Hotaru
* (alla dolce De-Chan)*
ホタル
Sakura chiru
Hisae yūbe to
Nari ni keri
*
In questo giorno
Che tramonta
Sono caduti i fiori di
ciliegio
Fuori
dalla finestra tenebre abissali inondavano infinitamente, quiete e placide, i
profili sopiti del paesaggio ottenebrato.
Eppure
vi sono delicatissimi secondi in cui la perlacea Dea risolleva le palpebre
nella sua ora di sonno e
Furono
questi i miei pensieri alla mite constatazione della notte che sorgeva
possentemente.
Fuori
mio padre aveva portato un piattino di latte per i gatti, che stranamente non
ne avevano toccato, ed ora io osservavo piccole lucciole volarvici attorno. Si
avvicinava l’Hanami: la festa della fioritura, eppure né io prestavo attenzione
alle lezione di Sasaki che enumerava i molteplici haiku su i ciliegi e la primavera,
né Sakura stava studiando musica per suonare col flauto come ogni anno in
occasione della festa insieme all’orchestrina della scuola. Di quell’orchestra
a dire il vero si salvava solo un ragazzo del quinto che studiava violino,
Sakura col flauto era un disastro.
Ecco
tutto.
Ma
se quantomeno, come d’abitudine ci saremmo dovuti organizzare per il pick-nik
al parco, dove di ciliegi ne erano fioriti a centinaia, o per la passeggiata
per le bancarelle, quell’anno ignorammo completamente l’evento. Non fu una
dimenticanza o un impigrimento, semplicemente quell’anno le cose avevano
assunto una svolta differente: una settimana prima ci venne annunciato che
tutti gli studenti avrebbero potuto partecipare alle selezioni grazie alle
quali per due di noi sarebbe stato finanziato un viaggio studio in Inghilterra:
un alunno a Londra e l’altro a Cambridge.
Io
e Sakura pensammo subito che sarebbe stata una buona occasione per passare
tempo insieme inosservati tra persone che non sapevano del nostro legame di sangue.
Diedi
ripetizioni a mia sorella, ma fu inutile, forse anche perché ogni tentativo di
studio si tramutava in lunghi baci appassionati tanto da farla finire sulla
scrivania, mentre libri, penne e talvolta vasi di fiori cadevano
inevitabilmente.
Fummo
scelti io e Yukito: lui a Londra e io a Cambridge.
Sakura
si impuntò come una bambina capricciosa e ottenne da nostro padre che l’avrebbe
comunque mandata con me a sue spese. “Ci perderemo l’Hanami” avevo commentato
io.
Così
ignorammo tutti i preparativi della festa.
Considerarla
la mia ragazza era assolutamente nuovo ed eccitante per me. Qualcosa mi gridava
prepotentemente mia nella testa come
un’eco lontana. Come un lamento possessivo e pressante. Come il canto di un
elfo torturato, col volto da Cherubino rigato di sangue, che scivola dalla sua
corona di spine, di cui ha adorne le argentee chiome. Una dissonanza netta e
divina di un coro di stolti e monocordi spiriti silvestri.
Mia
Fino
alla totale distruzione del nostro delicato piccolo mondo nascosto in una sfera
di vetro.
Mia
Finché
il sogno sarebbe rimasto sospeso, io non l’avrei mai lasciata andare.
Le
piccole hotaru, le lucciole,
continuavano ad ondeggiare come riflessi di onde lievi e morbide di capelli.
Piccole armoniose stelle in terra.
Io
pensai ancora al suo corpo. A volte la gente pensa che chi fotte ogni cosa per
amore sia uno sdolcinato o uno stupido, uno smielatissimo idiota o una stupida
troia che si prostituisce per dare una mano al fidanzato. Le persone giudicano
come insulsi computer convinti di sapere tutto e di aver perfettamente messo in
analisi ogni dannato dettaglio della vita.
La
gente non sa un bel niente.
Io
vivo nel mio mondo di falene lucciole e sesso. Nessuno mi darebbe mai
del
romantico, ma al tempo stesso alcun essere umano amerà mai
qualcun altro come io desideravo la mia donna, mia sorella Sakura.
Mi
intrufolai in camera sua. Il suo viso posava morbidamente sul cuscino. Le sue
lenzuola osavano dove le mie dita volevano intrufolarsi: non solo sulle gambe,
sul petto e sui suoi fianchi morbidi, anche sui suoi capelli,
tra le sue dita, sulle sue ginocchia, sui suoi piedi. Le sfiorai la guancia
chiara, schivo come mio solito senza voler far altro. Temevo ancora per lei: se
a causa mia fosse stata perduta…
Assottigliai
gli occhi fissandola. Era maledettamente bella.
Era…
Uscii
dalla sua camera sentendomi distrutto.
Lei era il mio dolce
angelo.
Per
me aveva rifiutato Dio ed ora era tra le mie braccia, e presto o tardi i fumi
infernali della mia dimora l’avrebbero intossicata deturpando il suo fulgido
chiarore.
Le
voci delle sirene si levano alte a cantare in folli grida il dolore, perché la
loro preziosa perla si è incrinata.
Ora.
E
per sempre.
Il
mattino dopo era domenica e pioveva. Lunedì saremmo partiti. Addio Hanami. Addio
papà. Addio passato.
Siamo
soli.
Come
i sogni: apparteniamo ad un mondo fumoso ed al risveglio siamo dimenticati da
tutti.
Siamo
soli.
Ma
non abbiamo bisogno di nessuno, solo di noi.
Fui
colto improvvisamente da un pensiero, un’idea; corsi a svegliare Sakura, la
costrinsi a vestirsi e a seguirmi, pioveva, ma non avevamo ombrelli o cappotti.
Era così presto che tutta la città dormiva grigia e silenziosa, io portai
Sakura al parco di ciliegi.
Fu
come immaginai matematicamente che dovesse essere: la pioggia scuoteva i rami
dei ciliegi facendo cadere petali o fiori interi come cascate.
Sakura
si mise a ridere euforica, io la presi in braccio, mentre le gocce di pioggia
disegnavano una fitta ragnatela trasparente sul suo corpo ed il suo viso
splendente di gioia.
Il
vestito era stropicciato in molteplici pieghette che seguivano i suoi
meravigliosi contorni.
Quando
la sollevai mi mise le gambe attorno ai fianchi piegò il capo all’indietro
ridendo euforica e felice, mentre il profumo della pioggia si univa a quello
dei ciliegi. Io la premetti contro un tronco d’albero poggiando la testa sul
suo petto, prima del seno, mentre ancora lei era allacciata alla mia vita.
Volli
vivere solo del suo profumo e del picchiettare della pioggia.
Non
sentii e pensai ad altro.
Profondamente
ed intensamente lei.
Senza
mai più rimpianti, senza mai più pensieri… dimentichiamoli tutti,
abbandoniamoli tutti.
Sakura
continuava a ridere. L’acqua era perfetta e pura, semplice e fresca. Salvifica.
Io
tremavo per il freddo, ma morii del calore della sua pelle, della sua mano
sulla mia testa. Sakura rideva e forse piangeva anche.
“Sono
libera!” gridò.
“Sono
libera”
“Libera” mormorai con gli occhi chiusi.
Ti dirò ti amo, un giorno,
forse, tra le tue mani mi salvasti e dannasti, con le tue braccia mi hai
coperto e le tue ali con cui mi hai riparato, mio dolce angelo, hanno
sanguinato agli impietosi artigli che vollero colpirci, ora sei umana. Ora non
hai ali, eppure ti basta.
Ti basta essere una donna
priva delle grazie di Dio.
Ti basta essere per sempre
la mia donna dalle labbra bagnate dalla pioggia.
O una lucciola a dar
speranza al buio sentiero del pellegrino.
Ti amo.
*
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*
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