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Autore: ValeryJackson    28/09/2013    1 recensioni
La vita di Valeri Hart è sempre stata una vita abbastanza normale, con la scuola, una mamma che le vuole bene e la sua immancabile fantasia.
Già, normale, se si escludono ovviamente i mille trasferimenti da una città ad un'altra, gli atteggiamenti insoliti di sua madre (che poi sua madre vera non è) e quelle strane cicatrici che le marchiano la caviglia, mandandola in bestia. Non sa perchè ce le ha. Non ricorda come se l'è fatte. Non ricorda di aver provato dolore. Ricorda solo di essersi risvegliata, un giorno, e di essersele ritrovate addosso. Sua madre le ha sempre dato mille spiegazioni, attribuendo più volte la colpa alla sua sbadataggine, ma Valeri sa che non è così.
A complicare le cose, poi, arriva John, un ragazzo tanto bello quanto misterioso, che farà breccia nel cuore di Valeri e che, scoprirà, è strettamente collegato alla sua vera identità.
**
Cap. 6:
Mary mi guarda negli occhi. Poi il suo sguardo si addolcisce, e mi fissa in modo molto tenero, come si guarda una bambina quando ti dice che ti vuole bene.
"Oh, Valeri", dice, con dolcezza. "Tu non hai idea di che cosa sei capace".
**
Questa é la mia nuova storia! Spero vi piaccia! :)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La sveglia suona, incessantemente.
Allungo svogliatamente la mano per tentare di zittire quel suono fastidiosamente squillante, ma ci metto un po’ per trovarla sul comodino ad occhi chiusi.
Non appena riesco a premere il pulsante per spegnerla, apro lentamente gli occhi. La flebile luce del sole che entra dalla tenda semi aperta mi acceca, così batto un po’ le palpebre, nel tentativo di abituarmici.
Mi strofino la faccia, con uno sbadiglio. Ho gli occhi gonfi, e sono distrutta.
I ricordi della sera precedente mi piombano addosso come un macigno di ferro. Sono rimasta tutta la notte a piangere, finché non ero talmente esausta da essere crollata. Non mi sono neanche svestita. Ho ancora i pantaloni sporchi di terra della sera prima.
Strizzo forte gli occhi e mi mordo le labbra, stringendo nel pugno il soffice lenzuolo.
Faccio un respiro profondo, e, reprimendo un singhiozzo, mi alzo di scatto.
Corro in bagno, mi spoglio, e mi butto sotto la doccia. L’acqua cade gelida sul mio viso, ma non ho intenzione di farla diventare calda. L’acqua fredda è più un toccasana, e, forse, è anche capace di far scivolare via i pensieri. O almeno, è di questo che tento di illudermi mentre mi insapono.
Quando esco, sono stanca morta, forse per via delle poche ore di sonno.
Non ho voglia di fare niente, oggi. Non ho voglia di asciugarmi i capelli. Non ho voglia di pettinarli. Non ho voglia di truccarmi. Dio solo sa dove trovo le forze di strisciare verso l’armadio di camera mia, con i capelli ancora gocciolanti, e infilarmi i primi vestiti che mi capitano sotto mano.
Strofino la testa con un asciugamano, sperando di rimuovere più acqua possibile, e quando riemergono tutti scompigliati e arruffati, me li pettino alla meno peggio con le mani.
Poi scendo di sotto. Per le scale, avverto un leggero profumino di uova strapazzate.
Mi fermo di colpo.
Mary non sa quello che è successo ieri. Sono tornata a casa, stanca e in lacrime, e lei è rimasta con me finché non mi calmassi, ma ogni volta che mi chiedeva che cosa fosse accaduto, io non riuscivo mai a rispondere, e riprendevo a piangere. Così, dopo la terza volta, ci ha rinunciato.
Le ho promesso che glie lo avrei detto il giorno dopo, ma ora non ho alcuna voglia di parlarne, ne di ricordarlo.
Faccio un bel respiro, e mi dirigo lentamente in cucina. Non appena mai madre si accorge che sono sul cipiglio della porta, si volta a guardarmi. Mi squadra, con un’espressione che non riesco a decifrare. O forse sono troppo stremata per farlo. << Ciao!>> esclama, sorridendomi. Io ricambio il saluto, così lei mi chiede: << Come stai?>>
Mi irrigidisco per un secondo. Non ho intenzione di farle capire ciò che è successo. Non ora, almeno. Mi dipingo sul volto il sorriso più grande che riesco a fare. << Bene!>> esclamo, forse con un po’ troppo entusiasmo. << Alla grande >> annuisco, con un po’ più di moderazione.
Lei annuisce, ma non aggiunge altro. Prendo un piatto dalla mensola e ci verso dentro un po’ di uova. Lei fa lo stesso e insieme ci sediamo a tavola.
Mangiamo in religioso silenzio. Lei finisce prima di me, per questo si alza e inizia a lavare i piatti. Io ingurgito lentamente. Non ho alcuna voglia di mangiare. Ma, dato che di solito non è così, credo che Mary si insospettirebbe. E questa è l’ultima cosa che voglio.
Quando ha finito, si siede accanto a me. Ho cercato di mantenere un’espressione perlomeno allegra per gran parte del tempo, e questo ha richiesto tutta la mia dedizione. Ma, ora che la osservo di nuovo, mi rendo conto di non essermi accorta dell’espressione pensierosa sul suo volto.
<< Mamma?>> le chiedo, corrucciando le sopracciglia. << Stai bene?>>
Lei sembra riprendersi, e annuisce appena. << Si… stavo solo… pensando >> dice.
Mi costringo ad ingoiare un’altra forchettata. << A cosa?>> dico, con la bocca piena.
<< A stasera. Sai… sono così agitata.>>
Aggrotto la fronte, non capendo. Non sentendo arrivare alcun commento da parte mia, si volta a guardarmi. << Ti sei ricordata, di stasera, vero?>> chiede in modo incalzante, inarcando un sopracciglio.
Sbuffo, sperando di non far capire che no, non me lo ricordo. << Ptf. Certo che me ne sono ricordata! Stasera… >> Cerco di pensare il più velocemente possibile. << È forse qualche festa nazionale?>> azzardo.
Mary fa roteare gli occhi. << Valeri. Per la miseria! Te ne ho parlato una settimana fa!>>
<< Di cosa?>>
<< Della cena…>> cantilena lei, sperando forse che questo mi aiuti a ricordare. Quando capisce che non è così, sbuffa. << Ho invitato Harry e John a cena qui, questa sera. Voglio cucinare per loro.>>
È come se mi fosse crollato il soffitto addosso. Non riesco a parlare. << Ah >> mormoro, atterrita.
Mary aggrotta la fronte, giocherellando con il suo anello. << Sei ancora d’accordo, vero?>>
Resto un attimo in silenzio. No. No che non sono d’accordo! John è un traditore, diamine! Uno sporco traditore. Ho pianto per lui tutta la notte. Sto facendo di tutto per non pensarlo. E adesso lui dovrebbe venire a casa mia? Con suo padre? No. No. E no. È fuori discussione. Non se ne parla.
<< Si, certo. Ovvio >> rispondo invece, con un falso sorriso. Stupida! Ma non ho scelta. Mary non sa niente, e da come ne parla, tiene a questa cena molto più che al fatto di respirare. Non posso rovinarle tutto. Non a causa mia. Non a causa sua.
Lei sospira, e solo ora mi accorgo che stava trattenendo il fiato. << Bene >> dice, sollevata. << Credevo avessi cambiato idea.>>
Cerco di farle un sorriso rassicurante, ma non mi riesce proprio, così lascio perdere.
La mente di Mary sembra improvvisamente andare a tremila giri, così veloce che riesco a vedere le rotelle del suo cervello correre in discesa. << Cavolo! Ho così tante cose da fare! Devo pulire la casa, e comprare il pane. Poi devo andare a comprare i pomodori, perché volevo fare il mio pasticcio di maccheroni, ma non posso farlo senza il pomodoro. E neanche senza i maccheroni. Dio, non so nemmeno se ci sono, i maccheroni. E se poi non ci sono devo riuscire a comprarli, e…>> Dopo questo, non sento più niente. Mi concentro sul piatto che ho davanti, schiacciando con la forchetta le uova strapazzate. La lascio sfogare, mentre un unico pensiero mi ronza per la testa. John. John in casa mia. Questo è un incubo.
Giuro, in questo momento, ho voglia di urlare.
Non mi accorgo neanche che Mary ha finito di parlare e che mi sta osservando.
<< Valeri?>> chiede. << Mi stai ascoltando?>>
<< Eh?>> Alzò gli occhi dal piatto, e incontro il suo sguardo. << Certo >> affermo, provando a mostrare compostezza. Ma vengo tradita bellamente dal tremolio della voce. Così me la sgranchisco e riporto l’attenzione sulle uova. << Certo. Stavo ascoltando.>>
Non ho idea dell’espressione che ha mia madre in questo momento, ma sono quasi sicura che stia inarcando un sopracciglio. Dopo un po’, la sento sospirare. << Scusami… >> mormora, amareggiata. << So che ti sto annoiando, ma, vedi, per me questo è molto importante. Sono quasi quindici anni che non trovo un uomo che… che mi faccia sentire speciale. E… >> Esita un secondo. << …E voglio che tutto sia perfetto.>>
Presa da un impeto di tenerezza, le prendo la mano e glie la stringo. << Lo sarà >> la rassicuro.
Lei mi sorride, gratificata, e ricambia la mia stretta.
Ho voglia di dirle tutto, ma non lo faccio. Non lo farò. Tiene davvero tanto a quell’uomo, e, seppur odio il figlio, non permetterò che questo ostacoli forse la sua vera prima storia d’amore.
Dopo qualche secondo, Mary aggrotta le sopracciglia, come se si fosse appena ricordata qualcosa. Mi guarda. << A proposito >> chiede, con fare interrogativo. << Che cosa ti è successo, ieri sera?>>
Mi irrigidisco di colpo. E adesso, cosa le dico? Mi alzo, e cerco di sembrare disinvolta mente scrollo le spalle. << Oh, niente di che. Solo un’interrogazione andata male.>>
<< Un’interrogazione?>> fa lei, scettica. Stingo gli occhi, ma per fortuna lei non può vedermi, perché sono girata verso il lavandino. << Stavi così male per un’interrogazione?>>
Mi mordo il labbro. No, certo che no. Non potevo inventarmene una migliore? << Beh… si >> balbetto, voltandomi lentamente. << Sai, era un’interrogazione molto importante, che mi avrebbe permesso la promozione assicurata, ma è andata uno schifo. La prof ha minacciato di bocciarmi. Io… >> Dalla sua espressione, capisco che non crede ad una sola parola di quello che dico. Metto su un sorriso tirato. << Io… vado…a … prendermi lo zaino!>> esclamo. E non aspetto neanche una sua risposta. Mi precipito in camera, sperando che lei non mi segua per farmi domande.
 
L’aria, fuori, è pungente.
C’è un leggero venticello, e forse non è stata un’idea così geniale mettersi soltanto una felpa.
Ho le cuffie nelle orecchie, con la musica a tutto volume. Speravo di distrarmi. Ma non serve a niente. Semplicemente, a volte, il volume della musica dovrebbe superare quello dei pensieri. Peccato che i miei siano troppo incasinati perché questo possa capitare.
Entrare a scuola, poi, è uno strazio. Tutti i ragazzi si girano a guardarmi, e li vedo perfettamente mentre si voltano per mormorare qualcosa, nel momento in cui attraverso il corridoio. Non sento casa dicono, e non mi interessa. Ho già abbastanza problemi per conto mio.
Quando mi tolgo le cuffie e le riarrotolo intorno all’IPod, sento una voce chiamarmi per il corridoio.
<< Valeri!>> Alzo lo sguardo. Mia mi sta correndo incontro. Ha i capelli un po’ trasandati, ma questo non distoglie l’attenzione dal suo trucco perfetto. Quando mi raggiunge, mi fissa per un secondo. Poi mi abbraccia. << Sono così felice di rivederti! Si può sapere che fine hai fatto? Mi sono spaventata a morte. Ti ho inviato circa una trentina di messaggi!>> esclama, così rapidamente che faccio fatica a seguirla.
Quando finalmente mi libera da quell’abbraccio soffocante, sono libera di rispondere. << Mi dispiace >> mormoro, abbassando lo sguardo e togliendomi una ciocca di capelli dalla bocca. << Io >> Mi sgranchisco la voce. << Non ho acceso il telefono.>>
Mia mi guarda, ma non proferisce parola. Non mi chiede neanche come sto, e di questo le sono grata, perché sono stanca di mentire a quella domanda. Noto, comunque, un velo di preoccupazione attraversare i suoi occhi. Decido che forse il modo migliore per tranquillizzarla è convincerla che va tutto bene, così abbozzo un sorriso. << È stato Matt, a trovarmi >> le dico. << E poi mi ha anche riportato a casa. È stato gentile, da parte sua.>>
Mia sorride, lo sguardo perso nel vuoto. << Già, Matt è un tesoro. Quando non sono riuscita a trovarti, ero disperata. Temevo che ti fosse successo qualcosa, così ho chiamato Matt. Lui non ha fatto domande. Ha lasciato le prove della band, è salito in macchina, ed è stato al telefono con me nel tentativo di tranquillizzarmi. Mi ha davvero aiutata.>>
Annuisco. << Ha davvero un cuore d’oro.>>
Annuisce anche lei, ma non aggiunge altro. Scorgo sofferenza, nel suo sguardo. So che vorrebbe raccontarmi tutto. Di come sta bene con lui. Di quanto sia dolce. Di quanto lo ami. Ma so anche che non lo fa per paura che io mi offenda. E questo mi manda in bestia. Il silenzio comincia a farsi pesante. Da quando le cose fra noi sono diventate così imbarazzanti? Ci siamo sempre dette tutto, noi due. Che cos’è cambiato, adesso?
Con lo stesso silenzio che non si spezza, ci dirigiamo entrambe verso il mio armadietto. Io tengo gli occhi fissi sul pavimento, mentre lei giocherella con qualche sua ciocca di capelli.
Quando mi rendo conto che siamo arrivate, alzo lo sguardo. E lo trovo lì. Al suo armadietto, proprio accanto al mio, intento ad inserire la combinazione.
Mi fermo di botto. Mia mi guarda, incuriosita. << Che c’è?>>
Non faccio in tempo a rispondere, che John sposta lo sguardo, e i miei occhi incontrano i suoi. << Oh, merda…>> mormoro.
Faccio appena in tempo a vedere la sua bocca aprirsi per dire qualcosa, prima di voltarmi e iniziare a camminare velocemente per il corridoio. << Valeri, aspetta!>>
Non ho intenzione di aspettare.
<< Valeri, fermati. Ti prego!>>
Non ho intenzione di fermarmi.
Continuo a camminare impettita finché non sento una mano sulla spalla. A quel punto, mi volto di scatto. I miei occhi incrociano i suoi, e sono attraversata da un moto di rabbia.
<< Valeri, ti prego. Non scappare >> mi supplica.
<< Che vuoi?>> domando, brusca. Non ho intenzione di restare qui neanche un secondo di più.
<< Ti prego. Fammi spiegare.>>
<< Oh. E sentiamo. No, dai, sono curiosa, sentiamo. Che cosa vuoi spiegarmi?>> esclamo, con sarcasmo. << Vuoi forse spiegarmi perché la scuola è stata tappezzata da quella foto? O chi ha scattato quella foto? O come mai tu eri con lei in. Quella. Foto!>> Mi sento avvampare. E l’unica cosa che riesco a fare è urlargli in faccia.
<< Valeri, per favore. Devi ascoltarmi. Io…>>
<< Oh, non venirmi a dire ora le solite frasi fatte come “non è come pensi” o “c’è stato un errore” o “Io ti amo veramente”, John, perché non ci casco!>> lo interrompo, sputandogli in faccia le parole senza neanche riprendere fiato. << Ho visto abbastanza televisione da capire che quelle sono soltanto un mucchio di balle, e non ci risolvo niente a sentirne dire altre da te!>>  
<< Ma…>>
<< Risparmiami >> lo interrompo. Mi volto furiosa, e faccio per andarmene, quando la sua voce mi arriva di nuovo all’orecchio.
<< Ti prego, io…>>
<< No, John! Basta!>> gli urlo, voltandomi di scatto e fronteggiandolo, la rabbia che mi pulsa nelle vene. << Sono stanca, capito? Stanca! Stanca di avere gente intorno di cui non potermi fidare. Stanca di essere considerata sempre come l’ultima ruota del carro!>> La mia voce trema. << Ci ho messo >> Esito. << Ci ho messo… tutta la notte, per poter superare la cosa. Ho impiegato… delle ore, per convincermi del fatto che tutto questo non fosse reale. Ore, per anche solo provare a illudermi che non me ne importasse niente, e che non serviva piangere!>> Mi maledico mentalmente per il tentennamento della mia voce. Scandisco le ultime parole con molta ferocia. << Tu non hai idea di quello che ho passato.>> Gli punto un dito contro. << Tu non hai idea di quanto questo mi abbia fatto male! E se c’è una cosa che in questo momento vorrei è stare a chilometri di distanza da te solo per soffocare la voglia di tirarti un pugno in piena faccia!>> Mi sforzo in tutti i modi di reprimere le lacrime, ma la vista mi si appanna lo stesso. << Non mi interessa se i nostri genitori si amano >> dico, con freddezza. << Stasera per mia madre è una serata molto importante, e io ho permesso che vi invitasse a cena solo perché le voglio bene. Lei non sa niente, e mai lo saprà. Ma non provare a rivolgermi la parola. Non provare ad avvicinarti, non provare a guardarmi. Non provare nemmeno ad aprire la bocce perché “vuoi spiegarmi”>> Apostrofo le ultime due parole facendo le virgolette con le dita, accompagnate da un verso di scherno. << Perché non ti calcolerò. Sarà come se tu non esistessi, e per te sarà la stessa identica cosa. Sarai a casa mia, ma saremo come due estranei.>> Avvampo, le braccia strette lungo i fianchi, mentre lui mi guarda con la mascella irrigidita e una leggera espressione di dolore. I suoi occhi mi scrutano. Vorrei guardarlo con disprezzo, vorrei odiarlo con tutto il mio cuore. Ma non ce la faccio. Non mentre guardo quegli occhi blu che mi hanno sempre fatto tremare le ginocchia.
Gli lancio un’ultima occhiata, neanche lontanamente piena dell’odio che avrei voluto. << E lasciami in pace >> dico, fredda. Poi mi volto, e riprendo a camminare lungo il corridoio.
Stavolta, lui non mi segue.
Non appena svolto l’angolo, mi appoggio al muro, ansimante. Devo riprendere fiato. Dietro di me, sento un urlo di frustrazione e un pugno sbattuto violentemente contro l’anta di un armadietto.
La vista mi si appanna. Non posso credere di quello che ho appena detto. Di quello che ho appena fatto.
Mi copro il volto con una mano e faccio dei grandi respiri tremanti. Ho voglia di piangere, ma non lo farò. Ho smesso, con queste cose. Ho già versato troppo lacrime per lui, benché non se le meritasse. Basta essere un bersaglio così facile per gli altri. Basta mostrare a tutti la propria carne viva con la consapevolezza che quelli hanno in mano tanti stuzzichini. Basta.
Mi porto i capelli dietro la testa con entrambe le mani, facendo un bel respiro.
Basta piangere per persone che per me non lo faranno mai.
 
Guardo il mio riflesso nello specchio, con un sospiro.
Mia madre aveva ufficialmente deciso che per questa cena dovevamo vestirci in modo elegante, ed io non me l’ero sentita di contraddirla davanti a quegli occhi lucidi, così l’ho assecondata.
Indosso un vestito a tubino, aderente, rosso. Le maniche sono lunghe tre quarti, e la gonna mi arriva sopra al ginocchio. È molto semplice, eppure, con le scarpe con tacco dello stesso colore, fa la sua bella figura.
Mia madre mi ha anche costretto a truccarmi. Inizialmente non volevo farlo, ma poi ho capito che dirlo ad alta voce sarebbe stato strano. In fondo, tecnicamente parlando, stava sempre venendo a cena quello che dovrebbe essere il mio ragazzo, e se adesso lo fosse stato davvero, avrei cercato di sembrare carina.
È stato difficile comportarsi come se tutto fosse come prima. Alla fine mi ci ero così abituata che credevo davvero che lo fosse, e che quello fosse stato solo tutto uno stupido sogno, e che ero davvero felice di vedere in casa mia i capelli biondi di John.
Ma, purtroppo, tutte le mie illusioni sono svanite quando mi sono guardata allo specchio, e sono raggelata. Ma chi voglio prendere in giro? Tutto questo è vero, verissimo. Il mio ex ragazzo sta davvero per venire a cena da me, e io sto davvero facendo di tutto per evitare di pensare che si tratta proprio dello stesso ragazzo che mia ha tradita. E che lo ha fatto nel peggiore dei modi.
Sono così tanto sovrappensiero, concentrata a trattenere le lacrime, che non mi rendo neanche conto di Mary che mi osserva dal ciglio della porta con un sorriso sulle labbra.
<< Sei magnifica >> mi sussurra, con una nota di soddisfazione.
Faccio incontrare i nostri occhi scuri nel riflesso, tentando di abbozzare quello che dovrebbe sembrare un sorriso gratificante, ma che in realtà è solo pieno di dolore.
Lei mi raggiunge e si posiziona dietro di me, spostandomi di lato una ciocca di capelli e osservando la mia immagine allo specchio al di sopra della mia spalla.
Sento la sua mano delicata accarezzarmi la nuca, e vedo la sua espressione mutare da una soddisfatta a una nostalgica. Sospira. << Oh, tesoro. Sei diventata così grande. Sei una donna, ormai >> dice, con dolcezza. Non ci giurerei, ma i suoi occhi sembrano quasi tristi. << Ricordo ancora quando da bambina mi pregavi di farti la treccia.>>
Sorrido, a quel ricordo. Avevo si e no sette anni, e ogni volta che mia madre mi faceva quella treccia ricordo che mi sentivo più bella, più grande. Ora, forse, se ce l’avessi, sarebbe l’esatto contrario, e tornerei ad essere la bambina spensierata di un tempo. Il che non sarebbe male.
<< Ti va di farmela ora?>> le chiedo.
Il suo volto si illumina, e la sua bocca si allarga in un sorriso. << Ma certo!>> esclama. Poi corre frenetica in bagno per prendere spazzola e pettine e si mette all’opera. Ci mette si e no dieci minuti, ma il risultato è spettacolare.
Quando mi guardo allo specchio, stento quasi a riconoscermi. Inizia dall’alto a sinistra, per poi scendere sinuosa sulla mia spalla destra, in un incrocio di nastri e capelli.
Qualcuno suona al campanello. Mia madre sussulta sul posto, poi sembra riprendersi e si precipita giù per le scale.
Mentre mi accarezzo distrattamente la treccia, la sento gridare. << Valeri, vieni!>>
Perfetto, penso. Si va in scena.
Mia madre sembra eccitata mentre saltella davanti alla porta come una scolaretta farebbe davanti al negozio dove vendono la sua bambola preferita.
Mi guarda, con un sorriso raggiante, come per darmi l’ok. Poi apre.
Il sorriso di Harry mi esplode immediatamente in faccia.
<< Ciao!>> esclama mia madre, buttandogli le braccia al collo e lasciandogli un bacio a fior di labbra. << Che bello avervi qui.>>
<< Il piacere è tutto mio >> risponde lui, gentile come al solito.
Solo in quel momento Harry sembra notarmi, e mi regala un bel sorriso. << Ciao Valeri!>>
<< Salve, signor Smith >> dico, cercando di sembrare entusiasta.
Lui scuote la testa, ridendo. << Ti ho detto mille volte di chiamarmi Harry.>>
<< Come vuol… vuoi, Harry.>> E sorrido.
Poi, lui porge a mia madre un vassoio avvolto dalla carta stagnola. << Ho portato il dolce.>>
<< Oh, fantastico!>> esclama lei, prendendolo in mano. << Vado subito a metterlo in frigo!>>
E poi, entra John. Il mio cuore sembra perdere un battito, e sento inspiegabilmente una fitta allo stomaco. Tristezza? Dolore? No, solo rabbia. Rabbia per non poterlo prendere a schiaffi.
Ci scambiamo uno sguardo, e, se il mio è gelido, il suo fatica ad essere indifferente.
Abbasso lo sguardo, e solo allora mi rendo conto dello strano silenzio che è calato sulla stanza.
Guardo di sfuggita mia madre, e noto che sia lei che Harry ci guardano un po’ interdetti. Ma perché?
Poi tutto mi è chiaro. Oh, giusto. Noi dovremmo essere fidanzati.
Decido che forse è meglio mandare avanti quella scena.
<< Ehi!>> esclamo, forse con un po’ troppa enfasi. Metto in mostra tutti i denti nel sorriso più largo che riesco a fare e gli scocco un bacio sulla guancia. << Che bello avervi qui.>>
John, anche se all’inizio sembra stupito, poi sembra aver capito le mie intenzioni, perché sorride e mi avvolge la vita con un braccio. << Anche per noi. Vero papà?>>
Harry annuisce, come se si fosse appena dimenticato quanto successo poco prima.
Mia madre sorride a entrambi. << Valeri, falli accomodare. Io porto questo in cucina.>>
Mentre io porto i due nella sala da pranzo, mia madre si precipita in cucina, per uscirne poco dopo con un altro vassoio in mano, che emana un’invitante profumino.
Sto per sedermi accanto ad Harry, quando mia madre arriva e dice: << Oh, no, cara. Siediti accanto a John.>>
Credo di aver esitato per un secondo di troppo, prima di obbedire evitando di incrociare il suo sguardo.
E se, mentre Mary posa in vassoio al centro del tavolo esclamando << Il mio speciale pasticcio di maccheroni!>> e si siede accanto ad Harry e i due si scambiano sorrisi e risate, fra me e John cala il silenzio. Un silenzio freddo. Glaciale. Io non voglio guardarlo in faccia, e lui probabilmente si è ricordato che non voglio neanche che lui guardi me. Per questo mastico i miei maccheroni senza sentirne davvero il sapore.
La cena si svolge alla grande, per quanto alla grande si possa svolgere con il ragazzo che odi seduto accanto a te, ma mia madre è felice, e questo mi basta. E dopo il rustico, il baccalà e la frittata, mia madre porta in tavola una speciale torta ripiena, o, come la chiama lei, “La torta della meraviglie”.
<< Scusate >> mormora imbarazzata, mentre la taglia. << Non sapevo avreste portato dei dolci, per questo ne ho cucinato uno io.>>
Mette una fetta in un piatto e lo posiziona davanti a John. Lui lo assaggia e sgrana gli occhi. << Wow, è buonissima!>> Poi sorride al padre. << Altro che la nostra crostata bruciacchiata.>>
Tutti ridono, e anch’io mi sforzo di sorridere, mentre ognuno addenta la sua fetta di torta.
Quando anche questa è finita, siamo tutti sazi. Vedo Mary ed Harry scambiarsi un’occhiata, e mi chiedo perché, quando Harry parla.
<< Ragazzi, credo che sia arrivato il momento di spiegarvi il perché di questa cena.>>
Già, ditemelo il perché!, penso, anche se la mia curiosità e il mio buon senso mi impongono di stare zitta.
Mia madre sospira. << Valeri, per favore, puoi sparecchiare la tavola? Abbiamo bisogno di parlarvi con calma.>>
Inarco un sopracciglio, un attimo interdetta. Poi lentamente mi alzo e inizio a sparecchiare. Ma che gli prende? Cos’hanno di tanto importante da dirci? Non vorranno mica sposarsi! Non vorranno mica… oh, dio. Non pensano mica di andare a vivere insieme, vero? Perché credo che non lo sopporterei…
Inizio ad impilare i piatti, quando Harry mormora al figlio: << John, aiutala.>>
No!
John fa per prendere un piatto, ma io lo afferro con entrambe le mani. << No. Faccio da sola >> dico, brusca.
Lui, comunque, non molla la presa. << Valeri. Voglio solo aiutarti.>>
<< Ti ho detto di no.>>
<< Valeri, io…>>
Gli strappo con forza il piatto dalle mani, ma, nel farlo, urto accidentalmente un bicchiere con il gomito. Ed è anche uno del servizio buono di mia madre.
Sto per stringere gli occhi nel sentire il vetro rompersi in mille pezzi, quando sono costretta a sgranarli. Perché John lo afferra al volo.
Ok, va bene che lui è allenato, che ha dei buoni riflessi e quant’altro, ma questo è davvero impossibile!
Insomma, ha fermato il bicchiere a pochi centimetri dal pavimento. Con uno scatto, senza uno sforzo. E inoltre, è riuscito a non far cadere neanche una goccia d’acqua a terra.
Lo fisso, sbalordita ed interdetta, mentre lui lo riposa lentamente sul tavolo. Vedo Mary ed Harry scambiarsi un’occhiata nervosa.
Inarco un sopracciglio, ancora sconvolta per ciò che ha fatto John. << Come hai…>>
<< Oh, mio figlio ha sempre avuto degli ottimi riflessi >> interviene il padre.
John si pulisce le mani molto probabilmente sudate sui pantaloni. << Credevo lo sapessi già.>>
Adesso basta. Afferro tutti i piatti e, impettita, mi dirigo verso la cucina.
Una volta lì li butto nel lavandino ed inizio a lavarli, senza neanche preoccuparmi di indossare i guanti.
Mentre sto ancora lavando il quarto bicchiere, sento dei passi dietro di me.
Non ho bisogno di voltarmi per capire chi è.
<< Mio padre ha detto di aiutarti >> mormora John.
Faccio un lungo sospiro, chiudendo gli occhi. << Ti ho già detto che non ho bisogno del tuo aiuto.>>
<< Devono dirci una cosa importante. Secondo te che cos’è?>>
Aggrotto la fronte, pensierosa. << Non ne ho idea.>>
<< Mentre tu lavi i piatti magari io posso… >>
E poi il suono più assordante che io abbia mai sentito mi invade le orecchie.
È squillante, acuto, insopportabile. Mi perfora i timpani, mi trapana il cervello. Con un grido di dolore mi piego sulle ginocchia, tappandomi le orecchie e stringendo occhi e denti. Dietro di me, sento John lamentarsi e forse fare lo stesso.
Ma, nonostante le mani a coprirle, il suono arriva comunque. Anche se ovattato. Mi sembra di essere un una bolla d’acqua. Tutto è confuso, e l’unica certezza che ho è che il cervello sta sbattendo violentemente contro la mia scatola cranica minacciando di uscire.
Sento le mie mani bagnarsi. Ho la fronte imperlata di sudore, e continuo a soffocare dei lamenti fra i denti stretti, mentre Harry e Mary si precipitano in cucina.
Non appena lei si china su di me, sento qualcosa colarmi lungo il braccio. Osservo le mie mani, e mi rendo conto che sono sporche di sangue. Il mio sangue.
Poco più in là, John sembra essere nella mia stessa situazione.
<< Oh, no >> sento mormorare a Mary, nonostante il suono arrivi distante. << Dovete andarvene. Presto!>> grida.
<< Mamma… che succede?>> cerco di balbettare. Lei mi afferra per un polso e mi trascina di sopra.
<< Presto, Valeri!>> esclama, notando che io faccio resistenza. << Non c’è tempo!>>
Non ci capisco più niente. Un attimo prima ero in cucina che lavavo i piatti, e un attimo dopo sono in camera mia, con le orecchie sanguinanti e un rumore assordante che mi rimbomba nella testa, a guardare mia madre aprire un borsone e buttarci dentro tutte le mie cose.
<< Mamma!>> esclamo. Non so cos’altro dire.
È in assoluto il borsone più grande che io abbia mai visto, e la metà è occupata solamente da tutti i miei vestiti. << Mamma, che succede!>>
<< Valeri! Non c’è tempo!>> esclama lei, scrollandomi per le spalle. I suoi occhi sono iniettati di sangue. << Dovete andarvene!>> continua a ripetere, mentre butta nel borsone la mia macchina fotografica e il mio album dei disegni. << Dovete andarvene di qui!>>
<< No! mamma, devi dirmi che cosa sta succedendo!>> insisto. Lei prende il mio libro pieno di foto e lo butta dentro. << Mamma!>> Mi ignora anche stavolta. << Mary!>> urlo.
Lei si gira. Ha già riempito la mia borsa con tutte le mie cose, e la mia stanza sembra ormai quasi vuota. Mi guarda, come se quello che sta per dire le costasse uno sforzo enorme. È sull’orlo delle lacrime. << Valeri. Valeri, mi dispiace >> singhiozza. << Avrei dovuto dirtelo prima, avrei dovuto metterti in guardia. Scusami, scusami. Ma ora non posso spiegarti. Devi solo fidarti di me. E devi andare con Harry.>>
Poi corre in camera sua e torna nella mia con qualcosa in mano. Quando lo riconosco, ho un tuffo al cuore. È lo scrigno di quando ero piccola. Quello che non sono mai riuscita ad aprire. Quello che avevo quasi dimenticato. Quello che Mary ha sempre tenuto nascosto. Accanto a lui, stretta nel suo pugno, c’è anche la lettera.
La guardo sbalordita, senza capire. << Ma cos… >> esclamo, mentre lei li butta nel borsone e lo chiude. << Ti aiuteranno a capire >> dice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. << E poi servono a te. Capirai molto presto come usarli.>>  Mi lancia il borsone, che, nonostante sia pesante, prendo al volo, e inizia a spingermi giù per le scale.
<< Ora devi andare!>> grida. << Va con loro. Va!>>
In lontananza sento uno stridio di gomme sull’asfalto, o forse è solo la mia immaginazione. Fatto sta che mia madre si gira terrorizzata verso la strada. << Dovete andare!>> esclama, il volto dipinto dal panico. << Va con Harry, con lui sarai al sicuro!>>
<< No!>> urlo, gli occhi offuscati e la voce strozzata dalle imminenti lacrime. << No, non voglio!>>
<< Valeri, devi >> insiste lei.
<< Vieni con noi!>>
Scuote la testa. << Non posso.>>
<< Perché?!>> La disperazione si sta lentamente facendo largo nel mio cuore. << Perché, no? Tu devi venire!>>
<< Valeri, mi dispiace >> mormora. Qualcosa di affilato mi punge il braccio, ma il dolore è affievolito dalle lacrime che mi solcano il volto.
<< Dimmi almeno perché?>> grido. << Perché me ne devo andare?! Perché non puoi venire?!>>
Mary mi accarezza i capelli con entrambe le mani, poi mi bacia la fronte, tremando e soffocando i singhiozzi. << Presto sarà tutto più chiaro. Presto capirai tutto >> mormora. Alza lo sguardo. << Ma per ora devi cavartela senza di me.>>
<< No >> mormoro, scuotendo con forza la testa. Gli occhi che bruciano. << No, io… come farò senza di te?! Io non posso. Non ne sono capace!>>
<< Oh, Valeri >> mormora, con dolcezza, mentre mi accarezza una guancia e cerca di farsi forza. Mi guarda intensamente negli occhi. << Tu non hai idea di che cosa sei capace.>>
Poi, tutto precipita. Qualcuno mi afferra da dietro, e mentre io mi divincolo e urlo di lasciarmi andare, il dolore alla testa si fa più lancinante. Guardo mia madre sul ciglio della porta, che mi osserva facendo fluire le lacrime.
Sembra addolorata da ciò che sta succedendo, ed io continuo a non capire.
Ma più che non capire, sono disperata. Distrutta. Affranta. Sfinita.
Fuori intemperia un temporale, e dei fulmini squarciano il cielo mentre la pioggia mi bagna velocemente i capelli, confondendosi con le mie lacrime.
Vorrei urlare con tutto il fiato che ho in gola, ma non ho la forza per farlo. Sento il battito del cuore pomparmi nelle orecchie.
Continuo a piangere, disperata. Tutto questo non può essere vero. È solo un brutto sogno. Un altro!
Eppure sembra così reale. E mentre l’immagine di mia madre che piange addolorata si offusca sempre di più davanti ai miei occhi, il mio corpo si fa pesante, ed io sprofondo improvvisamente nel buio.
 
Angolo Scrittrice
Ciaoo Ragazzi!! :D
Visto? Sono riuscita a pubblicare! Scusate il ritardo :S... in realtà questo capitolo era pronto già da tempo, ma non sono riuscita a pubblicarlo prima (Causa scuola e mio padre che aveva "bisogno" di internet -.-)
Anyway, che ve ne pare? Finalmente ora si sta entrando di più nel vivo della storia. Ormai manca poco *w* ihih!
Beh, in realtà non ho molto da aggiungere, perchè credo che questo capitolo parli da solo. Me lo lasciate un commentino, vero? *^* vi preeeegooo... :3
Fatemi sapere cosa ne pensate. Bello brutto o neutro che sia, non importa ;)
Ook... Ho finito. Valeria se ne va ;*
Un bacione a tutti quanti!
Votre
ValeryJackson :)
  
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