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Autore: anneboleyn94    26/09/2013    4 recensioni
Quando Harry Potter scompare all'età di sette anni, l'intero mondo magico si affanna per cercarlo e portarlo in salvo, ma alla fine anche Silente è costretto ad arrendersi all'evidenza: Il Bambino che è Sopravvissuto è perduto per sempre...
O forse no?
All'insaputa di tutti, Harry arriva ad Hogwarts per il suo primo anno sicuro del suo talento e delle sue ambizioni, ma ha ancora tanto da imparare sul mondo dei maghi, e la Guerra nonostante tutto incombe.
E questa volta potrebbero non essere solo i maghi a scendere in campo.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Nota: la frase pronunciata da Veles all'inizio,  (Essa è una manifestazione del genio. È una delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o come il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo luna. Non può venire contestata. Regna per diritto divino e rende principi coloro che la possiedono) è presa dal Ritratto di Dorian Gray. Detto questo, vi lascio al capitolo.

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S’incamminò verso la macchina, senza prestare attenzione alla mano che la spingeva, o ai baci lascivi che il suo accompagnatore le lasciava sul collo.

Idiota.

Era andato nel locale dove lavorava quella sera, si era seduto in prima fila e aveva passato la serata a sbavarle dietro e infilarle banconote nelle mutande. Quando aveva finito il suo spettacolo, l’aveva aspettata fuori dal camerino. Le si era avvicinato, posandole una mano sul fianco e chiedendole all’orecchio se voleva andare con lui in albergo, per cento sterline. Lei aveva annuito, aveva preso le sue cose e aveva lasciato che la guidasse verso la sua macchina.

La disgustava.

Arrivati all’auto, le lasciò andare la vita e si mise a cercare le chiavi. Alex si guardò intorno. Erano in una stradina laterale, poco fuori dal night dove lavorava. Erano le quattro del mattino e non c’era anima viva. L’uomo stava armeggiando con le chiavi, le dava le spalle. Era grasso, sulla quarantina, e puzzava di alcool e sudore e eccitazione. Ma nonostante l’odore sgradevole, riusciva ancora a sentire il profumo inebriante del sangue che scorreva sotto gli strati di pelle flaccida. Non era il massimo, però era affamata, e le si era praticamente offerto su un piatto d’argento. Con uno scatto, lo afferrò per la spalla e lo voltò. L’uomo la guardò, sorpreso dalla sua irruenza, ma dovette leggere qualcosa nel suo viso, perché l’espressione lussuriosa e carica di aspettativa che aveva tenuto tutta le sera venne rimpiazzata da un barlume di paura.

Lo scacciò velocemente comunque, e le disse con un sorriso viscido: «Pensavo avremmo aspettato ad arrivare in albergo». Mosse un passo verso di lei, annullando la già esigua distanza che li separava. Lei non si mosse, si accorse a malapena che le aveva infilato le mani sotto la maglia. Guardava la vena sul suo collo.

Pulsava, pulsava.

Un brivido di desiderio la attraversò. Lui se ne accorse, perché smise di baciarle la clavicola e alzò lo sguardo su di lei.

Alex osservò con sublime distacco il colore andar via dalla faccia dell’uomo, i suoi occhi spalancarsi, la bocca aprirsi in uno squittio terrorizzato. L’uomo si gettò verso la macchina, cercando le chiavi con movimenti agitati, e lei si sorprese a simpatizzare per lui. Poteva capire il suo stato d’animo, ricordava bene il terrore che aveva provato lei quando aveva visto il bel viso di quello che aveva considerato il suo ragazzo trasfigurarsi in una maschera animalesca e affamata. Con un balzo gli fu addosso, gli strappò le chiavi di mano e le lanciò lontano.

«Ti prego» balbettò l’uomo, schiacciandosi contro l’auto come per mettere la massima distanza possibile tra loro. «Ti prego. Ho moglie e figli. Mi dispiace. Ti prego ho dei soldi. Prendili. Ecco prendili».

Ho moglie e figli. Quella frase la riscosse, facendole staccare lo sguardo famelico dalla giugulare dell’uomo. Moglie e figli. Qualcosa dentro di sé urlò, ma non riuscì a capire cosa dicesse. Aveva fame. Dannazione, aveva fame. Era l’unico pensiero corrente che riuscisse a formulare al momento, e lo espresse ad alta voce, quasi con tono di scusa. «Ho fame».

L’uomo la guardò per un secondo come se fosse pazza, ma poi annuì, e nel suo viso si accese un barlume di speranza. «Va bene, ti darò dei soldi. Ecco prendili» le mise in mano delle banconote. «E’ tutto quello che ho».

Ma lei aveva nuovamente smesso di prestare attenzione.  Nella sua mente, il volto sgradevole dell’uomo venne rimpiazzato da un viso conosciuto anni prima, un viso virile, attraente, incorniciato da una massa di onde biondo scuro.

«Sei bellissima»

«E’ un complimento banale, non trovi?»

«Non c’è niente di banale nella bellezza. Essa è una manifestazione del genio. È una delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o come il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo luna. Non può venire contestata. Regna per diritto divino e rende principi coloro che la possiedono.  »

Avrebbe dovuto capirlo allora. Aveva incontrato il suo Lord Henri, e per lei ci sarebbe stata solo dannazione.

La prima volta che aveva letto il capolavoro di Oscar Wilde, aveva provato disprezzo per coloro che cadevano vittima del fascino illusorio di Dorian, così concentrati sulla sua bellezza da non vederne la malvagità. Ora aveva compreso che la superficialità è il vizio che rende gli umani prede. Vi era caduta vittima lei, e ora quest’uomo. Questo sconosciuto, che quella sera aveva riso, l’aveva osservata, l’aveva toccata e non aveva nemmeno immaginato che sarebbe morto per sua mano in una sudicia strada di un sudicio quartiere di Londra.

Distaccata, senza più curarsi delle frasi sconnesse della sua vittima, gli saltò addosso e affondò i denti nel suo collo. Lui urlò e si dibatté, ma dopo pochi secondi smise, già indebolito dalla perdita di sangue.

Il sangue. 

C’era solo il sangue, che scorreva veloce dentro di lei. Veloce, come erano passati veloce i mesi dopo il loro incontro. Mesi di feste, divertimenti, lusso. Mesi di amore, o così aveva creduto.

«Io ti darò tutto. Realizzerò tutti i tuoi sogni».

Sciocca. Come aveva potuto credere a degli occhi il cui stesso colore conteneva un inganno? Rosso celato da un vetro azzurro come il cielo più limpido.

I suoi sogni. Ne aveva avuti tanti, un tempo. Sogni bianchi come le bende che alleviano le ferite, e aranciati come il tramonto africano. E invece aveva ottenuto solo il grigiore dei cadaveri e il rosso del sangue.

Allontanò il corpo dell’uomo, con un calcio. Tra qualche ora, quando si sarebbe sdraiata nello squallido monolocale dove abitava da ormai quattro anni, avrebbe pianto e si sarebbe graffiata il viso per il rimorso di quella vita spezzata, ma non ora. Ora, c’era l’estasi del sangue che scorreva nelle sue vene.

Era sazia.

 

 

Dal giorno della partita di Quidditch, la popolarità di Harry tra le serpi era salita di colpo. I suoi compagni di squadra lo adoravano già da prima, ma dopo la sua brillante performance contro i grifondoro tutti sembravano conoscere il suo nome. Spesso ragazzi che conosceva di sfuggita lo salutavano calorosamente nei corridoi e persino alcuni studenti di altre case gli si erano avvicinati per congratularsi.

Con quelli del suo anno invece le cose erano più complicate. Certo, erano rimasti impressionati dalla sua bravura e volevano condividere la sua nuova popolarità, ma d’altra parte i motivi di scontro non erano scomparsi. Draco in particolare sembrava essere profondamente indeciso su come comportarsi con lui: da un lato detestava che ci fosse qualcuno che gli rubasse la scena, dall’altro era al settimo cielo per la vittoria di serpeverde e non faceva che vantarsene davanti ai grifondoro e soprattutto davanti ai ragazzi Weasley, che a quanto pareva detestava per ragioni di famiglia. Philippe invece si trovava a disagio a stare i riflettori per via della sua amicizia con la star del momento, ma Harry gli aveva detto di non farci caso. «Vedrai, tempo due settimane e torneranno a ignorarci entrambi.»

Dalla finestra della Guferia, in cui si era recato nella speranza di trovare un po’ di pace, Harry ammirava il parco innevato. Tra pochi giorni sarebbero iniziate le vacanze di Natale e lui sarebbe tornato da Lavr. Era incredibile che fossero già passati tre mesi. Sorrise. Era felice di rivedere il demone. Certo, il loro rapporto era strano, se ne rendeva conto, ma al momento era l’unico, insieme a Veles, a sapere la verità sul suo conto. Inoltre, apprezzava ciò che aveva fatto per lui in quegli anni. Sapeva bene che non era stato facile per Lavr prendersi cura di un bambino umano, seppur in modo distaccato.

I suoi pensieri vennero interrotti dall’aprirsi della porta della Guferia. Era Philippe.

«Ciao» lo salutò il francese. «Non pensavo di trovarti qua».

«Stavo curiosando un po’ per la scuola. Tu?»

«Devo spedire una lettera a casa» rispose evasivo. Harry lo osservò in silenzio convincere un gufo particolarmente reticente a lasciarsi legare una busta di piccole dimensioni alla zampa. «Ho deciso di rimanere qui per le vacanze» disse quando finalmente il gufo partì.

«Oh» boccheggiò Harry, preso in contropiede «Come mai?»

Philippe sembrò esitare ma poi gli si avvicinò e si sedette per terra. Lui fece altrettanto. «Non avevo molta voglia di tornare a casa» disse. «Non… non dico che mi trovo male, ma a volte… non so, è stupido».

Non sapeva cosa rispondere. Era la prima volta che l’amico affrontava l’argomento, e aveva paura di dire qualcosa di sbagliato. Prima che potesse formulare una risposta, il ragazzo ricominciò a parlare. «Ero molto indeciso, sai. Non volevo deludere mio fratello e mio… il mio tutore. Loro non centrano, non è colpa loro. Però non voglio tornare, non per Natale» sospirò. «Sono sicuro che i nostri compagni non perderanno questa nuova occasione per sparlare di me»

«Se lo faranno, gli scaglierò contro una fattura» promise Harry, risoluto. «Se vuoi rimango con te» aggiunse.

Philippe sorrise, il sorriso più aperto e sincero che gli avesse mai rivolto, ma scosse il capo «No, non ce n’è bisogno. Starò bene qui, avrò tutta la Sala Comune per me, e poi non sono molto di compagnia durante le feste»

«Guarda che per me non è un problema»

«Lo so. E ti ringrazio. Ma non voglio che cambi i tuoi piani per me»

Harry colse la sincerità delle parole dell’amico e comprese che voleva davvero stare solo. Eppure, non riusciva a spiegarsi il perché. Seppur timoroso di tradire in qualche modo la fiducia del compagno, azzardò qualche altra domanda sulla sua famiglia.

«Così hai un fratello?» chiese, cercando di sembrare noncurante. Vide l’espressione dell’amico cambiare, mentre diverse emozioni affioravano sul suo viso. Affetto, nostalgia, preoccupazione? Difficile dirlo.

«Si. Ha due anni meno di me e sicuramente non sarà felice di non riavermi a casa per natale. È un po’ una peste a dirla tutta. Comunque, devo scendere in dormitorio. Ci vediamo, Henri».

 

Come aveva previsto Philippe, Zabini e Malfoy non mancarono di lanciare frecciatine sul fatto che non tutti fossero i benvenuti a casa propria durante le vacanze, ma se non altro limitarono i commenti a quando si trovavano nella Sala Comune, seguendo le regole di Piton. Come al solito, Philippe si limitò ad ignorarli, e fermò Harry quando si accorse che aveva già la mano sulla bacchetta. Per il resto, la fine prossima delle lezioni aveva creato un’atmosfera di spensieratezza. I professori si davano da fare per decorare la scuola, mentre gli studenti avevano mollato i libri senza rimpianti in favore di battaglie di neve e partite a sparaschiocco. Quello era sicuramente l’unico periodo dell’anno in cui molte delle serpi più giovani avrebbero voluto far parte di un’altra casa, una in cui gli studenti più grandi non punissero chi, contagiato dal clima di festa, trascurasse il decoro. C’era un prezzo da pagare quando si faceva parte delle famiglie più in vista del mondo magico.

Le ultime lezioni non furono affatto impegnative, ad eccezione di pozioni; senza dubbio, Piton non era stato contagiato dallo spirito natalizio, anzi, pretese che Harry scontasse la sua punizione anche il giorno prima delle vacanze, ma se non altro gli annunciò che la detenzione era finita. La notizia lo rallegrò, anche perché trovava assurdi due mesi di punizione per un’innocua infrazione, e nemmeno la minaccia del pozionista di tenerlo d’occhio lo preoccupava. Del resto, anche lui avrebbe tallonato il Capocasa fino a che non avesse scoperto il mistero dell’oggetto protetto dal cane.

La sfida era aperta.

 

Lavr stava immerso nella vasca da ore, guardando l’arazzo rinascimentale del soffitto attraverso il velo dell’acqua. Tutta la schiuma era svanita, e l’acqua si era sicuramente raffreddata, ma non aveva molta importanza: a malapena percepiva la differenza.

Assurdo.

Tutti i suoi sensi erano più sviluppati di quelli degli altri esseri viventi: il suo udito gli permetteva di distinguere un sospiro in mezzo al fracasso delle moderne metropoli; la sua vista poteva cogliere la forma di un granello di polvere a metri di distanza; il suo olfatto delicato gli rendeva insopportabile passare troppo tempo in mezzo alla cacofonia di odori tipica delle aree umane. Eppure, il suo tatto era difettoso. Toccando un tessuto riusciva a sentirne il disegno dei fili intrecciati, ma alcune sensazioni, come quella di caldo e freddo, non era in grado di percepirle, così come non provava dolore alla maniera degli umani o dei vampiri, e probabilmente nemmeno piacere, non con la stessa intensità. Altrimenti, non si spiegava perché tutte le creature della terra si agitassero, combattessero, soffrissero per pochi minuti di sensazioni gradevoli certo, ma sopravvalutate. Una distrazione non così diversa da quella dell’acqua che solletica la pelle.

Riemerse, scostandosi i capelli scuri dal viso. L’indomani sarebbe tornato Harry, e ne era grato. Aveva addirittura tenuto il conto dei giorni che mancavano. Strano. Ma era inevitabile che vivere con un bambino umano per diverso tempo, dopo un millennio passato nel mondo lo avesse cambiato. Ricordava alla perfezione ogni singolo istante dei novemila anni trascorsi da eremita, eppure ora non riusciva nemmeno a passare tre mesi in solitudine! No, era andato più volte a cercare Veles nel tempo che Harry aveva trascorso a scuola, e il vampiro non aveva mancato di notare che per qualcuno che dichiarava di cercare l’isolamento totale, non se la cavava tanto bene da solo. Sospirò. Forse stava impazzendo.

 

Londra non doveva essere molto lontana, ormai erano sul treno da ore e la luce fuori dal finestrino iniziava ad affievolirsi. Lui e Daphne avevano fatto di tutto per passare il tempo: giocare a Gobbiglie, a scacchi, abbuffarsi di dolci. La ragazza era senza dubbio uno delle serpi del suo anno con cui si trovava più a suo agio. Durante il viaggio anche Theo, Blaise e Draco si erano uniti a loro ed erano riusciti a trascorrere qualche ora insieme senza litigare. Per quanto gli non gli piacesse ammetterlo, le rare volte che aveva parlato civilmente con il figlio di Lucius aveva scoperto di avere diverse cose in comune con lui, però lo trovava troppo viziato e petulante per poterci stringere una vera amicizia.

Il treno finalmente si fermò. Harry si alzò in piedi, prese il baule con l’aiuto dei suoi compagni e dopo i saluti e gli auguri uscì dal treno, per poi guardarsi attorno. Non aveva concordato con Lavr dove trovarsi, ma sicuramente il demone si sarebbe ricordato di andarlo a prendere, no? Aveva una memorie eidetica! Eppure, l’idea stessa del suo tutore che lo attendeva al binario con gli altri genitori era bislacca. Mentre rifletteva sul da farsi, si accorse di una figura solitaria poggiata mollemente contro una colonna.

Beh, questa proprio non se l’era aspettata.

Si avvicinò. Se anche non avesse riconosciuto immediatamente la figura longilinea, il modo in cui mordicchiava distrattamente una mela sarebbe bastata a fargli capire chi fosse l’uomo nascosto dal mantello.

«Salve pasticcino» esclamò Veles, giocherellando col frutto che aveva in mano. «Contento di tornare a casa?»

«Dov’è lavr?»

«Oh, ho pensato di venire io a prenderti. Giusto per risparmiare al grand’ uomo la fatica di uscire dal suo maniero» spiegò con noncuranza.

«Lavr dice sempre che non si fida a lasciarmi solo con te» fece Harry, sospettoso.

Veles si raddrizzò. «Andiamo pasticcino» disse con un ghigno «paura di mamma chioccia? Perché tu e io non facciamo un giro e mi racconti della scuola eh? Prometto solennemente che ti riporterò al Palazzo sano e salvo e senza perdita di fluidi corporei. A meno che tu non voglia andare in bagno, chiaro. Ma niente spargimenti di sangue».

«E perché vuoi portarmi in giro?» domandò Harry, poco convinto.

«Mi sei mancato» replicò il vampiro, mettendo su un sorriso assolutamente poco credibile. «Sarà divertente, vedrai. Ti porto a mangiare qualche porcheria, ti do delle dritte musicali e tu mi racconti cosa sta combinando il vecchio pedofilo».

Il maghetto ridacchiò «Silente non è mica un maniaco, grazie a Merlino! Ma quindi Lavr non sa che sei qui?»

Veles sbuffò, seccato «Si che lo sa! L’ho cortesemente informato, sta tranquillo. E poi, se ti facessi del male, lui ti vendicherebbe. Non mi conviene, no?»

Fu il turno di Harry di sbuffare. «Certo, come no. Stiamo parlando di quello che non prova rancore nemmeno per l’uomo che gli ha fatto passare mille anni senza poteri!»

«Oh, ci sono molte cose che non sai, pasticcino» esclamò il biondo, malizioso «Dai, leviamoci da qui». Lo afferrò per la spalla e insieme attraversarono il muro che portava al binario babbano.

 

Poco più tardi, erano seduti in una bella pasticceria davanti a due fette di torta al triplo cioccolato.

«Credevo che i vampiri bevessero solo sangue» commentò Harry, vedendolo divorare avidamente il dolce.

«Possiamo anche mangiare il cibo umano, ma la maggior parte di noi non ne sopporta nemmeno l’odore».

«Come mai?»

«Vedi, la vita di un vampiro è composta dall’alternarsi di due stati: quando siamo sazi, e ci sentiamo come se avessimo ingurgitato il fabbisogno medio alcolico di un irlandese, e quando non abbiamo bevuto sangue, che è un po’ come un lungo stato di post sbornia. Più tempo passiamo senza bere, più il mal di testa e il cattivo umore si aggravano. Quando sarai un po’ più grande, scoprirai che in entrambi questi esaltanti momenti non si ha molta voglia di cibo solido. Io d’altro canto, non sono come gli altri vampiri; riesco a controllare meglio la sete, e questo mi offre innumerevoli opportunità interessanti».

«Come soggiogare il cameriere per non dover pagare» commentò il ragazzo, sarcastico.

Veles fece un gesto noncurante con la mano. «Noi lo chiamiamo Fascino, e non è una mia prerogativa in realtà. Tutti i vampiri dopo qualche secolo iniziano ad acquisire un minimo di autocontrollo, e i maghi trasformati dopo un po’ di pratica possono vantare qualche trucchetto in più nel loro arsenale, anche se sono molto limitati rispetto a prima. Certamente, nessuno è al mio livello. Invece i vampiri creati da babbani devono contare solo sulla forza fisica, il che spiega perché non vivano poi così a lungo».

«Però sono di più» constatò Harry.

«Considerato che i babbani sono la nostra prima fonte di sostentamento, non c’è da sorprendersi se vengono trasformati più dei maghi. Ma basta parlare di questo. Dimmi di Hogwarts».

«Che cosa vuoi sapere?» chiese Harry, fingendo di interessarsi più alla torta che alla conversazione. Veles gli portò via il piatto. Alzò lo sguardo per protestare e si accorse che il viso del vampiro era vicinissimo, e i suoi occhi brillavano sotto le lenti azzurre.

«Ho visto la lettera che hai mandato a Lavr sulla tua avventura di Halloween. E se ti dicessi che ho un’idea su cosa nasconda il vecchio pazzo?»

Bastò ad attirare l'attenzione del maghetto. «Di cosa si tratta?» domandò.

«Se te lo dico, come userai l’informazione?»

«Dipende» replicò Harry, senza sbilanciarsi.

«Sai chi è Nicolas Flamel?»

Per poco non si mise a urlare per la sorpresa «Stai dicendo che Silente sta nascondendo…»

«Esattamente» concluse il vampiro, compiaciuto.

«Ma allora è davvero pazzo! Non può tenere la Pietra Filosofale in una scuola piena di studenti.» esplose Harry, incredulo.

«Abbassa la voce» lo rimproverò Veles «In un certo senso è folle, ma non devi mai, e dico mai, sottovalutare Albus Silente. È fin troppo furbo. Credimi se ti dico che non sono in molti a sapere dove si trova la pietra. Lui e Flamel sono riusciti a tenere bene il segreto, e nel mondo dei maghi non è cosa da poco. Io stesso l’ho scoperto quasi per caso».

«Non mi stupisce proprio che qualcuno stia tentando di rubarla» commentò il maghetto «e visto il valore della pietra, dubito che il cane sia l’unica protezione. Chissà quante trappole ha piazzato il preside!»

«Vediamo un po’ come funziona il tuo cervellino. Secondo te perché Silente ha portato la pietra a Hogwarts?»

«Per proteggerla. Qualcuno ha tentato di rubarla alla Gringott. Ma ha anche reso fin troppo chiaro che sta nascondendo qualcosa d’importante al terzo piano. Nessuno sa della pietra, ma il ladro avrà sicuramente fatto il collegamento. Il preside gli ha praticamente lanciato una sfida. Ma non ha senso! Perché correre un simile rischio? A meno che non sospettasse di uno degli insegnanti, e volesse avere la certezza...»

Un verso di derisione interruppe il suo ragionamento. «Diavolo no, pasticcino! Stavi andando così bene! Rifletti. A che cosa serve la pietra?»

«Rende immortali. Trasforma i metalli in oro».

«Esatto. Perché pensi che il tuo professore la voglia?».

Fu il turno di Harry di guardarlo come se fosse un idiota. «Direi che ogni essere umano vorrebbe metterci le mani sopra».

«Senza dubbio» concesse Veles «ma pensaci. Immortalità. Chi è il primo mago che questa parola ti fa venire in mente?»

«Stai dicendo…».

Il vampiro ghignò.

«No!» negò Harry, orripilato «Silente non può essere così imbecille da attirare Voldemort in una scuola piena di ragazzini. E poi, lui non ha forze al momento. Non può essere entrato alla Gringott» E poi capì, e fu ancora peggio di scoprire che l’assassino dei suoi genitori fosse sulle tracce della pietra filosofale. Qualcuno stava aiutando Voldemort. Raptor… o Piton. Il suo capocasa. Rabbrividì al pensiero di tutto il tempo che aveva passato da solo con il pozionista.

«Ma se Voldemort dovesse ottenere la Pietra…» mormorò

«Non puoi permetterlo» lo interruppe Veles, serio come non mai.

«Ma cosa posso farci?»

«Puoi prenderla prima che lo faccia lui».

Harry considerò la possibilità. Avrebbe dovuto trovare il modo per superare il cane e tutte le altre eventuali trappole.

«Perché io? Silente avrà capito chi sta dando la caccia alla pietra. L’avrà messa al sicuro!»

«Infatti» intervenne una voce alle loro spalle «non dovresti intrometterti in questa storia»

«Lavr!» esclamò il maghetto, felice di rivedere il suo tutore. Il demone gli rivolse un tiepido sorriso e si sedette a loro tavolo, mentre Veles sbuffava contrariato.

«Vedo che Veles ti ha messo al corrente delle sue congetture. Ma sul serio Harry, preferirei se ne rimanessi fuori».

«Ma se Voldemort dovesse tornare…»

«Non avrebbe niente a che vedere con te» concluse per lui il demone «nessuno sa chi sei in realtà. Tutti sono convinti che Harry Potter sia morto. Sei al sicuro.»

«Per ora forse» commentò Veles con disappunto «ma prima o poi sarà coinvolto nella guerra. Se è vero che c’è una pro…». La voce del vampiro si strozzò. Harry lo vide portarsi le mani alla gola e scoccare un’occhiata furibonda a Lavr.

«Cosa stava dicendo?» domandò il ragazzo, incuriosito.

«Non è né l’ora né il luogo adatto per questi discorsi» replicò il demone, tranquillo. «Vieni, torniamo al Palazzo. Veles, ci vediamo» e lasciandosi alle spalle il vampiro, uscirono dalla pasticceria e si smaterializzarono.

  
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