cari signori McKee avevano pensato bene di starci un bel po’ di tempo in più in Francia, precisamente per cinque mesi.
Il caso, o destino, chiamatelo come volete, volle anche che gli Harrison, grandi amici dei McKee, dovessero anch’essi partire per un viaggetto di lavoro, così, in uno dei normali pomeriggi a prendere il tè assieme, era entrato in ballo il discorso “viaggi” e gli Harrison avevano proposto ai McKee di poter sistemare Evelyn per tutto il tempo necessario nel bell’appartamento del figlio dei primi.
I McKee acconsentirono, pensando, giustamente, che Evelyn sarebbe stata perfettamente in questo appartamento.
Le due famiglie erano, come già citato, ottime amiche da molto tempo, così non ci fu nessun problema di fiducia o altro.
Fu così che Evelyn dovette preparare presto i bagagli, volente o nolente.
Non conosceva così bene il genere maschile, ma sapeva bene cosa poteva girare nella loro testa.
Pensava, infatti, che questo famoso “figlio degli Harrison” fosse uno dei cosiddetti “figli di papà” ricconi, che credevano di essere superiori a tutti e tutto.
Il fatto che questo ragazzo avesse addirittura un suo appartamento di ben centocinquanta metri quadrati e in uno dei palazzi più facoltosi della città, poi, non faceva altro che far sospirare di rassegnazione la “povera” Evelyn.
Ovviamente le spese condominiali erano a carico dei generosi Harrison.

Difatti, tornando alla vicenda, la sopracitata era lì, davanti alla porta, intenta a suonare il campanello in attesa di una risposta, mentre si faceva le tanto famose domande esistenziali sul karma.
Dopo un quarto d’ora a suonare quel bel campanello, qualcuno si degnò di aprire: era un ragazzo, sicuramente più grande di Evelyn, dai capelli mossi e di un biondiccio miele e gli occhi del colore più strano che avesse mai visto: erano verdi, ma non un verde chiaro e acqua, bensì un verde petrolio profondo.
Era alto, molto alto, o forse lei aveva questa impressione data la sua minutezza.
Tanto per rendervene conto: Evelyn gli arrivava a malapena alle spalle e ciò non le faceva granché onore.
Alla vista di quella buffa ragazzetta le labbra del ragazzo si incresparono in una strana smorfia indefinibile.
«Tu saresti...?» chiese il ragazzo.
«Evelyn McKee» il ragazzo aggrottò per un attimo le sopracciglia, rifletté per un attimo sul cognome, per poi illuminarsi.
«Ah, già. La mocciosa che devo ospitare» disse poi con amarezza.
Evelyn non aveva nemmeno voglia di ribattere e iniziare di conseguenza una lunga discussione sugli aggettivi e i pronomi adatti alla sua persona, così entrò senza nemmeno chiedere il permesso.
«La tua stanza è sopra, a destra del bagno» la informò poi, mentre Evelyn saliva le scale sbuffando piuttosto rumorosamente «Sono Alexander Harrison, comunque» si presentò poi con nonchalance il ragazzo, mentre alzava un sopracciglio, in un espressione a metà tra il divertito e l’irritato, alla vista di quella strana ragazzetta piuttosto bassa di statura, dai lunghi capelli di un biondo tra il platino e il miele, intenta a trasportare un bagaglio alquanto superiore rispetto alle sue capacità fisiche.
Non si offrì però di aiutarla, come avrebbe fatto un qualunque “gentleman”.
Alexander Harrison, infatti, non era esattamente ciò che pensava Evelyn McKee.
La sopracitata non sapeva infatti che Alexander Harrison non solo era un viziato amante della vita facile, ma era anche uno strafottente all’ennesima potenza.
I cari Harrison, di fatto, non avevano però pensato che ciò fosse però come mangiare latte e limone assieme: provoca una reazione acida.
E in quanto acidità, Evelyn McKee era paragonabile alla soda caustica.
La sopracitata, in effetti, alla vista di quel ragazzo dalle espressioni sempre poco definite, aveva avuto qualche dubbio sul fatto che fosse ciò che pensava... adesso lo definiva più un “figlio di papà della serie beffardi di turno da quattro soldi”, definizione molto vicina alla realtà.
Esattamente questo era il suo pensiero, che, oltretutto non era più ottimista sulle capacità mentali del biondino.
Si sarà capito (almeno qualcuno l’avrà capito... giusto?) di certo che la piccola McKee aveva atteggiamenti piuttosto snobbanti e critici nei confronti del genere umano, salvo che della sua persona; questo perché nella sua vita non era stata abituata a relazionarsi con ragazzi della sua età, lei giudicava la gente dall’intelligenza, dalle doti intellettuali, non dai valori personali.
Per lei tutto doveva essere ordinato e logico, matematico e coerente.
La cosa più sorprendente, almeno per chi la incontrava per la prima volta, era che lei sapeva di essere così caustica e critica, sapeva di non essere per nulla simpatica, di non essere altruista e generosa, ma se ne vantava addirittura!
Sì, avete capito bene, lei si vantava del suo corrosivo sarcasmo e della sua scarsissima iniziativa ad aiutare il prossimo, per lei era “ciò che ogni umano dovrebbe fare”.
Ma, torniamo alla storia, dove eravamo arrivati?
Già, già: eravamo giunti al punto in cui Evelyn salì le scale e si diresse nella stanza indicata dal giovane Harrison.
Appena entrata si guardò un po’ intorno: era una stanza molto grande, con una grande finestra che si affacciava sulla strada, lasciando intravedere alti grattacieli e palazzi di vetro e acciaio.
Il letto era sicuramente una piazza e mezza, con a fianco un comò e un cassettone in legno di ciliegio.
L’armadio era anch’esso molto grande, addirittura vi era anche una bella scrivania di vetro lucente e una bella libreria – vuota.
Questi Harrison sono proprio ricchi sfondati, se possono pagare una casa così grande e piena di mobili al loro pargoletto” pensò Evelyn, mentre sistemava i suoi vestiti e i numerosissimi libri.
Appena terminò, si sedette sul morbido e grande letto.
Bene, che cosa dovrei fare ora?” alzò un sopracciglio e si accasciò sul letto meditabonda.
Capitava infatti spesso che la sopracitata si distraesse spesso dalla frenetica vita e si “incantasse” ad osservare il cielo o il soffitto con chissà quali pensieri.
Dopo cinque minuti buoni, con la coda dell’occhio vide qualcuno sulla soglia della stanza, forse poggiato al muro.
«Che vuoi?» chiese lei senza nemmeno scostare gli occhi dal soffitto.
«Salve anche a te, coinquilina» rispose beffardamente il biondino.
Evelyn finalmente si alzò in piedi, mentre incrociava le braccia con fare annoiato.
«Dimmi un po’, qui come funziona?» chiese lei.
«Come funziona che cosa?» chiese l’altro, non capendo cosa intendesse Evelyn con quella domanda.
«Intendo... Sei un cuoco, uno chef o digiunerò per i prossimi mesi?» rispose la ragazzetta sarcastica.
«Probabilmente la seconda opzione» fece lui, beffardamente.
Evelyn lo guardò con uno sguardo per niente divertito, con quei suoi occhi chiari che spesso inquietavano.
«Calma, calma, non sai proprio stare agli scherzi, eh?» Alexander assottigliò gli occhi, mentre un ghigno si dipinse sulle sue labbra.
Evelyn rimase impassibile, anche se in cuor suo detestava già quel ghigno.
«Beh, vuoi sapere come funziona? – scrollò le spalle, per poi continuare – Insomma, non funziona» a quelle parole, Evelyn sgranò gli occhi, incredula.
Eh, sì, se c’era una cosa che non sopportava (e ce n’erano fin troppe di cose che non sopportava...) era certamente questa mancanza di organizzazione.
«Insomma non sono mica qui a fare la balia a una mocciosa»
Ancora una volta Evelyn si trattenne dall’aprire bocca per riempire il ragazzo in questione di insulti.
«Non sono una mocciosa» sibilò infine Evelyn.
«Oh, certamente, come ho potuto mancare di rispetto? Sentiamo, quanti anni hai?» ghignò Alexander sarcastico.
«Quindici» fece Evelyn irritata.
«Allora sì che sei grande. Se aggiungi altri tre anni saprai quanti ne ho io. Sempre che tu conosca la matematica» a quell’affermazione Evelyn scoppiò in una fragorosa risata, mentre Alexander la guardava a metà tra l’interrogativo e l’irritato, per la strana reazione della ragazza.
«Scommetto che la matematica la conosco meglio di te, caro simpaticone» rispose lei, senza scomporsi minimamente.
«Ma sentila... che classe frequenti? Il secondo anno?» chiese Alexander scettico.
«Il secondo anno? Povero diavolo... davvero, mi fai quasi pena»
Alexander la guardò di sbieco, senza rendersi conto di cosa intendesse in realtà Evelyn.
«Evidentemente non sai che in realtà la sottoscritta è diplomata a pieni voti» ghignò Evelyn, senza un minimo di modestia.
Dapprima Alexander sembrò non crederci, ma il tono e l’espressione seri e sinceri lo avevano quasi convinto.
«Non hai detto di avere quindici anni?» chiese allora, ancora un po’ scettico.
«Sì, ovvio. Non ho frequentato la scuola, però»
«Ah, hai studiato a casa... ora capisco la tua indole molto amichevole» la schernì sarcastico.
Evelyn non si scompose minimamente allo scherno del ragazzo, e si limitò a sbadigliare con nonchalance.
Alexander se ne andò, riflettendo un attimo sulla persona che avrebbe avuto come ospite per i prossimi mesi.
Insomma, di certo non si aspettava una tale ragazzetta così caustica, dopotutto le ragazze che conosceva lui erano completamente differenti, ma, dovette ammettere, per una volta aveva trovato qualcuno di “indomabile”.
Dopo che ebbe sistemato tutti i bagagli, Evelyn guardò il suo orologio al polso: erano le 14.
Il suo stomaco emetteva lamenti impercettibili, così decise che era ora di metterci qualcosa dentro.
«Dove stai andando?» chiese Alexander, mentre Evelyn stava aprendo il portone.
«Volevi una giustificazione scritta, per caso?» chiese lei, sarcastica.
«Io credo, più che altro, che tu ti sia dimenticata un dettaglio importante» Alexander ghignò, osservando l’espressione interrogativa di Evelyn.
Tirò fuori dalla tasca dei jeans un mazzo di chiavi, mentre Evelyn capiva cosa intendeva dire.
Alexander le si avvicinò con un leggero scatto e con la coda dell’occhio vide la tasca nei jeans di Evelyn e, abbassatosi leggermente, ci infilò le chiavi.
Evelyn fece una smorfia e scosse la testa.
«Questa era una scusa per toccarmi il sedere, darling?» ci credeva ben poco in quella domanda, dato che lei in fatto di “lato B” non c’era granché.
Alexander scoppiò a ridere di botto.
«Ti prego, chiamare quello “sedere” è come chiamare una pianura Monte Everest, e non esagero» Alexander aveva detto ciò per infastidire Evelyn, ma la ragazza non si scompose e si scostò semplicemente una ciocca di capelli finita davanti agli occhi.
«Wow, questo sì che è umorismo» rispose sarcastica, per poi uscire dalla soglia.

* * *
Quando uscì fuori dalla porta, Evelyn si accorse di sentire il Valzer n°2 di Shostakovic provenire dalle sue tasche.
Il telefono” pensò prendendo il suo grosso smartphone bianco quasi troppo grande per le sue piccole mani.
«Pronto?» chiese asciutta, anche se aveva benissimo visto dal monitor del cellulare chi era.
«Evie, cazzo, un po’ di entusiasmo, no?» disse una voce maschile fintamente irritata dall’altra parte del telefono.
«Ti prego, Arthur, non sei divertente» replicò Evelyn scocciata.
«Come sei caustica, tanto per cambiare. Che è successo?» chiese il ragazzo.
«Che è successo? Tu mi stai chiedendo che cosa è successo?»
«Aspetta... è oggi che i tuoi partivano?»
«Esatto, geniaccio, è oggi»
«Beh, Evie, allora devi raccontarmi tutto, no? Dove hai detto che sei?» dopo che Evelyn dettò accuratamente il nome e il numero della via nella quale era, chiuse la chiamata con il misterioso ragazzo e rimise in tasca il cellulare.
Sicuramente vi starete chiedendo: chi è questo qua?
Ricordate che all’inizio di questa buffa vicenda avevo alluso ad un certo individuo amico di Evelyn?
Ecco, questa è la risposta alla vostra domanda.
Nientemeno che Arthur Hudson, l’esatto opposto di Evelyn McKee, in tutto e per tutto.
A prima vista, è quel genere di ragazzo che con Evelyn non ci potrebbe avere a che fare neanche per sbaglio.
Dopotutto questo karma, o chi per esso, è imprevedibile e, come ben sappiamo, dietro alle apparenze c’è sempre qualcosa, c’è un mondo che noi non conosciamo né conosceremo mai, forse.

Torniamo, però, alla vicenda... Eravamo arrivati al punto in cui Evelyn aveva appena finito di parlare con il suo caro amico Arthur, giusto?
Ecco, in un quarto d’ora buono esattamente davanti alla minuta figura di Evelyn si posizionò una moto di colore blu metallizzato, dalla quale scese un ragazzo.
Era alto anche lui, tanto per cambiare, ma poco meno di Alexander, aveva un paio di occhiali da sole stile molto scuri, che tolse, mostrando così un paio di occhi di un castano scuro in contrasto con una pelle piuttosto chiara e dei capelli corti e rossi, leggermente a spazzola.
«Evie, quale onore!» si avvicinò a Evelyn e le scompigliò leggermente i capelli biondi.
«Finiscila, Arthur, tanto lo sai che non sei simpatico» rispose Evelyn scostando la mano del ragazzo.
«Ehi, calma, calma... Sei più acida del solito, se è possibile. Ora tu mi spieghi per bene cosa è successo mentre calmi il tuo stomaco con questo» le disse porgendole un sandwich piuttosto imbottito.
«Come sapevi che avevo fame?»
«Sono il tuo migliore amico» Arthur scrollò le spalle.
«Ti correggo: sei l’unico essere con che non sia scappato dopo i primi dieci minuti di conversazione» rispose Evelyn.
«Avevo cinque anni! Comunque non mi hai ancora detto cos’è successo» le ricordò lui impaziente.
«Va bene, va bene. Maledizione, quanto sei insistente Arthur...» così dicendo Arthur riuscì a cavare fuori dalla bocca di Evelyn tutti i particolari del “divertente e piacevolissimo incontro” avvenuto poco prima.
«No, dai, la storia delle chiavi è assurda, Evie! Sicura di non averlo sognato?» chiese Arthur tra una risata e l’altra.
«Hudson, qui l’unico che sogna cose che non si dovrebbero sognare se tu» rispose Evelyn.
«Quanto sei divertente, McKee, così tanto che ti porterei a letto, giuro» rispose Arthur ironico.
«Ti prego, Arthur, togli dalla tua testa certe oscenità!» commentò Evelyn piuttosto schifata.
Un’altra cosa da sapere su Evelyn, che avrete capito, era la sua “familiarità” con il mondo mondano dei suoi coetanei.
Arthur lo sapeva bene, per questo le sue “battutine oltremodo squallide”, come le chiamava Evelyn, erano spesso e volentieri composte da tali elementi.
«Suvvia, Evie, così mi offendi, però!» rispose Arthur con tono fintamente offeso.
«Questo era il mio principale scopo» scrollò le spalle Evelyn senza cambiare espressione.
Non sorrideva spesso, Evelyn, era un evento molto raro vederla sorridere in modo sincero.
Il più delle volte erano risate di divertimento, come quella avvenuta durante il breve colloquio con Alexander, oppure sorrisi sarcastici alquanto irritanti per la gente che le stava attorno.
Arthur lo sapeva, ormai si era quasi rassegnato all’idea di vederla sorridere davvero, non riusciva nemmeno ad immaginare Evelyn McKee sorridere di felicità, era una visione troppo strana, lontana.
Dopo qualche altra chiacchierata e dopo aver finito il buon sandwich gentilmente offerto da Arthur, Evelyn si diresse nuovamente nell’appartamento, magari per finire di leggere Guerra e Pace.
Appena arrivò al portone, prese le chiavi, ne scelse una e tentò di aprire.
Non funzionava.
Ne prese allora un’altra dal mazzo e ritentò.
Niente da fare, non entrava nemmeno nella serratura.
Tentò anche con le ultime due chiavi, ma il risultato fu come gli altri.
Insomma, che caspita di chiavi mi ha dato?” pensò Evelyn, rassegnandosi all’idea di dover suonare alla porta.
Dopo il secondo squillo del campanello, qualcuno si degnò di aprire.
Solo una cosa: non era Alexander.
Era decisamente più femminile di Alexander.
Era decisamente meno vestita di Alexander.
Era, decisamente, la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.


 
 
Author’s corner.
Salve a tutti! Eccomi, nuovamente, con una storia tutta nuova... Eh, sì, non ce la faccio proprio a stare troppo senza inventarmi nulla di nuovo!
Spero che l’inizio vi piaccia, ci ho messo veramente tutta la creatività che avevo in questa storia, per questo, almeno nella mia testa, appare più che appetibile la trama.
Come avete letto, la protagonista (e mia omonima!) è parecchio singolare, spero vi piaccia perché io la adoro semplicemente.
Come trovate Alexander?E Arthur? (io li adoro tutti, tanto per cambiare)

Spero abbiate notato il banner, che è opera della bravissima (e gentilissima!) Krystal Darlend.
Vi consiglio la sua pagina di grafica per richiederne uno, è davvero brava a crearne!
Cliccate sul nome seguente per andare nella sua pagina: ►Peerless Graphic Efp

Comunque, come avrete capito, la ragazza nel banner è Evelyn, mentre i due ragazzi sono Arthur e Alexander (Arthur a sinistra e Alexander a destra).
Ovviamente se mi lasciaste qualche parere con le vostre impressioni sulla storia, mi fareste oltremodo felice :D
Alla prossima!

Evelyn.
   
 
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