Anime & Manga > Card Captor Sakura
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Autore: Faffy    25/03/2008    1 recensioni
Fanfiction confusa, molto strana, direi. Non anticipo i personaggi, perchè so già che quando la leggerete mi odierete a morte. Nata mentre scrivevo "Don't phunk with my heart". Come nasce il fuoco.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura, Touya/Toy
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Hotaru

Hotaru                                                                   * (alla dolce De-Chan)*

ホタル

 

Sakura chiru

Hisae yūbe to

Nari ni keri

*

In questo giorno

Che tramonta

Sono caduti i fiori di ciliegio

 

Fuori dalla finestra tenebre abissali inondavano infinitamente, quiete e placide, i profili sopiti del paesaggio ottenebrato.

La Luce, divina aurea Dea, ora giaceva inerme tra fronde di boschi di fatato chiarore cullata dalle odorose brezze silvestri. Nascosta dalle braccia del Buio, desto mentre la sua amante dorme, ed altro non può fare che cullarla, perché luce e tenebra non possono fare l’amore e mescolarsi. Forse, se invece accadesse, i colori e la terra ed il vento ed i sensi umani tutti, sospirerebbero eternamente, mentre profilarsi apparirebbero agli occhi umani i contorni bui di immense ali d’angeli a disperdere come foglie secche ogni mortale pensiero e susseguirsi di tempestosi tormenti.

Eppure vi sono delicatissimi secondi in cui la perlacea Dea risolleva le palpebre nella sua ora di sonno e la Tenebra v’ancora le unghie ai fianchi, affonda il capo nella spalla di lei e ne stringe dolorosamente i seni impregnandosi in lacrime di quel momento di contatto con lei, che in un sospiro infinito ricade addormentata per ripetere il suo ciclo di eterna negazione del suo amato: sveglia nel riposo di lui, morta nella sua rinascita. Ma sono dunque tali preziosi attimi quelli in cui crepe sottili scuotono la fosca cortina rivelandone la luce che occulta? Nei fulmini possenti è dunque svelato il loro impeto momentaneo e secolare? Quale triste tragedia romantica è l’esistenza… Quale tragicomico teatro di Clown in lacrime, mentre pugnalano chi amano. Logorante logorante logorante…

Furono questi i miei pensieri alla mite constatazione della notte che sorgeva possentemente.

Fuori mio padre aveva portato un piattino di latte per i gatti, che stranamente non ne avevano toccato, ed ora io osservavo piccole lucciole volarvici attorno. Si avvicinava l’Hanami: la festa della fioritura, eppure né io prestavo attenzione alle lezione di Sasaki che enumerava i molteplici haiku su i ciliegi e la primavera, né Sakura stava studiando musica per suonare col flauto come ogni anno in occasione della festa insieme all’orchestrina della scuola. Di quell’orchestra a dire il vero si salvava solo un ragazzo del quinto che studiava violino, Sakura col flauto era un disastro.

Ecco tutto.

Ma se quantomeno, come d’abitudine ci saremmo dovuti organizzare per il pick-nik al parco, dove di ciliegi ne erano fioriti a centinaia, o per la passeggiata per le bancarelle, quell’anno ignorammo completamente l’evento. Non fu una dimenticanza o un impigrimento, semplicemente quell’anno le cose avevano assunto una svolta differente: una settimana prima ci venne annunciato che tutti gli studenti avrebbero potuto partecipare alle selezioni grazie alle quali per due di noi sarebbe stato finanziato un viaggio studio in Inghilterra: un alunno a Londra e l’altro a Cambridge.

Io e Sakura pensammo subito che sarebbe stata una buona occasione per passare tempo insieme inosservati tra persone che non sapevano del nostro legame di sangue.

Diedi ripetizioni a mia sorella, ma fu inutile, forse anche perché ogni tentativo di studio si tramutava in lunghi baci appassionati tanto da farla finire sulla scrivania, mentre libri, penne e talvolta vasi di fiori cadevano inevitabilmente.

Fummo scelti io e Yukito: lui a Londra e io a Cambridge.

Sakura si impuntò come una bambina capricciosa e ottenne da nostro padre che l’avrebbe comunque mandata con me a sue spese. “Ci perderemo l’Hanami” avevo commentato io.

Così ignorammo tutti i preparativi della festa.

Considerarla la mia ragazza era assolutamente nuovo ed eccitante per me. Qualcosa mi gridava prepotentemente mia nella testa come un’eco lontana. Come un lamento possessivo e pressante. Come il canto di un elfo torturato, col volto da Cherubino rigato di sangue, che scivola dalla sua corona di spine, di cui ha adorne le argentee chiome. Una dissonanza netta e divina di un coro di stolti e monocordi spiriti silvestri.

Mia

Fino alla totale distruzione del nostro delicato piccolo mondo nascosto in una sfera di vetro.

Mia

Finché il sogno sarebbe rimasto sospeso, io non l’avrei mai lasciata andare.

Le piccole hotaru, le lucciole, continuavano ad ondeggiare come riflessi di onde lievi e morbide di capelli. Piccole armoniose stelle in terra.

Io pensai ancora al suo corpo. A volte la gente pensa che chi fotte ogni cosa per amore sia uno sdolcinato o uno stupido, uno smielatissimo idiota o una stupida troia che si prostituisce per dare una mano al fidanzato. Le persone giudicano come insulsi computer convinti di sapere tutto e di aver perfettamente messo in analisi ogni dannato dettaglio della vita.

La gente non sa un bel niente.

Io vivo nel mio mondo di falene lucciole e sesso. Nessuno mi darebbe mai del romantico, ma al tempo stesso alcun essere umano amerà mai qualcun altro come io desideravo la mia donna, mia sorella Sakura.

Mi intrufolai in camera sua. Il suo viso posava morbidamente sul cuscino. Le sue lenzuola osavano dove le mie dita volevano intrufolarsi: non solo sulle gambe, sul petto e sui suoi fianchi morbidi, anche sui suoi capelli, tra le sue dita, sulle sue ginocchia, sui suoi piedi. Le sfiorai la guancia chiara, schivo come mio solito senza voler far altro. Temevo ancora per lei: se a causa mia fosse stata perduta…

Assottigliai gli occhi fissandola. Era maledettamente bella.

Era…

Uscii dalla sua camera sentendomi distrutto.

Lei era il mio dolce angelo.

Per me aveva rifiutato Dio ed ora era tra le mie braccia, e presto o tardi i fumi infernali della mia dimora l’avrebbero intossicata deturpando il suo fulgido chiarore.

Le voci delle sirene si levano alte a cantare in folli grida il dolore, perché la loro preziosa perla si è incrinata.

Ora.

E per sempre.

Il mattino dopo era domenica e pioveva. Lunedì saremmo partiti. Addio Hanami. Addio papà. Addio passato.

Siamo soli.

Come i sogni: apparteniamo ad un mondo fumoso ed al risveglio siamo dimenticati da tutti.

Siamo soli.

Ma non abbiamo bisogno di nessuno, solo di noi.

Fui colto improvvisamente da un pensiero, un’idea; corsi a svegliare Sakura, la costrinsi a vestirsi e a seguirmi, pioveva, ma non avevamo ombrelli o cappotti. Era così presto che tutta la città dormiva grigia e silenziosa, io portai Sakura al parco di ciliegi.

Fu come immaginai matematicamente che dovesse essere: la pioggia scuoteva i rami dei ciliegi facendo cadere petali o fiori interi come cascate.

Sakura si mise a ridere euforica, io la presi in braccio, mentre le gocce di pioggia disegnavano una fitta ragnatela trasparente sul suo corpo ed il suo viso splendente di gioia.

Il vestito era stropicciato in molteplici pieghette che seguivano i suoi meravigliosi contorni.

Quando la sollevai mi mise le gambe attorno ai fianchi piegò il capo all’indietro ridendo euforica e felice, mentre il profumo della pioggia si univa a quello dei ciliegi. Io la premetti contro un tronco d’albero poggiando la testa sul suo petto, prima del seno, mentre ancora lei era allacciata alla mia vita.

Volli vivere solo del suo profumo e del picchiettare della pioggia.

Non sentii e pensai ad altro.

Profondamente ed intensamente lei.

Senza mai più rimpianti, senza mai più pensieri… dimentichiamoli tutti, abbandoniamoli tutti.

Sakura continuava a ridere. L’acqua era perfetta e pura, semplice e fresca. Salvifica.

Io tremavo per il freddo, ma morii del calore della sua pelle, della sua mano sulla mia testa. Sakura rideva e forse piangeva anche.

“Sono libera!” gridò.

“Sono libera”

 “Libera” mormorai con gli occhi chiusi.

Ti dirò ti amo, un giorno, forse, tra le tue mani mi salvasti e dannasti, con le tue braccia mi hai coperto e le tue ali con cui mi hai riparato, mio dolce angelo, hanno sanguinato agli impietosi artigli che vollero colpirci, ora sei umana. Ora non hai ali, eppure ti basta.

Ti basta essere una donna priva delle grazie di Dio.

Ti basta essere per sempre la mia donna dalle labbra bagnate dalla pioggia.

O una lucciola a dar speranza al buio sentiero del pellegrino.

Ti amo.

*

*

*

*

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