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Autore: _ems    24/09/2013    5 recensioni
E lei è piombata una sera di maggio tra i tuoi piedi, seduta al bordo di un marciapiede, ed illuminata da un unico lampione, ti è sembrata un miraggio. Rideva a crepapelle di una battuta che, lo sapevi, esisteva solo nella sua mente. Muoveva le mani come se danzasse, o almeno ci provasse, ed avvicinandoti di più ti sei reso conto che quel ridere non era altro che un canto. Sconnesso e ineducato in un inglese da far sanguinare le orecchie, ma con una mimica facciale da far scompisciare. Sei rimasto lì, un sopracciglio alzato, e con le braccia incrociate al petto – appoggiato a quell’unico lampione – l’hai osservata arrancare tra le proprie parole. Hai riconosciuto la canzone in un attimo, più dei tuoi tempi che dei suoi, ed hai scosso la testa sorridendo.
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[La storia è arrivata QUINTA ed ha vinto il premio “Miglior titolo” al contest “(Multifandom e originali) L'inizio della fine?” indetto da Cosmopolita1996 sul forum di EFP.]
[La storia è arrivata PRIMA al contest “Il contest dei temi. [Multifandom e Originali.]” indetto da Lady Atena sul forum di EFP.]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Col cuore in tempesta e le mani in tasca.”

Fissavi la televisione senza guardarla davvero. Ti sei lasciato cadere sul divano svogliatamente – finendo per sederti sulla tua mano ed il telecomando – e solo dopo aver imprecato a denti stretti, sulla scarsa utilità di certi gesti, hai iniziato a cercare il telecomando.
L’hai trovato poco dopo, accorgendoti solo in quel momento che qualcosa di estraneo ti premeva contro una natica: la destra, per la precisione. Hai tenuto gli occhi fissi sullo schermo per cinque minuti buoni, poi, già stufo, hai iniziato a cambiare canale. Le dita correvano veloci sul telecomando, tenendo a stento il passo con i tuoi pensieri. Un pensiero sconnessa, vagamente accennato, non fa neanche in tempo ad affacciarsi nella tua mente che tu, prontamente, hai già cambiato canale ed idea. La gamba continua a muoversi in modo ritmato: il tallone che non tocca terra, ormai stanco, ti duole appena. Hai iniziato a muovere la gamba con tanta velocità da riuscire a spostare, di poco, anche il divano.
Lei è andata via da poco.
Avete passato un pomeriggio come tanti, impegnati nell’unica attività che vi siete mai concessi, il tempo è sembrato volare più del solito. Ha varcato la sogna di casa tua felice, non l’hai mai vista sorridere in quel modo: il sorriso le tagliava la faccia in modo delizioso, gli incisivi le premevano appena sul labbro inferiore e due piccole fossette si erano fatte spazio sui lati. Le hai sorriso d’istinto, forse contagiato da quel sorriso genuino o forse, chissà, semplicemente felice di vederla.
«La prossima volta che vai in vacanza vengo con te» hai esordito, scherzando. «In pratica sei sparita».
Lei ha allargato ancor di più il sorriso, sorprendendoti alla scoperta di una bellezza nuova, ed ha scosso appena la testa.
«Mi dispiace» ha iniziato. «Ho avuto un periodo difficile».
Hai alzato le mani, come a difenderti da un’arma invisibile, e ti sei avvicinato a lei.
«Non importa» hai replicato. «Ora sei qui».
È scoppiata a ridere poggiando, in quel suo modo delicato, una mano sul tuo petto.
«L’astinenza ti ha reso dolce, eh?»
Hai riso a tua volta, cercando di nascondere quanto in realtà ti avessero turbato quelle parole, e hai fatto quello che più ti riesce meglio: offrire tutto te stesso alle sue mani.
Oh, quelle mani, così dolci e premurose!
Riesci ancora a sentirle sul tuo corpo che, dopo tanti mesi, ancora vagano incerte e impaurite sul tuo torace. Hai percepito le sue dita, così piccole rispetto alle tue, giocherellare con i peli del petto, indugiandoci forse più del previsto. Scuoti la testa, in modo violento, cercando di fuggire a quei pensieri. Fissi il televisore in silenzio, fingendo ancora una volta di guardarlo, finché finisci col passarti una mano tra i capelli, stizzito. Quando noti che questo gesto, dettato ormai dall’abitudine, non basta a calmarti lancia il telecomando per aria, colpendo la parete di fronte a te.
L’orologio, che tanto precariamente se ne stava sul muro, è caduto e il suo specchio si è frantumato in mille pezzi. Hai borbottato qualcosa di sconnesso sulla precarietà, la scaramanzia e i sette anni di sfortuna, che ti attendevano da quel momento in poi, alzandoti dal divano. Per un attimo ti sei sentito sperduto, guardandoti attorno quasi impaurito, mentre una gelida consapevolezza ti è piovuta addosso: le sue mani hanno indugiato a lungo su ogni parte del tuo corpo, quasi studiandolo minuziosamente. Hai sempre pensato che è proprio così che avresti voluto dirle addio: studiando ogni lembo della sua pelle, imprimendo sotto i tuoi polpastrelli ogni piccola reazione che il suo corpo pallido e delicato ti suscitasse, seguendo con gli occhi le sue curve appena accennate, ancore acerbe o forse inesistenti del tutto. Un corpo perfetto, nella sua piccola imperfezione. Non certo come il tuo, ricoperto di cicatrici un po’ ovunque.
Aveva baciato ogni tua cicatrice, quel pomeriggio.
Quelle piccole e tonde, sparse qua e là sulla tua schiena, e le tre cicatrici sul petto - molto più appariscenti – che gonfio d’orgoglio le avevi mostrato la prima volta: orgoglioso di una vita che hai preso un po’ come veniva, vivendola come meglio ti riusciva. Senza mai tirarti indietro hai combattuto le tue battaglie sperando, un giorno, di poter trasformare ogni rissa in un racconto entusiastico ed ogni arrancare in un trionfo dell’anima.
Col cuore in tempesta e le mani in tasca hai affrontato questa vita, da solo ti sei costruito.
E lei è piombata una sera di Maggio tra i tuoi piedi, seduta al bordo di un marciapiede, ed illuminata da un unico lampione, ti è sembrata un miraggio. Rideva a crepapelle di una battuta che, lo sapevi, esisteva solo nella sua mente. Muoveva le mani come se danzasse, o almeno ci provasse, ed avvicinandoti di più ti sei reso conto che quel ridere non era altro che un canto. Sconnesso e ineducato in un inglese da far sanguinare le orecchie, ma con una mimica facciale da far scompisciare. Sei rimasto lì, un sopracciglio alzato, e con le braccia incrociate al petto – appoggiato a quell’unico lampione – l’hai osservata arrancare tra le proprie parole. Hai riconosciuto la canzone in un attimo, più dei tuoi tempi che dei suoi, ed hai scosso la testa sorridendo.
Sweet Dreams.¹
Mai, ma proprio mai, la notte ti aveva offerto uno spettacolo tanto idilliaco.
Quando ha riaperto gli occhi e le sue guancie si sono istantaneamente tinte di rosso, imbarazzata, si è morsa un labbro senza mai, però, staccare gli occhi dai tuoi. Tu, dal canto tuo, sei riuscito a fuggire ai suoi occhi solo dopo un po’. Ti sei piegato sulle ginocchia con naturalezza – quassi passasi le notti a disturbare piccole fanciulle canterine – e afferrando il cellulare che aveva poggiato sulle cosce hai cambiato canzone. Lei ti ha guardato in silenzio, ancora titubante, ha lasciato che le proprie labbra si stendessero in un sorriso incerto mentre lentamente andava a scuotere la testa.
«Questa la canto in modo penoso» ti ha detto.
«Non importa» hai replicato. «Cantavi in modo penoso anche l’altra».
Hai adorato subito la piccola smorfia comparsa sul suo viso. Ti sei chiesto distrattamente se fosse davvero così pallida, o forse era il lampione – che emanava una luce troppo fiocca per poter davvero essere considerata un’illuminazione – ad impallidirla in quel modo quasi malato.
L’hai accompagnata a casa quella sera, prendendola un po’ in giro sulla velocità con la quale aveva accettato il passaggio.
«Per stasera» aveva detto. «Non ho nulla da perdere».
Non hai chiesto, non hai indugiato sul suo tono né, in seguito, hai cercato di far chiarezza su quella sua affermazione. In fondo era solo una sconosciuta che aveva rallegrato per un breve momento la tua serata. Il giorno dopo l’avevi ritrovata nel bar di fronte all’università – lo stesso locale in cui avevi lavorato per due anni – e lei era diventata la sconosciuta che, dopo aver rallegrato per un breve momento la tua serata, aveva deciso di rallegrare anche la tua collazione. Si era presentata ai tuoi amici senza indugi, stringendo diverse mani sporche d’inchiostro – le tue più di tutte le altre – ricordandosi le buone maniere. Tu, sorpreso di rivederla lì, sei rimasto a fissarla per un po’ inclinando la testa di lato.
«Che fai qui?»
Le hai chiesto cercando di apparire disinvolto. La tua mente, in quel momento, si stava semplicemente chiedendo se non ti fossi imbattuta in una psicopatica che da quel momento, o dalla sera prima, o da chissà quanto tempo, avrebbe sprecato la sua vita perseguitandoti.
«Sto aspettando mio padre» aveva risposto, stringendosi nelle spalle. «Insegna filosofia all’università».
Hai alzato un sopracciglio divertito, notando solo in quel momento la vaga somiglianza con uno degli insegnanti che tanto spesso avevi visto vagare per i corridoi dell’università.
«De Angelis» hai replicato, con un mezzo sorriso. «È un po’ fissato con gli ideali, lo sai? Un po’ troppo».
Lei era scoppiata a ridere, portandosi una mano alla bocca – gesto che, a dirla tutta, era riuscito a farti rimanere proprio secco – e scuotendo la testa aveva recuperato con una mano i fogli sparsi per il tavolino d’alluminio. Una volta calmatasi, aveva depositato i fogli nella propria tracolla, ed alzandosi aveva sollevato un angolo della bocca.
«Lui mi nutre d’idealismo».
Sono state le sue uniche parole. Un attimo dopo era già fuori, abbracciata all’uomo che, a quanto parava, l’aveva fatta venir su a pane ed ideali.
Ancora oggi, a distanza di mesi, non riesci a spiegarti come tutto sia iniziato. Qualche giorno dopo avevi visto il padre appendere alla bacheca degli annunci un foglio: uno di quei tipici fogli d’annuncio, con tanto di numero annesso.
Cercava qualcuno che potesse dare ripetizioni d’inglese alla figlia.
La cosa non ti aveva stupito per nulla, l’avevi già sentita cantare in inglese ed era palese che, alla fine, con un po’ di buon senso chiedesse aiuto. E perché rischiare che uno qualsiasi sporcasse il suo viso pallido? Quello era compito tuo. Era uno sporco compito, ma qualcuno avrebbe pur dovuto svolgerlo.
La prima volta l’avevi accolta in casa tua con calma, senza negarla quella gentilezza che traspariva da ogni suo gesto, che sembrava metterla in pace col resto del mondo, quasi fosse la sua protezione alla vita. Una settimana dopo vi eravate spostati in soggiorno, quella dopo avevate già occupato il letto. Avevi riso – oh, come avevi riso! – quando, quasi per sbaglio, la consapevolezza che la ragazza che ti ansimava sul petto, ormai sfinita, era una ragazzina che era capita per sbaglio sulla tua strada solo alcune notti prima.
L’hai sentita irrigidirsi alla tua risata, e tu lentamente hai lasciato vagare una mano su e giù per la sua schiena ancora nuda – gesto che sarebbe diventato l’equivalente alla tanto abusata sigaretta - fino a rilassarla di nuovo.
«Non mi era mai successo nulla del genere».
Avevi ammesso quasi colpevole, scuotendo appena la testa. Lei ha alzato la testa, ti ha sorriso in un modo tutto suo e tu per un attimo ti sei sentito orgoglioso di te stesso, di cosa, poi, non lo sai neanche tu.
Stava scivolando via dalle tue mani.
Lo avevi capito in quel momento, sentendoti sperduto in un sentimento che non credevi di star provato. La stavi perdendo e tu, che di legarti non ne avevi mica sentito il bisogno, non eri pronta a lasciarla andare. Non avrebbe retto, lo sapevi fin dall’inizio… in fondo neanche tu eri, poi, tanto sicuro di tutto ciò. Tu che avevi avuto nel tuo letto, tra le tue lenzuola, solo due donne – e mai solo per una notte! – ti eri ritrovato in qualcosa d’inspiegabile, che agli occhi tuoi appariva giusta. Ti eri chiesto più volte se forse, in preda ad un capriccio stupidamente infantile, non ti fossi spinto troppo in là. Avevi provato più volte, con una determinazione non da poco, a porre fine a tutto ciò, ma lei arrivava ogni volta con una luce diversa negli occhi, un entusiasmo sempre nuovo animava i suoi gesti. E tu dicevi che era tutto lì, solo sesso. Che era tutto lì e non importava, se ogni sorriso era un battito in meno, ed ogni carezza un brivido in più. Perché era solo sesso e a quello si può sempre metter fine.
Col cuore in tempesta e le mani in tasca, te lo ripetevi ogni volta come un mantra… e ci credevi.
Richiudevi la porta alle sue spalle, soddisfatto di te stesso, oscillando tra le pieghe di una felicità riscoperta da poco fino a quando i dubbi, e i tormenti, e le domande ed i perché non tornavano a galla.
E lei tornava ogni volta, e ti sorrideva chiedendoti come stavi e tutto tornava come prima.


“Poi mi chiedi come sto e il tuo sorriso spegne i tormenti e le domande:
a stare bene, a stare male, a torturarmi, a chiedermi perché.”


Hai afferrato le chiavi di casa di corsa, prima ancora di comprendere il tuo gesto eri già in strada: a passo spedito hai camminato per le vie di una città che avevi imparato ad amare, così come ad odiare. Hai schivato pedoni, biciclette, alcune motociclette ed anche una macchina – posteggiata in secondo fila in malo modo – prima di giungere a destinazione: il lampione del vostro incontro era ancora là, ora solo più affollato.
Hai scoperto essere una fermata dell’autobus solo alcuni mesi prima, quando in ritardo t’aveva pregato di darle uno strappo col motorino fino a casa.
«Non te lo chiederei, lo sai» aveva esordito. «Solo che… ho perso l’autobus!»
«Certo che ti do un passaggio» avevi ribattuto, confuso. «C’è una fermata dell’autobus da queste parti?» Avevi chiesto stupito.
Lei si era limitata ad annuire, con quel suo modo speciale di sorridere, stringendosi nelle spalle.
«Il lampione funge anche da fermata».
Era stata la seconda ed ultima volta che l’avevi accompagnata a casa, rendendoti stranamente contro che sì, il lampione era proprio di strada. Anche se da quella volta non eri capitato più, neanche per sbaglio, da quelle parti, ricordavi perfettamente dov’è fosse situato. E come poter dimenticare una cosa tanto importante? Agli occhi della gente è un lampione come un altro, ma tu lì per la prima volta ti sei sentito vivo guardando divertito una ragazzina arrancare nel proprio inglese.

La cerchi con lo sguardo, impaziente di leggere nei suoi occhi l’entusiasmo che tanto ami, la leggerezza e la dolcezza che tanto brami. La cerchi con lo sguardo, impaziente di cogliere nei suoi gesti quella gentilezza che tanto ti fa sentire amato e protetto. La cerchi con lo sguardo e non la trovi e quasi geli pensando che forse – dannazione! – l’hai davvero persa.
Col cuore in tempesta e le mani in tasca, sei pronto ad andar via… quando voltandoti la vedi.
Ti sta osservano con occhi critici, un sopracciglio leggermente sollevato e la testa inclinata di lato.
Probabilmente, pensi, si starà chiedendo cosa ci fai lì. E noti con tristezza che il suo sorriso è ormai spento: ha gli occhi lucidi e deglutisce più volte, senza osare avvicinarsi a te. Ignori la supplica che leggi a ogni sua movimento esitante, e i suoi passi indietro ti stanno chiedendo di lasciarla andare, abbandonarla lì dove l’hai incontrata e lasciarla affogare nei propri sentimenti distrutti. E come puoi tu, con questo cuore in tempesta che ti ritrovi, darle ascolto? Come puoi non sentire male, non sentirti sporco, per quegli occhi dolci?

“(…) e tanto ti amo,
che per quegli occhi dolci
posso solo stare male
e quelle labbra prenderle
e poi baciarle al solo,
perché… so quanto fa male
la mancanza di un sorriso
quando allontanandoci, sparisce
dal tuo viso e fa paura,
tanta paura.”


Ti avvicini a passo deciso, con due lunghe falcate sei già davanti a lei e sorridi: perché stavolta tocca a te essere gentile e prendenti cura di lei, in ogni tuo gesto.
E forse per questo poggi la tua mano, nel modo più delicato possibile, sulla sua guancia ormai rigata dalle lacrime. E forse per questo, ti ritrovi a baciar via ogni lacrima senza alcuna esitazione. E forse per questo imbarazzato t’infili le mani in tasca e la osservi, con un mezzo sorriso a ornarti le labbra, e lei si avvicina, infila le mani nelle tue tasche, intrecciando le proprie dita con le tue, e se ne sta lì: a guardarti negli occhi.
«Ho rotto l’orologio» esordisci. «Prima… a casa».
Temporeggi, perché le parole d’amore che tanto vorresti affidarle faticano ad uscire dalle tue labbra.
Lei si acciglia, aggrondando la fronte, ti guarda confusa fino a scuotere lentamente la testa.
«Oh…» dice, e le sue labbra si muovono appena. «Mi piaceva molto quell’orologio».
Lasci che un sorriso t’increspi appena le labbra, consapevole. Era una frase che ripeteva spesso, quella. Entrava in casa, sorridendoti ti chiedeva come stavi e poi i suoi occhi si perdevano per la stanza – che mai mutava dalla sua ultima visita – e soddisfatta ti ripeteva ogni volta che quell’orologio era davvero bello.
«Potremo provare ad aggiustarlo…» proponi, titubante. «Credo di avere ancora qualche residuo di conoscenza falegnameristica¹, affogato sotto chissà cos’altro».
Ti stringi nelle spalle vedendola sorridere. Forse c’è davvero speranza nei suoi occhi, o forse semplicemente hai deciso di giocarti un brutto scherzo… vedendo cose che non ci sono, ma sai che non importa: qualsiasi sia la sua risposta tu non mollerai, perché hai deciso che la vita, ogni tanto, è più bella se in due.
«Sì…» sussurra lei, dopo un po’. «Possiamo provare ad aggiustarlo».
Aggiunge con voce sicura. Le sorridi, perché lei – diamine! – ha ripreso a sorriderti in quel suo modo tanto speciale.
«Ti accompagno io più tardi a casa».
E la tua non è una richiesta, né una supplica. È una semplice costatazione, dovuta da una piacevole consapevolezza e dalla voglia, quel malsano desiderio, di voler aggiungere finalmente un’abitudine in più alle tue giornate. E lei annuisce, avvicinando il suo viso al tuo, e lentamente, con quei gesti che sono solo suoi e di nessun’altra, strofina il suo naso freddo sulla tua guancia.
Col cuore in tempesta e le mani in tasca siete lì e vi baciate… sentendovi eterni.



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1. Non sono sicura che il termine esista davvero. In tal caso bene, se no consideriamola una “licenza poetica” xD

Le canzoni sono, in ordine d’apparizione, queste:
1. Sweet Dreams – La Bouche.
2. La differenza tra me e te – Tiziano Ferro.
3. E fuori è buio – Tiziano Ferro.

Banner carinissimo creato dalla giudiciA del Contes “(Multifandom e originali) L'inizio della fine?” nel quale sono arrivata quinta, vincendo il premio miglior titolo.

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