Nota: la frase pronunciata da Veles all'inizio, (Essa è una manifestazione del genio. È una delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o come il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo luna. Non può venire contestata. Regna per diritto divino e rende principi coloro che la possiedono) è presa dal Ritratto di Dorian Gray. Detto questo, vi lascio al capitolo.
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S’incamminò
verso la macchina, senza prestare
attenzione alla mano che la spingeva, o ai baci lascivi che il suo
accompagnatore le lasciava sul collo.
Idiota.
Era
andato nel locale dove lavorava quella sera, si era
seduto in prima fila e aveva passato la serata a sbavarle dietro e
infilarle
banconote nelle mutande. Quando aveva finito il suo spettacolo,
l’aveva
aspettata fuori dal camerino. Le si era avvicinato, posandole una mano
sul
fianco e chiedendole all’orecchio se voleva andare con lui in
albergo, per
cento sterline. Lei aveva annuito, aveva preso le sue cose e aveva
lasciato che
la guidasse verso la sua macchina.
La
disgustava.
Arrivati
all’auto, le lasciò andare la vita e si mise a
cercare le chiavi. Alex si guardò intorno. Erano in una
stradina laterale, poco
fuori dal night dove lavorava. Erano le quattro del mattino e non
c’era anima
viva. L’uomo stava armeggiando con le chiavi, le dava le
spalle. Era grasso,
sulla quarantina, e puzzava di alcool e sudore e eccitazione. Ma
nonostante
l’odore sgradevole, riusciva ancora a sentire il profumo
inebriante del sangue
che scorreva sotto gli strati di pelle flaccida. Non era il massimo,
però era
affamata, e le si era praticamente offerto su un piatto
d’argento. Con uno
scatto, lo afferrò per la spalla e lo voltò.
L’uomo la guardò, sorpreso dalla
sua irruenza, ma dovette leggere qualcosa nel suo viso,
perché l’espressione
lussuriosa e carica di aspettativa che aveva tenuto tutta le sera venne
rimpiazzata da un barlume di paura.
Lo
scacciò velocemente comunque, e le disse con un
sorriso viscido: «Pensavo avremmo aspettato ad arrivare in
albergo». Mosse un
passo verso di lei, annullando la già esigua distanza che li
separava. Lei non
si mosse, si accorse a malapena che le aveva infilato le mani sotto la
maglia.
Guardava la vena sul suo collo.
Pulsava, pulsava.
Un
brivido di desiderio la attraversò. Lui se ne
accorse, perché smise di baciarle la clavicola e
alzò lo sguardo su di lei.
Alex
osservò con sublime distacco il colore andar via
dalla faccia dell’uomo, i suoi occhi spalancarsi, la bocca
aprirsi in uno
squittio terrorizzato. L’uomo si gettò verso la
macchina, cercando le chiavi
con movimenti agitati, e lei si sorprese a simpatizzare per lui. Poteva
capire
il suo stato d’animo, ricordava bene il terrore che aveva
provato lei quando
aveva visto il bel viso di quello che aveva considerato il suo ragazzo
trasfigurarsi in una maschera animalesca e affamata. Con un balzo gli
fu
addosso, gli strappò le chiavi di mano e le
lanciò lontano.
«Ti
prego» balbettò l’uomo, schiacciandosi
contro
l’auto come per mettere la massima distanza possibile tra
loro. «Ti prego. Ho
moglie e figli. Mi dispiace. Ti prego ho dei soldi. Prendili. Ecco
prendili».
Ho
moglie e figli.
Quella frase la riscosse, facendole
staccare lo sguardo famelico dalla giugulare dell’uomo.
Moglie e figli.
Qualcosa dentro di sé urlò, ma non
riuscì a capire cosa dicesse. Aveva fame.
Dannazione, aveva fame. Era l’unico pensiero corrente che
riuscisse a formulare
al momento, e lo espresse ad alta voce, quasi con tono di scusa.
«Ho fame».
L’uomo
la guardò per un secondo come se fosse pazza, ma
poi annuì, e nel suo viso si accese un barlume di
speranza. «Va bene, ti darò dei soldi. Ecco
prendili»
le mise in mano delle banconote. «E’ tutto quello
che ho».
Ma
lei aveva nuovamente smesso di prestare
attenzione. Nella
sua mente, il volto
sgradevole dell’uomo venne rimpiazzato da un viso conosciuto
anni prima, un
viso virile, attraente, incorniciato da una massa di onde biondo scuro.
«Sei bellissima»
«E’
un complimento banale, non trovi?»
«Non
c’è niente di banale nella bellezza. Essa
è una manifestazione del genio. È una
delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o
come il
riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo
luna. Non
può venire contestata. Regna per diritto divino e rende
principi coloro che la
possiedono. »
Avrebbe
dovuto capirlo allora. Aveva incontrato il suo
Lord Henri, e per lei ci sarebbe stata solo dannazione.
La
prima volta che aveva letto il capolavoro di Oscar
Wilde, aveva provato disprezzo per coloro che cadevano vittima del
fascino
illusorio di Dorian, così concentrati sulla sua bellezza da
non vederne la
malvagità. Ora aveva compreso che la
superficialità è il vizio che rende gli
umani prede. Vi era caduta vittima lei, e ora quest’uomo.
Questo sconosciuto,
che quella sera aveva riso, l’aveva osservata,
l’aveva toccata e non aveva
nemmeno immaginato che sarebbe morto per sua mano in una sudicia strada
di un
sudicio quartiere di Londra.
Distaccata,
senza più curarsi delle frasi sconnesse
della sua vittima, gli saltò addosso e affondò i
denti nel suo collo. Lui urlò
e si dibatté, ma dopo pochi secondi smise, già
indebolito dalla perdita di
sangue.
Il
sangue.
C’era
solo il sangue, che scorreva veloce dentro di
lei. Veloce, come erano passati veloce i mesi dopo il loro incontro.
Mesi di
feste, divertimenti, lusso. Mesi di amore, o così aveva
creduto.
«Io
ti darò tutto. Realizzerò tutti i tuoi
sogni».
Sciocca.
Come aveva potuto credere a degli occhi il cui
stesso colore conteneva un inganno? Rosso celato da un vetro azzurro
come il
cielo più limpido.
I
suoi sogni. Ne aveva avuti tanti, un tempo. Sogni
bianchi come le bende che alleviano le ferite, e aranciati come il
tramonto
africano. E invece aveva ottenuto solo il grigiore dei cadaveri e il
rosso del
sangue.
Allontanò
il corpo dell’uomo, con un calcio. Tra
qualche ora, quando si sarebbe sdraiata nello squallido monolocale dove
abitava
da ormai quattro anni, avrebbe pianto e si sarebbe graffiata il viso
per il
rimorso di quella vita spezzata, ma non ora. Ora, c’era
l’estasi del sangue che
scorreva nelle sue vene.
Era
sazia.
Dal
giorno della partita di Quidditch, la popolarità di
Harry tra le serpi era salita di colpo. I suoi compagni di squadra lo
adoravano
già da prima, ma dopo la sua brillante performance contro i
grifondoro tutti sembravano
conoscere il suo nome. Spesso ragazzi che conosceva di sfuggita lo
salutavano
calorosamente nei corridoi e persino alcuni studenti di altre case gli
si erano
avvicinati per congratularsi.
Con
quelli del suo anno invece le cose erano più
complicate. Certo, erano rimasti impressionati dalla sua bravura e
volevano
condividere la sua nuova popolarità, ma d’altra
parte i motivi di scontro non
erano scomparsi. Draco in particolare sembrava essere profondamente
indeciso su
come comportarsi con lui: da un lato detestava che ci fosse qualcuno
che gli
rubasse la scena, dall’altro era al settimo cielo per la
vittoria di serpeverde
e non faceva che vantarsene davanti ai grifondoro e soprattutto davanti
ai
ragazzi Weasley, che a quanto pareva detestava per ragioni di famiglia.
Philippe invece si trovava a disagio a stare i riflettori per via della
sua
amicizia con la star del momento, ma Harry gli aveva detto di non farci
caso.
«Vedrai, tempo due settimane e torneranno a ignorarci
entrambi.»
Dalla
finestra della Guferia, in cui si era recato
nella speranza di trovare un po’ di pace, Harry ammirava il
parco innevato. Tra
pochi giorni sarebbero iniziate le vacanze di Natale e lui sarebbe
tornato da
Lavr. Era incredibile che fossero già passati tre mesi.
Sorrise. Era felice di
rivedere il demone. Certo, il loro rapporto era strano, se ne rendeva
conto, ma
al momento era l’unico, insieme a Veles, a sapere la
verità sul suo conto.
Inoltre, apprezzava ciò che aveva fatto per lui in quegli
anni. Sapeva bene che
non era stato facile per Lavr prendersi cura di un bambino umano,
seppur in
modo distaccato.
I
suoi pensieri vennero interrotti dall’aprirsi della
porta della Guferia. Era Philippe.
«Ciao»
lo salutò il francese. «Non pensavo di trovarti
qua».
«Stavo
curiosando un po’ per la scuola. Tu?»
«Devo
spedire una lettera a casa» rispose evasivo. Harry
lo osservò in silenzio convincere un gufo particolarmente
reticente a lasciarsi
legare una busta di piccole dimensioni alla zampa. «Ho deciso
di rimanere qui
per le vacanze» disse quando finalmente il gufo
partì.
«Oh»
boccheggiò Harry, preso in contropiede «Come
mai?»
Philippe
sembrò esitare ma poi gli si avvicinò e si
sedette per terra. Lui fece altrettanto. «Non avevo molta
voglia di tornare a
casa» disse. «Non… non dico che mi trovo
male, ma a volte… non so, è stupido».
Non
sapeva cosa rispondere. Era la prima volta che
l’amico affrontava l’argomento, e aveva paura di
dire qualcosa di sbagliato.
Prima che potesse formulare una risposta, il ragazzo
ricominciò a parlare. «Ero
molto indeciso, sai. Non volevo deludere mio fratello e mio…
il mio tutore.
Loro non centrano, non è colpa loro. Però non
voglio tornare, non per Natale»
sospirò. «Sono sicuro che i nostri compagni non
perderanno questa nuova
occasione per sparlare di me»
«Se
lo faranno, gli scaglierò contro una fattura»
promise Harry, risoluto. «Se vuoi rimango con te»
aggiunse.
Philippe
sorrise, il sorriso più aperto e sincero che
gli avesse mai rivolto, ma scosse il capo «No, non ce
n’è bisogno. Starò bene
qui, avrò tutta la Sala Comune per me, e poi non sono molto
di compagnia
durante le feste»
«Guarda
che per me non è un problema»
«Lo
so. E ti ringrazio. Ma non voglio che cambi i tuoi
piani per me»
Harry
colse la sincerità delle parole dell’amico e
comprese che voleva davvero stare solo. Eppure, non riusciva a
spiegarsi il
perché. Seppur timoroso di tradire in qualche modo la
fiducia del compagno,
azzardò qualche altra domanda sulla sua famiglia.
«Così
hai un fratello?» chiese, cercando di sembrare
noncurante. Vide l’espressione dell’amico cambiare,
mentre diverse emozioni
affioravano sul suo viso. Affetto, nostalgia, preoccupazione? Difficile
dirlo.
«Si.
Ha due anni meno di me e sicuramente non sarà
felice di non riavermi a casa per natale. È un po’
una peste a dirla tutta.
Comunque, devo scendere in dormitorio. Ci vediamo, Henri».
Come
aveva previsto Philippe, Zabini e Malfoy non
mancarono di lanciare frecciatine sul fatto che non tutti fossero i
benvenuti a
casa propria durante le vacanze, ma se non altro limitarono i commenti
a quando
si trovavano nella Sala Comune, seguendo le regole di Piton. Come al
solito,
Philippe si limitò ad ignorarli, e fermò Harry
quando si accorse che aveva già
la mano sulla bacchetta. Per il resto, la fine prossima delle lezioni
aveva
creato un’atmosfera di spensieratezza. I professori si davano
da fare per
decorare la scuola, mentre gli studenti avevano mollato i libri senza
rimpianti
in favore di battaglie di neve e partite a sparaschiocco. Quello era
sicuramente l’unico periodo dell’anno in cui molte
delle serpi più giovani
avrebbero voluto far parte di un’altra casa, una in cui gli
studenti più grandi
non punissero chi, contagiato dal clima di festa, trascurasse il
decoro. C’era
un prezzo da pagare quando si faceva parte delle famiglie
più in vista del
mondo magico.
Le
ultime lezioni non furono affatto impegnative, ad
eccezione di pozioni; senza dubbio, Piton non era stato contagiato
dallo
spirito natalizio, anzi, pretese che Harry scontasse la sua punizione
anche il
giorno prima delle vacanze, ma se non altro gli annunciò che
la detenzione era
finita. La notizia lo rallegrò, anche perché
trovava assurdi due mesi di
punizione per un’innocua infrazione, e nemmeno la minaccia
del pozionista di
tenerlo d’occhio lo preoccupava. Del resto, anche lui avrebbe
tallonato il
Capocasa fino a che non avesse scoperto il mistero
dell’oggetto protetto dal
cane.
La
sfida era aperta.
Lavr
stava immerso nella vasca da ore, guardando
l’arazzo rinascimentale del soffitto attraverso il velo
dell’acqua. Tutta la
schiuma era svanita, e l’acqua si era sicuramente
raffreddata, ma non aveva molta
importanza: a malapena percepiva la differenza.
Assurdo.
Tutti
i suoi sensi erano più sviluppati di quelli degli
altri esseri viventi: il suo udito gli permetteva di distinguere un
sospiro in
mezzo al fracasso delle moderne metropoli; la sua vista poteva cogliere
la
forma di un granello di polvere a metri di distanza; il suo olfatto
delicato
gli rendeva insopportabile passare troppo tempo in mezzo alla cacofonia
di
odori tipica delle aree umane. Eppure, il suo tatto era difettoso.
Toccando un
tessuto riusciva a sentirne il disegno dei fili intrecciati, ma alcune
sensazioni, come quella di caldo e freddo, non era in grado di
percepirle, così
come non provava dolore alla maniera degli umani o dei vampiri, e
probabilmente
nemmeno piacere, non con la stessa intensità. Altrimenti,
non si spiegava
perché tutte le creature della terra si agitassero,
combattessero, soffrissero
per pochi minuti di sensazioni gradevoli certo, ma sopravvalutate. Una
distrazione non così diversa da quella dell’acqua
che solletica la pelle.
Riemerse,
scostandosi i capelli scuri dal viso.
L’indomani sarebbe tornato Harry, e ne era grato. Aveva
addirittura tenuto il
conto dei giorni che mancavano. Strano. Ma era inevitabile che vivere
con un
bambino umano per diverso tempo, dopo un millennio passato nel mondo lo
avesse
cambiato. Ricordava alla perfezione ogni singolo istante dei novemila
anni
trascorsi da eremita, eppure ora non riusciva nemmeno a passare tre
mesi in
solitudine! No, era andato più volte a cercare Veles nel
tempo che Harry aveva
trascorso a scuola, e il vampiro non aveva mancato di notare che per
qualcuno
che dichiarava di cercare l’isolamento totale, non se la
cavava tanto bene da
solo. Sospirò. Forse stava impazzendo.
Londra
non doveva essere molto lontana, ormai erano sul
treno da ore e la luce fuori dal finestrino iniziava ad affievolirsi.
Lui e Daphne avevano fatto di
tutto per passare il tempo: giocare a Gobbiglie, a scacchi, abbuffarsi
di
dolci. La ragazza era senza dubbio uno delle serpi del suo anno con cui
si
trovava più a suo agio. Durante il viaggio anche Theo,
Blaise e Draco si erano
uniti a loro ed erano riusciti a trascorrere qualche ora insieme senza
litigare. Per quanto gli non gli piacesse ammetterlo, le rare volte che
aveva
parlato civilmente con il figlio di Lucius aveva scoperto di avere
diverse cose
in comune con lui, però lo trovava troppo viziato e
petulante per poterci
stringere una vera amicizia.
Il
treno finalmente si fermò. Harry si alzò in
piedi,
prese il baule con l’aiuto dei suoi compagni e dopo i saluti
e gli auguri uscì
dal treno, per poi guardarsi attorno. Non aveva concordato con Lavr
dove
trovarsi, ma sicuramente il demone si sarebbe ricordato di andarlo a
prendere,
no? Aveva una memorie eidetica! Eppure, l’idea stessa del suo
tutore che lo
attendeva al binario con gli altri genitori era bislacca. Mentre
rifletteva sul
da farsi, si accorse di una figura solitaria poggiata mollemente contro
una
colonna.
Beh,
questa proprio non se l’era aspettata.
Si
avvicinò. Se anche non avesse riconosciuto
immediatamente la figura longilinea, il modo in cui mordicchiava
distrattamente
una mela sarebbe bastata a fargli capire chi fosse l’uomo
nascosto dal
mantello.
«Salve
pasticcino» esclamò Veles, giocherellando col
frutto che aveva in mano. «Contento di tornare a
casa?»
«Dov’è
lavr?»
«Oh,
ho pensato di venire io a prenderti. Giusto per
risparmiare al grand’ uomo la fatica di uscire dal suo
maniero» spiegò con
noncuranza.
«Lavr
dice sempre che non si fida a lasciarmi solo con
te» fece Harry, sospettoso.
Veles
si raddrizzò. «Andiamo pasticcino» disse
con un
ghigno «paura di mamma chioccia? Perché tu e io
non facciamo un giro e mi
racconti della scuola eh? Prometto solennemente che ti
riporterò al Palazzo
sano e salvo e senza perdita di fluidi corporei. A meno che tu non
voglia andare
in bagno, chiaro. Ma niente spargimenti di sangue».
«E
perché vuoi portarmi in giro?» domandò
Harry, poco
convinto.
«Mi
sei mancato» replicò il vampiro, mettendo su un
sorriso assolutamente poco credibile. «Sarà
divertente, vedrai. Ti porto a
mangiare qualche porcheria, ti do delle dritte musicali e tu mi
racconti cosa
sta combinando il vecchio pedofilo».
Il
maghetto ridacchiò «Silente non è mica
un maniaco,
grazie a Merlino! Ma quindi Lavr non sa che sei qui?»
Veles
sbuffò, seccato «Si che lo sa! L’ho
cortesemente
informato, sta tranquillo. E poi, se ti facessi del male, lui ti
vendicherebbe.
Non mi conviene, no?»
Fu
il turno di Harry di sbuffare. «Certo, come
no. Stiamo parlando di quello che non prova rancore nemmeno per
l’uomo che gli
ha fatto passare mille anni senza poteri!»
«Oh,
ci sono molte cose che non sai, pasticcino»
esclamò il biondo, malizioso «Dai, leviamoci da
qui». Lo afferrò per la spalla e insieme
attraversarono il muro che portava al binario babbano.
Poco
più tardi, erano seduti in una bella pasticceria
davanti a due fette di torta al triplo cioccolato.
«Credevo
che i vampiri bevessero solo sangue» commentò
Harry, vedendolo divorare avidamente il dolce.
«Possiamo
anche mangiare il cibo umano, ma la maggior
parte di noi non ne sopporta nemmeno l’odore».
«Come
mai?»
«Vedi,
la vita di un vampiro è composta dall’alternarsi
di due stati: quando siamo sazi, e ci sentiamo come se avessimo
ingurgitato il
fabbisogno medio alcolico di un irlandese, e quando non abbiamo bevuto
sangue,
che è un po’ come un lungo stato di post sbornia.
Più tempo passiamo senza
bere, più il mal di testa e il cattivo umore si aggravano.
Quando sarai un po’
più grande, scoprirai che in entrambi questi esaltanti
momenti non si ha molta
voglia di cibo solido. Io d’altro canto, non sono come gli
altri vampiri;
riesco a controllare meglio la sete, e questo mi offre innumerevoli
opportunità
interessanti».
«Come
soggiogare il cameriere per non dover pagare»
commentò il ragazzo, sarcastico.
Veles
fece un gesto noncurante con la mano. «Noi lo
chiamiamo Fascino, e non è una mia prerogativa in
realtà. Tutti i vampiri dopo
qualche secolo iniziano ad acquisire un minimo di autocontrollo, e i
maghi
trasformati dopo un po’ di pratica possono vantare qualche
trucchetto in più nel loro arsenale,
anche se sono molto limitati rispetto a prima. Certamente, nessuno
è al mio
livello. Invece i vampiri creati da babbani devono contare solo sulla
forza
fisica, il che spiega perché non vivano poi così
a lungo».
«Però
sono di più» constatò Harry.
«Considerato
che i babbani sono la nostra prima fonte
di sostentamento, non c’è da sorprendersi se
vengono trasformati più dei maghi.
Ma basta parlare di questo. Dimmi di Hogwarts».
«Che
cosa vuoi sapere?» chiese Harry, fingendo di
interessarsi più alla torta che alla conversazione. Veles
gli portò via il
piatto. Alzò lo sguardo per protestare e si accorse che il
viso del vampiro era
vicinissimo, e i suoi occhi brillavano sotto le lenti azzurre.
«Ho
visto la lettera che hai mandato a Lavr sulla tua
avventura di Halloween. E se ti dicessi che ho un’idea su
cosa nasconda il
vecchio pazzo?»
Bastò
ad attirare l'attenzione del maghetto. «Di cosa si
tratta?» domandò.
«Se
te lo dico, come userai l’informazione?»
«Dipende»
replicò Harry, senza sbilanciarsi.
«Sai
chi è Nicolas Flamel?»
Per
poco non si mise a urlare per la sorpresa «Stai
dicendo che Silente sta nascondendo…»
«Esattamente»
concluse il vampiro, compiaciuto.
«Ma
allora è davvero pazzo! Non può tenere la Pietra
Filosofale in una scuola piena di studenti.» esplose Harry,
incredulo.
«Abbassa
la voce» lo rimproverò Veles «In un
certo
senso è folle, ma non devi mai, e dico mai, sottovalutare
Albus Silente. È fin
troppo furbo. Credimi se ti dico che non sono in molti a sapere dove si
trova
la pietra. Lui e Flamel sono riusciti a tenere bene il segreto, e nel
mondo dei
maghi non è cosa da poco. Io stesso l’ho scoperto
quasi per caso».
«Non
mi stupisce proprio che qualcuno stia tentando di
rubarla» commentò il maghetto «e visto
il valore della pietra, dubito che il
cane sia l’unica protezione. Chissà quante
trappole ha piazzato il preside!»
«Vediamo
un po’ come funziona il tuo cervellino.
Secondo te perché Silente ha portato la pietra a
Hogwarts?»
«Per
proteggerla. Qualcuno ha tentato di rubarla alla
Gringott. Ma ha anche reso fin troppo chiaro che sta nascondendo
qualcosa
d’importante al terzo piano. Nessuno sa della pietra, ma il
ladro avrà
sicuramente fatto il collegamento. Il preside gli ha praticamente
lanciato una
sfida. Ma non ha senso! Perché correre un simile rischio? A
meno che non
sospettasse di uno degli insegnanti, e volesse avere la
certezza...»
Un
verso di derisione interruppe il suo ragionamento.
«Diavolo no, pasticcino! Stavi andando così bene!
Rifletti. A che cosa serve la
pietra?»
«Rende
immortali. Trasforma i metalli in oro».
«Esatto.
Perché pensi che il tuo professore la
voglia?».
Fu
il turno di Harry di guardarlo come se fosse un
idiota. «Direi che ogni essere umano vorrebbe metterci le
mani sopra».
«Senza
dubbio» concesse Veles «ma pensaci.
Immortalità.
Chi è il primo mago che questa parola ti fa venire in
mente?»
«Stai
dicendo…».
Il
vampiro ghignò.
«No!»
negò Harry, orripilato «Silente non può
essere
così imbecille da attirare Voldemort in una scuola piena di
ragazzini. E poi,
lui non ha forze al momento. Non può essere entrato alla
Gringott» E poi capì,
e fu ancora peggio di scoprire che l’assassino dei suoi
genitori fosse sulle
tracce della pietra filosofale. Qualcuno
stava aiutando Voldemort. Raptor… o Piton. Il suo capocasa.
Rabbrividì al
pensiero di tutto il tempo che aveva passato da solo con il pozionista.
«Ma
se Voldemort dovesse ottenere la Pietra…»
mormorò
«Non
puoi permetterlo» lo interruppe Veles, serio come
non mai.
«Ma
cosa posso farci?»
«Puoi
prenderla prima che lo faccia lui».
Harry
considerò la possibilità. Avrebbe dovuto trovare
il modo per superare il cane e tutte le altre eventuali trappole.
«Perché
io? Silente avrà capito chi sta dando la caccia
alla pietra. L’avrà messa al sicuro!»
«Infatti»
intervenne una voce alle loro spalle «non
dovresti intrometterti in questa storia»
«Lavr!»
esclamò il maghetto, felice di rivedere il suo
tutore. Il demone gli rivolse un tiepido sorriso e si sedette a loro
tavolo,
mentre Veles sbuffava contrariato.
«Vedo
che Veles ti ha messo al corrente delle sue congetture.
Ma sul serio Harry, preferirei se ne rimanessi fuori».
«Ma
se Voldemort dovesse tornare…»
«Non
avrebbe niente a che vedere con te» concluse per
lui il demone «nessuno sa chi sei in realtà. Tutti
sono convinti che Harry
Potter sia morto. Sei al sicuro.»
«Per
ora forse» commentò Veles con disappunto
«ma prima
o poi sarà coinvolto nella guerra. Se è vero che
c’è una pro…». La voce del
vampiro si strozzò. Harry lo vide portarsi le mani alla gola
e scoccare
un’occhiata furibonda a Lavr.
«Cosa
stava dicendo?» domandò il ragazzo, incuriosito.
«Non
è né l’ora né il luogo
adatto per questi discorsi»
replicò il demone, tranquillo. «Vieni, torniamo al
Palazzo. Veles, ci vediamo»
e lasciandosi alle spalle il vampiro, uscirono dalla pasticceria e si
smaterializzarono.