You did not think when
you sent me to the brink, the brink
You desired my attention but denied my affections, my affections
Mumford & Sons
«Lasciami».
A Jaime sembrava sempre lo stesso teatrino che si ripeteva volta dopo volta: gli occhi di Cersei che lo guardavano con desidero, le sue mani che lo spingevano via, lo schiaffo di circostanza e il suo abbandonarsi tra le sue braccia, le dita di lei che cercavano le sue e le conducevano sul collo.
Nelle lunghe ore passate in piedi a guardare il vuoto, ritto davanti alla porta del Re senza un vero scopo, Jaime aveva tempo per pensare, per rimpiangere e per arrabbiarsi. Lì, immobile, con la mascella serrata e le mani strette sull’elsa della spada, finiva sempre per domandarsi se non avesse effettivamente sbagliato tutto dall’alba dei tempi. Se le sue decisioni, così cavalleresche e gagliarde, non fossero una serie di errori uno dietro l’altro.
Le risate sguaiate di Robert dietro la porta di legno pesante, le sue lamentele da vecchio ubriacone, gli insulti alla sua famiglia, la voglia di ricordare tempi passati che solo agli occhi di un idiota come lui potevano ancora rimanere come memorie degne di nostalgia.
Jaime aveva la nausea di tutto ciò. La notizia che Tyrion era stato catturato gli procurò una strana – sbagliata? – scarica di piacere: finalmente i complotti e i sussurri potevano trasformarsi in battaglie e azioni. Aveva voglia di sporcare quel mantello bianco che gli pesava addosso come un macigno, renderlo lordo di sangue e cervella, un rosso scarlatto degno di un Lannister; spaccare il mondo e fracassarlo e mettere finalmente a tacere quel verme di insicurezza che lo stava macerando da dentro.
«Il re è morto».
Il padre non aveva alzato gli occhi dalle lettere che stava scrivendo, riportava la notizia come se si trattasse di un’osservazione sulle condizioni metereologiche di una giornata qualsiasi. Fece una pausa, una di quelle pause spaventevoli, come un lungo sospiro di vento che sta per preannunciare una tempesta.
«E siamo ufficialmente in guerra con il Nord».
Pur essendo un cavaliere, Jaime ne aveva avuto di tempo libero per pensare: ora che si trovava in una gabbia a cielo aperto, legato e dolorante, poteva ammettere candidamente di avere tutto il tempo del mondo per pensare.
Sarebbe sopravvissuto, questo non lo dubitava. Non riusciva neanche a concepire una soluzione diversa da quella. Ora che il castello di carte costruito in anni di pace era finalmente crollato lui poteva prendere in mano la situazione.
L’avrebbe sposata. Avrebbe finalmente potuto riconoscere i suoi figli. Strappar loro di dosso quel cognome infame di quel porco ubriacone.
Non aveva niente da perdere e tutto da guadagnare. Aveva una vita da riprendersi indietro, un’esistenza che pensava di non potere mai più ottenere.
L’aveva sognata così a lungo. L’aveva desiderata così a lungo, ogni parte del suo corpo sembrava provare il doppio del dolore al pensiero di Cersei, quasi capisse che l’unica soluzione per tornare a stare meglio fosse quella di riunirsi con la donna che la natura stessa gli aveva consegnato come compagna fin dal ventre della propria madre.
Non la ricordava così bella, con i capelli che le cadevano di lato, le mani che accarezzavano una conchiglia – una di quelle che avevano raccolto a Lannisport la prima volta che erano andati lì con la madre? - le braccia snelle che lo invitavano a farsi stringere.
O forse lui era semplicemente più brutto e più sporco, gli occhi gonfi e le palpebre pesanti, tanto da riuscire a guadagnare un sorriso di pietà da Brienne.
«Cersei…»
Non voleva che la voce gli uscisse così bassa, non voleva rimanere così fermo, come un mendicante vergognoso di richiedere delle attenzioni. Forse di richiederle indietro, di riavere qualcosa che per anni aveva ceduto senza se e senza ma e di cui ora aveva incredibilmente bisogno.
Non ricordava i suoi occhi così freddi, non ricordava le labbra così tese, spaventate, disgustate. Abbassò lo sguardò e gli parve di notare la punta di un mantello: non bianco, non rosso scarlatto, ma lercio. Sporco e basta. Di uno sporco che sembrava avergli tolto il respiro.
Angolo Autrice:
di questa fanfiction sono molto più soddisfatta della precedente. Trovo il personaggio di Jaime, e in particolar modo la sua crescita, uno tra i più affascinanti e interessanti della saga. Non riesco a odiarlo nonostante l'orrendo gesto all'inizio della saga, e sono stata felice di scrivere questa breve flash. Spero che piaccia a voi tanto quanto è piaciuto a me scriverla.
Alla prossima, miei cari lettori - se ci siete :P
A Jaime sembrava sempre lo stesso teatrino che si ripeteva volta dopo volta: gli occhi di Cersei che lo guardavano con desidero, le sue mani che lo spingevano via, lo schiaffo di circostanza e il suo abbandonarsi tra le sue braccia, le dita di lei che cercavano le sue e le conducevano sul collo.
Nelle lunghe ore passate in piedi a guardare il vuoto, ritto davanti alla porta del Re senza un vero scopo, Jaime aveva tempo per pensare, per rimpiangere e per arrabbiarsi. Lì, immobile, con la mascella serrata e le mani strette sull’elsa della spada, finiva sempre per domandarsi se non avesse effettivamente sbagliato tutto dall’alba dei tempi. Se le sue decisioni, così cavalleresche e gagliarde, non fossero una serie di errori uno dietro l’altro.
Le risate sguaiate di Robert dietro la porta di legno pesante, le sue lamentele da vecchio ubriacone, gli insulti alla sua famiglia, la voglia di ricordare tempi passati che solo agli occhi di un idiota come lui potevano ancora rimanere come memorie degne di nostalgia.
Jaime aveva la nausea di tutto ciò. La notizia che Tyrion era stato catturato gli procurò una strana – sbagliata? – scarica di piacere: finalmente i complotti e i sussurri potevano trasformarsi in battaglie e azioni. Aveva voglia di sporcare quel mantello bianco che gli pesava addosso come un macigno, renderlo lordo di sangue e cervella, un rosso scarlatto degno di un Lannister; spaccare il mondo e fracassarlo e mettere finalmente a tacere quel verme di insicurezza che lo stava macerando da dentro.
«Il re è morto».
Il padre non aveva alzato gli occhi dalle lettere che stava scrivendo, riportava la notizia come se si trattasse di un’osservazione sulle condizioni metereologiche di una giornata qualsiasi. Fece una pausa, una di quelle pause spaventevoli, come un lungo sospiro di vento che sta per preannunciare una tempesta.
«E siamo ufficialmente in guerra con il Nord».
Pur essendo un cavaliere, Jaime ne aveva avuto di tempo libero per pensare: ora che si trovava in una gabbia a cielo aperto, legato e dolorante, poteva ammettere candidamente di avere tutto il tempo del mondo per pensare.
Sarebbe sopravvissuto, questo non lo dubitava. Non riusciva neanche a concepire una soluzione diversa da quella. Ora che il castello di carte costruito in anni di pace era finalmente crollato lui poteva prendere in mano la situazione.
L’avrebbe sposata. Avrebbe finalmente potuto riconoscere i suoi figli. Strappar loro di dosso quel cognome infame di quel porco ubriacone.
Non aveva niente da perdere e tutto da guadagnare. Aveva una vita da riprendersi indietro, un’esistenza che pensava di non potere mai più ottenere.
L’aveva sognata così a lungo. L’aveva desiderata così a lungo, ogni parte del suo corpo sembrava provare il doppio del dolore al pensiero di Cersei, quasi capisse che l’unica soluzione per tornare a stare meglio fosse quella di riunirsi con la donna che la natura stessa gli aveva consegnato come compagna fin dal ventre della propria madre.
Non la ricordava così bella, con i capelli che le cadevano di lato, le mani che accarezzavano una conchiglia – una di quelle che avevano raccolto a Lannisport la prima volta che erano andati lì con la madre? - le braccia snelle che lo invitavano a farsi stringere.
O forse lui era semplicemente più brutto e più sporco, gli occhi gonfi e le palpebre pesanti, tanto da riuscire a guadagnare un sorriso di pietà da Brienne.
«Cersei…»
Non voleva che la voce gli uscisse così bassa, non voleva rimanere così fermo, come un mendicante vergognoso di richiedere delle attenzioni. Forse di richiederle indietro, di riavere qualcosa che per anni aveva ceduto senza se e senza ma e di cui ora aveva incredibilmente bisogno.
Non ricordava i suoi occhi così freddi, non ricordava le labbra così tese, spaventate, disgustate. Abbassò lo sguardò e gli parve di notare la punta di un mantello: non bianco, non rosso scarlatto, ma lercio. Sporco e basta. Di uno sporco che sembrava avergli tolto il respiro.
But
tell me now, where was my fault
In loving you with my whole heart
In loving you with my whole heart
Angolo Autrice:
di questa fanfiction sono molto più soddisfatta della precedente. Trovo il personaggio di Jaime, e in particolar modo la sua crescita, uno tra i più affascinanti e interessanti della saga. Non riesco a odiarlo nonostante l'orrendo gesto all'inizio della saga, e sono stata felice di scrivere questa breve flash. Spero che piaccia a voi tanto quanto è piaciuto a me scriverla.
Alla prossima, miei cari lettori - se ci siete :P