Mazel tov!
Capitolo
02 – Il
venditore di sogni
Noah aveva i capelli neri ricci e
voluminosi, talmente voluminosi che fu la prima cosa che vidi da quella
montagna di libri sotto la quale era letteralmente sepolto. Mi precipitai
subito ad aiutarlo.
« Ahhhh, grazie, grazie. Mi sentivo già
divorato da queste vecchie pagine. »
« Stai bene? »
« Benissimo, grazie per l'aiuto. Che cosa posso fare per te? »
Noah aveva il sorriso più bello e
contagioso che avessi mai visto. Quando sorrideva, non si poteva fare a meno di
pensare che la giornata sarebbe stata bella e luminosa. Capii solo in seguito
che quell'odore che sniffavo nell'aria non era altro che inchiostro, pagine
ingiallite e incenso. Noah amava l'incenso. Diceva che nulla - o quasi - era più bello di leggere un buon
libro con accanto una tazza di caffè bollente e il profumo d'incenso che puliva
l'aria. Affermava sempre che l'aria era sporca di cattive intenzioni. Io non
capivo, ero troppo stupido e viziato per farlo all'epoca.
Quel giorno uscii dalla sua libreria con
in mano "Orgoglio e pregiudizio". Non mi fece pagare neanche un
marco, mi disse che l'avevo aiutato a liberarsi da quei libri che gli erano
caduti addosso e che aveva un debito con me. Pensai che fosse la persona più
gentile che avessi mai incontrato in vita mia, lo salutai con un mezzo inchino
e tornai da mio padre.
Passai tutta la serata a leggere il libro che mi aveva regalato Noah, mentre
mio padre spiegava a Viktor che doveva sentirsi orgoglioso di essere tedesco,
di parlare la lingua tedesca, di essere suo figlio, mentre tutti gli altri
popoli erano vuoti e sporchi. Baggianate. Come potesse lui stesso crederci era
ancora un mistero. Senza rendermene conto, terminai quel libro quel giorno
stesso. Da quando divorai quelle pagine così, come aria fresca, iniziai a
provare un senso di vuoto ogni qualvolta finissi un libro. Chiusi gli occhi e
mi addormentai. Non avevo mai fatto un sogno tanto bello quanto quello di
quella notte. La mattina dopo capii perché aveva scritto "Venditore di
sogni".
Ritornai in quella libreria circa un mese
dopo. Questa volta trovai Noah talmente assorto in quello che stava facendo che
nemmeno sentì il suono della campanellina. Ricordo che mi fermai un secondo a
fissarlo: si era sistemato gli occhiali dopo essersi spostato una ciocca di
capelli ribelle dal viso. La luce fioca della stanza rifletteva sulla blusa
color panna che indossava.
« Buongiorno... »
« Oh, ciao biondino. Come posso aiutarti? » il suo tono di voce era sempre
calmo e gentile. Quando il suo sguardo incrociò il mio, mi sentii strano, come
quando corri troppo e ti manca il fiato per poter parlare, infatti impiegai un
minuto buono prima di rispondere.
« I-io, ehm, mi piacerebbe acquistare un libro. »
Lui mi guardò fisso mentre io me ne stavo impalato lì di fronte come un pesce
lesso. Mi sorrise di nuovo.
« Ti è piaciuto "Orgoglio e pregiudizio"? »
Sgranai gli occhi. Si ricordava di me.
Da quel giorno in poi passai molto tempo
in quella libreria. Ci andavo almeno una volta a settimana. Mio padre mi chiedeva
sempre "Ma che ci trovi in tutti questi libri? Non t’insegnano la vita
reale. Quella la impari sul campo, in guerra, come ho fatto io. Dovresti
piantarla con quelle baggianate e trovarti una fidanzata". Io fingevo di
ascoltarlo e fuggivo in quella libreria. Spesso me ne stavo seduto sulla
poltroncina di Noah a leggere qualche libro che non avrei potuto portare a casa
senza incappare in una ramanzina di mio padre. Noah mi lasciava leggere quei
libri senza fare tante storie, io spesso lo guardavo di sottecchi quando
aiutava i bambini del posto a scegliere il libro giusto, o quando i loro
genitori lo ringraziavano con un sorriso. Lui sorrideva sempre e tra il suo
sorriso e quell'odore d’incenso desideravo di non abbandonare quel posto.
« Posso chiederti una cosa? »
« C-certo, Noah, dimmi pure. »
« Come ti chiami? Insomma, passi qui tutti i pomeriggi e non posso continuare a
chiamarti "biondino". Mi sembra poco cortese. »
Noah prese un bastoncino d'incenso e l'accese. Mi fermai a guardare le sue mani
sfiorare la lampada con delicatezza.
« Mi chiamo Zarin. »
Trascorsi lì tutti i pomeriggi. Uscivo da
scuola e mi fermavo nella sua libreria, raccontando a mio padre di grosse
bevute con qualche compagno di scuola: lui ci credeva e ne era contento e
anch’io lo ero, perché potevo fare qualcosa che mi piaceva.
Il nostro primo bacio accadde in uno di quei pomeriggi. Era il 21 marzo. Quella
volta mi salutò dicendo "Oggi iniziano a sbocciare i fiori, tornano i
colori." la trovai una frase profonda e sorrisi. Poggiai la mia borsa di
tela dietro la scrivania e arricciai le labbra.
« Quali sono i tuoi fiori preferiti? »
« Uhm, domanda difficile. Le orchidee, credo. I tuoi? »
« Le margherite. Le trovo particolarmente belle nella loro semplicità. »
Erano quasi le nove di sera, non ero
potuto andare via prima perché pioveva talmente forte che era impensabile
uscire da quella libreria e per di più non avevo con me un ombrello. Noah mi
disse che potevo restare lì fino a orario di chiusura senza problemi ed io non
me lo feci ripetere due volte. Quel giorno lessi "Sogno di una notte di
mezza estate". Alle nove di sera, Noah girò il cartellino sulla porta del
vetro. Invece di "Willkommen" c'era scritto "Sogni d'oro".
Noah aveva controllato i registri della libreria. Fuori pioveva ancora.
« Abiti molto lontano da qui? »
« Circa venti minuti con l'auto. »
« Bel guaio, la pioggia. Riesce sempre a coglierci di sorpresa. »
Noah aveva poggiato la fronte contro il
vetro: fissava le goccioline infrangersi contro la porta della libreria come se
fosse un bambino. Una delle cose che ho sempre adorato di Noah era la sua
semplicità, il suo sapersi emozionare di fronte alle piccole cose. Provava
tante cose diverse e mi sentivo incapace. Volevo capire come facesse: l'unica
cosa che provavo io, era odio, per tutto, tranne che per quei libri e per Noah.
Odiavo me stesso. Guardando Noah incantato dalla pioggia, mi domandai perché la
mia vita doveva essere così complicata: volevo diventare una ragazza e poter
diventare sua moglie. Quando mi resi conto del pensiero che avevo fatto,
sgranai gli occhi.
« Tutto bene? »
« Eh--uh, sì, sì, tutto bene... Stavo pensando che mio padre sarà sicuramente
in pensiero per me. »
« Io abito qui vicino. Ho un telefono a casa. Puoi venire con me e chiamarlo da
lì. »
« Ah ehm.. Sì, sì grazie, mi sembra un'ottima idea. »
Mio padre, il generale Wolfgang, mi
diceva sempre di non fidarsi di nessuno, soprattutto delle persone che sembrano
gentili: mi diceva di serial killer, persone disposte a tutto per derubare
quelli più benestanti e altre milioni di disgrazie possibili. Ma di Noah mi
fidavo a pelle. Forse era quell'odore d’incenso e libri che si portava addosso.
Corremmo fino a casa sua nascosti sotto la sua giacca che usammo come ombrello
improvvisato. Quando arrivammo sotto il portone di casa sua, realizzammo di
essere completamente zuppi. Noah frugò nelle tasche del pantalone che indossava
e trovò una chiave, così entrammo.
La sua casa era molto piccola. Io ero abituato al lusso della mia, mentre lui
riusciva a vivere benissimo in un appartamento con due camere, un bagno solo e
una cucina che usava anche come sala da pranzo.
« Permesso » bofonchiai.
« Entra pure » rispose lui, con il suo solito tono gentile.
Viveva da solo con sua nonna, un'anziana ma vispa signora. Sua nonna, la
signora Maya Levi, era bassina, aveva i capelli lunghi neri avvolti in una
treccia e la pelle segnata dall'età e dal duro lavoro. Quando entrai, la vidi
in cucina: mi fissò con occhi sottili che rabbrividii lungo la schiena.
« Buonasera, signora »
« Buonasera... »
La sentii rivolgersi a Noah in una strana lingua. Non era tedesco. Lui non
rispose e mi accompagnò al telefono. Chiamai mio padre e gli dissi che non
sarei tornato a casa, che ero fuori con un amico e ci saremmo fermati in una
locanda, lui mi disse di divertirmi ed agganciò. Non sembrava adirato come
quando gli dicevo che ero passato in libreria. Ritornai in cucina e trovai la
signora seduta vicino al tavolo con davanti una tazza di te e Noah che
tagliuzzava delle verdure. Parlavano quella strana lingua, ma avevo la
sensazione parlassero di me. La signora mi fissò di nuovo, poi mi invitò a
sedersi di fronte a lei ed io lo feci. Dalla tasca del suo grembiule tirò fuori
delle carte carte colorate.
« Quale ti piace di più? »
« Quel-- quella verde signora. »
« Il verde... » borbottò, e attirò la mia attenzione interamente « è il colore
dell'amore cosmico, verso tutto il mondo, verso il genere umano » parlottava a
bassa voce e dovevo tendere l'orecchio per ascoltarla, ma lei mi sorrise. Era
lo stesso sorriso di Noah. « Benvenuto. »
Cenai con loro quella sera. C'era una bella atmosfera: non ricordavo di aver
mai riso tanto in vita mia. Mi sentii leggero. Sua nonna andò a dormire poco
dopo cena, io seguii Noah in camera sua: stavamo cercando un pigiama per me e
lui ne scavò uno di quando era più piccolo. Noah aveva venticinque anni ma
supponevo fosse da sempre stato più alto di me. Quando mi presentai in camera
sua col suo pigiama addosso lo trovai a torso nudo nell'atto di sfilarsi la
camicia. Aveva un fisico asciutto e la sua pelle sembrava morbidissima,
desiderai toccarla.. Senza rendermene conto mi ritrovai imbambolato a fissarlo.
Mi capitava spesso con Noah.
« Noah! Guarda, mi calza a pennello! No, a pennello no, forse un po' largo,
però insomma, mi va. »
Il nostro primo bacio successe in quegli attimi. Mi avvicinai a lui, contento e
rilassato come non mai ed inciampai in quei pantaloni troppo lunghi. Detti per
scontato che sarei finito per terra, tant'è che strinsi gli occhi preparandomi
al peggio... Invece mi ritrovai tra le braccia di Noah. Quando riaprii gli
occhi mi ritrovai i suoi piantati nei miei. Arrossii. Ne ebbi la certezza perchè mi sentivo le guance evaporare.
A quei tempi non si poteva andare da qualcuno e dirgli "mi piaci"
oppure baciarlo e basta, non era concesso tra etero, figuriamoci tra due
uomini. Ma io volevo baciarlo, volevo sfiorare le sue labbra e la sua pelle.
Gli diedi un segnale e socchiusi gli occhi. Lo sentii titubante
nell'avvicinarsi a me. Sentivo il suo respiro contro di me. Inclinai un po' la
testa. Le sue labbra erano morbide e inumidirono leggermente le mie. Poggiai le
mani sul suo petto nudo. I suoi capelli si erano confusi con i miei. Lui portò
una mano sulla mia guancia.
Quello fu il mio primo bacio. Non avevo mai baciato
nessuno prima di lui.
Il giorno dopo, sulla scrivania nella sua libreria, trovai un vaso con delle
margheritine.
Quello fu il giorno in cui mi innamorai.
L’angolo dell’autrice:
Ecco qui il secondo capitolo di
quest’oscura faccenda! :) voglio ringraziare Amarie,
darkmagic31 e Jasminevampire per aver aggiunto questa
storia alle seguite, e Danyel e Ladydaredevil
per aver recensito il primo capitolo :3 grazie mille!
Qui abbiamo conosciuto Noah e Zarin ci ha
raccontato anche il loro primo bacio oltre che il primo incontro! Io adoro
questi due ciccini ;__;!
A presto :3
PS: per quelli che hanno tumblr, sappiate che potete trovare le mie storie anche su Ora scrivo io!
Dal prossimo capitolo:
Un giorno
eravamo in libreria, gli stavo passando dei libri per aiutarlo a tenere in ordine
quel posto che odorava di incenso e margheritine, poi entrarono loro. Due
uomini in divisa. La campanella tintinnò. Noah mi guardò e bisbigliò « Nasconditi.
Qualsiasi cosa accada, nasconditi. Non uscire allo scoperto fino a quando non
se ne sono andati. Queste sono le chiavi della mia libreria. Aspettami sotto
casa, se dovessi far tardi. Non uscire. Resta nascosto. »
[…] Noah tornò
a casa, aveva la camicia rotta e sporca di sangue e un grosso livido sulla
fronte. Sua nonna lo abbracciò e lo riempì di baci sulla guancia; era così
affettuosa ed io capii cosa significasse avere una famiglia. Con Noah e la
signora Maya capii che cosa significasse vivere.