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Autore: cold_fire    23/09/2013    5 recensioni
dal capitolo 9:
Ero sempre stata una ragazza forte, non avevo mai pianto dopo la morte di mia madre, ma quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non avevo pianto alla morte di mia madre, al coma di mio padre, al suo risveglio, al trasloco improvviso, al tumore di Cecilia, agli anni passati come vittima sotto il potere che adesso faceva di Cindy (la nuova moglie di mio padre) la capo famiglia, non avevo pianto ai maltrattamenti subiti da Matteo e nemmeno davanti al suo amore violento e non ricambiato mi ero soffermata per sprecare lacrime. Ma non Roberto, non lui… e non Elisa, non lei! Come avevano potuto… il mio ragazzo e la mia migliore amica... adesso avevo solo la danza.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 2
In partenza
 
Una brezza leggera entrò nella mia stanza portando odore di crostata alla ciliegia e tè. La finestra era aperta e attraverso le tende entrava un pallida luce che rischiarava leggermente la stanza. Doveva essere passata da poco l’alba. Mi alzai in punta di piedi, accesi la luce e mi guardai intorno. Puntai dritta verso il calendario. Erano segnate in rosso quindici “X”. Sulla scrivania accanto al mio letto erano stati messi alcuni abiti. Li guardai per un attimo e poi li indossai. Una maglietta rossa senza maniche, pantaloncini di jeans neri e una felpa blu e bianca. Guardai sotto il letto in cerca delle ballerine abbinate alla felpa ma non le trovai. Mi era rimasto solo un paio di scarpe da ginnastica bianche. Confusa aprii l’armadio e non trovai nessuno dei miei vestiti. Mi accorsi che anche le mie cose, che di solito lasciavo sparpagliate per la stanza, non c’erano più. Andai al tavolino dei trucchi ma non c’era niente. Aprii tutti i cassetti ma non trovai niente di ciò che mi apparteneva. Guardai sul ripiano della finestra e li vidi. Il mio cellulare, l’iPod, e un paio di occhiali da sole vi erano postati posati sopra, insieme ad un vassoio con una fetta di crostata alle ciliegie e del te. Vicino al piatto con la crostata c’era un biglietto scritto con una calligrafia decisamente. Sopra vi era scritto:
“cara Claire. Ti starai chiedendo dove sono tutte le tue cose. O se non te lo stai chiedendo ti faccio notare che non c’è più niente di tuo in questa stanza. Le tue cose sono in due valige. Se vai all’ingresso le trovi. Tuo papà è arrivato ieri sera quando tu dormivi e ha insistito nell’andare via il prima possibile per non dare troppo fastidio. Io son uscita per andare a fare la spesa e tuo padre mi ha detto che usciva. Non so dove doveva andare.
     Baci, tua zia Bianca”
  
Feci in fretta colazione, presi le cose posate sul davanzale e scesi nell’ ingresso, proprio mentre mio papà entrava accompagnato da mia zia. Appena mi videro smisero immediatamente di parlare e mia zia mi superò per andare in cucina, senza nemmeno salutare. Avevano litigato.
“ciao” disse mio padre “come stai?” “bene, ma non sono io ad essere appena uscita da un coma” risposi “ma cosa…?!” “volevo dire… tu come stai?” mi corressi in fretta. “bene. Vedo che sei già pronta, possiamo partire anche subito se per te va bene” “NON CI PROVARE MICHAEL!” la voce severa che uscì dalla cucina così all’improvviso mi fece sobbalzare. Probabilmente stavano litigando per quello mia zia e mio papà. “ne abbiamo già parlato Bianca. Se io voglio andarmene non me lo puoi impedire. Io sono suo padre quindi…” “no! Non voglio che litighiate solo perché tu vuoi tornare a casa. Zia, non ti preoccupare. Non abitiamo molto lontani. Verremo a trovarti… sarà solo qualche isolato.” Dissi. Non sopportavo vedere mia zia e mio padre litigare. “… non ci credo Michael.. tu… tu non… non glielo hai detto? … non le hai detto NIENTE? Io non ci credo… non hai nemmeno chiesto il suo parere… io… io… vattene, esci da casa mia Michael… MI HAI SENTITA? Voglio che tu esca da casa mia!” non capivo… cosa voleva dire non le hai detto niente? Pensavo che stessero parlando di andare via di casa presto perché papà non voleva disturbare la zia… forse mi ero persa qualcosa. O come aveva fatto intendere mia zia… mi ero persa tutto. Se no perché ci stava praticamente cacciando… anche se in teoria cacciava papà…
“andiamo Claire. Su, Sali in macchina e dormi. Ti sei svegliata presto, avrai ancora un po’di sonno.” Senza ribattere salii in macchina, ma, con gli occhi chiusi, rimasi in ascolto. Non sentii molto, anzi, praticamente niente. Mio padre aveva ragione. Ero davvero molto stanca, quindi mi addormentai. Prima però riuscii a sentire alcune parole intanto che mio padre caricava le valige in macchina lo sentii brontolare un certo tipo di parole contro mia zia. Non ne ricavai molto. L’unica cosa nuova era che mia zia non avrebbe dovuto dire quello che ha detto… perché io non dovevo sapere quello che ho quasi capito. Ma cosa è che avevo quasi capito io? Sinceramente… non avevo quasi capito un bel niente. Anche se prima o poi avrei dovuto saperlo no…? Come il tradimento di mio padre nei confronti di mia… MA CERTO! Una piccola, inutile rotella che si era accesa solo una volta prima di allora riprese a funzionare di colpo. Avevo troppe domande, troppi perché, troppe curiosità. Eppure io dovevo solo fingere di dormire. Chi era la ragazza con cui aveva tradito mamma? Le aveva nascosto di avere una moglie? Erano ancora in contatto? Sapeva dell’ incidente? Che fine aveva fatto? di sicuro lei centrava con il litigio tra papà e la zia… e se fosse venuta a vivere con noi?
Non osai immaginare oltre e decisi di addormentarmi per davvero. In fondo erano le sei e mezza del mattino.
Non feci sogni. E per fortuna. Se c’era una cosa che odiavo erano i sogni. Permettevi che ti entrassero in testa anche se non ne avevi la minima voglia di vedere immagini che potevano cambiare e farti star bene o male secondo loro scelta. Ti facevano sentir debole. E un’altra cosa che odiavo era essere debole. Per fortuna avevo imparato che tutti i sogni prima o poi si infrangono. Che siano quelli che ti entrano in testa quando dormi, che quelli che ti entrano in testa da sveglio. Dormii tranquilla e quando riaprii gli occhi mi sembrò passato solo un secondo. Mi pentii subito di quel gesto. Poco lontano dal finestrino c’era ragazza sulla trentina che mi guardava. Aveva lunghi capelli castani e occhi neri. Stava parlando con mio papà e imparte a lei erano posate tre valige di cuoio nero. Sperando che non mi avesse notata chiusi subito gli occhi. Bene, una delle domande se ne era andata, perché su una delle sue valige era scritto in caratteri dorati il nome “Cindy”. A quanto pare anche un'altra domanda se ne era andata: sì, la fidanzata di mio papà veniva a vivere con noi. E io sarei vissuta con lei. Ok… forse non era antipatica, forse mi sarebbe stata molto simpatica, ma non saremmo mai potute essere amiche. Mio papà aveva tradito mia madre per lei. Era una specie di compito darle battaglia, essere ostinata nei suoi confronti e farla impazzire per il solo scopo di far capire a mio padre che io non volevo lei, che volevo mia madre, che aveva sbagliato tutto e che non mi capiva. Era un piano abbastanza allettante, ma prima dovevo sapere se lei era simpatica o no. Non riuscivo a crederci. Era questo che mi aveva nascosto? Che la sua fidanzata sarebbe venuta a vivere con noi? Che altro dovevo aspettarmi? Speravo sinceramente che fosse tutto finito li. Era decisamente troppo. Mio padre aveva davvero pensato che la sua fidanzata avrebbe potuto sostituire facilmente mia madre? Lei mia aveva messa al mondo, questa invece non sapevo nemmeno chi era. C’è una bella differenza.
Almeno mi rimaneva la mia bella casa, la scuola, i luoghi in cui amavo andare, che mi piacevano di più. Non vedevo l’ora di vedere Cecilia per poterle raccontare tutto quello che mi era successo nell’ultimo anno, per sentirmi dire che ero cresciuta tantissimo, per vedere l’unica persona che riuscisse davvero a capirmi, nonostante non pensassi di essere difficile da comprendere, bastava ascoltarmi qualche volta. Cecilia era la mia migliore amica, la mia unica amica, e non ero riuscita a mettermi in contatto con lei per un anno. Quado due portiere si chiusero capii che mio padre e Cindy erano saliti in macchina, e così ripartimmo. Dopo le ultime scoperte il sonno mi si era tolto di dosso e adesso continuavo a pensare se andare avanti a fingere di dormire finchè non sarei arrivata a casa oppure fare finta di svegliarmi. Non sapevo dove abitava Cindy quindi non sapevo quanto sarebbe potuto durare il viaggio verso casa. Ero tentata di fare davvero finta di svegliarmi, per vedere che cosa avrebbe detto mio padre. E poi mi sarebbe piaciuto fare la faccia sbalordita e sparare domande così velocemente da vedere la faccia di mio padre cambiare colore da rosso, a viola, a verde, a bianco pallido. Ero davvero molto tentata di farlo… ma purtroppo mio padre non lo odiavo abbastanza. E mi sarei rovinata mettendomi a ridere, quindi non mi conveniva. Prima o poi avrei fatto comunque la faccia stupita, e forse avrei anche potuto spaccare qualcosa gettandolo a terra o scagliandolo contro mio padre. Avrei aspettato poco, e avrei urlato tanto.
Quindi aspettai. E aspettai. E aspettai ancora di più. Ma casa mia non arrivava e inizia a preoccuparmi fui tentata di sbirciare il finestrino ma se avessi aperto gli occhi mi avrebbero vista. Ripensai al fatto di far finta di svegliarmi, ma rinunciai. Il viaggio andò avanti per quella che mi sembrò una mezz’ora. Poi sentii la macchina fermarsi, le portiere aprirsi e poi richiudersi. “tu entra in casa, tieni le chiavi… io devo parlare con lei… devo spiegarle” disse mio padre a Cindy. Passò qualche secondo poi la portiera che stava sul mio lato della macchina si aprì e mio padre mi chiamò per svegliarmi “sveglia Claire… ti devo parlare… siamo… a casa…” aprii gli occhi di colpo e lo fissai. Vidi un leggero movimento delle tende dietro la finestra, e capii che Cindy ci guardava. Che strano… le tende le ricordavo bianche… non porpora. E ogni tassello del puzzle andò al suo posto. Quella non era casa mia. Era la casa di Michael e Cindy. Non la mia, di mio padre e di mia madre. Da quando avevo visto  quella casa lui non era più mio padre. Un altro paese… un’altra casa… un’altra donna… e io che rimanevo li senza dire niente e guardavo mio padre infuriata, mentre lui distoglieva lo sguardo per non fissarmi negli occhi. Sapevo cosa fare. Non mi importava più se fosse simpatica o no. Non lo facevo per la giustizia di mia madre. Stavolta lo feci per conto mio. Entrai in “casa” a passo di carica ed entrai nella stanza dove avevo visto muoversi le tendine. Ed eccola li, in piedi, che mi guardava esterrefatta con la bocca aperta e il suono di una parola muta, o che non riuscì a pronunciare più in fretta di me. “brutta bastarda! Tu sei un incubo! Sei entrata nella mia vita senza che io volessi e mi hai fatto cambiare casa, hai pensato di poter sostituire mia madre, hai fatto si che Michael tradisse mia madre per te! Hai preso anche la mia vita! L’hai cambiata come si fa con le bambole! E ci vuoi ancora giocare! Io non voglio questa vita, non voglio questa casa e non voglio TE!” dissi tutto d’un fiato urlando allo stremo delle forze, sicura che i nuovi vicini potessero sentirmi, tanto per avere una buona prima impressione su di loro. “vattene! Quella è la porta! Almeno penso… sai io non mi sono ancora ambientata!” ma qualcuno mi afferrò per la manica della felpa. Cercai di togliermi di dosso mio padre ma lui mi fece voltare e mi tirò uno schiaffo, anche bello forte. Passò qualche secondo, in cui gli volli dire che era uno stronzo, ma pensai che mi avrebbe tirato un altro schiaffo, quindi passai al piano B, e lo guardai intensamente negli occhi, facendo cadere una lacrima dai miei. Una lacrima da oscar. Sentii il suo cuore perdere un colpo e lui mia abbracciò forte continuando a sussurrarmi delle scuse. Ma il piano non finiva li. Dovevo fargliela pagare, e far sentire le persone in colpa mi faceva stare molto meglio. “quando c’era la mamma non mi avevi mai nemmeno sfiorata” dissi facendo cadere altre lacrime sulla sua spalla. “mi dispiace, scusa, scusa, scusa, non volevo, ho fatto male, non era mia intenzione, mi dispiace tantissimo” disse lui, ma con uno gesto me lo scrollai di dosso e feci la faccina triste più convincente che mi riuscì, trattenendo a stento le risate. “non ti riconosco, tu non sei più il mio papà” dissi piangendo di nuovo con una voce leggermente da bambina. Uscii da quella che mi ero accorta essere la sala da pranzo intanto che mio padre si sedeva per terra con il viso tra le mani. Appena fuori dalla porta mi voltai a guardare Cindy, con un’espressione sprezzante le feci l’occhiolino lasciandola a bocca aperta e con un ghigno me ne andai verso la macchina per prendere le mie valige. Quando aprii la porta vidi che una ragazza mora poco più grande di me stava risalendo il vialetto di casa con una torta in mano. Sentii profumo di cioccolata. “ciao… ehm, io abito nella casa di fronte, dall’ altro lato della strada. Vi ho portato una torta per darvi il benvenuto. Spero vi piaccia… ehm… era tua madre ad urlare prima? Si è sentito ovunque…” disse la ragazza “grazie, sei molto gentile, è un fantastico benvenuto… e… no, ero io ad urlare…” le risposi “oh, scusami, non volevo… offenderti… mi dispiace…” “non ti preoccupare , non mi hai offesa. Va tutto bene” “ma eri arrabbiata con tua madre?” chiese evidentemente curiosa “no… mia madre è… ehm… lei non è più qui. E se te lo stai chiedendo, quello non è mio padre. Cioè… non lo è più. Grazie ancora per la torta, ci vediamo in giro… come hai detto che ti chiami?” le chiesi di fretta “non l’ho detto, ma comunque il mio nome è Anna Banghi. E te?” “Clarissa Crisalba, piacere di conoscerti, ma chiamami pure Claire, tutti mi chiamano Claire. Adesso devo proprio andare, ok?” le dissi “ok, ciao. Se avete bisogno di qualcosa noi siamo al numero tredici. Ci vediamo” e così dicendo si voltò verso casa sua e si incammino. Rientrai silenziosa in cucina, appoggiai la torta sul tavolo e una volta fuori mi diressi verso la macchina. La aprii e presi le mie valige zebrate viola. Rientrai in casa e stando attenta a non farmi sentire portai le valige al piano di sopra. Le lasciai vicino alle scale e mi aggirai per il corridoio aprendo le porte delle stanze per vedere quale era la mia. Al primo piano di sicuro c’erano la cucina, la sala da pranzo, il soggiorno, un bagno e mi era parso di vedere anche una piccola zona tranquilla con delle librerie vuote ai muri, che mio padre avrebbe di sicuro trasformato nel suo studio. Al piano di sopra c’era una gigantesca camera matrimoniale per Cindy e papà, la stanza degli ospiti, un altro bagno e una camera grande quella matrimoniale che, ne ero sicura, spettava a me. Ripresi le mie valige e le portai dentro. Le pareti erano state dipinte con una sfumatura che andava dal lilla chiaro al blu elettrico e delle decorazioni floreali porpora. Nel centro c’era un letto da una piazza e mezza. Mi ci sedetti sopra e mi guardai attorno. Mi accorsi che la camera era del tutto vuota. La parete opposta rispetto a dove mi trovavo era bianco panna e sembrava creata apposta per uno spazio di studio. Infine mi accorsi di una porta vicino a quella di entrata. Scesi dal letto e la aprii. Con stupore ci trovai un bagno privato. A quanto pare mio padre aveva previsto che l’avrei presa male quella storia e aveva fatto di tutto per chiedere scusa.
Uscii dalla camera e notai un’altra porta di fronte a me. La aprii ma era solo una piccola stanza vuota tutta completamente bianca. Di sicuro voleva regalare una cabina armadio a Cindy. Ma poi notai una cosa strana. Sul soffitto c’era una botola. Cercai ovunque ma non vidi sedie. Entrai in tutte le stanze ma non ne trovai. Così scesi in cucina e ne presi una di nascosto. Tornai nella camera vuota e aprii la botola semi visibile da sotto. Dentro c’era una fantastica soffitta. Se mio padre non se ne fosse accorto, lo avrei trasformato nel mio rifugio segreto. Mi girai per uscire e vidi un biglietto che prima non c’era. Diceva:
so che l’hai presa male Claire. Io ti voglio bene, sei la mia unica figlia e voglio farmi perdonare a tutti i costi, quindi ti regalo la camera da letto di fronte con bagno privato e questo piccolo spazio che userai come luogo di studio. Ti prego di perdonarmi. Spero che tu ti ricordi sempre che ti voglio un bene immenso.
Papà
Commossa tornai di sotto cercando papà e Cindy, seduti su un piccolo divano semi distrutto, che guardavano la tv, una specie di scatolone grigio che prendevano a malapena. Appena mi vide, mio padre si alzò in piedi e mi guardò inespressivo. Io gli corsi incontro e lo abbracciai forte. “ti voglio un mondo di bene, grazie mille” gli dissi. Lui, stupito, ricambiò l’abbraccio. Cindy gentilmente uscì dal soggiorno per lasciarci soli, e subito mi sentii in colpa per averla trattata male prima. Volevo rimediare “Cindy aspetta” le dissi. Lei si fermò e mi guardò “mi dispiace per prima. Quello che ho detto non lo pensavo e non lo penso davvero, vale per entrambi. Mi sono comportata malissimo e lo so, non mi sorprenderebbe se tu non mi voglia più parlare. E’ che sono partita con il piede sbagliato. Questa casa è fantastica e nel vecchio paese non c’era nulla a cui ero legata. E ancora non ti conosco abbastanza per giudicarti. In realtà io non ti conosco per niente. Mi dispiace tantissimo. Mi perdoni?” le dissi con l’aria più triste che potevo riuscire a trasmetterle “certo che ti perdono Claire. e anche di più. Ti capisco. Io avrei reagito allo stesso modo. Spero che possiamo essere ottime amiche.” Subito scoppia in lacrime sincere e andai ad abbracciarla. “bene, adesso possiamo andare a comprare i mobili. Ti va di scegliere l’arredamento delle tue stanze Claire?” chiese mio padre. Ero esterrefatta… “posso scegliere come arredare le mie stanze? Tutto quello che voglio?” “bè… basta che non vuoi spendere un milione, allora va bene. Però io devo aspettare qua… il camion del trasloco, con i mobili della nostra casa e di quella di Cindy, dovrebbe arrivare oggi pomeriggio… potete andare te e lei se volete. Così vi potreste conoscere meglio no?” Cindy mi guardò per un momento come per chiedere il mio parere e io risposi subito “è una fantastica idea” facendo comparire un sorriso sul suo volto.
Quello fu probabilmente il pomeriggio più lungo della mia vita. Io e Cindy partimmo subito e andammo in centro per vedere dei negozi di vestiti. Mi lasciò comprare due magliette, tre vestiti e due paia di scarpe coi tacchi. Era tutto favoloso. Poi andammo a pranzo in una pizzeria nei dintorni e infine andammo nei negozi di arredamento. Tornammo a casa e sistemammo tutto in piena sintonia. Durante le spese avevamo avuto modo di parlare e scoprire di avere molte cose in comune. Alla fine nella mia camera c’era un letto blu elettrico con cuscini pelosi lilla. In parte un comodino di legno antico con una lampada porpora conteneva tutti i miei quaderni e libri di scuola. Uno specchio era fissato alla parete con una sbarra di legno perfetta per danzare. Sull’altra parete c’era il quadro di una ballerina nel bel mezzo di un grand-jeté e tante foto di me da piccola con vari tutù di danza. In parte c’erano un armadio e una scarpiera con dentro i miei vestiti e le mie scarpe. Alla finestra c’erano delle tendine lilla mentre un tavolino con una sedia che sembrava far parte del camerino di una star si trovava ad un lato della parete bianca, con dentro tutti i miei accessori, i miei trucchi e i miei smalti. Il tocco di classe era una piccola tv a schermo piatto vicino al letto e la parete bianca che adesso era costellata di poesie scritte da me o da altri poeti o scrittori famosi, nelle tonalità del blu e del viola. Nella stanza di studio invece troneggiavano i colori pesca, albicocca e arancione. Una scrivania si trovava in fondo alla stanza con sopra un computer portatile collegato ad una stampante. Una libreria era comparsa in un lato della stanza ed era piena dei miei libri della vecchia casa e dei miei gingilli, per non parlare degli album di fotografie e della foto incorniciate. Quel giorno avevamo anche posato un parchè di legno chiaro per degli allenamenti di danza in casa. Dall’altro lato della stanza infatti c’era uno specchio gigante con una sbarra, uguale a quello nella mia camera. Avevo anche confidato a Cindy della soffitta e lei mi aveva giurato di mantenere il segreto. Adesso anche in quella c’era una piccola libreria con dei libri, tanti cuscini morbidi e pelosi per rilassarsi, una lampada vecchio stile che illuminava tutto l’ambiente dando un tocco di classe, un tappeto viola comodissimo e due pouf lilla e blu su cui sedersi. In più al centro c’era anche un tavolino basso, nero e lucido su cui potevo anche portare il pranzo o la cena, quando volevo stare da sola nei miei giorni no. Cindy l’avevo davvero sottovalutata. Era una ragazza splendida e solare, l’unica che riuscisse a capirmi davvero… ma in quel momento mi ricordai di Cecilia. Dovevo chiamarla per dirle tutto quanto, dall’ inizio alla fine. Salii di corsa in camera mia e presi subito il telefono. Digitai il numero e attesi. Nessuno rispose. Provai di nuovo. Nessuno, solo silenzio. Non poteva non rispondere. Non poteva non sentire. Non poteva non essere in casa, non proprio quando lei la chiamava dopo così tanto tempo! Non dopo che aveva così tante cose nuove da dirle! Provai per un ultima volta e la voce di una donna rispose “pronto?” “salve lei è la madre di Cecilia?” le chiesi “sì, sono io, chi è che parla? Cosa vuole?” “mi scusi per averla disturbata signora ma ho un bisogno urgente di parlare con sua figlia. Io sono Claire, lei era la mia baby sitter”  silenzio. La donna non parlava “pronto… signora è ancora li? Va tutto bene?”  chiesi preoccupata “sì, ci sono ancora, cara Claire, Cecilia mi ha parlato moltissimo di te. Ha aspettato una tua chiamata per quasi un anno! Che fine avevi fatto? Perché non l’hai chiamata?” “mi dispiace signora ma non ne ho avuto la possibilità” dissi “oh certo, che maleducata. Mi dispiace moltissimo per tua madre, una donna fantastica. E il padre? Come sta? Va tutto bene?” “si va tutto bene. Benissimo direi. Era proprio questo di cui volevo parlare con Cecilia” dissi. Sentendo il silenzio calare di nuovo come un ombra la serenità di poco prima svanì “signora è ancora li? Mi può passare sua figlia? Va tutto bene?” chiesi preoccupata “mi dispiace cara, ma non posso passarti mia figlia” disse la signora con uno strano senso di somma tristezza nella voce “perché? Le è successo qualcosa?” “sì. Le è successa una cosa… povera…” disse la signora in singhiozzi. L’ultima volta che avevo sentito rispondere così al telefono non era stato per buone notizie. Anzi, era stato per annunciarmi la morte di mia madre. Non capivo più niente… le lacrime avevano iniziato a scendermi sul volto, come se i miei occhi fossero un passo avanti al mio cervello. “cosa le è successo?” chiesi trattenendo un “no”, senza capire perché mai avrei dovuto dire una cosa del genere. Non solo i miei occhi, era come se tutto il mio corpo fosse avanti al cervello… o il mio cervello era indietro rispetto al mio corpo. Mi sforzai di non temere il peggio. “le hanno trovato un tumore abbastanza sviluppato e… e hanno dovuto operarla” capii che non era triste per il tumore. Era successo qualcos’altro. Dopo l’operazione. “come è andata?” chiesi “come è andata l’operazione?” “non bene… mi dispiace… adesso è… è… in coma…” merda! Perché a tutte le persone di cui mi importava qualcosa accadevano sempre cose brutte? Mia madre, mio padre, Cecilia. “oh mio Dio! Mi dispiace, davvero, mi dispiace moltissimo… cosa… da quanto?” “tre mesi. Coma profondo. Potrebbe… potrebbe non risvegliarsi mai più… ci credi?” no, non ci credevo, ma non lo dissi. “mi dispiace tantissimo. Adesso… devo andare… scusi, mi dispiace tanto ma… io… o no… perché proprio Cecilia?! Mi dispiace. Mi dispiace. A… arrivederci” dissi, ma lei riattaccò prima di me. Non poteva essere vero. Non Cecilia. Non la mia Cecilia. Non la mia unica amica. Lanciai il telefono sul letto e scesi di corsa le scale. Andai dritta in giardino rannicchiandomi in un angolo. Mi feci piccola piccola, in modo da non farmi vedere da nessuno. Piccola in confronto al mondo che avevo davanti e che mi attendeva. Il mondo che avrei dovuto affrontare inesorabilmente. Pregai con tutte le mie forze che Cecilia si risvegliasse o che sua madre mi richiamasse per dirmi che era solo uno scherzo. Ma non accadde niente. Intorno a me era calato il silenzio, come se fra me e il resto del monde si fosse formata una barriera invisibile che mi tappava le orecchie. Quel silenzio mi distruggeva. Non riuscivo a sopportarlo. Dopo qualche secondo scoppiai in un pianto irrefrenabile, ma era ancora troppo silenzioso, troppo muto. Allora urlai. Urlai ma non sentii niente. Urlai di nuovo. Niente. Di nuovo. Niente. Eppure sapevo di aver urlato fortissimo, perché vidi le tende della casa a fianco e la ragazza che ci aveva portato la torta, di cui mi ero già dimenticata il nome, che spiava e mi guardava male pensando che non l’avessi vista. Mi rannicchiai ancora di più e mi misi il viso tra le gambe, cercando di nasconderlo il più possibile. Pensai che fino a qualche minuto prima quello era stato il giorno più bello della mia vita. Adesso sarebbe anche potuto diventare il più brutto. Di solito in quelle situazioni era mia madre a tirarmi su… ma adesso dove era? Dove era mia mamma? Era ancora seduta accanto a me senza che io riuscissi a vederla? Non so quanto tempo passò, ma dopo un po’ decisi di alzarmi ed entrai in casa, cercando di pensare a cosa avrei fatto da quel giorno in avanti.
 
 
Eccomi qua con il mio nuovo capitolo. Scusatemi per il ritardo ma non trovavo mai tempo con l’inizio della scuola. Vorrei ringraziare RiccioLilli che mi da sempre una mano per queste storie, recensisce sempre e mi sopporta quando le chiedo che ne pensa della storia. Vorrei ringraziare anche tutti i lettori muti di questa storia che anche se non commentano leggono anche solo un capitolo. In più vorrei dire che se volete avere in mente l’aspetto di Claire io ho pensato a Bella Thorne ma ovviamente ognuno può immaginarsela come le pare e piace, avrei anke voluto postare una sua foto peccato che non ho la minima idea di come si faccia XDXDXD. 
Vi ringrazio ancora un mondo,
Bacioni, da Savo!!!
  
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