FANFICTION SCRITTA DA GLENDA E REM
Hotch taceva, con le mani intrecciate sotto il mento, alla
scrivania al centro della sala.
Attendeva che il telefono squillasse, che un unico trillo spezzasse finalmente
quello snervante conto alla rovescia.
Perché di questo si trattava.
Non rimaneva molto tempo prima che il veleno facesse definitivamente effetto e
allora, sarebbe stato praticamente impossibile salvare Reid, anche se
l’avessero trovato. Cosa che era molto lontana dall’avverarsi.
Gideon tamburellava ritmicamente con le dita sul
legno di mogano, mentre Morgan si aggirava per la stanza come un leone in
gabbia. Prentiss, JJ. e Garcia erano uscite per portare dei caffè.
“Forza forza, questo è il momento. Ora, devi farlo
ora” sussurrava Gideon rivolto al telefono. Una lunga e monotona litania che
andava snocciolando da tempo.
Poi, d’improvviso, si arrestò e si concesse un lungo sospiro “forse dovremmo…”
e si bloccò.
Hotch era stato più veloce, con una mano sul ricevitore rivolse uno sguardo a
Gideon “Jason, noi non…” fu tutto quello che riuscì a dire prima che il collega
gli sottraesse la cornetta e azionasse il vivavoce.
“Vorrei poter dire che è un piacere risentirti, ma non lo è”. Esordì Gideon.
“Fai anche lo spiritoso adesso eh Jason?Non vedo però cosa ci sia da ridere…il
tuo amichetto qui… uhm non è messo molto bene…piagnucola tutto il tempo”.
Gideon si morsicò un labbro con forza, fino a farne uscire il sangue. Non
doveva lasciarsi provocare. Quella telefonata era determinante.
“E’ interessante sai Jason” continuò Bird “lui vorrebbe tanto andarsene,ma…non
posso permetterglielo”.
“Sappiamo entrambi cosa vuoi, bastardo figlio di puttana!” ecco, si era
lasciato provocare. Esalò un lungo sospiro, poi riprese “tu vuoi me Bird, vuoi
solo me”.
Una pausa, un silenzio un po’ più lungo “mai detto di no”.
“Bene” fece Gideon, erano riusciti a trovare un punto di contatto “allora sai
anche tu quello che dobbiamo fare no”.
Voleva che fosse Bird a condurre il gioco, così si sarebbe sentito sicuro.
“ti sei consultato prima coi tuoi amichetti Jason?Non credo che sarebbero così
felici di lasciarti andare”.
“loro sono con me” ribattè Gideon.
“ah sì e fino a quando? Finché non supererai il limite? Sarebbero con te anche
se questo ragazzo a cui tengono tanto non tornasse indietro?”.
Morgan fece per intervenire, ma Gideon alzò una mano per fargli segno di
fermarsi.
“Allora facciamo così” esclamò allegramente Bird “alla fonderie Dreyer. Stasera a mezzanotte. Sappiamo tutti e due che il
tempo ormai è vitale…inutile ripeterti che se mi accorgo che qualcosa non va
salterà tutto e vi potrete scordare il vostro amichetto”.
“Aspetta, facci parlare con lui aspet…”.
Inutile.
Aveva riattaccato.
Gideon e i presenti si scambiarono degli sguardi preoccupati.
Reid non aveva più la forza di pensare.
Quando l’S.I. lo sollevò da terra e lo trascinò fuori dalla
stanza, non riuscì nemmeno a domandarsi cosa stesse succedendo...cosa volesse
fargli ora...
Ma non importava...
Il dolore aveva annullato tutto: la paura...l’ansia...i
sentimenti...
Non c’era più niente...
Voleva solo smettere di stare male...
“....”
L’SI stava dicendo qualcosa. Non riuscì a capire. Orami non
distingueva più i rumori attorno a sé...e non riusciva a vedere - o forse,
erano i suoi occhi che non riuscivano più ad aprirsi.
Si sentì depositare su una superficie morbida...le sue
labbra si socchiusero in un gemito quasi impercettibile...
Voleva rimanere fermo.
Non voleva più essere toccato...era dolore che si aggiungeva
al dolore....
Lasciami stare...ti prego...lasciami stare...
Ma le parole erano reali solo nella sua mente.
Poi un rumore e un sobbalzo...
Lasciami così...immobile...ti prego...
Poi di nuovo il vuoto.
Voleva...solo addormentarsi...e non sentire più nulla...
...
“...Reid...”
Gideon, perché te ne sei andato così? Mi sei mancato
tanto...
“...Reid...”
Mi dispiace...non...ti ho nemmeno detto addio...
“...Reid...”
...
Di nuovo silenzio.
E quel dolore che annullava tutto.
Eppure...per un attimo gli era sembrata vera, quella voce.
Vera, come tutte quelle volte che era stato lì, che lo aveva
protetto, che aveva chiarito i suoi dubbi, che lo aveva fatto sentire bene.
Riuscì a muovere le labbra appena.
“...non te ne andare...”
Parcheggiò l’auto vicino all’entrata. Si trattava di una
rete di metallo che costeggiava l’intero complesso.
Una volta lì sorgeva un’area industriale piuttosto vasta. Ora, da diverso
tempo, era stato tutto abbandonato e, col passare degli anni, non era restato
che un cumulo di macerie diroccate: muri pericolanti, pilastri instabili,
mucchi di detriti sparsi qua e là.
Era un luogo lugubre e desolante. L’ideale per il loro incontro.
Uscì all’aria fresca della notte e si appoggiò al cofano dell’auto in attesa.
Era stato puntuale, ma Bird ancora non si vedeva. Probabilmente voleva
accertarsi che fosse realmente solo.
Ma più passava il tempo e più diventava impaziente. C’era in gioco la vita di
Reid e lui ne era il responsabile. Si passò una mano tra i capelli. Quanto ci
metteva?
Poi sentì il motore di un’auto avvicinarsi. Poco probabile che fosse qualche
incauto turista o qualche passante occasionale. Quel luogo era fuori dalle
cartine, totalmente isolato.
Istintivamente portò una mano dietro la schiena cercare la pistola che non
c’era.
Due fasci di luce illuminarono il terreno polveroso. L’auto accostò.
Gideon rimase dov’era.
Una figura si profilò nel suo campo visivo. Non riusciva a vederlo in volto.
L’uomo si avvicinò. Indossava un cappellino da baseball e, sotto il giubbotto,
si intravedeva una camicia.
E Reid dov’era?
Un brivido gli percorse la schiena. L’oscura sensazione, il sentore o il
latente presagio di essere stato ingannato. Che Reid non c’era e che era stata
tutta un’abile mossa di Bird, per avere entrambi.
“Carino qui vero?”esclamò Bird avvicinandosi.
Indossava anche un paio di scarponi.
“Dov’è lui? Dov’è Reid?” ribattè Gideon guardandosi
intorno.
Bird sorrise da sotto il cappello “Uhm, lì dentro” e indicò l’auto, una dodge del 74 color crema.
Gideon fece per precipitarsi, ma Bird lo trattenne.
“No no no no…”
“Ma…”obiettò Gideon cercando di liberarsi dalla sua presa “voglio vedere come
sta…”.
“E invece dovrai accontentarti di quello che ti dico: starà benone.
Ora accendi il motore”.
Gideon lo fissò per un po’, incerto se fidarsi o meno.
Poi diede uno strattone più forte e si liberò di Bird.
“Ehi Jason! Aspetta!” Bird gli corse dietro. Ma Gideon fu più veloce e arrivò
alla macchina. Provò ad aprire lo sportello ma era chiuso.
Non riusciva a vedere bene attraverso i finestrini opachi.
Distesa sul sedile posteriore c’era una sagoma, ma non avrebbe potuto dire con
certezza a chi appartenesse.
“Reid Reid!“ Provò a chiamarlo, tempestando di pugni
il vetro dell’auto “Reid!”.
E poi, finalmente lo vide.
“Mio dio che cosa gli ha fatto?” sussurrò fermandosi di colpo.
“Vieni via!” Bird lo aveva raggiunto e gli aveva afferrato un braccio.”Vieni
via avanti!”
“No, non possiamo lasciarlo così! Dobbiamo chiamare un medico, qualcuno!!!”.
“L’ho già fatto, i tuoi amichetti stanno per arrivare, adesso muoviti!”.
“No” gridò Gideon” non possiamo...noi...non...Reid Reid
Reid!!E lasciami!” gli mollò una gomitata che lo fece finire a terra.
Ne approfittò per aprire il portello anteriore dell’auto e infilarsi dentro.
Si sporse verso Reid che giaceva riverso su un fianco, rannicchiato in una posa
strana.
“Andrò tutto bene” sussurrò piano, posandogli delicatamente una mano sulla
guancia “vedrai, non c’è niente di cui preoccuparsi. Stanno arrivando. Hotch e
gli altri. Si prenderanno cura di te. E’ tutto finito, starai
bene, tu...” e continuò la sua litania finché qualcuno non sopraggiunse alle
sue spalle e lo trascinò fuori dall’auto.
L’ultima cosa che vide fu la targa dell’automobile.
Veniva dall’Indiana.
“...Sì...sì Hotch...Tutto bene. Lui è salvo...sì, ha
superato la crisi...Il dottore ha detto che è fuori pericolo...”
La voce di Morgan era sollevata, quasi commossa. Era così
chiara e vicina che a Reid parve di aver riacquaistato
i sensi perduti...di essere tornato nel mondo...coi suoi suoni...i suoi
odori...
Si sentiva svuotato di ogni forza, confuso...ma riusciva a
respirare...sentiva l’aria scendere lenta e regolare nei suoi polmoni e il
petto non gli rimandava più quelle fitte lancinanti ad ogni inspiro...
“M-morgan...”
Prima che riuscisse ad aprire gli occhi, sentì una mano
calda stringere la sua.
“Reid!” l’altra mano dell’amico si posò sulla sua spalla
“eccoti qua, ragazzo!”
La vista si mise a fuoco: seduto accanto a lui, Derek gli rivolgeva un largo sorriso. Il suo volto era
esausto e provato, privo della grinta di sempre, come solo nelle situazioni più
gravi succedeva.
“S-sono...in...?”
Non finiì la frase. Nel parlare
sentiva dolore alla gola e le labbra bruciare: erano screpolate e ferite, e la
bocca era completamente arida.
“Sei al sicuro” precisò Morgan “sano e salvo”
“I-il veleno...” sussurrò con una
voce bassissima, quasi inudibile “...l’...l’S.I...”
“E’ tutto a posto” ribadì l’amico.
Reid cercò i suoi occhi, come per leggerci qualcosa, per sapere
quello che non riusciva a chiedere.
“...l’...l’avete...preso?” si sforzò, ma la mano di Morgan
si posò sulla sua fronte, mentre con l’altra suonava il campanello
dell’intervento.
“Stai tranquillo. Ora pensiamo a tutto noi. Tu devi solo...”
la sua voce si inclinò per un attimo “tu devi solo stare bene...”
Un medico accorse al capezzale di Reid.
Per prima cosa si curvò su di lui, gli esaminò gli occhi,
introdusse qualcosa nella flebo, gli disse un paio di parole rassicuranti e poi
si mise a parlare con Morgan dietro un paravanto. Reid colse solo alcuni tratti
della conversazione...poi si sentì di nuovo esausto.
Quando Derek tornò a sedersi al
fianco del letto, lo trovò che dormiva: un sonno innaturale, dato da tutti i
farmaci che gli avevano somministrato per calmare i dolori e fare in modo che
il suo corpo si rilassasse.
Disteso lì, in mezzo a tutti quei cavi e tubetti, sembrava
ancora più piccolo e vulnerabile del solito: era dimagrito, il volto era
esanime, pallido, le labbra di un colore spento e gli occhi affossati. Morgan
non riusciva ad immaginare cosa dovesse aver passato, ma al solo pensiero si
sentiva ribollire di rabbia. E adesso...Adesso Bird aveva Gideon, ed erano
passati due giorni, e loro non riuscivano a trovarlo! Hotch stava dando fondo a
tutte le sue risorse: non dormiva da chissà quanto, quando lo aveva visto, il
giorno prima, gli era parso invecchiato di anni. Non si dava pace di avergli
permesso di compiere una mossa simile, e l’unico sollievo glielo aveva dato lui
pochi attimi prima, quando lo aveva chiamato per riferirgli che i medici
avevano sciolto la prognosi per Reid.
“Se lo avessi tra le mani, lo ammazzerei...” mormorò, ma
senza energia, accarezzando la testa dell’amico. A quel contatto Reid mosse
lievemente il capo, poi socchiuse appena le labbra.
Lui avvicinò la testa per sentire.
“G...gideon...”
Morgan serrò i pugni.
“Lo troveremo” disse, come per rassicurarlo, al ragazzo
profondamente addormentato “lo troveremo”