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Autore: Niere    24/09/2013    1 recensioni
Livia e Gianluca, in passato, erano una coppia affiatata, ma la vita li ha cambiati e tutto ciò che è rimasto del loro amore è un bambino di quattro anni e tanto rancore. Il rancore però annebbia la ragione ed entrambi si ritroveranno a mettere in dubbio le scelte fatte, le loro convinzioni e i loro sentimenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I ricordi non si possono archiviare - POV Gianluca

Quel giorno non andai al lavoro, avevo una visita medica per verificare che fosse tutto a posto. Il medico mi visitò attentamente e il suo esito fu positivo: ero sano come un pesce. Mi consigliò solamente di far controllare il ginocchio, che ogni tanto mi procurava qualche fitta di dolore.
Quando rientrai a casa, decisi di sistemare il mio pc. Avrei dovuto formattarlo ed era necessario fare un bel salvataggio di tutti i file. Presi l’ hard-disk esterno e iniziai a trasferire documenti, filmati e foto. Al termine, notai una cartella che avrei voluto cancellare, qualche mese prima, ma non ne avevo trovato il coraggio. Erano le foto con Livia, da quando ci eravamo conosciuti fino alla primavera dell’ anno precedente. La aprii, dopo tanto tempo e iniziai a guardarle, sorridendo a quelle più buffe o a quelle legate a momenti divertenti. E i ricordi iniziarono a riaffiorare prepotentemente.
La prima volta che la vidi, avevo da poco compiuti diciassette anni. Era seduta su una panchina del cortile di scuola, insieme ad alcune sue amiche. La conobbi solo perché Christian, il mio compagno di banco, aveva un debole per Serena, una sua compagna di classe. Livia era diversa da tutte le ragazze che avevo conosciuto: era semplice, solare, i suoi occhi grandi sembravano non voler perdere neanche un dettaglio del mondo. All’ inizio non era interessata a me, probabilmente sognava il ragazzo perfetto ed io non lo ero. Passavo da una ragazza all’ altra, non rispettavo il coprifuoco di mia madre, non volevo sentir parlare di regole. Ero un perfetto idiota, ma volevo cambiare. E così, abbandonai l’ aria da bullo solo per conquistarla. E stranamente ci riuscii. Livia era la prima cosa bella che mi capitò in quei diciassette anni: era intelligente, ironica, sensibile e sembrava capirmi, anche quando commettevo qualche errore. Il tempo volò in fretta e arrivarono le vacanze estive, passate per la maggior parte del tempo ad Anzio.
Dopo l’ estate, iniziammo a crescere veramente: arrivammo ai nostri diciotto anni, alla preoccupazione per gli esami di maturità, al chiederci cosa avremmo fatto delle nostre vite. Quell’ anno mi ritrovai a studiare come un matto, solo per farla contenta e uscii con un bel 91, che in confronto al 100 di Livia perdeva il suo valore. Dopo gli esami, decidemmo di trascorrere qualche settimana in Spagna, dai suoi parenti. In quelle tre settimane, capii di non essere ben visto dalla sua famiglia. Sua madre mi detestava senza alcun motivo reale, era evidente a tutti che sperasse che io e Livia ci lasciassimo. Con gli altri suoi parenti la situazione non era di certo diversa: i suoi zii quasi mi ignoravano, utilizzando la scusa che non parlassi lo spagnolo. Le sue cugine Celia e Laura erano troppo prese dai vestiti firmati e dai loro ragazzi per socializzare con me, il cugino Angel era un tipo di poche parole e ci degnava della sua presenza solo per pochi istanti. L’ unico cugino con riuscii a stringere amicizia era Marc, che parlava un italiano un po’ traballante.
Al ritorno dalla Spagna, Livia iniziò l’ università, aveva scelto di studiare architettura, incoraggiata da Marta. Io mi dedicai alla ricerca di un lavoro e grazie al voto conseguito alla maturità, venni assunto da una piccola società di ingegneria. Il lavoro era stressante e sottopagato, ma mi piaceva veramente. Io mi destreggiavo tra impegni lavorati, tante ore di straordinario, documenti da revisionare a casa, mentre Livia si divideva tra lo studio e il lavoro part-time come cameriera nella pizzeria sotto casa sua, ma riuscivamo sempre a ritagliare del tempo per noi. Livia non era solo la mia ragazza, era la mia migliore amica: sapeva ridere, ma anche essere seria, sapeva prendermi in giro, ma anche affidarsi a me. Aveva lo strano dono di adattarsi ad ogni esigenza del mio caratteraccio e se lei era al mio fianco non sentivo più le preoccupazioni, lo stress, la stanchezza. Rimaneva solo la luce dei suoi occhi, il suo sorriso da bambina, la sua risata piena di vita. Era come vivere in una bolla che isolava il resto del mondo.
Ma la storia della bolla era solo una favola per bambini, e me ne accorsi nel gennaio 2008. Livia, il giorno successivo all’ epifania, si presentò a casa mia bianca come un lenzuolo. Da perfetto imbecille, credevo si trattasse di una semplice influenza, ma mi sbagliavo: era incinta. Era uno shock, potevo aspettarmi tutto tranne quello: eravamo sempre stati attenti. Anche lei non sapeva spiegarselo, ma di una cosa era certa: non avrebbe mai avuto il coraggio di abortire. Capii all’ istante che entrambi volevamo tenere quel bambino che stava per stravolgere le nostre vite. La fortuna fu dalla nostra parte, come se tutto fosse sotto uno strano disegno divino: ottenni una promozione al lavoro, la banca ci concesse un mutuo e acquistammo un appartamento nel quartiere dove eravamo cresciuti ed infine ci sposammo nella parrocchia vicino casa di Livia, proprio come desiderava Ines, che sosteneva di non poter tollerare che sua figlia non si sposasse con rito religioso.
Il 5 settembre 2008, a dieci giorni dal mio ventunesimo compleanno, nacque Matteo. Ed iniziammo una vita a tre: le alzatacce nel cuore della notte, i pianti del bambino, le visite dalla pediatra, i primi sorrisi e le parole senza senso, il battesimo. Eravamo felici, le difficoltà non ci spaventavano e tantomeno riuscivano a toglierci il nostro entusiasmo. Livia rinunciò all’ università e, dopo alcuni colloqui disastrosi, venne assunta alla Realizzazione Metis e la nostra situazione economica divenne più rosea. Intanto Matteo cresceva e si iniziò a notare la somiglianza con sua madre: gli stessi occhi castani con pagliuzze verdi, la stessa carnagione e stesso colore di capelli, lo stesso sorriso. In un batter d’ occhio arrivò una nuova estate, passata ad Anzio. Fu un estate diversa, alle prese con Matteo che iniziava a muovere i primi passi e che aveva conquistato l’ intera spiaggia: mamme, nonne, ragazze e bambine. Il mio campione non aveva ancora un anno e già faceva strage di cuori. Proprio come suo padre.
Dopo il primo compleanno di Matteo, il matrimonio con Livia non fu più rose e fiori. Io avevo ricevuto una nuova promozione, che mi costringeva ad ulteriori straordinari e a qualche trasferta nel Lazio. Livia sembrava non voler capire che dovevo dedicare più tempo al mio lavoro, che non potevo tralasciare le mie responsabilità. Non capiva il perché non rientravo a casa per cena, perché lavoravo nel fine settimana e perché non potevo partecipare alle riunioni all’ asilo nido di Matteo. Smise di comprendermi e di starmi accanto: era sempre di pessimo umore, era silenziosa e litigavamo quasi ogni giorno. Discutevamo su tutto, anche sulle questioni più futili. La mia vita iniziò a starmi stretta: troppo lavoro, troppe incomprensioni, troppi litigi. Il mio rapporto con Livia si era incrinato e dentro di me stava affiorando la sensazione che non l’ amassi più, perché la ragazza fantastica che mi aveva reso una persona migliore era stranamente scomparsa ed ero certo che non sarebbe più tornata.
Livia, infatti, stava diventando come sua madre: certa che lei fosse perfetta e che nessuno fosse al suo livello. Era un’ idea stupida, ma in quel periodo mi sembrò una constatazione intelligente. Così, decisi di fare a modo mio, di fregarmene delle aspettative di mia moglie: comprai la moto dei miei sogni, ripresi ad uscire con gli amici di vecchia data e a rientrare a casa sempre più tardi. Ignoravo gli impegni, le ricorrenze, le cene con i parenti. La nostra convivenza era fatta di silenzi, di sguardi assenti, di frasi mai dette. Osservavo spesso Livia, così perfetta in tutto, così capace di gestire alla perfezione la sua vita: il lavoro, Matteo, le sue amiche, la cura per il suo aspetto. Trovava sempre il tempo per fare tutto senza commettere errori ed io mi sentivo sempre più inadatto a lei. Non era come in passato, quando mi bastava passare qualche ora sui libri per convincere me stesso e gli altri che fossi l’ uomo giusto per lei. Io non riuscivo a stare al suo passo e stavo rimanendo indietro.
Livia mi lasciò in una calda serata di giugno, dopo una discussione come tante. All’ inizio ero certo che fosse la soluzione migliore, l’ inizio della mia nuova vita. Ma mi sbagliavo, io senza Livia e Matteo non ero nessuno.
  
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