Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: pandaivols    23/09/2013    7 recensioni
▪ DAL PROLOGO:« Signor Hidden, vuole invece rivelare ai telespettatori cosa dovranno aspettarsi i nuovi ventiquattro tributi di quest'anno dall'Arena? » [...]
« Ti dirò la verità, Flickerman: penso proprio
nulla. » Il volto del conduttore era la sorpresa e la confusione fatta persona, così come tutte le altre facce che componevano la platea di quella sala.
Inaspettatamente, dopo essersi goduto la reazione che aveva suscitato, Frank Hidden continuò: « Perché potrebbero aspettarsi veramente
di tutto. »
Un coro di espressioni sorprese - e desiderose di vedere quei secondi Hunger Games in azione - si sparse per tutto il pubblico.
[...]
Il presentatore si alzò, spalancando le braccia ed annunciando a gran voce: « Signore e signori, che i secondi Hunger Games abbiano inizio! »


Ecco a voi, intrepidi capitolini, la seconda edizione dei Giochi della Fame. Chi saranno i ventiquattro tributi pronti ad uccidersi, vivere o morire per la vittoria? Sta a voi deciderlo; e tenete gli occhi bene aperti, avventurosi lettori, perché il pericolo, il sangue e la morte potrebbero essere proprio dietro l'angolo.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime, Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il sangue del vicino è sempre più rosso.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




 

Il sangue del vicino è sempre
più rosso.

 

 







 

Strike a violent pose.

.




 
They said all teenagers scare
the living shit out of me
They could care less as long as someone’ll bleed
So darken your clothes
Or strike a violent pose
Maybe they’ll leave you alone
But not me.

 [Teenagers - My Chemical Romance]


 
Atto I – Di istruttori meschini e pronostici di morte. 
C’era stato un tempo in cui Soul Thanatos non lavorava come istruttore, un tempo in cui era un valente soldato e combatteva contro i ribelli, un tempo in cui avrebbe potuto raggiungere il livello di Adamas Rigel in persona, se ne avesse avuto l’occasione. 
E invece dopo la rivolta tutto ciò che gli avevano assegnato era stato… quel lavoro infimo e inutile. Un lavoro stupido che gli dava sui nervi. Soul non avrebbe voluto salvare neanche uno tra quei ventiquattro sfigatelli, ma purtroppo era costretto ad adempire al proprio compito di addestratore e spiegare loro, almeno, le regole basilari di sopravvivenza. 
Sono fortunati, si disse in quel momento con una scrollata di spalle. Ricordava che il suo addestramento, in tempo di guerra, era stato di gran lunga più duro e complicato; lui non aveva avuto nessuno che gli insegnasse a sopravvivere: i capi impartivano gli ordini e basta.
In effetti non gli passò nemmeno per la mente il fatto che in realtà lui non avesse avuto soltanto tre giorni di tempo per prepararsi al combattimento, ma abbandonò quel pensiero, osservando i tributi entrare in fila per due, Distretto per Distretto. 
Si posizionò al centro esatto della sala, segnato con un fregio artistico, che in realtà di artistico non aveva proprio nulla, se non un richiamo allo stile pacchiano della capitale.
Spostò lo sguardo freddo su tutti loro, soffermandosi su quelli che sembravano più giovani. Era difficile che un dodicenne o un tredicenne avesse una qualche possibilità di vittoria - la bella Jewel Walker stessa lo aveva dimostrato - quindi diede i più giovani subito per spacciati. Non che gli altri fossero messi meglio, comunque. Si guardavano attorno spaesati, indugiando sulle armi e su quell’ambiente a loro così estraneo; alcuni invece si soffermavano sul suo disgustoso ed orripilante aspetto e ciò lo infastidiva non poco.
Soul pensò che la maggior parte di loro poteva considerarsi fortunata se aveva avuto un tetto stabile sotto cui vivere, figurarsi aver visto prima d’allora un Centro all’avanguardia come quello. Probabilmente alcuni di loro, in ogni caso, avevano persino preso parte alla rivolta e lui non poteva saperlo. Se avesse saputo chi erano li avrebbe fatti fuori in quel momento stesso, senza batter ciglio. Nessuno poteva contrastare Capitol City, la città che come una madre si era presa cura dei propri Distretti a lungo, accudendoli e non facendo mancare loro nulla. Era naturale che i ribelli avessero e avrebbero dovuto pagare per quella rivoluzione e gli Hunger Games gli sembravano una punizione piuttosto sufficiente. Se fosse stato lui il presidente, comunque, avrebbe inflitto agli abitanti dei Distretti pene infinitamente peggiori, facendoli prostrare tutti ai propri piedi. 
Però lui non era presidente. Anche se sarebbe potuto esserlo. 
« Quest’oggi » annunciò, dimenticandosi per un momento del più grande rimpianto della sua vita e camminando a passi cadenzati sui bordi del fregio, « avrete l’opportunità di apprendere le principali tecniche di combattimento e sopravvivenza, quindi vi consiglio di fare molta attenzione a tutto ciò che gli addestratori vi spiegheranno. » 
Molti tributi non lo stavano ascoltando, presi com’erano a osservare l’ambiente circostante: un'enorme sala attrezzata dal pavimento traslucido piena di postazioni d’ogni genere. 
Soul s’innervosì. Detestava che qualcuno non gli prestasse ascolto. 
Alcuni ragazzi cominciarono a parlottare tra loro, ignorandolo, così che fu costretto a richiamare l’attenzione generale con un « Silenzio! » molto poco amichevole. Solo allora i tributi si zittirono completamente, forse intimiditi dal suo tono autorevole e dall’aspetto inquietante. 
Gli occhi rossi di Soul serpeggiarono nella loro direzione, annientandoli senza neanche aggiungere altre parole o rimproveri. Si posarono sulla giovane Go, che automaticamente fece un passo indietro dinanzi alla spietatezza di quello sguardo inumano dalle pupille verticali. 
« Tu » disse l’istruttore, scostante, indicandola con un’alzata di mento. « Quanti anni hai? Mi sembri una bambina capitata nel posto sbagliato. » 
Go strinse le mani dietro la schiena, torcendole nel tentativo di alleviare la tensione che quell’addestratore le aveva trasmesso. La dodicenne pensò che nel cuore di quell’uomo non doveva esserci davvero nulla di positivo: solo rabbia, bramosia e rimpianti. Lo capì con poche e veloci occhiate. 
« Dodici » rispose flebilmente. 
Soul le si avvicinò e le strinse una mano dal colorito pallido e malaticcio intorno al braccio, per poi trascinarla accanto a lui al centro della sala, sul fregio, con poca delicatezza. La esaminò nello stesso modo in cui si esaminerebbe della merce in vendita. « Bassa, poco robusta, innocente e silenziosa » commentò, girandole intorno come per schernirla. « Devi stare molto attenta, Distretto… » si sporse per guardare il numero sulla sua tuta, « … 11. » 
Go sembrò farsi ancora più piccola davanti a quei commenti, ma non disse nulla e non provò neanche ad abbassare la testa. 
Jeyl, suo compagno di Distretto, fece un passo avanti. « Ehi » disse contro l’istruttore, impulsivamente, indispettito dal suo comportamento. « Lasciala in pace. » 
Soul si voltò a guardarlo severamente, ma non replicò. L’indisponenza era un’altra delle qualità che decisamente non apprezzava. 
« A dispetto di quelli che sono le vostre corporature e i vostri caratteri, comunque » continuò, poggiando una mano viscida sulla spalla di Go - al che Jeyl borbottò qualcosa nella sua direzione - « tutti avete delle abilità, nascoste o meno. Il compito del Centro Addestramento è quello di farle uscire allo scoperto. » Ritornò a guardare la dodicenne e si abbassò di poco per poterla guardare meglio in faccia. « Anche per te, Distretto 11, c’è speranza. » In realtà non lo pensava davvero, ma il copione di istruttore gli imponeva di dire anche quello. 
Allargò le braccia ed indicò tutta la sala: « Qui troverete postazioni di ogni genere. Vi do un consiglio: concentratevi prima su quelle di sopravvivenza, poi su quelle dedicate alle armi. Tutti di sicuro fremono dalla voglia di provare un’arma, ma la maggior parte di voi morirà per cause naturali. » Fece una breve pausa. « Tu, per esempio » aggiunse indicando Elle con una smorfia, « mi sembri il classico morto per disidratazione; e tu » continuò, rivolgendosi stavolta a Zhu, con un’espressione altrettanto penetrante e irrisoria, « il classico morto per avvelenamento. » 
Zhu strinse i pugni e fece per ribattere al volo, ma Wednesday, la sua compagna di Distretto sussurrò qualcosa con cui si trovò particolarmente d’accordo – almeno da un lato, si intende: « Se continua così sarà lui il primo a morire. Già gli mancano il naso, i capelli e le sopracciglia, sarebbe divertente cavare quei suoi occhi strani fuori dalle orbite… » 
Il ragazzo del Distretto 6 osservò di sottecchi la dodicenne dalle trecce nere, che aveva il viso ornato da un sorrisetto furbesco. Non aveva mai conosciuto nessuno di più sadico, prima. Nessuno di più sadico, ovviamente, eccetto… Scosse la testa, ritornando ad ascoltare stizzito il discorso dell’istruttore. 
« L’assideramento uccide quanto la lama di un coltello, certo, ma ci sarà qualcosa di infinitamente peggiore di entrambi » disse Soul, lasciando però la frase in sospeso. 
Tutti e ventiquattro i tributi si aspettavano che specificasse cosa ci fosse di infinitamente peggiore, ma l’addestratore smise di parlare e incrociò le braccia, fissandoli con sguardo di sfida. Forse si trattava dell’arena e delle sue trappole. Trappole imprevedibili, tra l’altro, perché nessuno sapeva ancora di che cosa si trattasse, strateghi esclusi, che sicuramente stavano osservando, da una postazione sicura, cosa stava accadendo dentro il Centro.
« Detto questo » fece Soul, in conclusione, « … divertitevi e non fatevi, uhm, troppo male. »

Atto II – Di canzoncine del secolo scorso. 
Soul non fece neanche in tempo a vedere i tributi sparpagliarsi per la sala che sentì qualcosa tirarlo per la manica della propria tuta d’istruttore. Si girò di scatto e la prima cosa che vide della ragazzina accanto a sé fu la folta chioma riccia e bruna che le ricadeva sulle spalle e le incorniciava il viso fanciullesco. 
« Signore » fece lei, non staccando la mano affusolata dalla sua manica, mentre nell’altra stringeva una bambolina tutta rattoppata con due bottoni al posto degli occhi. Soul guardò il numero sulla sua tuta: 8. Una volta ci aveva combattuto, nel Distretto dei tessuti; neanche ricordava quanti ribelli avesse ucciso in quel territorio. « Signore, posso chiederle una cosa? » chiese la ragazzina innocentemente. L’addestratore annuì poco convinto, strattonando il braccio dalla presa gentile eppure salda della dodicenne. « Cosa c’è di peggiore dell’assideramento e della lama di un coltello? » domandò quindi, gli occhi sbarrati dalla curiosità per ciò che Soul aveva detto a tutti loro poco prima. 
« Lo scoprirai presto, ragazzina » ghignò l’istruttore. Che ingenua. 
« Mi chiamo Kenia. Kenia Reaper » precisò lei, gonfiando le guance. « E comunque non dovrebbe spiegarcele lei queste cose, signore? » 
Soul si bloccò per un minuscolo istante. Reaper. L’aveva già sentito da qualche parte, tra le file alleate della ribellione. Squadrò Kenia dall’alto in basso, soffermandosi sulla sua figura innocente e cercando di ricordare. 
La dodicenne, dinanzi a quello sguardo freddo e penetrante, strinse involontariamente la propria bambola a sé. 
Soul rifletté per qualche istante: se i Reaper facevano parte degli alleati, lui avrebbe potuto dare anche una mano a quella bambina – perché di una bambina si trattava. La meritava molto più di quegli stupidi figli di ribelli, nonostante detestasse dare il proprio aiuto a qualcuno. Ma in fondo che aveva da perdere? 
« Vuoi proprio saperlo? » sussurrò con un mezzo sorriso obliquo. Il viso di Kenia si illuminò e annuì vivacemente, facendo ondeggiare anche i suoi capelli riccioluti. Soul appoggiò le mani sulle ginocchia e si piegò per abbassarsi al suo livello. « Cascate. Tieni d’occhio le cascate. » 
Lo disse così velocemente e flebilmente che Kenia avrebbe potuto non capire. E invece aveva colto ogni parola, da brava ascoltatrice qual era. 
Sgranò le iridi verdemare ancor di più, lasciando trasparire tutto lo stupore del mondo. Forse neanche lei si aspettava che proprio quello strano addestratore senza naso le avrebbe rivelato un dettaglio così importante dell’arena… ed in effetti Soul stesso se ne pentì lievemente poco dopo. Cancellò l’espressione affabile dal suo viso rovinato e raddrizzò la schiena. 
Kenia capì che non avrebbe dovuto farne parola con nessuno e mormorò prontamente un « Grazie, signore! » e poi corse via, sempre con quella strana bambola stretta tra le mani. 
Soul assottigliò lo sguardo. Aveva fatto un errore? Forse no. Forse, nonostante anche Kenia non sembrasse destinata a sopravvivere, ne avrebbero viste delle belle. 

Kenia saltellò in direzione del suo compagno di Distretto. « Brian! » lo chiamò con un sorriso sulle labbra. « Brian! » 
Il quindicenne, sentendo quella voce cristallina, si voltò di scatto nella sua direzione e serrò le labbra. Che voleva quella tizia da lui? 
« Che c’è, stavolta? » sbottò, sbuffando. « Hai fatto fare un triplo salto mortale alla tua Bessy? »
« Si chiama Betty » precisò Kenia. 
« Benny, Bessy, Betty… è lo stesso » fece Brian scrollando le spalle. « Allora? » 
« Allora cosa? » 
« Che vuoi? » 
La ragazzina continuò a sorridere spensierata; il suo compagno, d’altronde, non poteva sapere che quello strambo ed inquietante istruttore l’aveva appena avvantaggiata con un indizio sull’arena. Si era già silenziosamente complimentata con sé stessa per aver conseguito quella vittoria. 
Fece spallucce a sua volta. « Oh, niente, volevo solo vedere come te la cavavi ad accendere un fuoco. » 
Brian borbottò qualcosa sottovoce e poi aggiunse: « Non sono fatti tuoi. Perché non torni a giocare con quella tua pezza? » 
Kenia s’incupì leggermente. Perché cercava di fare amicizia e le persone reagivano così, Brian in particolare? Solo Delphi era stato gentile con lei. Certo, non che quello fosse un uomo di molte parole, ma le stringeva sempre silenziosamente la mano proprio quando Kenia ne sentiva il bisogno, era gentile nei modi di fare, benché il suo sguardo di ghiaccio faceva raggelare chiunque, poi la mattina a colazione le lasciava tutte quelle ciambelle dolciastre coperte di glassa al cioccolato che i capitolini chiamavano "donuts" ed inoltre la sera le rimboccava le coperte prima di andare a dormire, proprio come faceva Kingsley. 
Già, Kingsley... 
Per un attimo gli occhi chiari di Kenia si persero nel vuoto, sentendo la testa farsi pesante per tutte quelle voci che iniziavano a parlare sempre più forti. Ma poi pensò che forse poteva farsi coraggio e chiedere a Delphi di raccontarle una fiaba prima di dormire e, mentre lo fece, le sue guance si tinsero di porpora e quelle voci, stranamente, si placarono. Scrollò il capo e riportò l'attenzione su Brian, che la fissava confuso e poco interessato.
« Non ho voglia di giocare, adesso. » 
« E allora fai altro e non venire a rompere le scatole a me. »
La dodicenne abbassò la testa, lasciando che un riccio le scivolasse sulla fronte. « Perché non vuoi che ti faccia compagnia? » 
« Forse perché non voglio la tua compagnia? » ribatté sarcasticamente. « Ah, proprio non ci arrivi. » 
Gli occhi di Kenia si sarebbero velati di lacrime, se solo non fosse che l’ultima volta che aveva pianto era stata all’incirca un anno prima, quando il suo Logan era ritornato dall’arena in una bara di legno. Forse quando sarebbe ritornata in camera avrebbe versato qualche lacrima silenziosamente, o forse no. O forse meglio tra le braccia di Delphi, sì, perché lui stranamente riusciva sempre a darle ciò di cui aveva bisogno, anche se non lo diceva apertamente. 
« Perché mi odi? » chiese stavolta, seriamente dispiaciuta. « Che cosa ti ho fatto? » 
Brian strinse i pugni, ma non rispose. Non poteva rispondere a quella domanda. Un’ondata di rabbia lo percorse da capo a piedi, ma fu qualche altra cosa ad emergere insieme alla collera… compassione? Una piccola, minuscola briciola di compassione. Gli sembrava innocente, in quel momento. Innocente e sincera, a dispetto di quello che Clary aveva detto sul suo conto: « Ho sentito che in famiglia la chiamano Barbie, Brian. » 
« Lasciami in pace, Barbie » disse allora, risoluto, ignorando quella strana ed estranea sensazione, sottolineando quel nomignolo col tono della voce. 
Kenia sgranò gli occhi, sconvolta. Nessuno, al di fuori dei suoi parenti, sapeva di quel soprannome. 
Senza aggiungere un’altra parola, scappò lontano da lui. Si avvicinò a un’altra postazione distrattamente e cominciò a canticchiare uno di quei motivetti che le aveva insegnato la nonna: « Un vestito bianco per la sposa, un giglio bianco tra i capelli suoi, un velo bianco sul viso candido… » cantò con la voce tremante, fingendo, come tutte le volte che cominciava a cantare, che andasse tutto bene. 

Ryder si guardò un’ultima volta intorno, cercando di decidere in quale postazione fiondarsi per prima. Considerò le varie opzioni velocemente, poi preferì dedicarsi alla mimetizzazione, perché forse gli sarebbe tornata utile; e inoltre, in realtà, stava soltanto cercando di rimandare la lezione d’arrampicata, visto che aveva la fobia delle altezze. 
La postazione non era ancora particolarmente affollata, c’erano soltanto un paio di tributi non molto interessati che poco dopo cambiarono idea e si dedicarono ad altro. 
Ryder quasi tirò un sospiro di sollievo: preferiva di gran lunga stare da solo invece di confrontarsi con altre persone; infatti non aveva ancora il coraggio di pensare all’intervista. A lui non piaceva parlare, perché lui parlava con gli occhi. Peccato però che solo gli osservatori migliori riuscissero ad accorgersene. 
Meglio così, pensò in quel momento con una scrollata di spalle. Non voglio essere disturbato da nessuno. 
L’addestratore di mimetizzazione gli spiegò in fretta e furia alcune delle tecniche basilari, poi lo abbandonò per andare a parlare con un’altra istruttrice dall’aria avvenente. Ryder alzò gli occhi al cielo e continuò a pitturarsi il braccio da solo, stando bene attento a ricreare il motivo verdeggiante della finta aiuola dietro la quale avrebbe dovuto provare a nascondersi. 
Dopo aver finito la sua opera – ovvero dopo aver fatto diventare l’intero avambraccio di un verde scolorito – si avvicinò al cespuglio, ma prima che avesse potuto anche solo sfiorarlo, una testa riccioluta fece capolino dalle foglie. 
Ryder sobbalzò e fece automaticamente un paio di passi indietro, colto alla sprovvista. Non si era proprio accorto che ci fosse un’altra persona con lui. Altra persona che per di più era la sua giovane compagna di Distretto. 
Le guance di Lila si imporporarono lievemente e lei abbassò lo sguardo. « N-non ti stavo spiando » balbettò, scrollandosi alcune foglie dalle spalle esili. 
Ryder impallidì per un secondo, poi però le credette. Dopotutto non aveva motivo di mentirgli. L’ultima volta che si erano visti nella stalla era stato molto tempo addietro e proprio da quel giorno il ragazzo aveva perso l’abitudine di andarci, perché era stato colto in flagrante mentre parlava con i suoi cavalli. Ricordava ancora come Lila – prima della mietitura non sapeva nemmeno il suo nome – fosse sbucata dall’ombra e gli avesse detto che le piaceva da morire mettersi lì, nascosta e accucciata, ad ascoltare i suoi discorsi dolcemente malinconici. La verità era che Ryder preferiva molto di più confidarsi con gli animali che con le persone, perché loro non potevano schernirlo o insultarlo, ed essere scoperto da una ragazzina così silenziosa come lui lo aveva messo profondamente in imbarazzo. Per questo di sera non era andato più nella stalla, anche se sapeva che Lila vi si recasse ancora, speranzosa, per continuare ad ascoltare le sue parole nel buio. 
Ryder le sorrise debolmente, alzando gli angoli delle labbra. La tredicenne lo guardò bene e per un momento si rasserenò, perché aveva notato che le iridi verde scuro del ragazzo stavano sorridendo allo stesso modo e quindi non era un sorriso falso. Lila, d’altronde, non aveva mai dubitato che Ryder fosse una persona onesta.

Atto III – Di strette di mano e corpo a corpo. 
Haylee Scott si dondolò sui talloni. Era riuscita a controllare l’irrefrenabile voglia di schernire il capo-istruttore con domandine sarcastiche del tipo “Mi può prestare un fazzoletto per soffiarmi il naso?”, oppure “Riesce ancora a scaccolarsi conciato così?”, per cui si era allontanata velocemente da lui ridacchiando, camminando poco distante dal suo compagno di Distretto, che sin da quando avevano visto i filmati delle altre mietiture, sul treno, aveva assunto un’aria distante e pensierosa. Haylee si era domandata che cosa gli fosse preso, ma non aveva indagato più di tanto. Era di natura curiosa, certo, ma non provava molto interesse nel ficcare il naso negli affari altrui. 
In quel momento pensò che parlare di “ficcare il naso” con Soul sarebbe stato divertente, ma venne bloccata giusto in tempo da William, che le chiese in tono sbrigativo: « Hai visto la ragazza del 5? » 
Haylee inarcò le sopracciglia. Lei nemmeno si ricordava chi fosse la ragazza del 5. 
« Sarà in giro, no? » gli rispose altrettanto risolutamente. William sembrò pentirsi di aver rivolto quella domanda a lei, ma poi individuò l’oggetto delle sue ricerche e la lasciò perdere, avvicinandosi a Jamie con una sottospecie di sorriso affranto. 
La rossa alzò gli occhi al cielo: trovava che fosse molto stupido trovarsi degli alleati agli Hunger Games, considerando che prima o poi soltanto uno su ventiquattro sarebbe rimasto in vita. Lei proprio per questo non voleva alleati. Che senso aveva se poi avrebbe dovuto ucciderli o vederli morire? Non rientrava proprio nello spirito dei Giochi. 
Qualcuno le picchiettò su una spalla con la mano. « Ehi, tu, tizia. » 
Haylee si voltò vogliosa di sapere chi fosse il rompiscatole ed un ragazzo alto e snello e dai capelli in disordine le si parò davanti.
« Che vuoi? » fece bruscamente, alzando un sopracciglio – che era una cosa che faceva veramente spesso, tra l’altro. 
« Ti è caduto questo » rispose lui con una smorfia, indispettito dal fatto che la ragazza avesse reagito così. Le porse un piccolo pezzo di stoffa scolorita. 
Haylee, dopo aver visto di che cosa si trattava, glielo strappò dalle mani, sgranando gli occhi. « Dove diavolo l’hai trovato? » domandò in un sibilo. 
Il ragazzo del 12 – perché il numero sulla tuta le aveva suggerito che appartenesse a quel Distretto – incrociò le braccia e arricciò le labbra. « A terra. Ti è caduto prima e ho pensato di riportartelo. » 
La rossa strinse involontariamente quel pezzettino di stoffa a sé. « E’ mio. » 
« Ma va? » rimbeccò l’altro. 
« Cioè, non è proprio mio mio, ma… » ... di mio padre. Si bloccò, scuotendo la testa. « Lascia perdere. » 
Haylee si mise la stoffa in tasca e Jeremy studiò le sue mosse per qualche secondo. 
« Neanche un “grazie”? » chiese con un sorrisetto sarcastico. 
« No » ribatté. « Avrei anche potuto raccoglierlo da sola » continuò, sbattendo le ciglia innocentemente. 
Jeremy alzò gli occhi al cielo. « Prego lo stesso » disse, « Miss Antipatia. » 
« E’ stato un piacere » replicò lei, stringendogli la mano saldamente e sorridendogli con finta gentilezza. 
Il ragazzo ricambiò la stretta e per qualche istante entrambi credettero che le loro dita avrebbero anche potuto scricchiolare. 

Jamie si limitò a fissare affascinata tutto il Centro Addestramento per dieci minuti buoni. Sfiorava ogni cosa con la punta delle dita, girovagando con un sorriso sulle labbra. Salutò gentilmente un’istruttrice chinando il capo e si sgranchì un po’ le gambe. 
Aveva già riflettuto sul fatto che la danza avrebbe potuto aiutarla nel combattimento corpo a corpo, per cui aveva deciso di provarci. 
Jamie non voleva uccidere nessuno, in realtà. Da quel che aveva potuto vedere sino a quel momento, tutti gli altri tributi – o la maggior parte – erano ragazzi come lei, con i propri sogni, le proprie speranze e le proprie preoccupazioni. Le sarebbe dispiaciuto davvero molto doverli veder morire uno ad uno come bambole di pezza, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di tornare a casa. Jamie era buona, certo, ma non stupida. Per questo aveva deciso che avrebbe imparato a difendersi, perché non voleva farsi cogliere del tutto impreparata. 
Si avvicinò alla postazione del combattimento corpo a corpo e vide che non era ancora stata occupata da nessuno; l’istruttore se ne stava lì con le braccia conserte ad aspettare un qualche tributo da poter allenare alla lotta. Quando vide Jamie, però, storse il naso. 
(E qui Haylee avrebbe trovato un altro argomento divertente da discutere con Soul.)
La ragazza intuì subito cosa stesse pensando: una quattordicenne esile e leggiadra come lei che voleva combattere? Per un attimo sembrò assurdo persino a sé stessa. 
« Sei sicura di voler provare? » chiese acidamente il nerboruto addestratore. Jamie annuì senza riflettere. D’altronde non aveva nulla da perdere. L’uomo le fece cenno di salire sulla pedana, alzando gli occhi al cielo. « Allora, di sicuro non hai più di quindici anni e sei molto magra, quindi di conseguenza dovresti puntare tutto sulla velocità e sull’agilità. Così facendo non dovresti avere molti problemi a combattere anche con un maschio. »
La ragazza ascoltò bene e apprese la tecnica che avrebbe dovuto utilizzare: velocità e agilità. Si trattava di questo. Forse sarebbe riuscita a stupire l’addestratore e anche gli altri tributi. 
« Per ora ti conviene riscaldarti e fare un po’ di stretching » continuò l’uomo, « e dopo ti farò vedere le mosse basilari. » 
Jamie corse in tondo sulla pedana per un paio di minuti, poi si dedicò allo stiramento dei muscoli, specialmente a quello delle gambe. Si prese una caviglia e tirò la gamba indietro, forzando lievemente i quadricipiti e rimanendo in equilibrio; le piaceva moltissimo quell’esercizio, la rilassava. 
Stava giusto cambiando gamba quando si accorse di essere osservata da un paio d’occhi verde smeraldo. Le piaceva il verde, le ricordava gli alberi, ma quegli occhi erano molto più profondi e penetranti. 
Smise di fare stretching seduta stante, arrossendo sulle gote, perché quel ragazzo era lo stesso che l’aveva fermata durante la sfilata. 
« Jamie? » sussurrò lui piano, ma l’addestratore lo notò e lo incitò a salire sulla pedana con lei. 
« Ecco » disse soddisfatto, quindi. « Ti abbiamo trovato un avversario bene in forze, ragazzina. » 
Jamie abbassò la testa, imbarazzata. Non aveva poi molta voglia di combattere proprio contro di lui. 
Il ragazzo del Distretto 7 la osservò per qualche istante, poi scosse la testa: « Non posso combattere con una ragazza. » 
« Sì che puoi » ribatté l’istruttore. « Ti ricordo che i primi Hunger Games sono stati vinti da una ragazza. » William lo fissò sconcertato, perché in fondo aveva ragione. « E comunque questo è solo un allenamento » precisò l’uomo. « Non dovete farvi del male sul serio. » 
Jamie rialzò la testa e annuì, come se volesse mettersi alla prova. Di sicuro non voleva essere sminuita, per cui si avvicinò a William con passi cadenzati, alzando le braccia davanti al viso. Sembrò addirittura incitarlo con lo sguardo. 
Prima che potesse difendersi e prima che l’istruttore le spiegasse che cosa dovesse fare, Jamie gli sferrò un calcio nell’addome, facendolo piegare in due. William emise un verso di dolore, tenendosi una mano sulla zona colpita, ed il viso dell’uomo si colorò di un’espressione esterrefatta. Jamie gli diede stavolta un calcio negli stinchi e William cadde steso sulla pedana. La ragazza allora abbandonò subito il proprio intento, spalancando le iridi color ambra. Non voleva ferirlo per davvero. 
Gli si accucciò accanto e lo scosse delicatamente per una spalla, pregando che stesse bene. Lui alzò gli occhi e incontrò i suoi: sembravano pervasi da mille parole, le stesse mille parole che non avrebbe mai pronunciato perché Jamie non parlava proprio con nessuno. 
« Sto bene » fece allora con un sorriso storto. « Sto bene, non ti preoccupare. » 
La quattordicenne sembrò sollevata, ma non staccò la mano dalla sua spalla, perché quel contatto, inspiegabilmente, le dava una sensazione di casa. Lo aiutò a rialzarsi, mentre il grosso istruttore diceva soddisfatto: « Ah, però, Distretto 5! Penso che su di te si possa scommettere. »

Atto IV – Di inutili erbe curative. 
La postazione delle piante era occupata in quel momento da quattro persone, che a dire il vero neanche si guardavano in faccia, intente nell’esaminare i diversi tipi di bacche, fiori e radici. 
L’unico che sembrava leggermente in difficoltà, comunque, era il ragazzo del Distretto 5, completamente estraneo a vegetali vari. Jason sapeva – o almeno, l’aveva capito – che negli Hunger Games gli sarebbe servita una buona conoscenza in materia, perché, se non avesse avuto sponsor a sufficienza, il cibo se lo sarebbe dovuto procurare da solo. 
Lesse qualche altra definizione senza realmente concentrarsi e prese a grattarsi la voglia rossa sotto il collo, cosa che avveniva spesso quand’era immerso nei propri pensieri. 
Jason non aveva paura dell’arena in sé per sé, non dopo tutto quello che gli era capitato, ma aveva paura di morire, come tutti gli altri tributi in quella sala. O quasi. 
Wednesday Addams, la cupa dodicenne del 6, infatti, sembrava non veder l’ora di mettere piede nell’arena e di ammazzare qualcuno. Prima di aggirarsi per la postazione delle erbe era stata tutto il tempo a torturare manichini in un angolo e, quando un addestratore le aveva rivolto la parola, lei gli aveva lanciato un’occhiataccia eloquente, rigirandosi il coltello che aveva tra le mani con un sorrisetto a dir poco inquietante. Jason infatti si domandava come mai quella stessa ragazzina ora fosse intenta a leggere un piccolo manuale di botanica, la fronte corrugata e le labbra socchiuse che mormoravano ciò che c’era scritto. 
« Stupidaggini » disse in quel momento la dodicenne, gettando il libricino in un angolo con nonchalance. « Se si combinano due veleni si crea un veleno più potente, non un antidoto. » 
Il ragazzo la osservò di sottecchi, cercando di non apparire maleducato. Quella ragazzina sembrava saperne più di lui. 
Anche un altro tributo, precisamente la ragazza del 12, guardò Wednesday con sguardo a metà tra l’ammirazione ed il turbamento. Nymeria era un’esperta di erbe curative – e come non avrebbe potuto esserlo, quando si era impegnata anima e corpo per accudire suo fratello dopo l’attacco? – ma molte di quelle piante non crescevano nel suo Distretto e non le aveva neanche mai viste. Aveva deciso di dedicarsi per qualche minuto a quella postazione, perché l’avrebbe fatta sentire a casa anche se per poco, dopodiché sarebbe passata ad altro. 
« E’ vero? » le domandò gentilmente una voce poco lontana. 
Nymeria si voltò di scatto, trovandosi vicino il tributo del Distretto 5, l’unico ragazzo intento a familiarizzare con i vegetali. 
« Cosa? » chiese, lievemente spaesata. 
Non sembrava avere cattive intenzioni, ma, eccetto suo fratello e pochi altri, tutti gli uomini che avesse conosciuto pretendevano da lei una cosa sola. 
« Quello che ha detto la ragazzina » specificò Jason, indicando Wednesday con un’alzata di mento. Vedendo che Nymeria non ribatteva, però, aggiunse in segno di scuse: « Mi dispiace, credevo che tu ne sapessi più di me in materia. » 
La ragazza lo osservò pensierosa per qualche momento. Non aveva un’aria minacciosa o irriverente, a differenza di Niklaus. Provò a sorridere. « Nella maggior parte dei casi sì, dipende dal veleno. »
Jason sembrò sollevato dal fatto che gli avesse dato una risposta soddisfacente. « Capisco. E, invece, come si fa a creare un antidoto? » 
Un luccichio pervase in pochi istanti gli occhi azzurri di Nymeria. « Si possono creare degli antidoti sfruttando dei veleni, ma mai due veleni insieme… sarebbero letali. Per esempio » cominciò a spiegare, indicandogli alcune cose sul bancone davanti a sé, « l’infuso di questi fiori misto all’estratto di queste bacche velenose, crea sollievo contro un’infezione. » Jason sgranò leggermente gli occhi dalla curiosità; quella ragazza sapeva spiegare le cose molto meglio dell’addestratore capitolino. « Per fortuna » continuò lei, abbozzando un’espressione di modestia, « queste piante sono abbastanza diffuse. » 
Il ragazzo annuì. « Io non ho la minima idea di cosa aspettarmi dall’arena. Alla prima mietitura mi ricordo che avevano detto che poteva cambiare di anno in anno. » 
« Sinceramente non lo so neanche io » replicò Nymeria, che arricciò le labbra a quel pensiero. « Spero… spero che vada tutto bene. » 
Un manto gelido calò sul discorso, perché entrambi sapevano bene che solo uno tra ben ventiquattro ragazzi sarebbe sopravvissuto. 
« Andrà tutto bene » disse Jason, allora, con un sorriso gentile. Gli suonava molto strano, ma quel momento si sentiva di doverla rassicurare. Subito dopo si passò una mano dietro la nuca per nascondere l’imbarazzo. 
Gli occhi di Nymeria si ingrandirono. Perché le stava dicendo quello? Perché un estraneo stava cercando di confortarla?
« Come ti chiami? » chiese lei allora, di slancio, tendendogli una mano. 
« Jason » rispose l’altro, stringendola. 
La ragazza tentò di nascondere la pelle d’oca. Le sembrava una coincidenza assurda. « Oh, proprio come mio fratello… Io sono Nymeria, comunque. Né ‘Nym’, né ‘Meria’.» 
Jason le posò lievemente le labbra sulle nocche, continuando a guardarla negli occhi. Non credeva di aver mai visto un azzurro più tormentato, come un mare in tempesta. « E’ un piacere. » 
La ragazza spostò lo sguardo altrove, perché si sentiva messa a nudo, molto più di quando era uno dei Pacificatori del Distretto 12 a spogliarla. Perse un istante a riflettere quanto quel ragazzo sembrasse così radicalmente diverso da Niklaus e ritirò la mano quanto meno bruscamente le fosse possibile. Nonostante le costasse moltissimo ammetterlo, Niklaus era la persona più importante della sua vita – dopo suo fratello – ed era sicura che non sarebbe mai riuscita a sostituirlo con nessun altro, neanche con un gentiluomo del Distretto 5. 
« Anche per me, Jason. »

Wednesday stava aspettando il suo turno sbuffando. Quella ragazzina dell’11 ci stava impiegando più del previsto, per cui cominciò a fissarla per metterla a disagio. E ci riuscì, perché Go si voltò verso di lei con sguardo infastidito, nonostante gli occhi a mandorla le conferissero una perenne espressione dolce e innocente in viso. 
« Potresti muoverti? » le chiese la giovane Addams, arrotolandosi una delle due trecce nere intorno alle dita. « Tocca a me. » 
« E’ il mio turno » protestò Go, stringendo il libro a sé di riflesso. 
« Non è vero » ribatté l’altra arrogantemente. « Dammelo. » 
« Non credo ti interessino le erbe curative » disse la minore, quasi perforandola con gli occhi. « Mi sbaglio? » 
Wed incrociò le braccia e si lasciò sfuggire un ghigno. « Sono felice che la gente l’abbia capito, ma comunque è il mio turno. » 
Go preferì lasciar perdere, perché non aveva voglia di mettersi contro nessuno e perché lei ne sapeva già abbastanza di botanica, grazie alla sua nonna. Al pensiero della donna il cuore della dodicenne si rilassò: Kaori l’aveva preparata per la vita e si era presa cura di lei come neanche due genitori avrebbero saputo fare. Lasciò il libro nelle mani di Wednesday e si allontanò verso un’altra postazione. La sua coetanea, da ciò che aveva potuto intuire, non le ispirava nulla di buono. 
La ragazza del Distretto 6, comunque, dopo aver perso qualche minuto a leggere quelle che considerava sciocchezze, buttò anche quel libro in un angolo, alzando gli occhi al cielo. 
Lo sapeva che i capitolini erano stupidi, ma non credeva fino a quel punto. 
Andò a recuperare la sua bambola dall’abito ottocentesco, che aveva lasciato su una panca – guai a chi si fosse azzardato anche solo a sfiorarla – e le sussurrò come si farebbe ad una bambina vera: « Queste stupide erbe non serviranno a curare un’emorragia o uno sbudellamento, vero Maria Antonietta? » Fece una breve pausa, sogghignando. « Adesso andiamo a decapitarti un po’. »

Atto V – Di tagli di capelli e sguardi (in)discreti. 
« Perché hai fatto tardi prima? » domandò Perry, mettendo una mano sulla spalla a Ty e riservandole uno sguardo preoccupato.
« Oh! » sbottò la ragazza, scrollandosi il fidanzato di dosso senza tante cerimonie. Non era decisamente in vena. « E me lo chiedi pure? » Ty sbatté le palpebre, irritata. « E’ tutta colpa di quello stronzo di Mizar Rankine! » esclamò, fregandosene del fatto che gli altri tributi la stessero sentendo e che avrebbe dovuto concentrarsi sull’addestramento. « Quanto mi piacerebbe strangolarlo! » Il ragazzo tentò di replicare, ma Clarity lo bloccò sul nascere. « Lo odio! Mi ha rovinato i capelli, guarda! » gridò, indicandosi la chioma bruna ora cortissima. « Non posso andare in giro così! » 
« Sei bellissima anche così, Ty » le disse lui con un sorriso sincero. 
L’altra si zittì un secondo, addolcita dagli improvvisi complimenti del ragazzo, ma poi riprese: « La voglia di ammazzarlo mi resta lo stesso… Secondo te è legale sventrare qualcuno davanti a tutti? » 
Perry ridacchiò, passandole una mano fra i capelli ora così tanto corti quanto i suoi. « Può darsi. » 
« In ogni caso lo farei diventare legale, io. » 
La ragazza, ancora infuriata per tutto ciò che le era capitato in circa quarantotto ore, avrebbe continuato ad urlare qualche altra cosa, ma fu fermata dal capo-addestratore, che le se si avvicinò con passo austero e sguardo severo. 
« Signorina, potrebbe starnazzare di meno? Sa, gli altri starebbero cercando di lavorare. » 
Starnazzare?, pensò tra sé, accendendosi di rabbia. « Non ho neanche il diritto di incazzarmi per quello che mi ha fatto il mio stilista? » chiese incapacitata. 
« E che cosa le avrebbe mai fatto? » domandò Soul, scocciato, incrociando le braccia al petto. Se solo avesse potuto, ora avrebbe sollevato un sopracciglio.
« Non ha visto i miei capelli? Guardi come me li ha ridotti! E lui dovrebbe essere uno stilista professionista?! » 
« Tutto qui? » domandò con cipiglio serio l'istruttore, squadrandola da capo a piedi. 
« Tutto qui? » 
« Ha la minima idea di ciò che quell’imbecille di Rankine abbia fatto a me? »
Ty arricciò le labbra e alzò il mento in segno di sfida. Non le importava che quell’uomo avrebbe potuto aiutarla a sopravvivere, voleva semplicemente toglierselo dalle scatole. « Che cosa? Sentiamo. »
Soul strinse i pugni ed aspettò qualche secondo prima di rispondere, inspirando lentamente. « Secondo lei a cosa devo il mio aspetto deturpato? »
La replica che la ragazza si stava preparando mentalmente le morì in gola; rimase a fissare il volto dell’addestratore con una certa insistenza, soffermandosi sui due piccoli fori che aveva al posto del naso e sull’assenza di sopracciglia e capelli. Socchiuse le labbra per rispondere, ma Soul l’anticipò: « Esatto, signorina. La prossima volta cerchi di lamentarsi di meno. »
Ty incrociò le braccia e disse innocentemente: « Ferite da fuoco? Io credevo che lei ci fosse nato, così brutto. »
Il capo-istruttore sembrò impallidire dalla rabbia a vista d’occhio e – se le avesse avute – gli sarebbe uscito del fumo dalle narici. « Che cosa ha detto? » sibilò a denti stretti.
« Ferite da fuoco o bruttezza capitolina? Questo è il dilemma » fece la ragazza con un sorrisetto sarcastico, mentre Perry tentava di ammonirla stringendole un braccio.
« Ty, smettila… » borbottò lui, ma quella pareva non ascoltarlo neanche.
Clarity in genere si presentava come una persona abbastanza solare e accomodante, ma certe volte non riusciva a fare a meno di lasciar uscire allo scoperto quel lato caparbio della sua personalità, soprattutto in momenti del genere.
« Dannatissime ferite da fuoco » gridò Soul, stavolta, fissandola negli occhi come a volerla incenerire con lo sguardo. A quelle parole, però, un altro tributo interruppe ciò che stava facendo per girarsi nella loro direzione, con l’espressione dura e le sopracciglia aggrottate.
Zhu Koeyn si sentì chiamato in causa, per un motivo che – nel bene o nel male – in quella sala conosceva lui soltanto.
« Sa quanti interventi ho dovuto sopportare a causa di quel piromane incapace? » continuò Soul, imperterrito. « Sa che cosa significhi sentire la propria pelle bruciare? »
Una goccia di sudore freddo scese lungo il collo di Zhu, sebbene ci fosse l’aria condizionata, come a volergli ricordare tutto ciò che aveva passato. Da un lato si stupiva che ancora nessuno gli avesse chiesto come si fosse procurato quell’ustione orribile, ma dall’altro non voleva la compassione degli altri. O forse non voleva gli altri e basta.
Ty non si scompose e sbatté le palpebre. « E lei sa che cosa significhi essere buttata in una stupida arena come carne da macello? » controbatté con un’improvvisa calma glaciale. Una calma che avrebbe fatto gelare e spaventare chiunque – Perry in particolare – più di qualunque altro scatto di rabbia. Nel dirlo, anche la ragazza si rese pienamente conto del peso di quell’affermazione e la frustrazione per i suoi capelli si dissolse vagamente.
Soul assottigliò lo sguardo, sino a renderlo tagliente come due lame. « Ho come l’impressione che lei avrà qualche problema, nell’arena, signorina. »
Clarity rabbrividì, ma non lo diede a vedere e si finse tranquilla. « Sono pronta al peggio. »
« Perfetto » concluse l’istruttore, voltando i tacchi ed allontanandosi da quella scena, magari per dire agli strateghi che avrebbero dovuto punire quel tributo come si deve. Peccato che forse gli strateghi non sarebbero stati a sentire un addestratore senza naso con manie di grandezza.
« Ti rendi conto di quello che hai fatto? » domandò allora Perry con voce tremante, inseguendola tra le varie postazioni, mentre lei era partita in quinta e si aggirava per la sala, incupita. « Ty! Ascoltami! »
Le afferrò un polso e Clarity si voltò di scatto verso di lui.
« Non pensi a Noah, Derek e Meredith? » chiese il ragazzo, allora, a bassa voce. Gli occhi di lei si addolcirono a quei nomi e la sua testa di abbassò di poco, come se si sentisse in colpa per loro.
Abbracciò Perry di slancio, affondando il viso nella sua spalla. « Oh, hai ragione, Peregrine D’Erin. E’ stato più forte di me. »
Il ragazzo provò a sorridere e le accarezzò la schiena. « Lo so. »
Zhu aveva seguito tutta la scena, soltanto perché la discussione tra Ty e Soul gli aveva riportato in mente quell’infausto giorno di tre anni prima.
Quando Ty alzò lo sguardo, notò gli occhi ambrati del ragazzo del 6 ad osservarla intensamente ed uno strano senso di inquietudine le pervase le membra. Forse era a causa di quell’orribile cicatrice rossa che gli rovinava la zona sinistra del volto. O forse a causa di quello sguardo così duro e contemporaneamente profondo.
Zhu si voltò dall’altro lato, colto in flagrante, e prese a dirigersi verso la postazione delle armi, in barba al discorso dell’istruttore sull’importanza delle tecniche di sopravvivenza.
Perry si girò nella stessa direzione della fidanzata, incuriosito. « Che cosa stai guardando? »
« Niente » rispose Ty, evasiva. Eppure si ritrovò a pensare inconsapevolmente che, a differenza di Soul, quel ragazzo dall’aria tesa e nervosa doveva avere molte più ferite di tutti loro messi insieme.  

Atto VI – Di doppi sensi, pettegolezzi e tute sintetiche. 
« Ehi, Mimi- aspetta, posso chiamarti così, vero? Vero che posso? » 
Naomi si voltò di scatto verso la ragazza, alzando un sopracciglio. « Certo che no. Se proprio lo vuoi sapere, tesoro, solo i miei amanti più passionali mi chiamano così quando li sto facendo divertire a dovere. »
Beryl arrossì, ma continuò a seguirla per la sala. « Ma è carino come soprannome! Io avevo un pesciolino rosso che si chiamava Mimi, anche se non ero proprio certa che fosse una femmina, però non sapevo come distinguere i pesci maschi dai pesci femmine, poi però è morto dopo qualche giorno e Chord mi ha detto che avrei dovuto nutrirlo meglio… Ah, mi sono sentita così in colpa! »
« Al paese mio i pesci c’entrano solo con i maschi » ribatté Naomi, scocciata, rigirandosi tra le dita una ciocca di capelli. « Ma forse tu sei ancora troppo piccola per saperlo. »
Beryl gonfiò le guance e si mise le mani sui fianchi. « Ho quattordici anni » disse. « Non sono piccola. E comunque che cosa volevi dirmi su Rhymer? Perché hai detto che il mio stilista non è quello che sembra, eh? Lui è simpatico, gentile e mi tratta benissimo! » riprese. « Ocean! E’ vero che Rhymer è eccezionale? » domandò, alzando la voce e facendo voltare il suo compagno di Distretto, a qualche metro di distanza. 
Ocean annuì ridendo: « Certo, certo. »
Naomi alzò gli occhi al cielo. « Tutti convinti che sia un santarellino. Quegli occhioni azzurri nascondono ben altro, credimi. »
Ocean si aggiunse alla conversazione, mettendo una mano sulla spalla di Beryl come a volerla proteggere dalla lingua tagliente dell’altra. « E che cosa nascondono? » chiese lui per la quattordicenne, a metà tra lo scettico e l’incuriosito.
La bruna ammiccò lievemente e alzò gli angoli delle labbra carnose verso l’alto. « Volete proprio saperlo? Potrei scandalizzarvi. »
Beryl acconsentì senza pensarci e Ocean rimase ad ascoltarla, pur essendo del tutto certo che quella ragazza avrebbe anche potuto riempirli di menzogne solo per raggiungere i propri scopi.
« Oh, va bene » ribatté Naomi con uno sbuffo fintamente irritato. « Rhymer prima di fare lo stilista era una Drag Queen e si divertiva a spezzare i cuori degli uomini quando venivano a sapere che anche lui era un ragazzo. Però ci è stato, con degli uomini, e uno di questi è lo stilista del Distretto 2. »
« Mizar Rankine? » domandò Beryl, sgranando i grandi occhi verdi. « Lo stilista di Perry e Ty? »
« Proprio lui » assentì l’altra.
« Ma loro due si odiano a morte » puntualizzò Ocean.
« E da quando in qua odio e amore non vanno di pari passo? » chiese Naomi, retorica. E con quella stessa frase rifletté che in realtà non lo pensava davvero. Perché lei odiava, certo, ma non amava nessuno. 
« Oh, sarebbero carinissimi insieme! » esclamò allora Beryl, illuminandosi. « Io lo sapevo, lo sapevo che c’era sotto qualcosa! Non sei mica omofoba, Mimi, vero? »
« Non sopporto i gay, tesoro, mi dispiace » replicò. « Mi fanno ribrezzo. »
Che bugiarda che sei, Naomi, complimenti davvero, si disse invece, perfettamente cosciente del fatto che tutto ciò che l’aveva legata a Lucy – la sua Lucy – fosse qualcosa di molto più profondo e morboso di una semplice amicizia o di una comunissima affinità.
Beyl la ignorò e continuò : « Devo fare qualcosa per farli mettere insieme, starebbero benissimo. Acuqa e fuoco, blu e rosso, giorno e notte, yin e- »
« Beryl » la bloccò Ocean. « Può darsi che tutto ciò sia falso. »
« Senti, bel fusto, le mie fonti sono più che attendibili » ribatté la mora. « Devo ricordarti che ho l’unica mentore di quest’edizione, la persona normale più vicina a Capitol che io conosca? »
« Sono solo pettegolezzi, cosa vuoi che ci importi? » disse il biondo, scuotendo la testa.
« Ma sono carini! » protestò Beryl, strattonando Ocean per un braccio.    
« Siete stati voi a chiedermelo » fece Naomi con una scrollata di spalle. « E poi io l’ho scoperto per caso. »
Il ragazzo non si convinse neanche un po’. « Non è una bella cosa, la diffamazione » 
« Non è colpa mia se Rhymer si divertiva a fare il travestito » controbatté l’altra con un piccolo sorriso di trionfo. « E, per la cronaca, nessuno può interferire nelle scelte delle altre persone, omosessuali o meno. »
Detto questo, la diciassettenne lasciò i tributi del Distretto 4 con le proprie convinzioni e si affrettò a raggiungere, invece, il suo compagno. Era più forte di lei: adorava avere l’ultima parola.

« Ciao, M. » disse la ragazza, ancheggiando in direzione di Mason. 
« Stavi sentendo la mia mancanza? » borbottò il ragazzo, stringendo la presa sull’elsa della spada. 
« In realtà sì » fece Naomi. « Gli altri sono così stupidi… » continuò, avvicinandoglisi felina e accarezzandogli un braccio con le dita, come a voler promettere chissà quali meraviglie.
Mason, per quanto gli dispiacesse e per quanto gli costasse ammetterlo, si scostò da lei e prese a concentrarsi sull’arma che aveva tra le mani, tentando di ignorare la compagna di Distretto.
« Ti sei subito fiondato sulle armi, eh? » cotinuò la diciassettenne, imperterrita. « Non hai ascoltato quello che ha detto Soul? »
« E tu? Non l’hai ascoltato? » controbatté il ragazzo. « Perché non ti alleni invece di andare a disturbare gli altri? »
Naomi sorrise sarcastica. « Quanto siamo scorbutici oggi, Signor M. E comunque rilassati, ho tutto sotto controllo. »
« Mi spieghi come faccio a essere rilassato » domandò Mason alzando un sopracciglio, « quando so che tra cinque giorni andremo a morire? »
Naomi stava per ribattere, ma proprio in quel momento Soul passò a fare un giro d’ispezione e diede loro un’occhiata veloce. Loro fecero buon viso a cattivo gioco, mentre il capo-istruttore passava oltre.
« … E quando quello passa ogni tanto a controllare tutto ciò che facciamo? » aggiunse il diciottenne con uno sguardo eloquente.
« Lascialo perdere » rispose l’altra con un veloce gesto della mano. « Jewel ci ha detto che non dobbiamo soffermarci troppo su di lui. »
« Mi riesce un po’ difficile, ma comunque… »
« E pensare che voleva fare il modello » commentò la ragazza, ridacchiando. « Almeno fino a quando non è successo l’incidente con il fuoco e si è arruolato nell’esercito. »
« Già » assentì Mason. « Per fortuna abbiamo come mentore una persona competente… in un certo senso siamo avvantaggiati, rispetto agli altri. »
Naomi fece un sorriso soddisfatto. « Sicuramente. Come faremmo senza di lei? »
L’altro la guardò di sottecchi. « Che cosa stai insinuando? »
La ragazza fece spallucce e continuò a sorridere. « Nulla, M. E, per favore, potresti alzare un po’ la spada – ecco, così – che mi rifaccio un attimo il mascara? Queste tute sintetiche fanno schifo, ma hanno moltissime tasche. »

Atto VII – Di arrampicamenti, aiuti inaspettati e vaghe somiglianze.
Sfortunatamente, anche la lezione d’arrampicata non aveva ottenuto un gran numero di interessati. Interessati che, tra l’altro, ammontavano semplicemente a… uno.
Benvolio non sapeva perché avesse deciso di partire proprio con quella postazione, quando lui in realtà di arrampicata se ne intendeva già abbastanza. Forse lo faceva per sentirsi a casa, si era detto; forse perché non aveva proprio idea da dove partire.
La parete era alta fino al soffitto, a cui era legata una corda elastica, e aveva diverse prese per mani e piedi. Ogni tributo che volesse partecipare alla lezione, avrebbe dovuto prendersi un’imbragatura e allacciarla alla corda, e poi si sarebbe potuto arrampicare in tutta tranquillità.
Dopo aver indossato l’imbragatura velocemente ed aver controllato che la corda lo reggesse, Benvolio si accostò alla parete e prese a scalarla lentamente ma abilmente. Certo, era discretamente bravo, ma non aveva mai avuto a che fare con prese così strette e scivolose.
Ogni passo gli sembrava più faticoso dell’altro ed ogni presa gli sembrava più piccola della precedente. Era arrivato circa a metà, che si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano. E, quando rimise la suddetta mano sul piolo successivo, qualcosa in lui vacillò all’istante.
Era sporco di fango.
Se ne rese conto giusto il secondo dopo, che anche il piede si appoggiò su un’altra presa sporca di fanghiglia scivolosa, mentre l’altra mano toccò una presa fasulla che si staccò dalla parete a contatto con la sua stretta.
Benvolio, prima di scivolare completamente, fece un risolino nervoso. Aveva pur sempre l’imbragatura. Peccato che anche l’imbragatura stessa non era stata allacciata correttamente.
Non ne prese completamente atto finché non urtò violentemente contro il pavimento traslucido del Centro, il braccio destro piegato sotto di lui in una posizione innaturale.
Neanche il dolore arrivò subito, solo un vago senso di stordimento che gli annebbiò la vista e gli otturò le orecchie per qualche istante. Poi il formicolio che sentiva all’avambraccio diventò una fitta pungente che gli fece lacrimare gli occhi quasi senza che se ne accorgesse.
Vide una decina di persone accerchiarsi intorno a lui e nel frattempo la sofferenza diventava sempre più insopportabile.
Eppure avevo allacciato tutto correttamente…, ebbe la forza di pensare, mentre una rabbia sconosciuta iniziava ad affiorargli dalle membra irrigidite. L’avevano fatto a posta, gli addestratori. Non era stato un caso.
Qualche altro tributo lo osservò mentre veniva trascinato via da un paio di braccia forti e possenti e colse giusto lo sguardo preoccupato della sua compagna di Distretto che le porte della sala d’Addestramento si chiusero davanti a lui.
Benvolio, inerme quasi del tutto, si chiese come sarebbe stato in grado di proseguire di pari passo con gli altri.

« Ho detto che mi dispiace. »
« Potevi stare un po’ più attento. »
« Non l’ho fatto a posta! » si difese ancora il ragazzo, alzando di poco la voce, sebbene non fosse di sua abitudine. « Quante volte devo ripetertelo? »
« Sto dicendo soltanto che faresti meglio a guardare dove metti i piedi » ribatté Natalie, incrociando le braccia con uno sguardo di ghiaccio – ancora più glaciale del solito. « Sai? Nell’arena non saranno tanto misericordiosi. »
Jeyl rimase a fissarla, incapacitato. Non avrebbe mai pensato che quella ragazza dai modi così composti potesse nascondere tanta puntigliosità. Né Coraline né Virginia erano così.
Già, Virginia.
« Lo so, non sono stupido » replicò. « E non c’è bisogno che tu me lo dica. »
Nate inarcò le sopracciglia e strinse le labbra. Normalmente era una persona pacata e posata, ma bastava una piccolezza per renderla così irritabile. E, purtroppo per lui, Jeyl aveva varcato questa minuscola soglia, scontrandola per sbaglio nella postazione dei nodi.
« Scusami, pensavo avessi bisogno di una rinfrescata di memoria » fece la bionda con i pugni stretti. La propria mente stava già elaborando dei piani magnifici per far esplodere le cervella dell’altro tributo.
Le sarebbe bastata una pistola e tutti i suoi sogni si sarebbero realizzati, in quel momento.
Non era un caso che la polvere da sparo fosse la sua migliore amica, insieme alla chiave di metallo arrugginita che portava sempre al collo, legata ad un semplice laccetto.
I suoi pensieri sorvolarono sulla polvere da sparo e la parte più oscura di sé sembrava incitarla ad ammazzarlo seduta stante. La chiave. La punta. Nell’occhio sinistro. Sangue.
Nate inspirò profondamente e stirò la bocca in un’espressione seriamente infastidita e dall’aria pericolosa.
Ma Jeyl non si lasciò intimidire e rispose ugualmente irritato, facendo un passo verso di lei: « Io credo che tu abbia bisogno di rivedere le tue priorità, invece. »
Lascia stare, Nate, lascia stare… continuava a ripetere la parte ragionevole della ragazza, ma l’altra aveva una voglia spasmodica di stendere l’interlocutore al suolo. Anche lei, comunque, fece un passo in avanti, come a voler rimarcare il fatto che la sfida contro di lei fosse persa in partenza.
« Non starai dicendo sul serio, Distretto 11. »
« Ce l’ho un nome e, sì, sto dicendo sul serio. »
A Jeyl non era mai capitato di intrattenere una discussione per un argomento così futile e sorvolabile.
Nate avrebbe voluto ribattere molto altro – e non solo con semplici parole – ma prima che potessero continuare quella lite, il Pacificatore che stava controllando un po’ il comportamento di tutti i tributi si accostò a loro con fare professionale.
Non sembrava minaccioso, ma la sua uniforme e tutte le spille e medaglie appuntate ad essa incutevano una certa soggezione.
« C’è qualche problema? » chiese Donowitz, guardandoli attentamente.
Jeyl fu il primo a ragionare e scosse la testa. « No, nessun problema. »
Nate non rispose. Di problemi ce n’erano tanti nella sua vita.
« Non serve a nulla litigare o azzuffarsi prima di entrare nell’arena » precisò il Pacificatore con tono da paternale. I due ragazzi rimasero in silenzio. « Beh, in realtà neanche allenarvi per la Sessione Privata, ma, fatto sta… » - l’uomo si schiarì la voce - « Buona giornata, ragazzi.  »
Entrambi, abbandonando la questione iniziale, si guardarono negli occhi per un singolo, minuscolo istante. Che cosa aveva voluto dire? 
Perché, effettivamente, non serviva allenarsi per la Sessione Privata?
Le menti di entrambi fecero mille e più ipotesi, mentre ognuno tornava ai propri nodi senza accennare alla discussione precedente.
Forse a Capitol, per quanto facessero fatica a crederlo, c’era qualcuno che voleva aiutarli.

Phoebe era seduta su una panca ed era intenta a scrivere qualcosa con una matita sottilissima su un bigliettino. Sembrava strano a molte persone e tutti si chiedevano il perché, ma lei aveva sempre bisogno di portare un blocco per gli appunti con sé.
“Non fare sciocchezze, Mel, per favore” aveva appena scritto. Ripose il bigliettino in tasca e si alzò, guardandosi in torno.
Phoebe aveva tanta voglia di provare a maneggiare qualche arma, ma non sapeva proprio da dove cominciare. Inoltre, non era esattamente propensa ad avvicinarsi a qualche istruttore e chiedere informazioni.
Aveva visto il suo compagno di Distretto cadere dalla parete d’arrampicata ed essere trascinato via con un braccio rotto, quindi non aveva intenzione di dedicarsi a quella postazione. Benvolio era il suo unico punto di riferimento, tra tutta quella gente, ed ora che se n’era andato si sentiva totalmente spaesata.
Proprio mentre stava facendo un primo passo verso la postazione dei vegetali, qualcuno spuntò da dietro le sue spalle, facendola sobbalzare.
« Scusami » fece il ragazzo del Distretto 3, squadrandola con i suoi occhi grandi e neri contornati da occhiaie altrettanto scure. Camminava con atteggiamento ingobbito e aveva i piedi scalzi. « Ti avevo scambiata per un’altra persona. »
Quasi come a voler confermare la sua ipotesi, Elle avvicinò ancora di più il viso alla ragazza, osservandola attentamente. « Uhm » fece, « vi somigliate molto. »
Phoebe ritrasse il viso di scatto, inquietata dal fatto che quello strambo tributo dai capelli scarmigliati le stesse così vicino. « D-davvero? » balbettò.
« C’è un nove per cento di probabilità che siate imparentate » disse con un sorrisetto storto. « Una probabilità minima, ma non insignificante. »
Detto questo, Elle cacciò un cioccolatino da una tasca, lo scartò con la punta delle dita, quasi come se quel dolcetto si potesse disintegrare con una pressione appena più leggera, e se lo infilò in bocca senza batter ciglio, per poi allontanarsi verso chissà quale meta.
Phoebe rimase lì imbambolata e per un irrefrenabile impulso prese a mangiarsi le unghie, come nei momenti in cui era più nervosa. Solo che questa volta si trattava di qualcosa di molto più radicale, come se un barlume di luce si fosse acceso nei suoi ricordi sbiaditi.

 

Non si è mai troppo prudenti nella scelta dei propri nemici.

(Oscar Wilde)















 








L'angolo di Pandaivols.

Salve a tutti, e benvenuti nel magico mondo di pandamito e Ivola. *sigla*
E' la seconda volta che copia-incolliamo l'intro e lo faremo per molto altro tempo ancora!
Ci sono stati vari imprevisti nel corso di questo aggiornamento, alcuni recenti, che avrebbero dovuto posticipare la data, ma... hey, siamo delle gran trollone! Che ci vogliamo fare.
Tvb - e non vvb - perché la cara Ivz ha preso il morbo del tvb da amighe babbane e quindi deve trasmetterlo a tutti.
La verità è che in questo capitolo i tributi non si stanno allenando... Stanno facendo un'orgia.
Ora ci sono da precisare alcune cose, come sempre:
  • Alcune citazioni di Soul sono riprese da Atala, l'addestratrice in Hunger Games, giusto per tener fede al protocollo che i capi-istruttori devono recitare.
  • Sì, Soul è palesemente ispirato al caro Voldy perché Mito ed Ivola sono delle fangirlz ed ogni cosa scritta in quest'interattiva nasce da qualcos'altro altamente nonsense.
  • Sì, c'è da shippare Nate con Jeyl semplicemente per il fatto che con quella citazione fanno molto Hermione Granger e Ron Weasley.
  • Frederick Donowitz è l'ammoveh.
  • Sì, esatto, Rhymer prima di diventare stilista era una drag queen, ma verrà spiegata meglio la loro storia quando pubblicheremo la raccolta che parlerà unicamente di Mizar e Rhymer.
  • Orgie e ships ovunque.
  • Ora passiamo ad una cosa seria: mi piacciono gli elenchi punta- no, volevamo dire che ogni domanda che poniamo dopo un capitolo, come indovinelli o quant'altro, è per far ricevere un premio o una pena ad un tributo, a seconda del capitolo da scrivere. Per esempio, i tributi che hanno ricevuto un premio in questo capitolo sono Kenia, Jeyl e Nate. Kenia e Nate per aver indovinato la sfida sugli stilisti. Jeyl per aver indovinato il significato del nome di Adamas Rigel. Benvolio, invece, ha avuto una pena, ovvero si è rotto un braccio, perché ha indovinato il significato del nome di Frank Hidden. Questo significa che voi non potrete mai sapere quali saranno i premi e quali le pene (Naomi was here) e ve lo stiamo dicendo ora, quando abbiamo usato questo metodo anche in precedenza e lo continueremo ad usare ancora.
  • Non vi preoccupate per il braccio di Benvolio, i medici di Capitol City fanno miracoli.
  • Finiamo col dire che non abbiamo ignorato le vostre richieste sulle abilità, ma questo è solo il primo giorno di addestramento, quindi verranno svelate in seguito.
E' stato un capitolo sudato e molto sfigato. Non potete immaginare che stratagemmi abbiamo dovuto inventarci per poterlo scrivere e betare. Quindi amateci.
Bao e cotolette.
 
pandaivols.
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: pandaivols